Ciao Franca, cuore nostro
E’ morta la nostra compagna Franca Salerno.
La mamma di Antonio, lei che lo tenne in pancia durante il suo arresto, che lo partorì in cella e che gli diede i primi tre anni di vita a Badu e Carros, il terribile carcere di Nuoro.
Antonio l’ha lasciata poco dopo la fine della sua vita da detenuta.
Il suo amato figlio è morto sul lavoro, ammazzato dalla strage quotidiana della precarietà…
e il corpo stanco di Franca non ha retto.
E’ morta stanotte, dopo una malattia lacerante.
Franca ha una lunga storia che è la storia di tutt@ noi
Ciao Franca, abbracciaci Antonio, almeno quello!
PER CHI VOLESSE SALUTARLA, DOMANI (4 FEBBRAIO) DALLE 13 ALLE 16 CI SI VEDE AL LABORATORIO ACROBAX, EX-CINODROMO (PONTE MARCONI)
LINK:
Una vecchia intervista con Franca Salerno
Ciao Anto’
L’evasione di Franca Salerno e Maria Pia Vianale
I funerali di Franca Salerno
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Che brutta notizia, vorrei davvero credere che è con suo figlio.
Ciao Franca
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è l’unico pensiero felice che possiamo fare ora!
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…speriamo almeno che sia come il pensiero buddista e cioè che sia passata ad ” altra vita”…la reincarnazione in questi casi è un bel pensiero…
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Ciao Franca, è stato bello rincontrarti dopo tanti anni e scorprirci più vicine che mai. Mi hai infuso una grande forza e un grande amore. Non mi dimenticherò mai di te. Ti voglio bene e vivrò sempre il rimpianto di non averti salutato prima del tuo viaggio.
Un abbraccio a te e a Antonio.
Alessandra
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opportunisti,servi,schiavi del potere,ciarlatani pagliacci e marionette chinate la testa di fronte a tutti coloro che si alzano in piedi combattendo contro l’oppressione della classe al potere e lo sfruttamento,pagando col carcere e la vita.Franca combattente sincera del proletariato vive nei nostri cuori,nella nostra rabbia ,nelle nostre lotte!
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Se ne parla poco. Quando lo si fa è per chiedere ancora galera. Estrema vergogna d’una sinistra che da tempo ha venduto anche l’anima. Ho studiato la vita di mille “sovversivi” e qualcuno ora sa chi furono e se li ricorda. Altri faranno questa via dopo di me, che sono vecchio ormai. Altri la faranno. E la memoria non si perderà.
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Bella,sincera,onesta,coraggiosa…come tutte dovremmo essere per fare onore alla vita e alla fortuna di essere donne. Grazie franca
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Io non giudico il suo passato, apprezzo il presente di chi con dignità ha pagato. Quanti dei nostri al governo possono dire altrettanto? Un saluto…da mamma a mamma.
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Fino all’ultimno istante i tuoi occhi hanno brillato e hai sussurato devo andare via………ciao stella baciami Antonio e Renato e digli che sono orgogliosa di aver fatto questo tratto di vita con voi.
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Ciao Franca, onore a te, alla tua vita.
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Arrivederci, Franca, ti ho voluto tanto bene.
Quanta rabbia, ma perchè piango?
A pugno chiuso
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…beh che dire…assolutamente nulla…sono quei momenti ke parla il silenzio e la rabbia.Grazie Franca x quegli anni che purtroppo anche se lontani..sono ancora meravigliosamente vivi per chi con soavità e autenticità sono epidermicamente ancora nella nostra pelle.Ciao!
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Ciao Franca… é stato bello conoscerci e condividere… Amore e Forza
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Al dolore per la scomparsa della mia Nerina, la cagnetta che ho salvato dal canile municipale dove giaceva da ben otto anni, si aggiunge altro dolore.
Come sempre di fronte alla morte, non so che dire.
Che esista o meno un al di là, questa non è la vita, quella vera. E la vita quaggiù continua a non vivere.
Ridotta com’è a mera sopravvivenza.
sergio
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Franca Salerno: una vita per la critica alle istituzioni totalizzanti come il carcere
di Sandro Padula
Dopo il dolore per la scomparsa del giovane militante del centro sociale romano Acrobax Antonio Salerno Piccinino, avvenuta nel 2006 in un incidente stradale mentre lui stava lavorando, anche adesso rimango senza parole.
Nella Città Eterna, a causa di una grave malattia, è morta sua madre.
