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Quando il pornoattivismo incontrò il sorriso di Salvatore Ricciardi
Ho riaperto questo blog, dopo anni di silenzio, proprio per Salvo.
L’ho fatto per le tante tantissime pagine che sento il bisogno di far circolare, pagine scritte da lui, pagine che hanno la sua voce, e pagine scritte per lui.
Salvatore Ricciardi ci ha lasciato il 9 aprile di quest’anno, allo sfiorar dei suoi 80 anni: il più giovane dei compagni, il più fresco dei compagni, il più bello dei compagni.
Senza età, di pianeta altro:

Quando arrivavo c’era la tua felicità ad aspettarmi
Mai eroe, mai leader, mai capo, Salvatore ha avuto la capacità di essere sempre sè stesso senza mai lontanamente nemmeno immaginare di sovradeterminare qualcuno.
Salvatore, al contrario di tutti ma proprio tutti, è stato sempre lì ad imparare, a studiare, a scandagliare ogni sguardo, ogni slancio, ogni sorriso per vederci dentro la sua rivoluzione.
La rivoluzione di Salvatore, che mica tutte le rivoluzioni sono come le vogliamo: bhé, la rivoluzione di Salvo è LA rivoluzione. La conquista della felicità, dell’autodeterminazione, della liberazione dallo sfruttamento.
E allora, di tutti questi testi, parto dall’ultimo.
Da quello ricevuto solamente ieri, a due mesi da quel giorno infame in cui il ticchettìo del suo cuore ha smesso di far da metronomo alla mia vita, alla nostra vita.
Parto da una sorella, parto dalla mia Slavina, carne mia: perché Slavina racconta ancora un altro Salvatore, quello che sapeva rapportarsi con tutto, anche con il porno-attivismo.
Manchi tanto amore mi’
Qui il link originale dal suo blog Malapecora: LEGGI
quanto tempo è giá passato dalla morte di Salvatore Ricciardi, il nostro amico e compagno Salvo?
durante il lockdown il tempo ha assunto una consistenza viscosa, rimaneva appiccicato, non fluiva – e adesso che la vita sembra in qualche modo riprendere il suo corso continuo a non sapere bene che giorno è ma soprattutto a calcolare le distanze.
so che riesco a pensare a Salvatore senza piangere a dirotto, quindi ne posso scrivere abbastanza serenamente e anche con una qualche pretesa di luciditá.
ho scoperto dopo la sua morte che i suoi compagni (brigatisti e no) lo chiamavano “il vecchio” – perché aveva la stessa etá di Curcio, quindi mediamente 10 anni di piú degli altri e le altre.
ma Salvo non era per niente vecchio neanche adesso, anzi credo di non aver mai conosciuto una persona cosí poco vecchia nel senso negativo che si puó attribuire al termine. a 80 anni suonati Salvatore era rimasto un ragazzo per freschezza, curiositá intellettuale e sventatezza.
Salvo fino all’ultimo è rimasto davanti, potremmo dire.
credo che un po’ gli farebbe piacere. gongolerebbe sotto i baffi con quel sorriso sornione ma senza indugiare nel compiacimento – a un certo punto direbbe una cosa come “ma che ce voleva, l’avrebbe fatto chiunque” perché ogni persona misura le possibilitá col metro suo e forse pure per questo Salvo aveva sempre creduto e continuava a credere nei processi rivoluzionari.
a me fa piacere provare a raccontare cosa è stato lui per la mia vita di attivista – una pietra miliare, uno di quelli che Brecht chiama gli imprescindibili.quando ho saputo della sua esistenza avevo appena cominciato a frequentare Odio il carcere, un collettivo abolizionista romano che successivamente si sarebbe ampliato e trasformato in Liberiamoci dal carcere. la prima azione che facemmo (o forse solo la prima in cui partecipai io, abbiate pazienza se la mia memoria egoriferita fa cilecca ma parliamo degli ultimi anni del secolo scorso e in mezzo c’è stato di tutto) fu proprio per chiedere la liberazione di Salvatore, che aveva giá passato piú di vent’anni in galera ed aveva una cardiopatia grave.
Slavina
la prima performance della mia vita fu per lui. a pensarlo il cuore un po’ scricchiola.
eravamo una decina persone vestite con delle camicie e magliette bianche che avevamo imbottito di bustine di sangue finto; fuori dal Tribunale a un certo punto inscenammo una apocalisse pulp sputando sangue e aprendoci immaginari squarci in petto e finendo schiattati in terra – perché di carcere si muore, anche se nessuno lo dice e non si vede, stavamo a significare. e Salvatore se rimaneva dentro sarebbe morto, quindi doveva uscire.lo facemmo un paio di volte questo delirio ematico in strada, poi una compagna avvocata ci disse che dovevamo smettere, che ci avrebbero dato “procurato allarme” come se fosse un capo di imputazione infamissimo e pericoloso e poi dai, ci stanno pure i bambini a quell’ore, magari si spaventano, siete un po’ terroristi, puó diventare controproducente… e allora facemmo pure altre cose e alla fine Salvatore uscí e si uní al collettivo, che anche grazie al suo contributo diventó piú simile a un movimento e riuscí a mobilitare un sacco di realtá diverse e a fare cose che hanno lasciato il segno, nell’immaginario militante di quegli anni – credo non solo romano: le street parade fino a Rebibbia, il Capodanno, la Scarceranda.
in mezzo a queste tante cose, rischio di dimenticare la televisione. una specie di televisione. la nostra televisione.
si chiamava Candida e fu prima di tutto una trasmissione a puntate che andava su una emittente locale laziale, duró 9 settimane appena prima del 2000 – poi fu un sacco di altre cose pure, ma cominció cosí, come un contenitore che volevamo generalista (credevamo nell’intelligenza collettiva, nella nostra e in quella del pubblico – e ci credevamo troppo, poveri noi) ed era ripieno di formati e numeri zero deliranti che parlavano di poesia, tecnologia, droga, musica e tifoserie varie.
e parlavamo anche di carcere, il formato sul carcere lo curavo io proprio insieme a Salvatore, tra gli altri e le altre.si chiamava Control Alt, aveva una sigla bellissima e nella prima puntata ci sta questa specie di sketch dove mi avvicino troppo al carcere e una voce minacciosa mi chiede i documenti. ecco, la voce minacciosa era di Salvatore – che provó un po’ a negarsi rivendicando un minimo di decenza (Ma che me fate fa la guardia?) ma che alla fine si arrese e si prestó ridendo.
poi finí l’avventura di Candida e finí tutto per me a Roma. il mio ultimo ricordo da resident è il Pink paint party, movimento rosa della frivolezza tattica col quale sperimentammo piú volte la strada come luogo da occupare, significare e rendere vivo attraverso azioni e rappresentazioni – e Salvo sempre lí, eterno fiancheggiatore, curioso delle nuove forme, a volte critico ma mai trombone, mai distante, lui con quella storia di rivolta cruenta e senza mediazioni era sempre capace di avvicinarsi con rispetto e non far pesare mai la differenza a noi che sparavamo solo glitter e al massimo cazzate…
e poi, il momento piú bello nella mia memoria.
quando tornai a Roma da attivista postporno, cominciando a spargere fluidi e verbo – che la sessualitá era un fatto politico e che ci mancavano riflessioni e pratiche su questo punto, come movimento. trovai qualche entusiasmo bello, soprattutto femminile, ma da parte dei compagni soprattutto una strana condiscendenza infastidita, tipo Sí vabbè, ma vai a giocare un po’ piú in lá mentre noi continuiamo a fare le cose serie.invece, Salvo.
ce l’ho impresso nella memoria, con il suo cappelletto e il suo sorriso. siamo in corteo, dalle parti di via Cavour. io che non lo vedevo da un po’ gli
attacco una pippaspiego cos’è sta roba che mi appassiona, gli do qualche riferimento teorico, gli racconto delle robe. e lui contento, mi ascolta con attenzione e poi mi dice Fai bene ad occuparti di questo ambito. Ma lo sai quale fu la prima cosa che fecero i nazisti quando presero il potere? Perseguitarono le libertá sessuali e chi se ne occupava, guardati la storia di Magnus Hirschfeld e l’Istituto di Scienze Sessuali di Berlino.Salvatore sembrava che sapesse tutto, non aveva mai smesso di studiare e tutto quello che sapeva era capace di metterlo a disposizione senza farlo pesare.
a me questa informazione aprí un mondo. la legittimazione che m’aveva riconosciuto lui fu una sorta di benedizione, che mi è risuonata spesso dentro quando mi sono trovata davanti a boicottaggi o sorrisetti di circostanza.
poi il tempo è passato troppo rapido e io a Salvo non l’ho piú visto e non l’ho salutato e adesso sí che un po’ piango.
peró me lo porto dentro, ma proprio dentro a livello di cellule perché no, non è solo memoria e ricordo, certe persone sono pezzi di vita e pure se l’identitá è un concetto che vorrei superato nella mia ci sta Salvatore il mio amico delle Brigate Rosseche a una serata stiamo seduti vicini e mi attacca bottone un tipo muscoloso che quando se ne va Salvo commenta ghignando “Adesso va di moda questa cosa dei muscoli tra i compagni… all’epoca mia di muscolo ne avevamo solo uno” e muove l’indice come a premere il grilletto di una pistola immaginaria
e io quando ci penso ancora rido come una cretina.Grazie di tutto Salvo
hasta la victoria, siempre con un sorriso.Noi due, ma anche noi tre, che Salvo è sempre lì, nelle piazze che esplodono di felicità
Il mio Salvatore Ricciardi
Provo a riaprire queste pagine dopo anni, secoli, ere geologiche.
E lo faccio solo per una persona, per quello che mi ha aiutato ad essere quella che ero, la Baruda di questo blog, di quegli anni, delle tante righe, urla, della militanza, del rigore e della follia; e quella che sono, la Baruda di oggi, che combatte con forza simile nemici diversi, enormi, che non prevedono la stupefacenza della collettività, dei compagni.
Lo faccio per Salvatore Ricciardi, il mio Salvatore Ricciardi,

La tua risata, in un mio scatto del 2008
quello che dall’istante in cui è entrato nella mia vita niente è più stato come prima, quello che mi ha insegnato chi ero e cosa volevo, quello che mi ha insegnato a prendermelo ciò che volevo, a strapparlo via con forza se fosse stato necessario, quello che mi ha insegnato il significato di felicità, di rispetto: quello che ha dato corpo alla parola “compagno” come mai nessuno e nessuna prima. Come mai nessuno e nessuna mai.
Lui, Spartaco, quello che anche quando metteva “lo zuccotto” in testa lo faceva perché lottava, lottava ancora contro il gelo delle carceri speciali che gli aveva fatto venir la sinusite; quello che faceva anelli con gli ossi di pesca; quello che aveva vent’anni sempre e sempre e ti insegnava che avresti potuto averli anche te vent’anni per sempre, bastava rompere la gabbia.
Quante gabbie ho distrutto sottobraccio a te, quante!
Sapere che c’eri nella mia vita mi rendeva forte, lucida, presente.
Ora non riesco nemmeno a scrivere righe che abbiano un senso, che siano in grado di ricostruire i nostri pochi anni insieme e i tuoi millemila per le strade di questa città, per le strade del movimento rivoluzionario tutte quelle in cui esso si è trasformato e continuerà a farlo.
E allora ti prometto che “Polvere da sparo” si prenderà quest’impegno, vecchio mio…
mi metto qui, buona buona, a distruggere la mia nuova gabbia,
quella che non mi fa aprire queste pagine da anni.
Lo faccio perché son troppe le tue cose che non posson rimanere solo mie, son troppe le cose scritte in tuo ricordo che non possono perdersi nei meandri della rete
e ti ringrazio anche di questo, ancora una volta, non certo l’ultima.
Che dicevi tu? “Sempre con te, che non mi senti nella tasca?”
Ti sento. E sempre ti sentirò.
LINK:
Il sito di Salvatore: CONTROMAELSTROM
Avere vent’anni nel luglio ’60: STORIA DI SALVATORE RICCIARDI, qui
L’omaggio a Salvatore e l’occupazione militare di S.Lorenzo: QUI
La lunga mattinata di Radio Onda Rossa in suo ricordo: QUI
Questo pugno che sale / questo canto che va è l'Internazionale/ un'altra umanità. Questa lotta che uguale / l'uomo all'uomo farà, è l'Internazionale./ Fu vinta e vincerà!
Quando incontri tre bimbe rom/2 : il giorno dopo
Ieri vi ho raccontato dell’incontro con le tre bambine rom, che potete leggere qui e che mi ha lasciato un pesante amaro in bocca.
A nemmeno 24 ore , oggi esco dalla Conad e sento “signora capelli rosa!”
Mi giro, e mi trovo il ragazzone che spesso chiede cibo o soldi fuori al supermercato e con cui avevo sempre scambiato solo un veloce saluto o un passaggio di qualche panino. “Tu ieri hai portato al campo tre bambine?”
“Sì, ero io”
“Grazie. La famiglia di quelle bambine non si comporta bene, le lascia abbandonate per strada e non è giusto. Anche io vivo al campo ma quando i miei genitori sono a lavorare e non possono controllare i piccoli ci rimango io coi miei fratelli. Grazie signora, che chissà chi poteva prendersele.
Sai, l’altro giorno mia zia a quella fermata cosa ha vissuto? Era stata tutto il giorno a lavorare, mica a rubare, e alla fermata un tipo si è fermato dopo una sgommata, si è calato i pantaloni e le ha pisciato quasi addosso. Scusa se ho detto questa parolaccia.
