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Ayyat, una storia di Palestina scolpita nel mio cuore


La piccola Ayyat

Poco dopo aver messo piede in Palestina, nel marzo del 2002, che ancora non avevo vent’anni ho imparato a pronunciare il tuo nome.
Una bella faticata percorrere quei 14 km che ci dividevano: non avevo mai percorso un tragitto in quella martoriata terra di Palestina e non pensavo ancora, senza averlo provato sulla mia pelle, cosa significa superare i check point israeliani…per noi fu una passeggiata. Ricordo che i soldati israeliani ci sorrisero, ricordo ancora quel “Italian? Hi friend”…e il mio/nostro silenzio.
Ricordo che un secondo dopo nacque in me una rabbia che non mi ha mai lasciato…quando quello stesso soldato parlò con i due ragazzi dietro di me,
che ancora li immagino lì, in perenne attesa di poter tornare al proprio villaggio, città, o campo profughi.
Noi dovevamo solo raggiungere la periferia di Betlemme da Gerusalemme…una cosa veramente breve, in teoria…anche perchè ancora non esisteva lo scempio per eccellenza: il maledetto muro dell’Apartheid che circonda e spezza il territorio palestinese, quello che ne è rimasto.

Arrivati nel campo profughi di Dheishe dimenticammo subito tutti i check point, i tank, il confine con la Giordania (passare quello non è proprio piacevole). L’accoglienza di quelle persone fu indimenticabile … circondati da centinaia di bambini curiosi, ancora ignari di quel che sarebbe accaduto poche ore dopo.
Che tempismo noi nell’arrivare nei Territori Occupati: nemmeno 24 ore dopo sarebbe scoppiato tutto, la seconda Intifada (quella in larga parte caratterizzata dagli uomini/donne bomba) sarebbe arrivata al culmine e con lei la rappresaglia israeliana, che poco dopo ci tagliò fuori dal mondo, circondando la basilica della natività e poi, compiendo (tra i tanti) il massacro di Jenin, una pagina di genocidio. Ma ora voglio parlare di altro; scrivo queste righe solo per ricordare Ayyat, la diciottenne del campo profughi di Dheishe, proprio quello che ci ospitava.


La prima donna nella storia dei kamikaze che si fece saltare in aria, che oltre a quello porta un altro triste primato: la più giovane.
Aveva solo diciottanni la bella Ayyat e, ferita dall’assassinio del suo futuro marito (ucciso sul colpo da un missile israeliano che colpì la macchina dove viaggiava, un paio di settimane prima). Il giorno successivo al nostro arrivo ci fu il funerale di Jihad, il ragazzo che era a bordo con lui, che per due settimane aveva lottato contro ferite ed ustioni, invano (ci son diverse foto in questo blog del suo funerale).

Ayyat, poco prima di morire

Ayyat non resse a tutto ciò, il suo amore, giovane ingegnere del campo, era stato strappato a lei con la più infame delle azioni, lei non voleva esser da meno. Per noi fu un esperienza incredibile…io la sua famiglia non la dimenticherò mai, così come non dimenticherò mai il corteo a cui partecipò tutto il campo, pochi minuti dopo la notizia della sua morte. Tutto il campo, sparando in aria, andò ad omaggiarla…tutti noi andammo sotto casa sua.
E molti di noi ci rimasero a dormire dentro, noi internazionali, per evitare che la sua casa fosse immediatamente bombardata e rasa al suolo dall’aviazione israeliana, com’è tradizione: non accadde infatti.
Ma solo 18 ore dopo iniziò l’assedio di Dheishe, con noi dentro…e furono solo tank e cecchini, coprifuoco e isolamento…
Questo solo per ricordare te, piccola Ayyat, di cui abbiamo anche una foto da bimba…che è un’altra lunga storia.

  1. m
    29 marzo 2011 alle 19:30

    Ero con te….quella notte, nn potro’ mai dimenticarla.
    ti abraccio di cuore…compagna, perche’ eravamo solo donne. E mi ricordo anche che abbiamo dovuto anche disobbedire….io nn sono una turista politica.

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  2. 29 marzo 2011 alle 20:11

    grazie di queste righe, compagna….

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  3. 5 aprile 2011 alle 15:32

    M’hai strappato il cuore, Baruda.

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  4. §K§
    5 febbraio 2012 alle 19:56

    ####################################
    §La striscia§
    ####################################

    L’orizzonte
    una striscia
    di filo
    che le ragazze
    vedove
    e le bambine
    orfane
    e le madri
    senza figli e senza
    sonno
    usano per
    vestire
    di dolore
    le striature
    che colorano il cielo
    di lontananza.
    L’azzurro del mare
    troppo
    accecante
    per il nostro
    atavico lutto
    è stato
    con premura
    sotterrato
    sotto litri di
    cemento.
    E i nostri bambini
    superstiti
    giocano
    ogni giorno
    per l’ultima volta
    e non c’è abbastanza
    carta
    per scrivere
    un’angoscia
    di filo
    spinato,
    che contorce
    gli ulivi
    che innaffia
    di sangue
    le soglie
    Con esso
    tessiamo
    §resistenti,
    restiamo§
    nel buio
    della storia.

    Instancabilmente
    tessiamo
    ###############a ridosso dei muri###############

    Grazie per questo ricordo Baruda e per essere stata lì_

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  5. 5 febbraio 2012 alle 21:58

    Grazie a te.
    😉

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