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Un saluto, caldo, a Wilma Monaco

21 febbraio 2013 6 commenti

Wilma fa parte di quei morti che in pochi ricordiamo,
Wilma è morta in un’azione armata e quindi è seppellita dall’oblio che avvolge quegli anni.
Anni immensi, dove centinaia di migliaia di persone in tutto il territorio europeo credevano di poter sovvertire il presente e costruire un nuovo futuro.
Il tessuto sociale in cui son cresciuti coloro che poi hanno deciso di armarsi era un patrimonio immenso di fermenti rivoluzionari poi sventrato dalla storia dei vincitori,
dalla memoria a compartimenti stagni che in questi anni è stata alimentata da troppi.

Wilma, nome di battaglia Roberta, era sangue nostro.
In ogni sua scelta…
Ciao Wilma!

“Un ferale alfabeto si snoda la mattina del 21 febbraio 1986 a Roma, sull’asfalto di via della Farnesina. Come in un’agghiacciante partita di Scarabeo i cartellini della Polizia scientifica mettono in fila, uno dopo l’altro, i tasselli dell’orrore.
showimg2 La lettera A è il corpo di una giovane. Con il volto verso il suolo. I quotidiani indugiano sui particolari dell’abbigliamento. Quasi che il mosaico di colori possa rendere meno glaciale la scena. Giaccone e sciarpa viola, borsa di cuoio a tracolla, zuccotto di lana scuro con borchie di metallo, guanti bianchi e neri da sci, stivaletti con la suola di gomma. B, C, D… bossoli, macchie, schegge… H, una pistola calibro 38. L’arma con cui ha sparato Wilma Monaco, militante dell’Unione dei comunisti combattenti (Udcc), formazione armata nata da una scissione delle Brigate rosse. L’organizzazione è alle prese con una situazione di grave crisi. Quasi tutti i membri sono in carcere, dilagano i cosiddetti pentiti, i dissociati. Le azioni sono ormai sporadiche. Il clima è pesante. Sono gli anni del craxismo trionfante. La sconfitta, profonda, ha travolto la sinistra, nelle sue rappresentanze storiche. I movimenti operai, studenteschi, femministi, sono rifluiti, i gruppi extraparlamentari dissolti nel nulla. Ma alcuni militanti vogliono proseguire la lotta. Cercano una via d’uscita, una strada di cambiamento e rivoluzione sociale.

Wilma è con loro. Dai tempi della scuola non ha mai abbandonato l’impegno politico. Infanzia a Testaccio, diploma al liceo linguistico, lavoro come impiegata. Nel 1977-78 milita in uno dei vari gruppi riuniti a Roma sotto la sigla di Movimento proletario di resistenza offensivo (Mpro), in contatto con le Brigate rosse. Effettuano azioni, anche illegali, prevalentemente sui temi della casa e del lavoro. Allo scioglimento del Mpro, insieme ad altri militanti Wilma costruisce i Nuclei clandestini di resistenza.
showimg2Dal 1982, quando le Brigate rosse vacillano sotto il terremoto di arresti provocati in primo luogo dal pentitismo, il dibattito sul futuro della lotta armata investe anche l’area semilegale e la rete di appoggio diffusa che ruota intorno all’organizzazione. Wilma partecipa. Disorientata come molti suoi compagni. In bilico fra le lotte di massa e l’ipotesi armata, è in prima fila nelle battaglie del movimento pacifista contro l’installazione dei missili a Comiso, nelle iniziative dei disoccupati delle Liste di Lotta.

Riparata a Parigi in seguito a una denuncia, insieme agli scissionisti delle Brigate rosse fonda l’Udcc. È la fine del 1985. Lo stesso anno è stato arrestato l’ex marito, da cui si è separata affettivamente e politicamente. Lui è un brigatista “ortodosso”. La nuova struttura, l’Udcc, intende invece mantenere acceso lo scontro, anche militare, ma considera la lotta armata uno strumento di lotta, sia pure decisivo, non una strategia.