Grazie ancora ragazza dai capelli rosa”
“Mi chiamo Valentina”.
quando incontri tre bimbette rom sulla tua strada…
Un incontro inaspettato, bello e doloroso. Come ogni mercoledì abbiamo passato la mattinata in day hospital al Bambin Gesù Palidoro. Poi io Jenny e Sirio torniamo verso casa su strade di campagna, che si inseriscono a Roma nel quadrante portuense-corviale, dove la città ha le sue pecore, i suoi campi e luoghi strani.
Al ponticello dopo Ponte Galeria (a pochi passi da dove venne uccisa e bruciata viva quella ragazza poco tempo fa), vedo dall’altra parte della strada tre bimbette rom che si sbracciavano chiedendo un passaggio ad un autista di un autobus, che ovviamente NON si è fermato.
Ho fatto inversione a U senza pensarci un secondo e mi sono accostata accanto a loro chiedendo di cosa avessero bisogno.
La più grande, che avrà avuto 8 anni a dir tanto ci è venuta subito al finestrino chiedendoci un passaggio a casa.
“Salite tutte e tre, vi mettete dietro con Sirio”
“Davvero signora bella porta tutte a casa al campo?”
“Certo piccolè, salite su”
“No sesso signora eh, solo a casa!”
Gelo.
Non riuscivo più a proferire parola.
Tre bambine tra i 5 e gli 8 anni che chiedono aiuto sperando di non ricevere come risposta la richiesta di un pompino.
Quel brivido lo porto ancora dentro, malgrado la gioia di portarle al campo, e di vederle sporgersi dal finestrino della mia macchina urlando FELICI e chiamando tutte le loro amiche per vantarsi di quell’arrivo in grande stile
Un orrore che non passa:
la bellezza di quegli occhi che non mi lascia, e l’idea tremenda di quel che avranno già visto.
QUESTA STORIA HA UN SECONDO CAPITOLO: Il giorno dopo.
Baruda sotto sfratto: storia di una truffa
Provo a raccontarvi una storia ma non so nemmeno da dove partire tanto è surreale.
Di case e di doppi contratti
Dal 2010 viviamo in una casa di periferia nel quartiere del Trullo, dove paghiamo regolarmente 930 euro al mese di affitto (eravamo partiti da 870, ma poi sapete, con gli aggiornamenti Istat…) ad una signora che non abbiamo mai conosciuto né sentito al telefono, avendo a che fare da sempre con suo figlio.
A che fare poi è un modo di dire perché questo signore si è immediatamente comportato da farabutto, dal giorno dopo il nostro trasloco quando entrò in casa, dove mi trovavo sola con un neonato, pretendendo in contanti una caparra di due mesi e l’affitto del mese in corso. Rifiutava il mio assegno urlando che senza contanti non sarebbe uscito.
Tanto nervosismo era dovuto al fatto che nei giorni precedenti si era presentato con due contratti: uno con sopra indicato l’ammontare del canone reale e l’altro fittizio, con un canone pari alla metà di quello effettivo che il nostro bravo padrone di casa avrebbe dichiarato alla agenzia delle entrate. Insomma voleva evadere le tasse, per questo tanta insistenza sui pagamenti cash. Potevamo fregarlo subito, accettando quella losca proposta per poi attenerci al canone registrato. Un tipo così andrebbe “purgato” con i suoi stessi strumenti, ma non volevamo storie, litigi, appena entrati in un nuovo appartamento. Cercavamo tranquillità con Nilo appena nato e d’altronde non potevamo permettercelo, il mio compagno aveva da poco ottenuto la semilibertà ( che era già di per sé una guerriglia quotidiana), quel contratto sarebbe stato consegnato poco dopo al carcere di Rebibbia: tutto doveva essere più che regolare.
Comunque lui continuava ad urlare che senza contanti non sarebbe mai uscito.
Lo fece rapidamente invece, una volta arrivata una pattuglia della polizia da me chiamata in extremis. Ero sola, il mio compagno era al lavoro e non poteva spostarsi perché il regime di semilibertà a cui era sottoposto glielo impediva, così mi ero chiusa nel bagno con Nilo e avevo chiamato il 113 senza saper bene come fare ad uscire da quella situazione, visto che avevo faticosamente concluso un trasloco da una manciata di ore in una casa dove speravo di viver tranquilla qualche anno.
Uscì quindi con il mio assegno in mano, redarguito dalla pattuglia di turno. In effetti quel signore, seppur di fatto gestore reale di quel contratto di locazione intestato alla madre, non aveva alcun titolo legale per essere lì, tanto più con quegli atteggiamenti prepotenti.
Non feci nulla per mandare avanti quella cosa, non andai a firmare nessun verbale, sapete bene cosa penso dei sistemi e apparati penal-giudiziari. Per me era già enorme aver chiesto il soccorso di una volante.
Undici mesi di ricovero
E così son passati anni in modo relativamente liscio (sorvolando che è una casa che cade a pezzi, priva della minima manutenzione da sempre, dove ci siamo dovuti arrangiare senza mai poterci interfacciare con il proprietario).
Un figlio cresciuto, uno in arrivo… poi tutta una serie di patatrac hanno cambiato la nostra esistenza per molto tempo.
Il mio secondo figlio a poche settimane dalla nascita (già prematura e con 40 giorni di ricovero iniziale) e a pochi giorni dal rientro a casa ha una SIDS: una morte in culla, ripresa per i capelli. Un bimbo strappato alla morte con una lunga corsa, un tempo senza ossigeno che ha lasciato una paralisi celebrale, una tetraparesi spastica, un’insufficienza respiratoria cronica.
Il mio bambino è nato il 15 agosto 2013 ma ha visto casa il 21 maggio dell’anno successivo.
Undici mesi di ospedale di cui 5 di terapia intensiva. Mesi duri, mesi di totale isolamento all’interno di un reparto di ospedale posizionato sul litorale laziale a chilomentri da tutto. Un’intera famiglia alloggiata per mesi a Casa Ronald, struttura di accoglienza collocata all’interno della struttura ospedaliera pediatrica Bambino Gesù di Palidoro. Chi l’ha vista mai casa in quel periodo!
Però, regolarmente, ogni mese, partiva il nostro vaglia a quella vecchia signora mai vista: 930,72 euro (più spese condominiali) venivano spediti senza esser mai tornati indietro, regolarmente accettati dal destinatario.
Insomma, nel dramma, la sola cosa che sembrava non crearci alcuna preoccupazione era la casa.
Quella casa ormai anche un po’ dimenticata e tanto desiderata.
Finalmente si torna a casa
Una tracheostomia, una gastrostomia, un grande punto interrogativo su ogni cosa, un’assistenza infermieristica domestica di 8 ore al giorno, qualche Tir di materiale di uso quotidiano per medicazioni, terapie, riabilitazione, bombole d’ossigeno, aspiratori, ambu, ossipulsimetri, tubi e sistemi di ventilazione, pompe d’alimentazione, scatoloni di siringhe, latte, pannolini, fascette, metalline e quant’altro. Una schiera di terapisti, medici, disfagisti, broncopneumologi, rianimatori. Quella casa lasciata di corsa il mattino del 4 ottobre 2013 era diventata un’altra cosa: una dependance ospedaliera, un piccolo reparto avanzato di riabilitazione con un continuo via vai di medici, infermieri e terapisti diventati una famiglia.
Per permettere la domiciliazione di Sirio dall’ospedale, l’appartamento andava adeguato alle norme di sicurezza più recenti previste dalla legge: cosa che ovviamente non era perché il nostro caro padrone di casa non si era mai curato di fare alcunché, fedele al suo unico motto: “vojo solo li sordi, subito!”. Impianto elettrico antidiluviano senza scatole di derivazione, ponticelli e allacci alla “porkiddio” (gli elettricisti romani capiranno), prese e interruttori scoperti, valvola salvavita e scarico a terra assenti. Ottengo il telelavoro giustificato dalla gravità della mia situazione familiare ma dopo un sopralluogo anche i tecnici della mia azienda segnalano l’urgenza di alcuni interventi.
Provvediamo da soli anticipando le spese che dopo raccomandata sottraiamo dai canoni dei mesi successivi, in alcuni casi paghiamo di tasca nostra la manodopera addebitando al padrone di casa solo i materiali.
Eravamo finalmente a casa, precari, sventrati, cercando di abituarci a tutto questo via vai costante di camici e specialisti dentro anche il nostro letto. Nel frattempo a mia madre viene diagnosticato un brutto tumore, tempo nemmeno un mese che si ricomincia con ospedali diversi ma sempre ospedali, medici, chirurghi, oncologi…
Sirio con le sue infermiere a casa, noi di nuovo a far le trottole per sfanculare la morte.
Arriviamo ad ottobre, poco prima dell’ennesimo ricovero di Sirio in neuroriabilitazione pediatrica (e anche di un nuovo arresto cardiaco avvenuto poi il 15 dicembre per una bruttissima polmonite), il citofono che suona, io che non chiedo nemmeno più chi è (sono almeno 3 citofonate a mattinata per mio figlio quando non ci son visite mediche specialistiche) e aspetto davanti alla porta. Era il postino … – “Aho mica me porterai una multa”.
– “Me sa che so rogne peggiori, altro che multa”.
Silenzio. Doppia busta in mano. Parole che devo andare a cercare su Google prima di riuscire a capir bene.
“precetto di rilascio”… ma che è?
“ – No, disse la Regina. – Prima la sentenza, poi il processo”
Avevo in mano una condanna già esecutiva a mio nome. E l’udienza? Il processo? Va bé che siamo nel Paese di “Mani pulite”, ma insomma prima di esser condannati ci vorrà pure una farsa di processo, oppure no?
Leggo che la vecchia signora a cui pagavamo l’affitto era morta nel gennaio 2014 e quel brutto ceffo del figlio, che nel frattempo era subentrato come unico erede, e di cui ora posso fare il nome, Claudio Perali, mi aveva portato in giudizio per morosità. Così ero stata condannata a pagare i canoni di locazione dalla morte della madre fino alla sentenza di settembre e tutti gli eventuali canoni successivi. Peccato che in quel momento avevo pure pagato ottobre.

Chiede il rimborso anche per i lavori di sostituzione di questa ferraglia arrugginita…. eccon in che condizioni erano bagno e cucina…
Migliaia di euro con tanto di interessi sulle somme da mesi in tasca al nuovo padrone di casa, il quale senza ritegno chiedeva pure il rimborso dei lavori realizzati, addirittura altre somme relative all’integrazione Istat annuale, imposte di registro e, ovviamente, le spese processuali, con ingiunzione finale di lasciare l’appartamento entro dieci giorni.
Guardo meglio e scopro che l’udienza si era tenuta in settembre, in quella sede il giudice Roberta Nardone (VI civile, con sentenza del 9.9.2014) vista la mia assenza aveva accolto la versione del nuovo proprietario che, con i vaglia ben nascosti nelle mutande, aveva testimoniato il falso dichiarando la persistente morosità delle sottoscritta.
Chiamo il mio avvocato che mi spiega di controllare se c’era stata una notifica da qualche parte. A casa non abbiamo trovato nulla ma nella carte del processo risultava notificato l’avviso d’udienza.
Morale: sono diventata colpevole per non aver risposto alla citazione, di cui non sapevo nulla.
– “Vabbè, è andata così, ma è solo il primo round”. Penso un po’ ingenuamente. Ero convinta che il sistema giudiziario avesse sempre tre gradi di giudizio. Non c’è condanna senza appello. E invece no! Il rito locatizio è speciale. Una volta pronunciata la decisione, salvo difetti di notifica, non si può tornare sui fatti. L’avvocato mi spiega che si può fare un solo tentativo, si chiama “opposizione tardiva”. In sostanza si chiede di riaprire il giudizio motivando le ragioni della mancata risposta alla citazione. Devo spiegare perché a settembre non mi sono presentata all’udienza.
La costruzione di un falso
Ma come si fa a diventare morosi pagando regolarmente affitto e condominio, addirittura con somme superiori a quelle dovute per legge?
Bella domanda! Basta pagare regolarmente e diventi colpevole…
E’ chiaro che si è trattato di una truffa congegnata a tavolino. Morta la madre nel gennaio 2014, Perali di regola avrebbe dovuto avvertirci rapidamente del lutto, annunciandoci che sarebbe subentrato nel contratto e notificandoci le sue eventuali intenzioni. Non lo ha fatto. Nessuna telefonata, nessun messaggio, nessun mezzo rapido di comunicazione. Eppure, a quel punto, visto che legalmente era divenuto il titolare del contratto, era nell’obbligo di comunicare con tutti i mezzi possibili quanto avvenuto. Si è ben guardato dal farlo.
Nel frattempo ritirava i vaglia postali degli affitti intestati alla madre senza incassarli. Avrebbe potuto incassarli appena aperta le successione nel marzo successivo (l’atto è nelle carte del processo), ma ovviamente si è ben guardato. Se li avesse subito rinviati indietro avremmo immediatamente saputo che c’era un problema e ci saremmo attivati (i vaglia rifiutati o in giacenza tornano indietro nel giro di 30 giorni). Come poi è accaduto a partire da settembre 2015, quando incassata la sentenza Perali ha cominciato a non accettare più i vaglia. Che strano, no?
Ma era proprio quello che Perali non voleva accadesse.
Nelle carte della citazione leggiamo che in maggio, ben cinque mesi dopo la morte della madre, quando eravamo ancora in ospedale occupatissimi nella procedure di domiciliazione di Sirio prima della sua dimissione, ci avrebbe inviato una raccomandata. Non c’eravamo, l’avviso di giacenza non l’abbiamo mai trovato (va detto anche che il postino dell’epoca – non quello che in ottobre ci ha portato il precetto – è stato allontanato per problemi nella consegna della posta).
