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Kurdistan turco: processo di massa. 150 persone accusate di terrorismo

19 ottobre 2010 Lascia un commento

Processo di massa contro la società civile curda.
Oltre 150 persone, tra cui decine di sindaci, in tribunale con l’accusa di terrorismo

Transenne attorno al Palazzo di Giustizia e numerosi cordoni di poliziotti in assetto antisommossa. È questa la scena che si sono trovati davanti a Diyarbakir, nel Kurdistan turco, gli osservatori internazionali giunti in Turchia per monitorare il corretto svolgimento del processo cominciato oggi (18 ottobre) contro 151 esponenti della società civile curda. Tra i processati, i sindaci eletti delle principali città della regione, come Osman Baydemir di Diyarbakir, Nedjet Atalay di Batman ed Etem Sahin di Sanliurfa, oltre all’avvocato Muharrem Erbey vice presidente dell’associazione per i diritti umani Ihd, sindacalisti, attivisti, consiglieri comunali, donne e minori.

L’udienza di oggi è l’inizio della fase processuale della cosiddetta “operazione Kck”, durante la quale sono stati arrestati in tutto 1925 esponenti della società civile curda e turca con l’accusa di aver avuto rapporti con l’Unione delle Comunità del Kurdistan (Koma Civiken Kurdistan), considerato il braccio politico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). L’operazione Kck è partita lo scorso 14 aprile 2009 con un’ondata di arresti avviata subito dopo una significativa quanto schiacciante vittoria alle elezioni amministrative del marzo 2009 del Partito della Società Democratica (Dtp), il partito filo-curdo, e proseguita in un’escalation di violenza per tutto il 2009, culminata verso la fine dell’anno con il bando dello stesso Dtp.

Insieme agli osservatori internazionali, tra i quali anche una delegazione italiana composta da avvocati, sindacalisti, giornalisti e attivisti dei diritti umani, una folla di oltre 2000 persone ha atteso stamattina l’inizio del processo, tenuti a debita distanza dal tribunale da centinaia di poliziotti e due plotoni di militari. Quando arrivano gli imputati, raccontano i partecipanti alla manifestazione, “dalle piccole aperture in alto sui pullman che li trasportano e che non si possono chiamare finestrini date le misure, si vedono le mani alzate nel segno della V, il segno della resistenza”.

Dei 151 accusati, ben 103 si trovano ancora in stato di detenzione e sono stati condotti in tribunale a bordo di pullman blindati con un’imponente scorta di mezzi corazzati dell’esercito. Agli imputati sono contestati reati che vanno dall’appartenenza a gruppi armati, all’attentato all’unità dello stato, alla diffusione di propaganda terroristica, perché avrebbero garantito sostegno logistico e finanziario all’organizzazione politica del Pkk, movimento di lotta armata considerato un gruppo terroristico non solo da Ankara ma anche dagli Usa e dall’Unione Europea.

La pubblica accusa ha chiesto pene compresa tra i cinque anni e il carcere a vita, mentre oggi gli avvocati difensori hanno chiesto di poter pronunciare le loro arringhe difensive in curdo, affermando che questa è la loro lingua madre. L’udienza è stata interrotta alle cinque di pomeriggio e aggiornata a domani, quando la Corte avrà deliberato sulla richiesta della difesa.

Il processo, le cui udienze proseguiranno fino al 15 novembre, viene giudicato da numerosi commentatori come un importante test politico per valutare le reali intenzioni del governo turco di ampliare i diritti della minoranza curda. Soprattutto dopo le notizie diffuse la settimana scorsa da alcuni quotidiani turchi, secondo i quali la procura di Ankara avrebbe aperto un’indagine sul primo congresso del Partito della Pace e della Democrazia (Bdp), che ha preso il posto del Dtp. In base alle indiscrezioni diffuse dal quotidiano turco in lingua inglese ‘Today’s Zaman’, nel corso del congresso fondativo del Bdp svoltosi a febbraio di quest’anno alcuni suoi membri si sarebbero resi responsabili di apologia di istituzioni criminali e avrebbero invitato a rifiutare l’obbligo di leva militare.

All’esterno del tribunale, intanto, la folla radunatasi davanti al Palazzo di Giustizia ha riempito la piazza davanti al Comune e invaso anche la strada a due larghe corsie separate da larghe aiuole di prato e fiori. Tuttavia, secondo quel che raccontano i membri della delegazione italiana slogans e canzoni sembrano dare molto fastidio.