Si tratta di Franca Salerno: arrestata il 9 luglio 1975, condannata a quattro anni e mezzo per la sua militanza nei Nuclei armati proletari, evasa il 22 gennaio 1977 insieme a Maria Pia Vianale dal carcere di Pozzuoli, riarrestata il primo luglio 1977 e in seguito condannata ad una ben più lunga pena detentiva.
Non l’ho mai conosciuta vis a vis, ma nei suoi sedici anni consecutivi di carcere, mi è capitato diverse volte di avere una corrispondenza postale con lei e poi, una volta tornata in libertà, di sentirne parlare spesso.
Nella mia mente s’accavallano una serie infinita d’immagini: i locali del Centro Sportivo Culturale di Torre Spaccata, un quartiere romano in cui si politicizzarono una cinquantina di brigatisti rossi; una grandissima scritta murale con la vernice rossa: “Onore al compagno Lo Muscio!”, nappista ucciso dalla polizia al momento dell’arresto di Franca Salerno e Maria Pia Pianale in piazza San Pietro in Vincoli a Roma; la produzione di un audiovisivo sulle carceri nel 1977 da parte di quel centro sociale ante litteram; la nascita delle carceri speciali, come Badu’e Carros a Nuoro, in cui la stessa Franca fu per un periodo reclusa; il timbro della censura carceraria; il volto dell’ex nappista Raffaele Piccinino, padre di Antonio; i fogli di una lettera giuntami dal supercarcere di Latina quando Franca fu scarcerata.
Quel giorno finiva un incubo per lei. Aveva però trascorso molti anni insieme ad altre detenute politiche e verso di loro si sentiva quasi in colpa di tornare in libertà.
Fuori dalla prigione restò diverse ore. Fumava una sigaretta dopo l’altra. Segnali di fumo per salutare le compagne prigioniere. Non aveva quasi niente con sé, solo il minimo indispensabile, come chi è abituato a vivere di corsa e ad affrontare ogni possibile imprevisto.
Prese il treno? Venne qualcuno a prenderla con l’automobile? Non lo so. Di sicuro andò a Roma, ad abbracciare Antonio. Per la prima volta dopo sedici anni lei e il figlio erano entrambi liberi!
Fin dall’inizio la vicenda di Franca e Antonio, di cui lei era incinta quando venne arrestata la seconda volta, pose il problema dei bambini in carcere.
Senza dubbio per Antonio non fu qualcosa di piacevole. Essere neonati chiusi dentro un carcere è a dir poco assurdo, ma lui ricevette non solo l’irriducibile amore di Franca ma anche quello di tante detenute politiche. Era una specie di figlio di tante donne. Una gioia. Una vita nuova che al terzo anno sarebbe dovuta per forza essere scarcerata.
Franca e Antonio. Antonio e Franca. Due vite intrecciate dalla storia e dalla casualità insita nella storia stessa. Dall’inizio alla fine. Come se dal 1977 in poi l’una e l’altra fossero animate dallo stesso respiro. Come se la morte di Antonio di cinque anni fa avesse di fatto indebolito Franca nelle condizioni di salute.
Nonostante ciò, negli ultimi tempi lei stava cercando di raccogliere dei fondi per mettere in piedi un’agenzia per dare delle prospettive di lavoro ai giovani. Non so a che punto era il suo progetto. Ad ogni modo, per il momento, sembra doveroso far capire in giro chi era questa compagna e quale fu il contributo dei Nap alle trasformazioni sociali e politiche dell’Italia degli anni ’70 e in particolare alla riforma carceraria del 1975.
Gli eroi, come ben sapeva Franca, non esistono se non per gli storici ben poco storici e molto reazionari. Esistono solo persone normali che in certe condizioni storiche, e pur sempre con pregi e difetti, sono come costrette dalla forza degli eventi a combattere contro le ingiustizie.
Un abbraccio a coloro che hanno conosciuto e amato Franca e in particolare a Raffaele Piccinino.
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Non avevo avuto il dono – che è, il più spesso, fortuito – di
conoscere personalmente Franca Salerno. Avevamo appartenuto a ‘storie’
diverse, rivoli diversi di uno stesso flusso, confluenza. Diversi, per
molti aspetti che non erano fatuamente aneddotici, « ideologici » o «
politici » (« Politica » è infatti, nella « modernità-Mondo », «
professione », « sapere/potere separato », « arte del Governo » – che
« non si può praticare senza crimine », come spiegava, e poco importa
se al dritto o al rovescio, Machiavelli ; dunque « governamentalità
», questo mestiere fondato – come l’imprenditorialità o la passione
per “giudicare e mandare”, fin oltre la morte ‘via’ la pena
integrativa della « damnatio memoriæ », su vocazione al comando : che
chiede, attira, provoca corrispondente servitù, in basso e ancor più
in alto…, poi che « sarà difficile ridurre all’obbedienza chi non ama
comandare », e dunque è anche l’inverso, la servo/padronalità oscena e
infinitamente capace di viltà maramaldesca ne è riscontro e
controprova).