Sulla base di questo mancato ritiro di una presunta raccomandata, Perali ha motivato la citazione per morosità. Non ha mai inviato una seconda raccomandata, o lettera semplice, non ha telefonato, inviato SMS, non ha chiamato l’amministratore. Silenzio assoluto.
E’ evidente che tutto nasce da un problema di comunicazione da parte sua, non di morosità nostra. I pagamenti c’erano e lui poteva tranquillamente incassare le somme.
C’è da aggiungere altro? La domanda semmai è come un giudice possa aver avallato una truffetta del genere, facendosi prendere per il culo da un tizio con oltre 10 mila euro di assegni imbertati nelle mutande che si lamenta senza uno straccio di prova dei suoi inquilini. Persino il gatto e la volpe facevano truffe più sofisticate.
Risultato: un titolo esecutivo di pagamento di oltre 12 mila euro a cui si devono aggiungere gli oltre 10 mila euro che aveva già nascosti nelle mutande. Obbiettivo della truffa, arraffare oltre 20 mila euro!
Il giudice che si sentiva medico
A gennaio 2015 ci siamo presentati davanti al nuovo giudice con la cartella clinica di Sirio, molto più alta di me, e quella di mia madre, aperta proprio la settimana dopo il nostro ritorno a casa. Per dimostrare l’eccezionalità della situazione e soprattutto che sarebbe stato nel nostro più totale interesse presenziare all’udienza, se solo l’avessimo saputo, visto che eravamo regolari pagatori ed avevamo sempre rispettato il contratto d’affitto, abbiamo allegato anche la copia di tutti i pagamenti dei canoni mensili effettuati da gennaio 2014, nonché le malefatte del padrone di casa scoperte nel frattempo. E si perché la “morosa”, in realtà, era creditrice rispetto al padrone di casa di maggiori somme versate da 5 anni per quote condominiali relative ad un box auto ed una cantina non incluse nel contratto, e di cui non avevamo alcuna disponibilità, oltre ad un calcolo in eccesso delle integrazioni Istat. Era Perali a dovermi dei soldi, non io.
Dopo qualche giorno da quell’udienza surreale, in una stanza con due scrivanie dove contemporaneamente si svolgeva una seconda causa e le parti si toccavano gomito a gomito, urlando fino quasi a venire alla mani, arrivarono le parole del giudice Ranieri, che no, non ha mai pensato fosse il caso riportarmi in giudizio, permettendo di correggere una decisione palesemente sbagliata, non fondata sull’accertamento documentato dei fatti ma sulle dichiarazioni mendaci di una parte.
Pur di lasciare le cose come stavano e non mettere mano all’intangibilità del giudicato, il magistrato è stato capace di riscrivere la diagnosi clinica di Sirio. Ecco le sue parole:
“Ed invero le pur comprensibili ragioni di gravissima difficoltà in cui la Perniciaro ha vissuto a partire da agosto 2013 con la nascita del figlio prematuro e poi con la sopraggiunta malattia della madre non sono tali, per quanto esposto da parte ricorrente, per giungere all’emissione dell’invocato provvedimento”.
Dunque Sirio sarebbe stato un semplice prematuro, un bimbo frettoloso e basta, non un bambino che il 4 ottobre 2014 è morto, tornato vivo grazie all’ostinazione di chi non lo ha lasciato sul letto in preda alla disperazione ma lo ha ventilato e portato di corsa in ospedale dove dei rianimatori bravissimi lo hanno riportato in vita, che ha traversato settimane di coma, mesi di terapia intensiva e una lunga riabilitazione ospedaliera.
Il giudice Francesco Ranieri (VI civile) neanche la sospensiva ci ha concesso, né sul rilascio dell’immobile né sul pagamento delle pretese del Perali, che i canoni li aveva in tasca, bastava andasse alla posta per incassarli. Non gli era dovuto altro, anzi lui doveva a noi.
Ha rinviato l’udienza a giugno 2016 auspicando un “eventuale accordo conciliativo medio tempore raggiunto”, punto.
I 10 assegni che magicamente riappaiono
Dopo questa salomonica decisione è iniziata una transazione tra avvocati. Perali, ricondotto a più miti consigli, ha rimandato indietro gli assegni trattenuti per mesi, permettendoci di reincassarli. A quel punto abbiamo nuovamente corrisposto le somme dei canoni, sottraendo una parte delle somme maggiori (Istat) che avevamo versato nel frattempo, nemmeno tutte quelle che ci spettavano, proprio per facilitare un accordo e chiudere questa storia. Ma più dell’onor potè la bramosia di denaro e Perali, in forza del titolo esecutivo, sul quale di volta in volta aggiunge somme nuove, ha rifiutato.
Il pignoramento dello stipendio e lo sfratto
Ho scoperto così che il titolo esecutivo è una sorta di moderna riduzione in schiavitù: quando un giudice lo concede ad una parte questa può esigere a suo piacimento somme immotivate, ottenendo il pignoramento. Poi, in un secondo momento, anche molto lontano, il pignorato-schiavizzato può chiedere che finalmente una figura terza, il giudice, valuti il fondamento delle pretese dello schiavista-pignoratore.
Arriviamo così al pignoramento integrale del mio stipendio di aprile più il ritiro del quinto delle successive mensilità, fino alla somma di 5400 euro, estorta a titolo cautelativo per un precetto di circa 3700 euro, pari alle spese di giustizia, l’onorario del legale di Perali, più altre somme ingiustificate, il tutto per aver sempre regolarmente pagato l’affitto.
Notate bene, non pago della pretesa dei 3700 euro ne ha prenotati altri 1700. Non c’è male.
Udienza fissata per il prossimo 10 giugno 2015, presso il tribunale civile di Roma.
Il 3 giugno, invece, si presenterà alla nostra porta un ufficiale giudiziario accompagnato da un fabbro, per il rilascio dell’appartamento.
Home Sweet Home
Batte un bel sole su questo terrazzo, che ancora per molto mi ospiterà visti i guai in cui mi ha cacciato il padrone di casa.
Il 3 giugno si presenteranno alla nostra porta, alle 8 di mattina,
Vi aspetto quindi per una festosa colazione antisfratto.
Gilberto Caldarozzi denuncia baruda.net per diffamazione
Nell’aprile del 2013 fui convocata in via Genova, negli uffici Digos,
dove ebbi un colloquio volto a stabilire se questo sito, dal nome Polvere da sparo, era riconducibile alla mia persona in quanto era stata presentata una denuncia per un post pubblicato. Certamente. E’ registrato con il mio nome e cognome, così come è presente il link alla mia pagina personale di diversi social network, dove è ben visibile e chiara la mia identità.
Da alcuni accenni si poteva capire che il denunciante era qualcuno di importante, nei vertici della Polizia, “offeso” per quel che era stato scritto sulla mia pagina e che c’era Genova di mezzo. Ma poi fu solo silenzio, fino a poco fa …
CONTESTAZIONE DL FATTO DI REATO
PERNICIARO
del delitto p. e p. degli art. 595 c.p. comma 3, perché in qualità di registrataria del dominio “baruda.net” consentiva la pubblicazione di scritti offendendo la reputazione del denunciante Gilberto Caldarozzi, con messaggi del seguente tenore: “Gilberto Caldarozzi, “illustre” assistito del neo ministro della giustizia, noto torturatore (ah NO! scusate: non è un torturatore eh! Solamente uno che ha assistito a tutto il pestaggio della Diaz, ai denti saltati, alle ossa spaccate a bastonate e calci e poi ha pensato bene di far tutto quel che era in suo potere per occultare i fatti. Non un torturatore quindi, fate voi)”
Commesso in data antecedente e prossima al 19/07/2012PARTI OFFESE
CALDAROZZI Gilberto, nato a Roma il 20/03/1957
Vi lascio intanto il link dell articoli presenti all’interno della denuncia: QUI
Seguiranno aggiornamenti …
Francesco Rosi: non fiori ma solidarietà per gli immigrati.
Ormai quando muore uno famoso per cui si prova stima si preferisce quasi tacere; un delirio di dolore collettivo, necrologi da spammare che forse è un po’ figlio del savianesimo da quattro soldi in cui tutti sembrano aver letto tutto, aver amato tutti, aver visto tutti i film e amato tutti i generi musicali…
una nenia insopportabile che fa passare la voglia di scrivere il proprio di ricordo.
Ma Francesco Rosi, che mo tutti amano da strapparsi i capelli che quasi vien da ridere, non posso non ricordarlo e per farlo uso il suo gran cuore, e quindi quello di sua figlia. Grazie.
I metronotte difendono la parata militare: realtà batte finzione
Devo dire che le barzellette ormai non son più all’altezza: la realtà supera qualunque finzione ed immaginazione.
Oggi è 2 giugno: i tricolori, la patria, le frecce, i carriarmatini (ah no, quest’anno si risparmia sui mezzi pesanti), i pennacchi e le divise. Chiunque sia il presidente di turno, nano o meno nano, la retorica patriottica e militarista oggi arriva al suo apice annuale: son tirati a lucido, petti da pollai in fuori e tronfi, miliardi e miliardi buttati per una ridicola dimostrazione di forza armata, passo dell’oca e fanfare.

Al passaggio del Battaglione San Marco lo speaker ha detto: “Rivolgiamo il nostro saluto ai due marò”. PRRRRRR!!
Lo schifo supremo che ogni anno si ripete.
Ma parlavamo di barzellette, appunto.
Bhè oggi ci siam proprio superati: e mica per il lungo applauso commosso per i Marò. No, quello lo davamo per scontato.
Che aspiranti assassini difendano emozionati degli assassini mi sembra naturale, può passare in secondo piano.
Invece… facciamocela insieme questa risata:
Il ministero della Difesa ha appaltato ai metronotte (ai metronotte oh!) la sicurezza di tutta sta pupazzata di parata: 1 milione e 800mila euro.
1 milione e 800mila euro che il ministero della Difesa sborza a privati per la sicurezza dei nostri soldatini e del loro pubblico sventolante tricolore.
“la parata all’insegna della sobrietà” “niente mezzi pesanti per risparmiare”… e poi c’è st’appalto straordinario e pure un po’ ridicolo,
come se niente fosse.
Playmobil privati in difesa di esercito, polizia, carabinieri e ogni divisa immaginabile per un numero complessivo di 3500 marcianti: siamo alla follia.
La caduta degli angeli… quotidianità di una vita al Bambin Gesù
Ancora uno…
mi basta vedere il cancello della catena aperto per sentire un brivido lungo la schiena
che ogni volta si ripete uguale.
Anche oggi quel cancello maledetto era aperto per uno dei bimbi che ho amato in questi mesi di vita che vita non è,
in questi mesi di monitor, camici, allarmi, geni e germi, encefali e ventricoli, cuori che esplodono.

Pablo Picasso, maternità su sfondo bianco
Oggi il cancello della camera mortuaria era aperto di nuovo: ancora una volta quel bruciore in testa che sembra letale,
le parole che non escono, gli abbracci che son tutto un tremore muto e inarrestabile.
Ho sempre trovato parole per tutto ma non ne trovo una per descrivervi quel posto, quelle nostre vite appese a qualche linea in corsa su un monitor..non ho parole per raccontarvi le pieghe del dolore e quel che avviene attorno ad esso.
Chi lo nutre, chi se ne approfitta, chi semplicemente cerca di prenderci confidenza per imparare a conviverci per la vita, chi invece incontra al volo quello della morte lancinate ed immediato.
C’è chi muore, c’è chi ormai pensa che la morte sia un lusso.
Ti avevo promesso il nostro di cuoricino in uno dei momenti più disperati,
piccolo angelo appena volato. Quando non vedevo altro che il buio più nero, mentre parlavo con la tua mamma,
mi metteva pace pensare che magari potevamo essere la svolta per te… te lo ricordi? Quasi mi ha dato uno schiaffo quando gliel’ho detto, ed ora sento la pelle bruciare come se me l’avesse dato, riascolto dentro di me quella conversazione da quando ho visto quel cancello aperto.
Non hai fatto in tempo, nessun cuore è venuto a dar fiato al tuo futuro… tra poche ore tornerai tra le montagne che ti appartengono e che non hai mai nemmeno visto da lontano.
Noi continuiamo a combattere invece, chissà per arrivare dove… ma tu ci manchi già al nostro fianco, in quel colle dai passeggini sempre vuoti,
dagli occhi gonfi e dai troppi santini.
Pillole nosocomiali:
– Il monitor
– Il pianto neurologico
– La mozzarella che portò via il sorriso
– Gianicolo e desideri
– Verso il ritorno
– Calabroni in neuroriabilitazione
Sardegna: colonne e briciole
Neanche voi siete riuscite a resistere davanti a tanto scempio.
Da colonne millenarie, agghindate di piante fossili, caparbie e temerarie al centro di un mare che non ha confine fino a Gibilterra,
vi siete trasformate in briciole, per rispetto al territorio che sfiorate,
mangiato dall’acqua e dal fango.
Due marinai pietrificati, questo la leggenda usa per descrivervi: ora uno di voi è stato inghiottito dal mare, dopo essersi spaccato sotto la forza della mareggiata.
Le Colonne di San Pietro son state spazzate via: ultimamente c’è una scia di briciole che insegue la mia vita.
Dal basalto di Bosra alla falesia del periodo oligo-miocenico: sembra non esserci più storia che tenga, sembra sbriciolarsi tutto come castelli di carte.
Forse questo accatastarsi di devastazioni, queste pietre una sopra all’altra …. forse mi stan solo dicendo che non son poi così sola.
Le finestre del Bambin Gesù…. e Repubblica.it

_Bambin Gesù, Padiglione Pio XII post pioggia in pieno agosto_ La foto che ho fatto e che dopo tre minuti era su Repubblica
Incredibile oh!
