Morire in cella, a 79 anni. Un saluto a Khaled Husseini, combattente palestinese
Pensare un uomo di 79 anni chiuso in una cella fino al giorno della sua morte è già cosa difficile. Ancora più difficile e lacerante è pensarlo in un reparto ad Elevato Indice di Vigilanza, in un braccetto speciale di un carcere meridionale. Khaled Husseini, palestinese di 79 anni è morto nel carcere di Benevento lunedì scorso. Il medico legale ha parlato di un probabile infarto ma soltanto l’autopsia fornirà le cause esatte del decesso, forse legate alla malattia che il carcere gli aveva sempre impedito di curare in modo adeguato.
Malgrado fosse stato condannato per un fatto che poco aveva a che fare con reati di matrice islamica, Khaled Husseini era rinchiuso in un reparto appositamente ideato per detenuti del genere. Singolare paradosso, discordanza di tempi per un militante laico e rivoluzionario impegnato nel tortuoso percorso che segna da molti decenni la lotta per la liberazione della terra e del popolo di Palestina.
Era stato condannato per il dirottamento della nave da crociera Achille Lauro, realizzato nel 1985 da un commando di quattro palestinesi appartenenti al Fronte di Liberazione della Palestina. In realtà l’azione era stata concepita in modo diverso: l’obiettivo non era il sequestro dei passeggeri ma lo sbarco nel porto di Ishdud, dove il commando doveva catturare dei soldati israeliani e chiedere in cambio la liberazione di alcuni prigionieri palestinesi. Ma a largo delle coste egiziane qualcosa andò storto e il commando, vistosi scoperto, si impadronì della nave. Fu un gesto improvvisato durante il quale un passeggero, Leon Klinghoffer, venne ucciso e gettato in mare. La vicenda si trasformò nel più grosso incidente diplomatico tra Italia e Usa. Ottenuto un salvacondotto da parte italiana, la nave fu lasciata libera e i quattro palestinesi fatti salire a bordo di un aereo egiziano diretto verso Tunisi, dove l’OLP aveva il suo quartier generale in esilio. Ma gli Stati uniti intercettarono il velivolo costringendolo ad atterrare nella base Nato di Sigonella, in Sicilia. Il capo del governo Craxi rifiutò di consegnare il commando agli americani. La polizia italiana prese in consegna i palestinesi facendo valere la sovranità nazionale. Khaled Husseini non era tra loro. Dopo una prima condanna a 15 anni, in appello verrà condannato all’ergastolo in contumacia, nel 1989, sulla base delle parole di un appartenente al gruppo che scelse di iniziare a collaborare con la magistratura italiana, designandolo come il responsabile operativo del commando, anche se Hussein non aveva ideato il sequestro e l’uccisione dell’ostaggio. Aveva accompagnato il gruppo a bordo dell’Achille Lauro nel porto di Genova, per scendere durante lo scalo ad Alessandria, poco prima del dirottamento.
Con lui prenderà l’ergastolo, sempre in contumacia, anche Abu al-Abbas, responsabile politico dell’organizzazione (catturato dagli americani nel 2003 in Iraq, subito dopo l´inizio dell’occupazione militare, per morire dopo appena 2 mesi in circostanze più che sospette nel carcere di Abu Grahib).
Per Khaled Husseini il calvario nelle carceri italiane inizia invece nel 1996, quando l’Italia riesce ad ottenere l’estradizione dalla Grecia, dove era stato arrestato 5 anni prima. Khaled ha scontato la sua pena fino alla morte nel peggiore dei modi, in condizioni estremamente pesanti e in un isolamento quasi totale: gli è stato sempre negato il diritto ad un tutore e per anni è rimasto privo di colloqui.
Il trasferimento nel braccetto speciale di Benevento è stato fatale per le sue condizioni di salute. In quella sezione, oltre alle bocche di lupo che non fanno filtrare la luce e non permettono di vedere all’esterno, c’è anche un pannello di plexiglas a dividere la cella dal resto del mondo mentre nel cortile del passeggio una volta metallica sostituisce il cielo. Il trattamento riservato ai detenuti è rigido e la burocrazia per accedere a cure e permessi, lenta e ostacolata. Pochi giorni prima di morire aveva chiesto un permesso per iniziare le cure all’esterno, ma gli era stato negato.
Khaled se n’è andato senza nemmeno il diritto di vedere il colore del cielo nell’ultimo giorno. È morto con la sua terra nel cuore, la terra che aveva sempre infinitamente amato e che aveva sognato di liberare. Ma non è un mondo per sognatori, questo qui.
di VALENTINA PERNICIARO, L’ALTRO -24 giugno 2009-
Nella notte di lunedì è morto nel reparto di massima sicurezza della
prigione di Benevento il combattente palestinese Khaled Hussein, 79
anni.
Khaled è morto per “cause naturali” hanno scritto le agenzie di
stampa, ma Khaled era tenuto in una cella ad “elevato indice di
vigilanza” per 13 anni, nonostante fosse anziano e malato.
Hussein,
militante del Fronte per la Liberazione della Palestina,
viene
arrestato in Grecia nel ’91 e estradato in Italia nel 1996, dove
l’
aspetta una condanna all’ergastolo per il sequestro della motonave
Achille Lauro, nel ’85.
Hussein nato in un villaggio vicino ad Haifa,
cancellato dall’
occupazione israeliana, ha mantenuto la sua dignità
fino alla fine.
Pur innocente delle accuse che gli hanno procurato l’
ergastolo, tra l’
altro comminato senza aver la possibilità di
difendersi, Hussein non ha
mai abbandonato la sua idea di lotta per la
liberazione della
Palestina.
In questi anni non gli hanno permesso di
curarsi, di usufruire di
alcun beneficio, ed ha subito ogni sorta di
violenza, fisica e morale.
Nel 2004, Hussein riceve la visita dell’FBI
e la richiesta di
collaborare oppure lo spettro di Guantanamo, ma il
vecchio combattente
mandandoli a quel paese disse semplicemente: non
vi dico nulla, avete
ucciso Arafat e fatto morire Abu Abbas, il
dirigente palestinese morto
d’infarto nel 2004.
Voglio ricordarlo per
l’immensa dignità e la gentilezza con cui ci
riceveva nelle poche
visite che ho potuto fargli.
Sempre con il sorriso pareva preoccupato
per noi, mentre noi ce ne
andavamo con la morte nel cuore, anche se
sostenuti dalla sua magnifica
coerenza e forza che non hanno piegato i
soprusi subiti, le sofferenze
per i familiari ammazzati dai sionisti
nei numerosi attacchi contro i
palestinesi.
“Morirò qui dentro, ci
disse più volte, ma vorrei che il mio corpo
tornasse almeno in un
paese arabo”.
Voglio ricordarlo anche con le parole di Ivan Della Mea,
anche lui
morto in questi giorni: “Chi ha compagni non morirà”.
Che
la terra ti sia lieve compagno e comandante Khaled.
Fino alla
Vittoria!!
Francesco Giordano
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