Dal report della delegazione italiana a Diyarbakir: “la polizia, a questo punto, dà segno di volere intervenire. Infatti i poliziotti indossano i caschi e in pieno assetto d’attacco si schierano di fronte alla folla con un mezzo blindato dietro la prima fila. Decidiamo in fretta e ci precipitiamo nella nostra azione di interposizione pacifica rivolgendo il nostro striscione ‘Liberi tutti’ verso i poliziotti che avanzavano e davanti ai primi manifestanti. Segue una lunga discussione con i loro dirigenti che insistono nel volerci allontanare mentre noi rispondiamo di non potere perché siamo lì per la pace, per contribuire ad evitare incidenti. Sono minuti interminabili ma alla fine la polizia desiste ed il blindato arretra. Quindi parte un lungo applauso e poi con i Kurdi si canta ‘Bella Ciao’. Per ora si è vinto. Ma dopo un po’ viene fatta richiesta di lasciare libero il traffico per consentire il passaggio delle ambulanze. In realtà la polizia aveva fatto avanzare le auto che all’imbocco della strada venivano prima dirottate in altre direzioni. In testa un pulmino che asserisce di dover andare verso un ospedale. La scusa è vecchia ma è sempre buona. E poi abbiamo già incassato un ottimo risultato.
Decidono di lasciare libero il traffico in una corsia della strada e la folla si assiepa sui larghi marciapiedi, sulla piazza e sulla rimanente corsia. Così anche il comandante della polizia incasserà un risultato utile, pensiamo, e non perderà completamente la faccia con i suoi superiori. Si va avanti così e fra la gente, nel punto più interno, spuntano anche le bandiere con i simboli del PKK e il volto di Öcalan portato da applauditissimi ragazzi con il volto prudentemente coperto. Sembra tutto procedere nel migliore dei modi e la mobilitazione popolare appare vincente quando un’auto scura e di grossa cilindrata passa a velocità elevata sfiorando le persone che devono attraversare e stanno ai bordi della corsia libera. E’ però costretta a fermarsi al semaforo sucessivo, bloccato da altre auto in attesa del verde. Qui viene raggiunta da almeno cento, forse duecento persone, che in breve le provocano seri danni prima che riesca a fuggire. La provocazione scalda gli animi dei più giovani che tentano di occupare l’intera carreggiata, prima lasciata libera, sotto gli occhi minacciosi della polizia. I più grandi intervengono e i giovani vengono dissuasi.
I più aggressivi fra i poliziotti fremono ma per questa volta restano senza vittime”.

di Michele Vollaro

Un Newroz lungo alcuni giorni, nel Kurdistan che resiste!

2 aprile 2010 Lascia un commento

di Michele Vollaro, Diyarbakir
In tutta la Turchia, le celebrazioni per il Newroz (il capodanno che segna l’inizio della primavera e per il popolo curdo rappresenta l’occasione di rivendicare l’orgoglio della propria appartenenza) si sono svolte senza scontri o tensioni particolari.

Foto di Michele Vollaro ... Diyarbakir, tra i fuochi sacri del Newroz

Numerose erano le preoccupazioni che anche quest’anno la festa del “Nuovo giorno” sarebbe stata macchiata da episodi di violenza e provocazioni da parte degli apparati di sicurezza dello stato turco o dei seguaci del nazionalismo kemalista, in particolare dopo il bando a dicembre del Partito per una Società Democratica (Dtp) e il successivo arresto di centinaia di sindaci e attivisti per i diritti umani curdi nei mesi successivi (sarebbero più di 2000 secondo le stime dell’Ihd, l’Associazione per i diritti umani di Diyarbakir). E invece sono stati giorni di festa, culminati nella oceanica giornata del 21 marzo ad Amed (il nome curdo di Diyarbakir), a cui hanno partecipato oltre un milione e mezzo di persone. I festeggiamenti del Newroz, quest’anno, sono infatti cominciati già nei giorni precedenti al 21 marzo in moltissime località, caratterizzati ovunque da una partecipazione enorme, un clima festoso e combattivo al tempo stesso, e soprattutto l’assenza di incidenti e tensioni. Una scelta politica, presa dal Partito della pace e la democrazia (Bdp), la formazione che ha rimpiazzato il disciolto Dtp, per dimostrare al governo di Ankara la propria forza e capacità di organizzazione, nonostante la maggior parte dei suoi quadri dirigenti si trovi adesso in carcere a causa della stretta repressiva cominciata a dicembre, e tuttora in corso.
Secondo gran parte dei quotidiani turchi, merito di quest’atmosfera tranquilla è della cosiddetta “apertura democratica” avviata lo scorso anno dal governo di Recep Tayyip Erdoğan, una serie di iniziative tese in teoria a garantire pari diritti alle “minoranze” che vivono in Turchia, a cominciare dai circa 20 milioni di curdi.