Questi di Repubblica.it riescono a farmi compagnia anche nei reparti d’ospedale, così compagnia che i miei tweet e la foto che ho scattato un minuto dopo l’incidente al Bambin Gesù, nel “delicato” Padiglione Pio XII, si sono trasformati rapidamente in un articolo siglato con “riproduzione riservata” ovviamente,
articolo d’apertura per ora delle pagine romane.
Hanno preso per intero i tweet e gli scatti, ma come al solito la fonte non la mettono, si ricordano di metterla solo quando ti devono dare della “black blok” e accollarti responsabilità per quello che scrivi (come accadde il 15 ottobre, proprio tra me e loro).
E allora ecco i tweet ,
ed ecco qui il LINK all’articolo :
- Baruda
@baruda
Al#bambinGesù con un po’ de acquazzone se staccano le finestre co tutto il telaio#stamoAvanti#limortaccivostra
2:42 PM – 20 Ago 13 - Baruda
@baruda
Da#terapiaIntensiva non abbiamo accesso ai bagno perché le scale per raggiungerli hanno acqua ovunque è finestre che saltano#bambinGesù
2:47 PM – 20 Ago 13 - Baruda
@barudaCaduta da tre metri: Bambin Gesù, per un temporale estivo…
È proprio partito telaio, finestra, lampada.. Non me carica le foto ma mo ve le mando
#pioggia dentro tutto il padiglione#bambinGesù
2:54 PM – 20 Ago 13 - Baruda
@baruda La prossima suora che me vole benedì je dico de pijà er cacciavite e rimette i telai delle finestre che volano come frisbee#bambinGesù2:56 PM – 20 Ago 13 - Baruda
@baruda Ecco le finestre di#chirurgiaNeonatale e#terapiaIntensivaNeonatale del#bambinGesù x 2 gocce http://twitpic.com/d9d0p1
2:59 PM – 20 Ago 13 - Baruda
@baruda Per vedere mio figlio me vesto da robocop poi invece giocamo a frisbee coi finestroni tra reparti#bambinGesù#terapiaIntensivaNeonatale
3:03 PM – 20 Ago 13 - Baruda
@baruda
Che se da noi a#terapiaIntensivaNeonatale volano le finestre non oso pensare ai dirimpettai de#reginaCoeli#mortacciDeTutti
3:53 PM – 20 Ago 13 - Baruda
@baruda
Quanto je piace a@repubblicait rubamme la roba oh!#bambinGesù#finestrone#maltempo#datemeLiSordiUnaVoltaUnaTaccivostri5:49 PM – 20 Ago 13Ecco il buco… volevo chiedere scusa alla redazione di Repubblica per la qualità delle foto, di solito son più brava, pagatele, così uno se compra la macchinetta nuova almeno 😉
Questi i tweet…non mi sarei mai accorta di quelle foto sul loro milionario sito se non avessi ricevuto diversi messaggi, perché ovviamente stando da 5 giorni lì dentro, come potete immaginare, ho ben altro da fare,
ma è surreale che questi facciano articoli con materiale preso da twitter, senza manco mette ‘na fonte,
ma – ripeto – se era da parlare delle “mamme Black blok” mettono pure l’IP se ce riescono.
Giornalismo surreale,
che però ha reso molto felice il reparto, che tra acqua a catinelle che andava ovunque, vetri ed esplosioni (un finestrone che cade da tre metri in simili reparti fa saltare diverse decine di persone già belle esaurite), non si aspettavano di ritrovarsi dopo dieci minuti su Repubblica.it (io sì, che ve conosco eccome).
Noi siamo stati 45 minuti senza poter accedere al solo unico bagno del comparto, con tutte le scale allagate su 4 piani: bella prova per un padiglione distrutto da un incendio due anni fa e TOTALMENTE rifatto ora…da ogni finestra, OGNI FINESTRA, entrava acqua a catinelle…forse non avevano i soldi per il silicone, oltre che per le viti per il telaio…Nel frattempo, per chi si era preoccupato per il precedente post:
mio figlio è talmente libertario che mi ha fatto evadere dal San Camillo, dove dovevo rimanere diverse settimane..
però nel farmi evadere nascendo così presto, s’è fatto catturare…
ed ora per un po’ starà lì a prender ciccia ed energie, che già ha da vendere comunque.
Grazie a tutte e tutti, che siete un portento di solidarietà e calore…
a presto su questi schermi….
sperando che una finestra non mi prenda in pieno nel frattempo, grazie all’eccellenza della sanità italiana e dei soldi del Vaticano…Ciao a tuttiiiiii!
#freeBaruda … A summer in San Camillo
Devo capire in che posizione posso mettermi a scrivere, capire come gestire la voglia di continuare a “stare al mondo” (con l’Egitto in questa situazione poi!) da un letto d’ospedale, immobile per le prossime, troppe, settimane.
Insomma troppe cose devo capire ancora: sono alla mia prima esperienza “detentiva” su una branda, con casanza (non c’è altro modo di definirla), colloqui e pacchi.
Non posso far le righe (quel camminar su e giù tipico dei reclusi) che già sarebbe qualcosa,
Non posso nemmeno sperare che tirando una sgabellata a qualcuno mi mandino alle “celle”, in isolamento, per stare almeno un po’ in silenzio e solitudine,
Non posso far nulla se non macinar pagine di tonnellate di libri e un po’ di rabbia:
Ma si resiste e in qualche modo, a breve, capirò anche come tornare a far qualcosa su questo blog.
Voi pensatemeeeeeee
#freeBaruda
Il gioco del pallone è “illegale”: maxi sequestro a Tagliacozzo. Non è un paese per bambini!
Leggo quasi quotidianamente le notizie del giornale Il Centro,
son legata all’Abruzzo ormai morbosamente, amo i suoi panorami, le sue rocce e l’acqua ghiacciata dei suoi fiumiciattoli,
adoro i piccoli borghi, le piazzette curate, i bambini che giocano.
Poi mi imbatto in questa notizia, che nemmeno trovo parole per commentare: lì per lì ho pensato ad un’ordinanza agostana, di quelle che i sindaci buttano giù tra un collasso cardiaco montano e un’insolazione adriatica.
Invece no, pare proprio sia normale amministrazione per il comune di Tagliacozzo il SEQUESTRARE PALLONI, il vietare ai bambini di giocare per le vie, le piazze e i giardini pubblici presenti nel territorio del Comune.
Già, i vigili urbani non noteranno l’amianto, le discariche abusive o che ne so le doppie file che intralciano (succederà pure a Tagliacozzo dai!) il passaggio dei mezzi pubblici, ma sono invece impegnatissimi e anche solerti nel sequestro dei palloni dei bambini: si può giocare con quelli di gomma però eh, che già a tre anni mio figlio se je li propongo li dona al primo pitbull di passaggio come aperitivo, giustamente.
Pare ci siano scatoloni e scatoloni pieni di palloni negli uffici della polizia municipale locale,
ma loro son gente bravissima quindi non è che li bucano, ma li donano ai bambini delle scuole.
Insomma, a scuola puoi aver diritto a quei dieci minuti di pallone, fuori NO!
In più se sei minorenne bussano a mamma e papà con una salata multa che può raggiungere i 500 euro: gli stessi mamma e papà che magari non vorrebbero vederti crescere giocando a palla prigioniera fuori casa per tutta l’estate, mamma e papà che ti vorrebbero in spiaggia da qualche parte o in rifugio in montagna e invece non possono per motivi lavorativi ed economici.
Cresciamo i nostri figli senza possibilità di goderceli, la precarietà delle nostre vite e dei nostri salari li rende prigionieri per mesi e mesi di appartamenti accaldati e invivibili,
in più se nelle ore fresche scendono a giocare sotto casa incontrano già la repressione,
che nemmeno sanno ancora pronunciare le consonanti che la compongono.
Multati per aver giocato sotto casa.
Il controllo sociale deve passare anche per i giochi dei bambini, tanto per fargli capire che il tempo dell’infanzia è finito… Manfredi cantava la rivoluzione e la vedeva “nei sogni dei teppisti e nei giochi dei bambini”…
forse il pallone è, per gli uomini in divisa di Tagliacozzo, già una molotov in fieri non so, a questo punto SPERIAMO!
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VIETATO VIETARE
The Wall, comunità ebraica e solite accuse deliranti: risposta di Roger Waters
Per me è stata un’emozione rara, perché ho iniziato a sentirmi vibrar dentro i bassi di quella grande opera che è The Wall che ero veramente una cucciola ( già ho delirato a riguardo tempo fa 🙂 ),
e non ho mai smesso di farlo; mai mi son staccata da quel disco. Ogni volta che son partita senza ritorno era nel mio zaino, era a tutto volume nelle mie orecchie mentre mio figlio mi cresceva dentro e il giorno della sua nascita, e pochi giorni fa finalmente era là, davanti a me, in tutto il suo immenso spettacolo, con un pancione che saltava a ritmo e il piacere che dilagava nel corpo.
Roger Waters e The Wall sono esplosi davanti a me in due splendide ore di spettacolo straordinario
(se solo avessero alzato un po’ il volume!!).
Ha dedicato, senza troppi giri di parole e in un italiano perfetto, la sua tappa e tutta la sua tournè alle vittime del terrorismo degli Stati, tutti, e l’ha fatto con parole dure, dirette, senza mezze misure, come d’altronde le immagini che su quel muro ha rappresentato.
Ha rinnovato la sua maestrìa nel raccontare gli incubi della guerra con gli orrori delle attuali o recentissime , così come quella che uccise suo padre nel 1944 in Italia.
Lui i simboli del potere, del potere di Stato, li ha lanciati tutti dai bombardieri proiettati sul suo muro, così come quelli religiosi: dalle croci alla mezzaluna islamica, dalla stella di Davide al dollaro, alla falce e martello, da MC Donald alla Shell e così via..c
Insomma…
in praticamente 200 date la polemica della comunità ebraica,
che qui a Roma è subito esplosa contro il maiale gonfiabile stracolmo di loghi e simboli, che tra i tanti aveva anche la stella di Davide, la cui rappresentazione a quanto pare significa automaticamente “antisemitismo”,
ha avuto un solo precedente, in Belgio.
E pubblico volentieri la traduzione che circola virale in rete da ieri, della sua risposta a loro,
che non so se perderà tempo a copiaincollarla alla comunità romana, penso abbia di meglio da fare.

Ecco il maiale gonfiabile al centro della polemica: dall’altro lato, tra i tanti loghi e scritte che potete vedere, c’è anche una falce e martello…. ( a dimostrazione dello sproloquio)
oltretutto, come Waters mira a sottolineare, la polemica è probabilmente causata dalla sua adesione alla campagna BDS “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” contro Israele.
Vi lascio alle sue parole, e inevitabilmente a un po’ della sua musica
C’è stato qualche commento su internet, a proposito di The Wall in Belgio, al quale sento di dover dare risposta.Un certo Alon Onfus Asif, israeliano residente in Belgio, è venuto a vedere The Wall in Belgio la scorsa settimana e, essendo un tipo dotato di acuto spirito di osservazione, ha notato una stella di David sul maiale che viene distrutto dal pubblico alla fine dello spettacolo. Dopodiché Alon ha doverosamente filmato il nostro maiale con il proprio telefonino, ha postato il video e ha avvertito il quotidiano israeliano Yediot Ahronot. Questa storia è stata prontamente ripresa dal sempre vigile Rabbino Abraham Cooper, decano del Simon Wiesenthal Center, e lo sproloquio che ne è seguito, del tutto prevedibile, si può leggere qui: http://www.algemeiner.com/2013/07/24/massive-pig-balloon-at-roger-waters-concert-features-star-of-david-video/
Spesso ignoro tranquillamente simili attacchi, ma le accuse del rabbino Cooper sono talmente feroci e bigotte da esigere risposta.
Caro rabbino Cooper,
ritengo il Suo sfogo provocatorio e inutile e mi permetto di far notare che può solo ostacolare ogni passo avanti verso la pace e la comprensione tra i popoli. È anche estremamente offensivo per me personalmente, dal momento che mi accusa di essere “antisemita”, di “odiare gli ebrei” e di essere un “filonazista”.
Ho tre cose da specificare al riguardo:1. L’uso che Lei fa dell’aggettivo “antisemita”
Per prima cosa, Le segnalo una dichiarazione della “Lega Anti Diffamazione”, organizzazione americana il cui scopo dichiarato è quello di difendere dagli attacchi il popolo ebraico e l’Ebrasimo tutto. Recentemente hanno dichiarato: “Pur essendoci augurati che il sig. Waters avrebbe evitato di utilizzare la Stella di David, crediamo di non ravvisarvi alcun intento antisemita.” Ci tengo a precisare che, durante lo spettacolo, utilizzo anche il crocifisso, la mezzaluna con la stella, falce e martello, il logo della Shell, il simbolo di McDonald’s, quello del dollaro e quello della Mercedes.
2. Uno che odia gli ebrei?
Ho molti cari amici ebrei, uno dei quali – aspetto piuttosto interessante – è il nipote del compianto Simon Wiesenthal. Sono orgoglioso di questo legame; Simon Wiesenthal era un grande uomo. Ho anche due nipoti, che amo più della mia vita, la cui madre – mia nuora – è ebrea e di conseguenza, così mi dicono, lo sono anche loro.3. Nazista?
Non solo mio padre, il secondo tenente Eric Fletcher Waters, è morto in Italia il 18 febbraio 1944 combattendo contro i nazisti, ma io stesso sono cresciuto nell’Inghilterra del dopoguerra, luogo in cui ho ricevuto i più meticolosi insegnamenti sul nazismo e dove non mi è stato risparmiato alcun dettaglio degli orrendi crimini commessi in nome della più folle delle ideologie. Ricordo le amiche di mia madre, Claudette e Maria, ricordo i loro tatuaggi, erano due sopravvissute, due delle fortunate.