“Liberi e diversi come uccelli, e fraterni come stormo”, diversi –
voglio continuare a pensare – per motivi non infimamente “identitarî”
(« identità », è figura che rinvia al patrimonio, ad assi ereditarî,
alla proprietà – « privata » o « pubblica », persino « di Stato » –, e
fa pensare all’apertura notarile dei testamenti, che il più spesso
divide, semina invidie, odî mortali, rancori, vittimismi, figure
riflessive transitive, attive passive singolari plurali della “Colpa”,
« passioni tristi » forme del risentimento, odio per la vita e
autodivoramento suicidario-assassino…).
Diversi nascevamo, come lèssico, come “dialetti” rispettivi,
costitutivi e al contempo sotto-insiemi di una lingua che però aveva
un’“anima” nel profondo, comune. Diversi come eravamo, per lingua,
nojaltri di Potere Operaio, per esempio, e le compagne e i compagni di
Lotta Continua. Al di là delle futilità, vanitas di concorrenze
peraltro « mimetiche », c’erano alcune ragioni di approccio, di punto
di vista, rispetto alle quali ci si addensava, ci si polarizzava
diversamente – diciamo, ‘secondo inclinazioni’ rispettive, e che poi
mettevano in forma anche i modi di esserci, le accentuazioni delle
passioni – ciò che in versione nobile e non insignificante si chiamava
« teoria », eppoi « linea ».
Eguale, sotto, era l’istanza della ribellione. (Rivolta che è
denominator comune, come lo è la Gemeinwesen, il ‘fundus’ comune che
costituisce e distingue la specie, « razza umana » di esseri parlanti,
aventi inferito la mortalità dunque consapevoli della propria morte,
di sé e del resto, dell’alterità, gettatisi nel tempo e dannati[si]
all’angoscia degli enigmi, fino ai dilemmi morali, senza più
l’innocenza, anzi, l’estraneità a questa dialettica, dell’animale
predatore e preda, e dannati a “conoscenza” e impossibilità di
arrivarvi, a Storia e « cultura » e al fiume di sangue che ne segue,
fino all’epoca della sua « riproducibilità tecnica » e della sua
infinita clonazione virtuale.)
Uguali, nella comunanza in quell’altro ‘specifico’ assoluto di questa
« razza animale » irreparabilmente sui generis : la rivolta.
Che noi vedessimo l’epicentro dello sprigionarsi della potenza, della
« disperata vitalità » delle genti sottoposte a gerarchia, a
utilizzazione strumentale, comando e qualsivoglia altra forma di
mutilazione, d’ interdizione e confisca di ogni capacità di comunanza
auto-determinata, d’autonomia singolare e comune – …, che noi
collocassimo questo epicentro alle linee di montaggio delle Mirafiori,
e poi in qualsivoglia altra forma che pur dissimuli e occulti
l’economia di tempo-di-vita, di « nostra vita mortale » (come quello
di Antonio figlio di Franca, ammazzato nella catena di montaggio
dell’estrazione del plusvalore sociale, pur fatta risultare invisibile
come la nebbia quando ci avvolge, e non è più “solo” banco di cui
scorgiamo il profilo) ; e che invece Franca, e Maria Pia, e Anna
Maria, e Antonio, e Luca, e Giovanni, Mimmo, Nicola, Pietro,
Fiorentino, Alfredo e chi altro purtroppo non mi viene adesso al
ricordo, vedessero il punto di svolta nel cortile di Attica !, e lo
immaginassero, lo sognassero nel gesto semplice di Jonathan Jackson
che si alza nell’aula del tribunale col suo fucile, enorme e austero
per i sedici anni che lo impugnano, e dice a Corte e scorte armate, e
contro gabbie e ferri, « Adesso decido io ! », non era un dettaglio,
epperò era distinzione successiva, secondaria alla fraternità nella
necessità/scelta primale della rivolta sovversiva di liberazione.
Ho conosciuto Franca qui all’Akrobaz. Chiederò al compagno che la
filmava come ipnotizzato dall’intensità del suo volto e delle sue
parole, di ripescare quel frammento e mandarvelo, come un fiore per
lei.