Foto di Michele Vollaro _Diyarbakir, Newroz 2010_

“Il progetto del governo, volto a migliorare gli standard democratici, il rispetto dei diritti umani e delle differenze nel paese – ha scritto uno tra i principali giornali turchi, ‘Zaman’, nella sua edizione in lingua inglese – ha portato a un’atmosfera di mutua comprensione e fiducia non solo tra le persone, ma anche tra le forze di sicurezza dello stato e le persone”. In ogni caso, il lessico usato dai quotidiani turchi per raccontare le giornate del capodanno curdo evidenziano in modo significativo la difficoltà – causata dal centralismo imposto alla struttura statale dall’ideologia kemalista – di una reale accettazione di differenti culture all’interno della Turchia: negli articoli non si parla delle celebrazioni del Newroz in Kurdistan, ma piuttosto del “Nevruz nella regione del Sudest (il Güneydoğu in lingua turca)”, poiché – ci spiega un giornalista curdo a Diyarbakir – “ci sono tre lettere dell’alfabeto curdo che non sono presenti in quello turco (w, q, x) e perciò il loro uso è vietato, e ancora oggi ha un valore estremamente politico; inoltre, in Turchia ufficialmente non esiste una regione che si chiama Kurdistan: secondo Ankara, questo è il Sudest, una definizione che utilizzando i punti cardinali dimostra chiaramente il suo voler essere relativa e corrispondente a un centro politico rispetto al quale non siamo altro che una periferia, senza la dignità di avere un nome proprio”.
A Diyarbakir, nella città considerata la capitale simbolica del Kurdistan, il Newroz è stato caratterizzato dalla partecipazione dei più importanti cantanti curdi, tra i quali i celebri Ciwan Haco e Ferhat Tunç, e il cantante rap Serhado, amatissimo dai più giovani. Benché la festa dovesse cominciare ufficialmente alle 10, già dalle 6 del mattino il parco adibito ad accogliere i partecipanti cominciava a riempiersi; poco prima dell’inizio ufficiale, gruppi di giovani hanno cominciato a ballare l’halay, la danza tradizionale, mentre sul palco venivano affissi cartelli nei due dialetti curdi parlati nella regione, il kurmanji e lo zaza. Nei vari interventi è stata ricordata la repressione del popolo curdo e dei suoi rappresentanti a opera delle forze di sicurezza turche. I primi a prendere la parola sono stati l’ex-presidente del Dtp, Ahmet Türk (in attesa a metà aprile di essere processato per il suo incarico politico in un partito messo fuorilegge), e il sindaco di Diyarbakır, Osman Baydemir, che si sono appellati al governo chiedendo una soluzione democratica della questione curda, e affermando la necessità di coinvolgere come interlocutore per la risoluzione del conflitto tra esercito e miliziani curdi il leader del Pkk, Abdullah Öcalan, recluso dal 1999 nel carcere di massima sicurezza sull’isola di Imralı, presso Istanbul. Tra i relatori – che hanno parlato soprattutto in lingua curda – anche l’ex deputata Leyla Zana, Selahattin Demirtaş, attuale presidente del Bdp,e Fatma Öcalan, sorella di Abdullah.
Due le richieste che tutti i relatori hanno posto al governo per rilanciare la possibilità di riforme che consentano una reale democratizzazione della Turchia: la liberazione di tutti i detenuti politici curdi arrestati negli ultimi mesi e l’abolizione dello sbarramento del 10% alle elezioni politiche, una misura che impedisce ai partiti curdi una reale rappresentazione del popolo curdo nel Parlamento di Ankara (ndr: i parlamentari curdi sono sempre stati eletti come indipendenti) e conseguentemente lo svolgimento di un lavoro politico continuo anche a livello nazionale. E poi, con gran sorpresa di tutti, dai maxischermi allestiti vicino al palco, parla anche Abdullah Öcalan, seppure attraverso una vecchia registrazione in cui parla di pace, libertà e diritti.

Foto di Michele Vollaro _Diyarbakir, Newroz 2010_

Dalle montagne del Qandil, in Iraq, nei giorni immediatamente successivi, ha parlato il comandante in capo, per così dire, del Pkk, Murat Karayilan, che in un’intervista con la Reuters ha affermato che con il Newroz si è aperta una nuova fase. “Non un periodo ad interim – ha detto – ma una vera e propria fase che si svilupperà nei termini di una soluzione democratica o della resistenza”. In altre parole, Karayilan non si sbilancia sul futuro del cessate il fuoco: se da una parte dice che l’illegalizzazione del Dtp ha reso la via per una soluzione politica molto più ardua e che la tregua “potrebbe essere rotta e potremmo riprendere la lotta armata”, dall’altra sottolinea come “le celebrazioni del Newroz possono essere lette come un referendum”. E l’opinione dei milioni di persone che hanno festeggiato è chiaramente quella che la pace deve prevalere. Il che non significa arrendersi, ma piuttosto che ora si attende una risposta da Ankara.
Karayilan sembra indicare che per il momento le bocce sono ferme. Per il momento. Quanto questo momento possa durare, è difficile dirlo. La primavera purtroppo, con lo scioglimento delle nevi sulle montagne, è per le forze armate turche il momento propizio per lanciare campagne militari anche molto pesanti. E negli ultimi giorni a Diyarbakir il fragore assordante dei caccia turchi diretti a sud verso l’Iraq è il rumore di fondo a molte ore del giorno, mentre la città è di nuovo piena di blindati di esercito e polizia ad ogni angolo. Come ha detto chiaramente l’altro ieri un gruppo di intellettuali turchi, curdi e turkmeni incontrando ad Ankara il premier Erdoğan, “o ci sono passi concreti, oppure l’iniziativa democratica rimarrà una scatola vuota e pace e giustizia nient’altro che parole senza senso”.