Mia madre ha passato tutto il resto della sua vita impegnandosi in politica, per assicurarsi che i nessuno dei suoi figli e i suoi nipoti, che nessun figlio e nessun nipote di chiunque, nero, bianco, gentile, ebreo, latino, asiatico, musulmano, hindu, buddista, ecc. avesse in futuro una spada di Damocle, nella forma del tanto disprezzato credo nazista, sospesa sulla testa.
Da parte mia ho fatto del mio meglio per seguire le orme dei miei genitori. All’età di quasi 70 anni, sull’esempio di mio padre e di mia madre e di tutto ciò che hanno fatto, ho resistito, come meglio ho potuto, in difesa di Signora Libertà.
Lo spettacolo The Wall, da lei attaccato con argomentazioni così deboli, è molte cose: è una riflessione, è un inno alla vita, è ecumenico, umano, amorevole, contro la guerra, anticolonialista, per l’accesso universale al diritto, per la libertà, la cooperazione, il dialogo e la pace, è contro l’autoritarismo, antifascista, antiapartheid, antidogmatico, internazionale nello spirito, musicale e satirico.
Quello che non è: NON E’ ANTISEMITA né FILONAZISTA.Sono stato spesso oggetto di attacchi da parte della lobby filoisraeliana a causa del mio sostegno al movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), cosa che non voglio approfondire in questa sede, chiunque sia interessato può avere accesso al discorso che ho fatto alle Nazioni Unite il 29 novembre dell’anno scorso.
Tuttavia devo dire questo: in una teocrazia effettiva è quasi inevitabile che il simbolo della religione finisca per confondersi con il simbolo dello Stato, in questo caso lo Stato di Israele, uno stato che pratica l’apartheid sia all’interno dei propri confini che nei territori che ha occupato e colonizzato dal 1967.Piaccia o no, la stella di David rappresenta Israele e le sue politiche ed è legittimamente soggetta a qualsiasi forma di protesta non violenta. Protestare pacificamente contro la politica razzista, interna ed estera, di Israele non è anti-semita. Il suo ragionamento secondo cui, visto che io critico la politica del governo israeliano, dovrei essere associato ai Fratelli musulmani, fa ridere ed è, nuovamente, un’offesa personale. Ho passato tutta la mia vita adulta sostenendo la separazione tra chiesa e stato.
Ad ogni replica di The Wall, in qualunque Paese ci troviamo, invito 20 veterani nel backstage durante l’intervallo per incontrarci, scambiare strette di mano, auguri e ricordi. Durante uno spettacolo, circa un anno fa, un vecchio veterano, del tempo del Vietnam a occhio e croce, mi ha fissato, mi ha bloccato mentre uscivo, mi ha porto la mano, che ho afferrato, e non mi lasciava andare, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “Tuo padre sarebbe fiero di te”. Le lacrime mi bruciano gli occhi.
The Wall sta raggiungendo anche Lei e tutti gli altri rabbini Cooper che ci sono là fuori.
Venga a vedere lo spettacolo!
Con amoreRoger
P.S.
Per mettere tutto nella giusta prospettiva: il maiale gonfiabile che ha tanto offeso il giovane Alon è apparso in ogni replica di The Wall a partire da settembre 2010, parliamo di circa 193 spettacoli, e la Sua è la prima lamentela. Inoltre, il maiale in questione rappresenta il Male, e più precisamente il male del governo che sbaglia. Regaliamo al pubblico questo simbolo di repressione alla fine di ogni spettacolo e la gente fa sempre la cosa giusta. Lo distrugge.
L’attesa della sentenza Mediaset e il popolo di tricoteuses!
Nessun’altra immagine che questa, e non è certo una bella immagine, mi viene in mente mentre vi osservo e vi leggo, in questa attesa della sentenza Mediaset, che potrebbe vedere Berlusconi condannato.
Ecco, l’immagine sono loro, le tricoteuses, le vecchie donne intente a lavorare a maglia sotto la ghigliottina,
in attesa del ghigno del boia, in attesa del rumore della lama che scende,
in attesa della testa che rotola.
Un popolo di tricoteuses,
perché nemmeno si può definire un popolo di “secondini”…
quelli almeno lo fanno per un salario,
voi no…
tutto giustazialismo gratuito.
Non se ne può più, ci meritiamo veramente TUTTO
Saviano e i super eroi: dall’Uomo Tigre a Mosè

Dalla pagina esilarante “Saviano Ricorda”
Un uomo da 500.000 copie di tiratura (poi se ne son vendute la metà ma questo è un altro discorso),
che scrive editoriali letti e commentati in tutto il paese su praticamente ogni argomento,
che ha dirette televisive di ore, dove recita (male) la figura del grande intellettuale minacciato…
Anche un uomo di cui in questo blog siamo stati costretti a parlare molto,
visto il suo vizio di denunciare per diffamazione se si portano a galla le menzogne che racconta tipo profeta perseguitato, onniscente e soprattutto onnipresente e amico di tutti,
Come nella squallida storia sulla telefonata con la mamma di Peppino Impastato,
di cui trovate in queste pagine ogni dettaglio, e che è costata un po’ più di reclusione a chi già recluso era (nel box trovate tutti i link per ogni approfondimento a riguardo)
i link per chi non conosce la cosa:
– Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
– Saviano risponde sulla telefonata
– La risposta di Luisa Impastato
– L’intervista di Radio Blackout a Paolo Persichetti
– Amore morboso per le divise
– Saviano perde di nuovo: 2 a 0 per Persichetti! La telefonata con la mamma di Peppino Impastato è un’invenzione
– L’ordinanza di archiviazione
– Non c’è diffamazione
ed eccolo eh, dopo una probabile insolazione estiva a sfondo religioso.!
Dopo Felicia Impastato ora è sbucato un nuovo “amico”… anzi, addirittura una figura di cui probabilmente sente di aver bisogno malgrado i tanti uomini di scorta che ha sempre con lui: il SUPEREROE.
Quindi facciamocele insieme queste due risate, che stavolta son straordinarie,
A voi le parole del grandisssssssimo intellettuale italiano Roberto Saviano ai microfoni di “Sorgente di Vita” (programma dell’Unione delle comunità ebraiche italiane su RaiDue), pubblicate oggi sul sito del FattoQuotidiano:
“Non ho mai visto Mosè come una una severa figura, la più importante dell’ebraismo, ma l’ho visto quasi come un alleato, una di quelle figure a cui parlare come un amico immaginario […]I racconti biblici di mio nonno per me sono stati fondamentali. Quando ero bambino, Mosè era davvero un supereroe. Accanto a Batman, Superman, Spiderman, l’Uomo Tigre, c’era Mosè. Lui era il balbuziente che guida un intero popolo, sbaglia di continuo, viene punito sempre per il minimo errore. […]Ci penso spesso a Mosè e penso spesso a me bambino che guardava a Mosè come qualcuno che, anche se sbagliava, sapeva che poteva farcela e poteva farcela a trovare un senso alle cose”
Chissà poi che scorta poteva averci oh, uno come Mosè! 🙂
Tito, fino all’ultima vetta
Non ce l’hai fatta piccolo intrepido,
Tu che da bimbo eri già un prodigio, che avevi scelto di dedicare la tua vita alle pareti e ai suoi pertugi, all’altezza e al canto dei rapaci.
Una vita brevissima, quasi sempre sospesa in aria: 12 anni di calli e voglia di non fermarsi mai, 12 anni di magnesite a seccar la pelle, di falesie da masticare e amare.
Buon viaggio piccolo scalatore unico al mondo, piccolo Tito maestro di tutti.
Il tuo viaggio prosegue nei corpi che andrai a salvare con i tuoi organi, i tuoi occhi e il tuo cuore respireranno ancora i profili delle montagne da sfidare, libereranno vie chissà dove…
“la madre di Cecilia” e il suo perpetuo dolore
Sono le poche righe di quel mattone dei “Promessi Sposi” che ho nel cuore da quando avevo l’età di Cecilia,
che uccisa dalla peste veniva trasportata da sua madre, “col petto appoggiato al petto”.
Chissà perché, poco più di una bambina, mi son fatta scavar dentro da queste righe, con l’empatia di madre, più che di bimba uccisa.
Adesso quasi non riesco a leggerle più, sarà colpa di questo splendido pancione scalciante.
Adesso rivedo questa scena mille volte, in mille strade del medioriente e del resto del mondo: in strade sconosciute come in molte di cui ho assaggiato la polvere, le emozioni, i giochi dei bambini, le chiacchiere delle ragazze; le stesse ragazze che ora seppelliscono i propri figli. Uno ad uno.
Penso a te che m’hai aperto quel cortile tante volte, che su tre ne hai seppelliti tre, uno dopo l’altro, nella stessa amata terra rossa.Non so perché stamattina ho ricercato queste righe,
delle volte la letteratura ha la capacità di accompagnarti come nessuno amico sa fare.
E di pugnalarti anche, ripetutamente.[ringrazio Davide, che nel commentare mi ha rimesso in testa le righe successive, che mia madre per qualche strambo gioco della memoria ricordava a memoria e mi ripeteva quando bofonchiavo nello studiare Manzoni. Nel commento di Davide, sotto al post, trovate dettagli letterari importanti ed affascinanti.]

Fatima Bitar e la sua mamma
“Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de’volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento. Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così». Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affacendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola». Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato
[…]
“Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori….”. Alessandro Manzoni
“Come si sente una donna”, un testo dal Brasile (via Slavina)
Ringrazio la mia cara Slavina e il suo blog (che lo avete tra i preferiti sì?) per la traduzione e la diffusione di questo testo.
Lo pubblico, perché fa sempre bene leggere certe cose,
perché è bello.
Quindi grazie a Claudia, e a Slavina; e buona lettura.
Questo articolo è una traduzione dalla versione spagnola del testo ‘Como se sinte uma mulher’ scritto dalla brasiliana Claudia Regina per la rivista virtuale Papo de Homem e pubblicato il 22 maggio scorso.
É un testo semplice e diretto e oltre a me è piaciuto a centinaia di migliaia di persone, per questo ho voluto tradurlo e ringrazio Claudia che mi ha concesso di pubblicarlo qui.
Signore – ma soprattutto signori – godetevelo.
NDT Per un’analisi piú completa Claudia raccomanda un link in portoghese, io vi consiglio direttamente di leggerlo tutto, visto che si trova in qualsiasi biblioteca
… poi magari qualcuno o qualcuna riesce ametteretrovare online il pdf e mette il link nei commenti![]()
In uno dei miei primi impieghi ascoltai che le donne non lavorano tanto bene perché sono molto emotive e soffrono di sindrome premestruale. In un altro lavoro il mio capo mi disse che avevo dei brutti capelli e mi pagó un parrucchiere perché me li allisciassi per essere piú presentabile per i clienti. Ho deciso di non essere schiava della depilazione e ricevo sguardi schifati quando mi metto i pantaloncini o le magliette senza maniche. Ho usato molto trucco solo perché la televisione e la pubblicitá fanno vedere donne truccate, e per questo è molto facile sentirsi brutte con il viso pulito. Tu, uomo, sai cos’è il trucco? C’è un prodotto per fare la pelle omogenea, uno per nascondere le occhiaie, un altro per nascondere le macchie, uno per colorare le guance, uno per esaltare le sopracciglia, un altro per le ciglia, un altro per colorare le palpebre, un altro per colorare le labbra. Quante volte ti sei messo cosí tanta roba in faccia solo perché il tuo capo o al primo appuntamento ti vedranno brutto con la faccia pulita?Quando sono in metropolitana mi posiziono in un luogo sicuro perché nessuno mi si strusci. Tu lo fai?
Quando vado a riunioni familiari mi chiedono perché sono cosí magra, che ho fatto con i capelli e se ho un fidanzato. A mio cugino chiedono cosa sta studiando e che lavoro fa.
In televisione il 90% delle pubblicitá mi denigrano. Quasi nessun film mi rappresenta o passa il Test di Bechdel. Tutte le donne sono mostrate con vestiti sexy, perfino le eroine che si suppone dovrebbero usare vestiti comodi per le battaglie. Le riviste mi insegnano che il mio obiettivo a letto é piacere a un uomo.Mentre tu, uomo, comparavi il tuo pisello con quello dei tuoi amici, a me, donna, insegnavano che masturbarsi è una cosa molto brutta e che se usavo minigonne non avrei meritato rispetto. Quanto tempo ho tardato a liberarmi della repressione sessuale e a convertirmi in una donna a cui piace scopare? Quanto tempo ho tardato per liberarmi a letto e provare piacere, mentre alcune delle mie compagne continuano a preoccuparsi se il loro partner vede la cellulite o il rotolo di ciccia e per questo non arrivano all’orgasmo? Quanto tempo ho tardato ad avere il coraggio di guardare un cazzo senza scopare a luce spenta? Quante volte ho ascoltato, mentre guidavo, un “ecco vedi, naturalmente era una DONNA”? Quante volte hai tagliato la strada a qualcuno e hai ascoltato un “ecco vedi, proprio un UOMO”?
Tutto questo per, a fine giornata, andare a cena in un ristorante e non ricevere il conto quando lo chiedo, perché da 5 mila anni sono considerata incapace. E tutto questo, CAZZO, per sentirmi dire che sto esagerando, che il maschilismo non esiste piú.Questo è un riassunto di quello che soffro o corro il rischio di soffrire tutti i giorni. Io, donna bianca, eterosessuale, di classe media. Le donne nere soffrono piú di me. Quelle povere soffrono piú di me. Le orientali soffrono piú di me. Peró tutte soffriamo dello stesso male: nessun paese del mondo tratta le donne tanto bene come tratta gli uomini. Nessuno. Ne’ Svezia, ne’ Olanda, nemmeno l’Islanda.