Non l’avevano piegata, Franca, gli anni del feroce totale isolamento
in « braccî morti ». Ho imparato in galera la modestia e la grandezza
dei “nappisti” : la vita, la cosiddetta Storia, sono feroci : non solo
Loro, “LorSignori”, i funzionarî delle teologie di
Capitale/Stato/tecnica integrati, e di tutte le forme moderne, antiche
e ultra-moderne, di gerarchizzazione comando sfruttamento, tentativo
di confisca ultima della potenza di persistere, d’inibizione in radice
del principio attivo di comunanza auto-determinata, autonoma di questi
animali parlanti, comuni mortali che ci troviamo ad essere, “razza
paroletaria” ; anche le nostre rivolte sono state sanguinarie – e alla
domanda di Canetti, “Quando si finirà di uccidere ?” non possiamo
rispondere incollando sul cosiddetto “futuro”, a cominciare da quello
“prossimo-venturo” nel ‘presente largo’ che è l’unico consistente (che
passati, « futuri anteriorti », e « futuri remoti » continuamente ci
confiscano, talché “il morto vuol seppellire il vivo”…), non possiamo
rispondere alla domanda con alcuna certezza, una qualsivoglia
‘filosofia della Storia’.
Una cosa ho visto : che quando avevano paura “dei Nap”, i guardiani e
all’occorrenza massacratori di altri “animali di razza umana”
rasentavano i muri, e le “squadrette” erano come sospese – migliaia di
murati là dentro respiravano, respiravamo, un po’ meglio : questo ho
visto.
Dopodiché, una cosa è certa : forse era stato ottimista il Doktor
Marx, nel suo incipit
« … Abbiamo regolato i conti con la critica dell’al-di-là ; ora resta
da passare alla critica dell’ al-di-qua ». Sotto, ancora sotto la
questione di mortalità/tempo/estrazione del plusvalore, c’è la
dannazione quasi “archetipale” del « Giudizio di Dio ».
« Per farla finita col Giudizio di Dio », urlava rauco alla radio
Antonin Arthaud. In effetti, possiamo dire che prima viene il
Giudizio, la pulsione mortifera mortale alla designazione della Colpa
e alla punizione infinita e all’infinito del Colpevole, poi
l’ipotesi–Dio.
Ben oltre un Leviathano microfisico, fino alla singolarizzazione,
un’ossessiva centralità del “giudizio di d’IO” rifratto in tutte le
forme, fa affondare nell’universo della peggiore, annichilante
servo/padronalità tendenzialmente « di ciascuno contro ciascuno”.
Contro la caccia all ‘uomo , l’Inquisizione, il linciaggio (peggio,
frustrato dal legalismo e dato in appalto a chi lo demandi al “braccio
violento della Legge”, del Dio-Stato,), l’inimicizia è limpido stato
di guerra.
Le forme – violenta, non… – sono solo corollario : il primo
discrimine è qui. La nuvola di fiele di pensare solo e sempre in
termini di Colpa, di Colpevoli, di delitto e castigo, è forse il
consumo di merce tòssica più capace di far schermo e diversione alla
rivolta di liberazione, e forse, alla vita stessa di una specie, che
se si fa radicalmente logopatica si avvia allo ‘spavento senza fine’
della lunga agonia di un corpo col cervello avvelenato, che marcisce.
Mi scuso delle divagazioni, un saluto per Franca, fuor di retorica
bellissima persona.
Parigi, venerdì 4 febbraio 2010, Oreste
Scalzone, e col dolore, il vuoto, l’amore anche di Lucia , di
RossaLinda e altre e altri
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QUESTO TESTO SARA’ DIFFUSO DOMANI A NAPOLI, IN OCCASIONE DI UNA SERATA DI SOTTOSCRIZIONE PER L’ASSOCIAZIONE PAPILLON-REBIBBIA.
Cari compagni e amici, permetteteci di ringraziare in modo anomalo O’ZULU, JRM, MARCO MESSINA dei 99 POSSE, il LABORATORIO INSURGENCIA di Napoli e tutti coloro che si sono impegnati per questa bella serata di musica e di impegno a favore della nostra associazione.
Vogliamo ringraziarli mandando un bacione a Franca Salerno, una donna che negli anni ’70 ha militato in un’organizzazione di sinistra sorta proprio qui, nei quartieri popolari di Napoli, e che si caratterizzava per la sua lotta contro le istituzioni totali, come la galera e i manicomi.
Una delle prime donne che riuscì ad evadere da un carcere italiano.
Una donna che ha passato 16 anni in galera ed ha sempre e giustamente disprezzato la violenza e la stupidità dell’istituzione carceraria.
Negli ultimi anni Franca ha vissuto la morte sul lavoro di suo figlio Antonio, la grave malattia degenerativa della madre con la quale viveva e la sua battaglia contro un tumore devastante: un incredibile concentrato di sofferenza che Franca ha affrontato con tanta dignità ma –nonostante la continua presenza degli amici e dei compagni di suo figlio Antonio- anche con tanta, troppa solitudine.
