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Pillole nosocomiali : il pianto neurologico


Ho iniziato questo lungo (ancora non imparo ad eliminare la temporalità, il futuro, dai miei pensieri e vorrei provare a non riuscirci) percorso nosocomiale in un reparto di neonatologia, dove tutti i rumori erano sgradevoli e martellanti, tranne quelli dei bimbi.
Il loro pianto, anche se di 12 contemporaneamente, non è mai stato fastidioso: acuto e leggero, coccolava noi mamme sempre in piedi a girare intorno ad un’incubatrice o una culletta…
mano a mano che sono andata avanti, di stanze e poi reparti, ho scoperto che molti di quei bimbi avrebbero perso la voce: la tracheotomia, che in troppi hanno da queste parti li rende muti anche quando non lo sono. I suoni diventano versi che all’inizio fan paura, poi tutto nel suo orrore diventa normale.

I reparti di emergenza ed accettazione invece, così come le rianimazioni pediatriche, ti fanno incontrare improvvisamente ben altre realtà;
la neonatologia diventa un ricordo lontano e quasi dolce, i bimbi lì sembravan sempre tutti sani e belli, anche se non lo erano.
Il loro esser piccoli, il loro pianto dolce e sottile, tutto rendeva comunque soffici quei reparti in cui questi nanerottoli combattono per esserci, dal primo loro istante.
Il DEA e la rianimazione pediatrica invece sono uno schiaffone in piena faccia: lì non esistono settimane gestazionali, non si pesano i grammi.
Si sta tutti insieme, dai 4 giorni di vita ai 18 anni: tutti insieme nella stessa stanza, ad accalcare dolore e sguardi tra famiglie.
Lì si incontra altro dolore, altra ansia: quel quadrato mai potrò toglierlo un secondo da davanti ai miei occhi, mai un solo degli sguardi conosciuti lì dentro potrà entrare in una zona d’ombra della mia memoria.

Al Dea (dipartimento di emergenza ed accettazione) ho scoperto il “pianto neurologico”.
Un corpo nudo e torto di una bimba che sembrava esser stata alta e snella, il cui corpo per una meningite maledetta aveva perso la forma che noi riteniamo normale: il pianto di Manuela non lo dimenticherò mai. Un lamento che lei non conosce e probabilmente non sente, una nenia continua e lacerante che entrava negli occhi della madre per provare a trasformarsi in un vero pianto. Un pianto apparso all’improvviso, insieme a tanto altro, in una vita che era normale fino a poco prima.
Il pianto neurologico non assomiglia per niente al pianto, nè a quello lamentoso, nè a quello disperato: ha un qualcosa di innaturale, sembra avere una provenienza lontana e oscura, ha le sembianze di qualcosa che entra nelle teste per portarne via ogni momento qualcosa.

Da poche ore lo sto riscoprendo,
il nuovo cucciolo nella nostra stanza sono ore che non trova tregua, il ritmo è sempre lo stesso, come ormai il movimento della sua mamma per cercare di calmarlo, chissà da quanto, chissà per quanto…

( tutti i nomi che compariranno nelle mie “pillole nosocomiali” sono inventati)

  1. sirio
    27 gennaio 2014 alle 20:56

    FORZA

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  2. 27 gennaio 2014 alle 23:02

    Come posso scrivere che mi piace Valentina? MI togli il fiato ogni volta che ti leggo … ti abbraccio forte.

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  3. 28 gennaio 2014 alle 09:22

    e quando scrivi di politica e quando scrivi di amore, e quando racconti il tuo viaggio attorno al dolore, sei lacrime per me. migliori il mondo raccontandolo, dando forma e persino bellezza all’esperienza che ne fai, ma che strazio questa esperienza che ne ne fai.
    grazie di provarci sempre, a sentire, a non spegnere, a cedere a noi anche qualche lampo di come i tuoi occhi vedono il mondo.

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  1. 1 febbraio 2016 alle 09:55
  2. 4 dicembre 2017 alle 11:59
  3. 19 aprile 2019 alle 08:58

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