In tutto il mondo civilizzato soffriamo violenze e abbiamo meno accesso all’educazione, al lavoro o alla politica.In tutto il mondo siamo ancora le sorelle di Shakespeare.
Caso Saviano / Impastato: siamo ancora in attesa dell’identità della ragazza, lo sai Saviano?
Dopo il gioco delle tre carte, lungamente esposto in questo blog, di Saviano sull’affaire Felicia Impastato,
in cui ha ribaltato i fatti, narrandoci un’altra storia,
rimaniamo in attesa di sapere il nome di questa ragazza misteriosa e improvvisamente apparsa nei suoi racconti dopo l’archiviazione della querela a Persichetti e Liberazione, e dopo la pubblicazione di una parte del materiale depositato agli atti (nei prossimi giorni il blog Insorgenze pubblicare il resto della documentazione).
Vi lascio un box di link con tutta la storia mentre qui vi metto il pezzo di Paolo Persichetti, quello che per Saviano è solo un “terrorista bilioso” che risponde all’illusionista senza fantasia e alla ragazza del mistero.
i link per chi non conosce la cosa:
– La risposta di Luisa Impastato
– Saviano risponde sulla telefonata
– Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
– L’intervista di Radio Blackout a Paolo Persichetti
– Saviano perde di nuovo: 2 a 0 per Persichetti! La telefonata con la mamma di Peppino Impastato è un’invenzione
– L’ordinanza di archiviazione
– Non c’è diffamazione
– Amore morboso per le divise
Andiamo a cercarla?
BUGIARDI SENZA GLORIA
“E così davanti allo specchio di quella che un tempo fu la sua vita, cominciò a sputare tutti i giorni sulla faccia di quel che non era diventato lo scaracchio di ciò che era stato”
Dashiell Hammett«E’ inutile – diceva don Abbondio – se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare». A leggere certe stizzite pagine di Roberto Saviano (qui) viene subito da pensare che nulla è cambiato da quel dì che Manzoni scrisse i Promessi sposi. Fin dai banchi del liceo ci illudemmo di un’Italia che potesse diventare finalmente leopardiana. E invece con quel suo voler essere don Rodrigo con i più vulnerabili e restare un don Abbondio che si aggira con la scorta dei Bravi davanti ai potenti, Saviano è lì a ricordarci che l’Italia ancora oggi appartiene ai conformisti, mentre quella dei chierici è fatta di allineati, di arruolati, di «pagliette», come li definiva Gramsci con la sua analisi profetica: figure che hanno fatto delle loro competenze intellettuali un «accessorio “poliziesco”, la cui funzione è quella di presentare il malumore sociale del Meridione come una questione di mera competenza della “sfera di polizia” giudiziaria».
9 maggio 2013, il giorno nero di Saviano e la rivincita di Peppino Impastato
Dopo la sonora disfatta giudiziaria subita dalla sua querela contro due miei articoli, di cui uno sul suo scontro con i familiari di Peppino Impastato (qui), Saviano seppur con la coda fra le gambe pensava di essersela comunque cavata grazie alla blindatura costruita attorno alla notizia, censurata da tutti i grandi media e reti televisive. Scrivo censurata perché la notizia non era affatto ignota alle redazioni delle maggiori testate le quali decisero tutte, con pochissime eccezioni (Liberazione online, Il Corriere del mezzogiorno, Filippo Facci su Libero, Radio radicale), di non darne contezza e non commentarla davanti ai loro lettori. Tra Saviano e il brigatista, anche se una decisione di giustizia dava ragione a quest’ultimo, le redazioni decisero di non raccontare il torto di Saviano. Si doveva stare con lui comunque, anche con le sue bugie, la sua antipatia, la sua arroganza, la sua inautenticità, perché Saviano è il sistema, l’ordine costituito, la norma dominante, non ci si può mettere contro di lui. Come diceva Pascal, «Non riuscendo a fare della ragione una forza, fecero della forza la loro ragione».
Si comprende allora l’illivorita reazione dello scrittore di scorta davanti all’inaspettato successo, dilagato all’improvviso nella rete dopo quattro mesi di silenzio, della bruciante notizia della sua sconfitta. La serenità con cui oggi racconta di averla accolta in gennaio poggiava sull’accerchiamento di quella scomoda informazione, sul silenzio cimiteriale che su di essa sarebbe dovuto cadere grazie alla complicità del sistema mediatico, al conformismo omertoso dell’ambiente, all’enorme influenza del potente gruppo editoriale che gli sta alle spalle, capace di decretare ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è accaduto e ciò che non si deve raccontare.
Non è bastato, come un fiume carsico la notizia inabissata ha scavato un suo cammino, ha trovato la crepa, si è insinuata fino a riemergere in superficie rimbalzando sul web nel giorno dell’anniversario della morte di Peppino Impastato (qui, qui e qui). A quel punto non potendo più ignorarla Saviano è dovuto correre ai ripari. Costretto a dire qualcosa, ha scelto la sua bacheca su facebook per tornare sull’episodio (leggi qui) della telefonata fantasma che avrebbe ricevuto dalla madre di Peppino Impastato, per ribadire che quel colloquio telefonico sarebbe realmente avvenuto, nonostante le smentite fornite dal fratello di Peppino, Giovanni, e dalla cognata Felicetta, che gestivano le comunicazioni telefoniche dell’anziana donna.
Una telefonata per entrare nel Pantheon
Perché l’esistenza di questa telefonata riveste per Saviano una così grande importanza, tanto da averne fatto la causa di una querela, nonostante nell’articolo messo sotto accusa che si occupava delle diffida contro Einaudi promossa dai familiari di Impastato (leggi qui) il brano occupasse un breve spazio del tutto accessorio, una citazione virgolettata di una dichiarazione di Umberto Santino del Centro Impastato, che lo stesso in quei giorni dell’ottobre 2010 aveva ripetuto in altre interviste (qui) mai attaccate da Saviano?
Saviano aveva raccontato l’episodio in uno scritto del 2004 con una ragione precisa che lui stesso espone, «come per una sorta di filo che sentivo da lontano legarmi alla battaglia di Peppino Impastato». La veridicità dell’episodio è dunque decisiva per la credibilità e l’autenticità di un personaggio divenuto nel frattempo amministratore ufficiale della memoria dell’antimafia, l’imprenditore morale delle battaglie per la legalità. In caso contrario verrebbe minata irreparabilmente la sua attendibilità, si troverebbe scacciato dal pantheon al quale si è iscritto d’ufficio, divenendo così abusivo il passaggio di testimone ideale che lo scambio telefonico con Felicia Impastato avrebbe legittimato rendendolo l’erede simbolico della storia di Peppino.Alla ricerca del diversivo, una querela fondata sulla colpa d’autore
Sarebbe interessante capire perché pur sentendosi diffamato Saviano abbia accuratamente evitato di querelare e dunque di affrontare a viso aperto le fonti di quelle affermazioni da lui ritenute false e calunniose, ovvero Umberto Santino, che subito dopo ne ha scritto anche in un libro, Don Vito a Gomorra, editori riuniti 20011, e soprattutto Giovanni Impastato e sua moglie Felicia Vitale, figlio e nuora di Felicia Bartolotta-Impastato.
Nel testo della querela presentata da Saviano si stigmatizzano invece le «usurate formule ideologiche utilizzate da Persichetti», nelle quali – prosegue l’esposto – «sembra di sentire l’eco di un giornalismo aggressivo, figlio di un’epoca fortunatamente chiusasi, ma i cui strascichi ancora avvelenano il presente. L’epoca nella quale molti – “nemici di classe” – trovarono la morte, per mano di coloro i quali (qualcuno li definirebbe “vittime della storia”) ritennero la via della violenza maestra del cambiamento della società. E così, dalle colonne di “Liberazione” Persichetti aggredisce Saviano…», con quella volontà di «vomitare il proprio odio ossessivo ed ossessionato» nei suoi confronti.
Attaccando me, Saviano ha pensato di colpire l’anello debole, il punto ritenuto più vulnerabile, ricorrendo ad un suggestivo parallelo tra la mia storia politica e la successiva odissea giudiziaria, risalenti a 26 anni fa, e il lavoro giornalistico attuale: in modo particolare lì dove – lasciava intendere nella querela – tuttora permarrebbe il dato comune di una pratica di «aggressione» e ricorso alla «violenza» che avrebbe dato corpo ad una sorta di “terrorismo cartaceo”.
L’uso del diversivo tipologico è stato impiegato per svilire e criminalizzare l’esercizio della libertà di critica e la serietà metodologica del mio lavoro. La mia condanna, con relativa revoca della semilibertà, avrebbe inevitabilmente gettato nel discredito i familiari di Impastato e il Centro diretto da Umberto Santino. Quel che si dice un perfetto colpo di sponda nel gioco del biliardo. Solo che Saviano ha steccato la palla, e come Fantozzi ha sgarrato il tappeto verde.
La querela è piena di chicche che la dicono lunga sul fragile retroterra culturale del personaggio, ad esempio quando mostra di non conoscere l’opera di Foucault (leggi qui), il che spiega molto della sua concezione della devianza.Un racconto inautentico
Nel ribadire che la telefonata c’è veramente stata, Saviano introduce una novità stranamente taciuta per ben nove anni: l’esistenza di una misteriosa (e miracolosa a questo punto) intermediaria che non faceva parte della famiglia Impastato.«Una ragazza – scrive Saviano – aveva letto i miei articoli e ne aveva parlato alla signora Felicia incontrandola a Cinisi. Le aveva passato me al telefono, all’epoca sconosciutissimo scrittore».
Quasi impaurito da questa sua tardiva rivelazione dai contorni talmente incerti da apparire un fragile escamotage congegnato per non perdere la faccia, Saviano mette subito le mani avanti e precisa:
«Non avevo ancora scritto Gomorra e mandavo come gesto di omaggio gli articoli che scrivevo. Non è detto che ci si ricordi di un ragazzo che scrive di camorra e che nessuno conosce. Appunto, erano anni precedenti al 2004 e Gomorra esce solo nel 2006».
Cosa vuole dire Saviano, che l’anonima fanciulla in questione chiamata a testimonianza della telefonata potrebbe oggi non ricordarsi più dell’episodio?
Saviano, grande frequentatore di materiali giudiziari, iniziato alle fonti investigative, ferquentatore di procure d’ogni risma e luogo, intimo degli apparati di polizia di punta specializzati nelle indagini antimafia, come egli stesso ha riconosciuto recentemente con un gesto d’inattesa trasparenza (leggi qui), sa bene che non può limitarsi a riferire circostanze così generiche e per giunta contraddittorie.
Questa misteriosa fanciulla era di Cinisi o veniva da fuori? E se veniva da fuori che ci faceva a Cinisi? Ha un’identità, un lavoro, una storia, insomma esiste davvero oppure nel frattempo gli è successo qualcosa, ci auguriamo proprio di no! Non vorremmo fosse andata all’estero, in una di quelle lande sperdute dove per una di quelle malaugurate sventure della sorte sia divenuta irrintracciabile, o ancora, avesse incontrato la vocazione per rinchiudersi in un convento di clausura rifuggendo nella contemplazione i clamori del mondo. Per il bene della verità non prendiamo nemmeno in considerazione l’ipotesi che nel frattempo la ragazza abbia potuto sposare un casalese in odor di camorrìa.
Saviano non lo dice, resta vago. In che luogo questa ragazza avrebbe incontrato la signora Felicia, per strada o in casa sua? Ci sono dei testimoni? E perché questa giovane non si è mai fatta avanti di sua sponte? E perché Saviano ha atteso tanto prima di tirarla fuori?
Non lo ha fatto quando scrisse per la prima volta della telefonata (8 dicembre 2004). Non ci ha pensato quando ripubblicò quel testo in una raccolta (giugno 2009). Lo ha omesso nella querela contro di me (12 gennaio 2011). Lo ha dimenticato nella opposizione alla richiesta di archiviazione del pm (24 settembre 2012). Non l’ha menzionata quando si è presentato in aula davanti al gip (15 gennaio 2013). L’ha taciuto quando il gip ha archiviato la sua querela dandogli torto (21 gennaio 2013). Se ne ricorda d’improvviso solo oggi. Perché?
Nel racconto apparso su Nazione Indiana l’8 dicembre del 2004 (qui), poi ripreso in una raccolta di scritti dal titolo La bellezza e l’inferno, uscito come Gomorra presso Mondadori, l’ammiraglia delle case editrici belusconiane, Saviano aveva raccontato in tutt’altro modo le circostanze della telefonata:«Inviavo a Felicia gli articoli sulla camorra che scrivevo, così, come per una sorta di filo che sentivo da lontano legarmi alla battaglia di Peppino Impastato. Un pomeriggio, in pieno agosto mi arrivò una telefonata: “Roberto? Sono la signora Impastato!
”A stento risposi ero imbarazzatissimo, ma lei continuò: “Non dobbiamo dirci niente, dico solo due cose una da madre ed una da donna. Quella da madre è stai attento, quella da donna è stai attento e continua”.»Oggi Saviano cambia versione, la telefonata non gli arriva più direttamente, come lasciava intendere nel 2009, quando accennava ad una sorta di nesso tra l’invio dei suoi articoli a Felicia e la reazione che questi avrebbero suscitato nell’anziana donna che così l’avrebbe cercato al telefono. Le cose andarono diversamente, dice oggi. Gli articoli li aveva letti la ragazza che poi porge il telefono a Felicia.