L’ultima volta che l’abbiamo incontrata, sul finire dell’estate, consapevole che la morte si avvicinava, ci parlava dell’idea di vendere la sua casa per costruire “qualcosa per i giovani”. Ed era bello ascoltarla, perché in quel modo si dava un obiettivo per cui continuare a battersi contro il tumore e allo stesso tempo si proiettava già oltre la sua stessa vita. Voleva lasciare qualcosa di se ai giovani di oggi, certo così diversi da quelli della sua generazione, eppure a lei così cari.
La Papillon ricorderà Franca collaborando con chiunque voglia impegnarsi nella realizzazione di un centro di iniziativa socio/culturale e lavorativa per i giovani, ed in particolare per gli emarginati e i precari. Un centro giovanile che porti con orgoglio il suo nome.
La Papillon, che già nel nome esprime il rifiuto della rassegnazione alla stupidità e alla degradante violenza che sono insite nell’istituzione carcere, per quanto gli sarà possibile continuerà a dire:
No ad un sistema penale e penitenziario che colpisce soprattutto gli emarginati, i poveri, gli immigrati, i precari e coloro che nella società si battono per affermare il loro Diritto ad una vita degna di essere vissuta;
No alla demagogica idea di poter “risocializzare” qualcuno attraverso la reclusione!
No ad un presunto sistema “rieducativo” fondato sul rapporto premio/punizione, come si usa per gli animali.
Sostenere l’Associazione di detenuti Papillon equivale quindi a sostenere le idee per le quali è nata nel 1996 e per le quali ha sempre lottato, dentro e fuori dalle carceri, insieme alle più diverse realtà sociali, culturali, religiose e politiche, ma in primo luogo insieme a tutti coloro che si battono coerentemente contro le tante forme dell’ingiustizia sociale, per una società di eguali e senza più galere.
GRAZIE ANCORA A TUTTI VOI
LA PAPILLON-REBIBBIA
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Vaglielo a spiegare, oggi, che quarant’anni anni fa si poteva arrivare alla lotta armata partendo dalla vita on the road, in fuga esistenziale da uno schema millenario che inchiodava le donne a ben pochi ruoli.
Impossibile, dirà qualcuno. Franca Salerno, occhi blu e un sorriso, dopo sedici anni di carcere speciale e un’evasione, è riuscita a farsi capire dai ragazzi con cui aveva vissuto suo figlio Antonio, nato in carcere e morto cinque anni fa, da giovane pony express precario e figura di riferimento nel Laboratorio Acrobax di Roma. Un luogo vivo dove ognuno può essere se stesso, con le imperfezioni che nessuno qui cercherà di azzerare, tra eguali. Per capirla, in fondo, non era necessario averne sentito la voce, insieme ai pianti di Antonio, nelle notti di Badu e Carros, alla periferia di Nuoro. Ora è evasa anche dalla vita, dopo l’ultima prova feroce che questa aveva voluto infliggerle.
Ieri mattina, nella sala grande di Acrobax, le abbiamo portato l’ultimo saluto in tanti. Anziani guerriglieri rugginosi e ragazzi che l’avevano conosciuta per le qualità umane tutte sue, senza curarsi troppo dell’alone sbiadito del mito. Apprezzandone le imperfezioni che appartengono a tutti e che invece, di solito, vengono citate a sostegno dei pregiudizi.
Il coro di ragazze che l’ha ricordata, una dopo l’altra, è stato lo specchio di questo perfetto stare insieme tra persone diverse che condividono molto. Così come il pianoforte emozionato, un altro modo per ricordare. Una vita fuori dagli schemi, per giornalisti frettolosi e senza troppa fantasia. Una vita contro gli schemi, invece; prima e oltre la politica, la lotta, la galera.
Ciao Franca, tanto prima o poi ci vediamo.
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Non sono comunista, tutt’altro.
Non mi piacete per niente, ne’ voi , ne’ i vostri metodi anche se sulle idee in parte potremmo anche discutere.
Pero’ vorrei esprimere, seppur con ritardo perche’ non a conoscenza del fatto, la mia tristezza per la vicenda umana di Franca Salerno, soprattutto con riferimento alla perdita del figlio.
aristarco
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Ciao Franca insieme ad Alfonsina e le altre persone care che ci avete lasciato nella lotta contro questo ingiusto sistema siete sempre nei miei pensieri. Un caro abbraccio. Mario Fracasso
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@—,–“——-. ❤
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