Saviano spiega che era sua abitudine inviare in omaggio i suoi articoli ma stavolta non cita più i destinatari, che restano ignoti mentre Felicia scompare. Siamo di fronte ad un passo indietro, ad una rettifica che però aggiunge ancora più dubbi di quanti ve ne fossero in precedenza.
Saviano sa bene che non può lasciare questa storia a metà pensando di cavarsela con una capriola sbilenca. A questo punto o dice tutta la verità per intero, circostanziando in modo esaustivo, credibile e soprattutto verificabile quanto avvenne attorno a quella presunta telefonata, oppure se non è in grado non ha che da chiedere scusa a Giovanni Impastato, Felicia Vitale, Umberto Santino e alla memoria di Felicia Bartolotta. In caso contrario sarà per tutti più che legittimo pensare quel che la fata Turchina disse un giorno a Pinocchio: «Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito! perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo».
Quale che sia la verità sulla reale esistenza della intermediaria, Saviano ha già ammesso di aver artefatto l’episodio della telefonata modificandolo in modo da collocarsi al centro degli avvenimenti, lasciando intendere che sia lui ad avere un rapporto diretto con Felicia e non la ragazza che ha cancellato dal racconto. Una centralità falsa che rende la testimonianza morale della sua narrazione del tutto inautentica.
Di questo passo, caro Saviano, non vorremmo che un giorno ti ritrovassi come quel personaggio di Dashiell Hammett che «davanti allo specchio di quella che un tempo fu la sua vita, cominciò a sputare tutti i giorni sulla faccia di quel che non era diventato lo scaracchio di ciò che era stato».
Anche la replica del Centro Impastato a Saviano, e c’è poco altro da dire
Vi rigiro anche qui, vista la presenza di un po’ tutto il materiale riguardante questa faccenda, l’ennesima replica.
Dopo la nuora di Felicia Impastato, dopo Luisa Impastato, ora anche Umberto Santino -Presidente del Centro Impastato- prende la penna per rimettere in riga Roberto Saviano, che arrampicandosi sugli specchi, ha tirato ora fuori la presenza di una misteriosa fanciulla.
La lettera la prendo dal blog di Paolo Persichetti, che per aver raccontato tutto ciò è stato denunciato da Saviano. Peccato però per il querelante che il tutto sia terminato con un’amara sconfitta,
e alla luce di tutto quel che sta uscendo in questi giorni, con una figura di merda difficilmente seppellibile.
Qui il blog di Paolo e il post da cui prendo la lettera, che vi consiglio di LEGGERE
Un box di link per chi non conosce la cosa:
– La risposta di Luisa Impastato
– Saviano risponde sulla telefonata
– Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
– L’intervista di Radio Blackout a Paolo Persichetti
– Saviano perde di nuovo: 2 a 0 per Persichetti! La telefonata con la mamma di Peppino Impastato è un’invenzione
– L’ordinanza di archiviazione
– Non c’è diffamazione
– Amore morboso per le divise
Scrive Umbero Santino del Centro Impastato a proposito delle ultime esternazioni di Saviano mi limito ad alcune precisazioni:
1. Saviano ribadisce che il film “I cento passi” “aveva giocato un ruolo essenziale, perché l’Autorità giudiziaria desse una risposta definitiva su un caso che ormai ciascuno sentiva vicino. Un film aveva avuto il merito di creare un’urgenza sociale. Un’urgenza giudiziaria”.
Abbiamo già detto che il processo a Vito Palazzolo è cominciato nel marzo del 1999, quello a Gaetano Badalamenti nel gennaio del 2000, il film è andato nelle sale cinematografiche nel settembre del 2000. La Commissione parlamentare antimafia ha costituito il Comitato per indagare sul depistaggio delle indagini per il delitto Impastato nell’ottobre del 1998. Abbiamo pubblicato la relazione nel volume Peppino Impastato, anatomia di un depistaggio, di cui nel 2012 è uscita una nuova edizione. Il film non ha avuto, né poteva avere, nessuna influenza sulla vicenda giudiziaria. Dell’impegno dei familiari, dei compagni di Peppino e del Centro Impastato per la riapertura dell’inchiesta, ben prima del film, aveva parlato il giornalista Francesco Lalicata, durante l’incontro dell’agosto 2009 presso la pizzeria di Giovanni Impastato.
2. Il Centro avrebbe “intimato” a Fazio di ospitare Giovanni Impastato nelle sue trasmissioni, e avrebbe voluto “estorcere… favori di promozione televisiva”. Ci siamo limitati a chiedere la partecipazione di Giovanni per parlare dell’impegno dei familiari, dei compagni di militanza e del Centro per salvare la memoria di Peppino Impastato e per ottenere giustizia. Non aspiravamo, né aspiriamo, a nessuna “promozione televisiva”. Ci basta sapere che abbiamo svolto il nostro lavoro con pieno impegno, anche quando siamo stati isolati da tanti che credevano che Peppino fosse un terrorista e un suicida.
3. Sulla telefonata di Felicia, madre di Peppino, Giovanni e la moglie Felicia hanno dichiarato che quella telefonata non c’è stata. Le loro dichiarazioni hanno avuto un peso decisivo nell’archiviazione della querela. Ora Saviano parla di una ragazza che aveva letto i suoi articoli “e ne aveva parlato alla signora Felicia, incontrandola a Cinisi” e “le aveva passato me al telefono”. Una versione che compare solo ora e che, in ogni caso, è ben diversa da quanto affermato nel libro La bellezza e l’inferno, alla pagina 124: “Un pomeriggio, in pieno agosto, mi arrivò una telefonata…”. Abbiamo parlato della telefonata solo dopo la pubblicazione del libro, poiché prima non ne avevamo notizia.
4. Sui commenti sulla nostra iniziativa mi limito a osservare che squallido è non riconoscere di aver detto cose inesatte e non vere, e non chiedere di ristabilire la verità«.
Umberto Santino, Presidente del Centro Impastato
La famiglia Impastato ribadisce, ancora, due cose a Saviano
Poco fa sulla pagina Facebook ufficiale di Roberto Saviano, dove in pomeriggio aveva scritto la nuova puntata della soap opera sulla sua telefonata con Felicia Impastato (ora sbuca una nuova protagonista) ha scritto Luisa Impastato, figlia di Giovanni Impastato.
Vi copio il suo commento, così da avere un pezzo in più di questa storia:
io prima di oggi non ero mai andata sulla pagina di Saviano. Dopo aver letto il suo pezzo pieno di ingiurie mi son permessa di incollargli i link con la richiesta di archiviazione della sua denuncia, per essere bannata qualche secondo dopo.
non una sola parola, avevo solo incollato il link….eeeeeh, la libertà di parola quanto brucia a Robertino.
Vi lascio con le parole di Luisa Impastato, che è meglio.
Luisa Impastato Scusate l’intrusione, ma credo che si stia tentando di innescare anche in questo caso, e al contrario, la cosiddetta macchina del fango. Se la memoria non m’inganna, ricordo che la rettifica che era stata chiesta a Saviano ( e che lui ha rifiutato) fosse relativa ad una sua affermazione che ha ingiustamente ridotto a poco il grandissimo lavoro svolto dalla mia famiglia, dal centro Impastato ( che ha chiesto la rettifica) e dai compagni, per pervenire ad una giustizia che, ha si impiegato più di 20 anni per compiersi, ma che poco ha avuto a che fare col film “i cento passi”. il film ha di certo contribuito ad amplificare la storia di mio zio sul circuito nazionale, ma è arrivato dopo una lotta ventennale per tentare di mantenere viva la memoria di Peppino. Era questa l’inesattezza che gli si contestava. Inoltre credo pure di ricordare che mio padre fosse stato già prima invitato alla trasmissione ” vieni via con me” , invito rimandato a data da destinarsi proprio in seguito alla vicenda sopra riportata; a quel punto pensammo, se non ricordo male, che si sarebbe potuto chiarire tranquillamente il tutto proprio in occasione della partecipazione alla trasmissione, ma , come dicevo, ciò non avvenne più. Un altro momento che ricordo, anche con affetto, e’ stata l’iniziativa di cui Roberto parla,organizzata in pizzeria. Io,sinceramente, sono certa che lessi il libro ( che mi feci pure timidamente firmare) solo dopo l’incontro e ricordo che con mia madre commentammo quello scritto che trovammo un po’ romanzato: in effetti mia nonna non aveva il telefono e non chiamava mai nessuno ( se non erro nel libro non è specificato che qualcuno era li e le abbia passato il telefono). Con mia madre riflettevamo su una descrizione di mia nonna che poco la rappresentava così come la conoscevamo noi , per questo pensammo che fosse un tantino enfatizzata ( magari non del tutto falsa, per carità, ma molto letteraria) . Ma ne apprezzammo comunque il pensiero (personalmente ricordare anche mia nonna lo trovo determinante). Mi sono permessa di ” intromettermi” perché anche io sono tra quelli che non riesce a resistere, se legge delle inesattezze o delle illazioni che poco hanno a che fare con la realtà ( chi conosce i “protagonisti” di questa storia sa benissimo che non pubblicizzano un prodotto, ma portano in tutta Italia la memoria storica di Peppino e di mia nonna, avendo in cambio una gratificazione data soprattutto dai tanti che dopo 35 anni ne sposano ancora la causa). Ho scritto tutto d’un fiato, per cui mi scuso anche per eventuali errori. con rispetto.
Luisa Impastato.
– Saviano risponde sulla telefonata
– Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
– L’intervista di Radio Blackout a Paolo Persichetti
– Saviano perde di nuovo: 2 a 0 per Persichetti! La telefonata con la mamma di Peppino Impastato è un’invenzione
– L’ordinanza di archiviazione
– Non c’è diffamazione
– Amore morboso per le divise
Saviano risponde su Felicia Impastato, col gioco delle tre carte e gli insulti
Caro Roberto Saviano,
pochi minuti fa hai risposto sulla questione della telefonata con Felicia, la mamma di Peppino Impastato, che sarebbe avvenuta poco prima della sua morte e prima della tua notorietà. (Qui potete leggere la sua risposta: APRI).
Pensavo, sinceramente facessi come con Vittorio Arrigoni, pensavo non avresti risposto, tacendo.
Ma dimenticavo che ti piace infierire con i più deboli, e la tua querela contro Paolo Persichetti e la testata per cui scriveva, nonchè la tua risposta di poco fa, lo palesano: non solo un giornalista infatti, ma un detenuto.
Che ogni sera varcava la soglia del carcere perchè accusato di aver preso parte ad un’organizzazione armata sciolta più di 25 anni fa, e “rapito” dalle autorità italiane nell’agosto 2002 in barba alle normali procedure di estradizione.
A causa della querela, e di ciò che ne è seguito, per più di un anno si è visto negare l’affidamento ai servizi sociali (praticamente a fine pena), come tu ben saprai.
Le stesse cose dette da Persichetti son state sostenute dal Centro Impastato e dai suoi portavoce, ma hai denunciato il più debole, un giornalista in semilibertà che lo raccontava.
Non mi risulta che tu ti accanisca nello stesso modo con personaggi come Aldo Grasso, meno deboli certamente, che hanno scritto anche di peggio.
Nessun tribunale ha detto che quella telefonata non c’è stata, non era lì a stabilire quello: ci ha detto che il giornalista Paolo Persichetti, e non quello che le tue parole ci descrivono come una specie di assassino livoroso, ha lavorato nel modo giusto, appoggiandosi a fonti più che certe e provabili. Come i familiari.
Il resto sta al buon senso di chi legge carte e fatti. Tiri fuori una “ragazza” di cui tu stesso non hai mai parlato prima…
La tua risposta dimostra che sei fatto di tanta spocchia e megalomania, e accolli agli altri un livore tutto tuo solo perché raccontano dei dati di fatto. Non chiami le persone per nome, ti accontenti di “terrorista”: la macchina del fango, appunto.
AGGIORNAMENTO: Anche Luisa Impastato, figlia di Giovanni, risponde a Saviano: LEGGI
– La replica del Centro Impastato: leggi
LEGGI:
– Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
– L’intervista di Radio Blackout a Paolo Persichetti
– Saviano perde di nuovo: 2 a 0 per Persichetti! La telefonata con la mamma di Peppino Impastato è un’invenzione
– L’ordinanza di archiviazione
– Non c’è diffamazione
– Amore morboso per le divise
–Sanzioni discliplinari e sbarre: ancora su Persichetti
-Una tranquilla giornata di semilibertà
– Dovrò spiegare il carcere a mio figlio
– Il carcere e il suo pervadere i corpi
-Paolo Granzotto, il funzionario del carcere e la moralità
Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
Il 9 maggio questo blog è solito ricordare due persone, una donna ed un uomo importanti e cari, nel cuore di qualunque rivoluzionario.
Il 9 maggio 1976 il corpo di Ulrike Meinhof è stato ritrovato penzoloni nella sua cella, in un suicidio simulato dal quale è nata un’inchiesta molto approfondita di cui ho pubblicato parte del materiale ( Link: 1 – 2 – 3 ).

Dal sito di Roberto Saviano “sulla tomba di Peppino Impastato”
Sempre il 9 maggio, ma del 1978, il corpo di Peppino Impastato fu ritrovato dilaniato dallo scoppio di una carica di tritolo messa sotto di lui dalla Mafia per simulare un attentato e liberarsi di un uomo che con la sua forza e la sua intelligenza minava la stabilità della mafia stessa a Cinisi, in provincia di Palermo.
La vicenda di Peppino Impastato, militante di Democrazia proletaria, è paradigmatica in proposito. Assassinato nel maggio 1978 dai sicari di Tano Badalamenti, boss ferocemente anticomunista saldamente legato al potere democristiano, la sua morte è il teatro di una messa in scena che simula il fallito attentato di un aspirante “sovversivo comunista”. Il corpo imbottito di tritolo venne lasciato sui binari della ferrovia. La sinistra ufficiale, Pci in testa, schierata con la linea della fermezza antiterrorismo si disinteressò totalmente della vicenda. L’aspirazione a farsi Stato li portava a diffidare di qualunque posizione dissidente, voce critica e indipendente. Carabinieri e magistratura, allineati agli imput che provenivano dal potere politico centrale, per anni tennero un atteggiamento connivente che accreditava la falsa pista inventata dalla mafia. Potere politico, potere giudiziario, apparati dello Stato e sistema mafioso si tenevano assieme grazie ad un delicato gioco di equilibri fondato sullo scambio reciproco. Fuori restavano, dopo il processo d’integrazione consociativa del Pci nello Stato, solo piccole minoranze sociali. La memoria di questa realtà storica è oggi indicibile per gli imprenditori morali come Saviano poiché trasmette una concezione dell’antimafia opposta all’attuale, portatrice di un messaggio di autonomia e indipendenza di pensiero, una idea di lotta contro qualunque prepotenza e ipotesi di sfruttamento dell’imprenditoria mafiosa o meno, una idea di libertà piena delle persone che non ritiene una grande soluzione emancipatrice la sostituzione del potere mafioso con una ragnatela di norme sempre più asfissianti e liberticide da parte dello Stato
Quest’anno nel ricordarlo volevo raccontarvi un fatto che in molti ormai saprete.
Ruota intorno a Peppino, anzi, intorno a quella piccola straordinaria donna che fino alla sua morte ha combattuto per la verità sull’uccisione di suo figlio, e soprattutto per mantener viva la memoria delle lotte per cui è stato ucciso:
sua madre Felicia.
Ruota intorno al personaggio Saviano (un vero e proprio “dispositivo”) che tentano di dipingerci come onniscente, e che accumula nella sua rapida e blindata carriera, molte figuracce dovute ai “copia-incolla” o alle sparate prive di fondamento.
Come questa, tratta da questo suo articolo intitolato “Felicia” (che potete leggere qui per intero) poi pubblicato nel libro “La bellezza e l’inferno” ( Mondadori 2009)
<< Inviavo a Felicia gli articoli sulla camorra che scrivevo, così, come per una sorta di filo che sentivo da lontano legarmi alla battaglia di Peppino Impastato. Un pomeriggio, in pieno agosto mi arrivò una telefonata: “Robberto? Sono la signora Impastato!”
A stento risposi ero imbarazzatissimo, ma lei continuò: “Non dobbiamo dirci niente, dico solo due cose una da madre ed una da donna. Quella da madre è stai attento, quella da donna è stai attento e continua.” >>

Dichiarazione depositata agli atti del procedimento penale scaturito dalla querela di Saviano contro Paolo Persichetti, all’epoca giornalista di Liberazione e Dino Greco, direttore del quotidiano
Peccato che tutto ciò non trovi alcun riscontro:
la telefonata tra la mamma di Peppino Impastato e Roberto Saviano non è mai avvenuta e a confermarlo sono diversi dati oggettivi e testimonianze, fermo restando che basterebbe aprire un calendario.
Felicia Impastato è morta nel dicembre 2004, mentre l’uscita del libro che ha reso celebre Roberto Saviano, Gomorra, è dell’inizio del 2006 e l’episodio che ha spinto le autorità a metterlo sotto scorto è del settembre 2006.
Sarebbe surreale anche solo immaginare una telefonata fatta da una donna che per comunicare usava il telefono della nuora, verso un giovane allora sconosciuto, che non aveva nessuna ragione per “stare attento e continuare” visto che non aveva ancora scritto il suo primo libro.
Ma questo lo dicono chiaramente le parole di Felicia Vitale, moglie di Giovanni fratello di Peppino e nuora di Felicia.
Per approfondire riguardo la querelle tra il Centro Impastato e Saviano,
e la successiva denuncia penale e sconfitta di Saviano nei confronti di Paolo Persichetti all’epoca giornalista di Liberazione e Dino Greco, direttore del quotidiano, potete andare su queste pagine:
– Saviano risponde sulla telefonata
– Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
– L’intervista di Radio Blackout a Paolo Persichetti
–La famiglia Impastato è costretta a ribadire
Anche il Centro Impastato replica
Archeologia dell’ignoranza. Se Roberto Saviano ignora Michel Foucault
Saviano débouté d’une plainte contre le quotidien Liberazione
Filippo Facci – Caso Impastato, Saviano perde la causa contro l’ex-br
Liberazione.it – Criticare Saviano è possibile
www.articolo21.org: Archiviata la querela di Roberto Saviano contro il quotidiano Liberazione
“Persichetti ha utilizzato fonti attendibili”, il gip archivia la querela di Saviano contro l’ex brigatista
Filippo Facci – Caso Impastato, Saviano perde la causa contro l’ex-br
Liberazione – Criticare Saviano è possibile
La bugia e la camorra. La madre di Peppino Impastato non parlò con Saviano
Corriere del mezzogiorno – La madre di Peppino Impastato non parlò con Saviano. Persichetti vince la causa
“Non c’è diffamazione”. Per la procura la querela di Saviano contro l’ex brigatista in semilibertà va archiviata
Saviano e il brigatista
L’amore morboso
“Cronologia di una rivoluzione mancata” nelle librerie da oggi
Esce oggi nelle librerie “Gli anni della lotta armata – Cronologia di una rivoluzione mancata” di Davide Steccanella, ed. Bietti
Ve lo consiglio, perché Davide è uno che la storia della lotta armata non l’ha avvicinata da molto, malgrado cronologicamente l’ha in parte guardata scorrergli accanto, fino a che non è caduto in un racconto, il racconto di Prospero Gallinari, in una lunga intervista.
E’ proprio Davide, sulle pagine di questo blog a raccontarmi come è iniziata…
<<e così iniziai ad ascoltare il suo racconto, lungo, più di 1 ora, ma interrotto, una sorta di monologo, era il racconto della sua storia e di quella storia. Era la prima volta che qualcuno me la raccontava così, sembrerà strano ma è proprio così, fino a pochissimi anni fa ero uno dei tanti “indottrinati” dalla storia dei vincitori.>>
Quindi leggetelo questo libro, da oggi sfogliabile ed acquistabile nelle librerie di questo paese avvolto dall’oblio.
Perché oltre ad essere una boccata d’aria, è un libro utile: una cronologia dettagliata, da tener sempre al proprio fianco,
come il suo autore!
Non è vero che si trattò di una deriva isolata di pochi violenti che si inserì in un contesto di protesta pacifica, e questo lo dicono sia la cronologia storica dei fatti accaduti in Italia dal 1969 al 1983, sia i dati numerici sulla lotta armata raccolti dai volumi editi dalla cooperativa “Sensibili alle Foglie”.
Non è veero che fu una guerriglia condotta da annoiati studenti “radical chic” istigati da “cattivi maestri”, ed anche questo lo dicono i dati di “provenienza sociale” raccolti dai citati volumi, dove si può vedere come la grande maggioranza dei lottarmatisti fosse di provenienza operaia, contadina e “proletaria”, oppure leggere le tante auto o etero biografie pubblicate in questi anni.
Non è vero che la lotta armata, e più in generale la violenza politica, non trovò mai alcuna “adesione” da parte di una importante parte della società italiana di quegli anni, ivi compresa la classe operaia, e lo dicono sia le storie personali, sia il racconto di episodi storici che ormai si trovano in diverse pubblicazioni, sia le tante interviste ai protagonisti dell’epoca.
Non ci furono solo le Brigate Rosse (o Prima Linea) ad attaccare m ilitarmente lo Stato; dopo il 1978 in Italia si formarono almeno un centinaio di gruppi armati nella stagione del “terrorismo diffuso” e non è neppure vero che furono le Brigate Rosse a dare inizio alla violenza politica, basta consultare la cronologia prima del 1976, data in cui si compì il primo omicidio delle BR,
Non è vero che la stessa storia delle Brigate Rosse, che pure sono state di gran lunga l’organizzazione più longeva, sia sempre stata la medesima; erano diversi i percorsi personali di provenienza dei tanti militanti, basta confrontare la storia del gruppo dei “reggiani” con quella dei “romani” o dei “trentini” o degli operai emigranti, e sono state diverse anche le “strategie” guerrigliere adottate nel corso degli ani che hanno condotto, non a cas, a tutte quelle plurime spaccature “interne” dopo il 1980.
Non è vero che le Brigate Rosse furno “manovrate” da misteriosi poteri occulti nell’operazione Moro, intorno alla quale non residua nessun “mistero”, e su questo sono stati citati i testi di riferimento oltra alle unanimi dichiarazioni di tutti i diretti protagonisti, su questo concordi indipendentemente dalla successiva scelta da loro operata, oltre che le varie sentenze divenute definitive.
Non è vero che il movimento del ’77 era “figlio” di quello del ’68: basta leggere i tanti resoconti dei protagonisti di allora, oltre che la storia; e non è vero che ci fu un “unico disegno comune di insurrezione armata” sotto diverse sigle, coloro che provenivano dall’esperienza del ’77 e dell’Autonomia non avevano nulla a che spartire con le BR, sia per l’ideologia sia per operatività organizzativa, e non a caso la stessa operazione Moro venne pesantemente criticata da tutte le altre organizzazioni armate di sinistra.
Non è vero che lo Stato sconfisse la guerriglia armata senza ricorrere a leggi speciali e persino a metodi extra-legali; basta ricostruire alcuni episodi, da via Fracchia alle torture inflitte nel 1982 ai vari prigionieri, oppure ricordare la diffusa promulgazione in quegli anni di leggi speciali, gli arresti ingiustificati e le condanne sommarie, fino alle tante premialità giudiziarie in favore della dissociazione, a discapito di chi invece non si dissociò.
Non è vero che lo Stato non scese mai a “compromessi” per sconfiggere la lotta armata; basta pensare ad episodi accertati e plurimi di infiltrazione, ovvero di trattative occulte ed inquietanti come nel caso Cirillo, ovvero di favoreggiamento come nel caso Cossiga- Donat Cattin.
Non è vero che tutti coloro che ai tempi si erano armati si sono poi dissociati a parte pochi fanatici “irriducibili” (terminologia davvero infelice); basta leggere o ascoltare oggi le molte e rilevanti testimonianze di chi in questi anni ha scontato l’intera pena e ora, dopo 30 anni, è libero.Tratto da “Gli anni della lotta armata – Cronologia di una rivoluzione mancata” di Davide Steccanella
“Si è ancora al giorno uno di una storia bloccata, ma bloccata non solo per loro: di più per la pubblica salute di un paese che non si è più disintossicato dall’emergenza e continua a inventarsene, a spacciarne, a iniettarsele in vena. Siamo un paese di bambini invecchiati, bisognosi di mostri.” (Erri De Luca)
I passi dei detenuti: il cerchio e la linea retta

Vincent Van Gogh _ la ronda dei carcerati_
Rinchiusi in prigione si lasciano morire: così viene detto dei Masai, dei Fulani, degli Aborigeni australiani ed anche di certe altre popolazioni amerinde ed esquimesi.
Vivendo pienamente nel presente, i membri di queste etnie, non appena reclusi, immaginerebbero che tutti i giorni a venire saranno nient’altro che una ripetizione del giorno che li sta facendo soffrire. E quest’idea insopportabile li stroncherebbe spingendoli alla morte.
Proviamo a punteggiare in altro modo. Perché non dire, ad esempio, che per una creatura felicemente integrata col suo ecosistema, la recisione dei legami relazionali con l’ambiente è condizione più che sufficiente per morire?
In tal caso non sarebbero i Masai, i Fulani, gli Aborigeni, gli amerindi o gli esquimesi a non sapersi adattare alla prigione poiché incapaci di ristrutturare le loro rappresentazioni del tempo. Sarebbe invece proprio la prigione che non si adatta a loro, alla loro vita e alla loro cultura.
Ed allora l’accento potrebbe essere spostato dalla “incapacità a vivere recluse”, attribuita a queste popolazioni, alla scelta di chi le reclude come scelta omicida.
Era stato appena arrestato. Di fronte alla porta blindata della sua cella, quella di un passeggio.
Dal buco dello spioncino riusciva a scorgere i reclusi che lo popolavano: tutti in isolamento, come lui.
Non sapeva spiegarsi perché alcuni camminassero in modo da descrivere un cerchio, mentre altri sempre e solo tracciando una linea:
avanti e indietro, come movimento macchinico, gli occhi puntati a terra e la testa china.
Anni dopo comprese: quelli che descrivevano un cerchio erano “dentro” per la prima volta.
Ecco: smettere di “circolare” è il primo modo in cui la reclusione entra nella carne.
Ma essere “tolto dalla circolazione” sarà mai l’inizio della retta via?
— Entrambi i testi son tratti da “IL BOSCO DI BISTORCO”, di Curcio, Petrelli e Valentino
PERCHE’ L’ERGASTOLO NON E’ UNA PENA ACCETTABILE,
PERCHE’ NON ESISTA PIU’ IL FINE PENA MAI, L’ISOLAMENTO, E IL CONCETTO STESSO DI RECLUSIONE.
Testi sull’ergastolo:
– Adotta il logo contro l’ergastolo!!
– L’ergastolo e le farfalle
– Un fiore ai 47 corpi
– Aboliamo l’ergastolo
– Gli stati modificati della/nella reclusione
– Il cantore della prigionia
– Piccoli passi nel carcere di Santo Stefano, contro l’ergastolo
– La lettera scarlatta e la libertà condizionale
– Perpetuitè
Iniziativa a Milano il 27 Maggio: Qui le info

http://liberidall’ergastolo.wordpress.com : vai sul sito e adotta il logo!
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