Quella del 21 febbraio 1986 è la prima azione del gruppo. Obiettivo del commando – due uomini e due donne – Antonio Da Empoli, neodirettore del Dipartimento degli Affari economici e sociali della presidenza del Consiglio, collaboratore diretto di Bettino Craxi. Un incarico importante ma nell’ombra. Deve essere gambizzato, si dice in gergo. I quattro si appostano vicino all’edicola dove l’uomo si ferma ogni giorno andando a Palazzo Chigi. Sono le nove. La zona è tranquilla ed elegante. Da Empoli esce di casa, compra i giornali, torna verso la macchina, qualcuno grida il suo nome. Lui si volta, l’uomo spara. Viene ferito in modo non grave a una mano e a una coscia. La reazione è immediata. L’autista è un poliziotto, che si catapulta in strada facendo fuoco. Il commando è disorientato. Wilma tenta di coprire la fuga dei compagni. Avanza, spara tre colpi. Poi cerca di raggiungere la Vespa. Non ce la fa. Barcolla, crolla a terra, ferita a morte nonostante il giubbotto antiproiettile che indossa sotto la giacca. Gli altri riescono a far perdere le loro tracce.

Termina la vita così, a ventotto anni, Wilma Monaco. Roberta il suo nome di battaglia. Un’esistenza simile a quella di tanti coetanei cresciuti sull’onda lunga del Sessantotto, nel clima delle grandi passioni politiche, del fermento sociale che ha attraversato il paese, della strategia della tensione attuata per frenare il cambiamento. Del tentativo di definire un’ipotesi rivoluzionaria per i paesi a capitalismo avanzato.

Nel marzo del 1987 l’Udcc uccide il generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri, prima di essere smantellata dagli arresti.”

Testo tratto dal  libro 101 donne che hanno fatto grande Roma, di Paola Staccioli (Newton Compton 2011)

I ricordi di Wilma pubblicati negli anni precedenti su queste pagine:
21 febbraio, a Wilma
Ciao Wilma

La storia di Maurizio Biscaro, morto per scappare all’arresto nell’83… e di sua madre

27 ottobre 2011 22 commenti

Nasce a Milano il 4 maggio 1957
-Frequenta il liceo classico a Milano
-Si diploma all’Istituto linguistico internazionale come traduttore-interpreste nel 1981
-Lavora come precario
-Collabora con la rivista Controinformazione ed è attivo nel consiglio di zona 13 per D.P.
-milita nel movimento dell’autonomia
-milita nelle Brigate Rosse-Walter Alasia
– muore cadendo dal sesto piano, a Cinisello Balsamo, il 13 novembre 1982, quando i carabinieri vanno nella casa in cui vive per arrestarlo.

Avrebbe dovuto essere ucciso e tirato fuori dal mio grembo a pezzi, perché all’ultimo momento il ginecologo si è reso conto che ho l’osso iliaco storto e il bambino non riusciva a venire fuori. Mi hanno tagliata, mi hanno messo metà forcipe da sveglia perché dovevano lasciarmi le forze per le spinte, visto che non si poteva più procedere al taglio cesareo.
E’ nato, e solo la Madonna sa come. Era il 4 maggio 1957 […]
Il ’68 lui lo vive da ragazzo romantico, ammirava i ragazzi del Movimento Studentesco e spesso li seguiva nelle manifestazioni. Per lui erano degli eroi, ma in mezzo alla calca un giorno si piglia una manganellata da un poliziotto. Non doveva essere stato un gran colpo, non m’ha chiesto di fargli impacchi e in più si sentiva importante: aveva partecipato alla guerriglia. […]
Siamo nei primi anni ’70. Il liceo classico Berchet era uno dei più quotati di Milano e nella classe del mio Maurizio c’erano i rampolli delle migliori famiglie della città.
Ogni tanto marinava la scuola perché voleva stare con i facchini, accanto agli uomini di fatica che lavoravano all’ortomercato o trasportava cassette insieme a loro.
Un giorno, dopo tanta fatica il capoccia gli mette in mano la metà della cifra pattuita. Maurizio si ribella ed incita gli altri alla ribellione dicendo che quello era sfruttamento dei padroni verso i lavoratori. Una coltellata gli ha fatto un sette sulla camicia, fortunatamente senza ferirlo. Da quel momento non c’è più stata pace […]
Un pomeriggio, era il periodo della morte di Allende, mio figlio mette le scarpe da tennis e se ne va in fretta prima che gli possa chiedere dove va. Ricordo che il tempo era brutto, pioveva e mi seccava che si andasse a prendere un malanno. Torna per la cena e mi dice che deve uscire di nuovo, di non aspettarlo perché rientrerà tardi. A notte fonda rientra, bagnato come un pulcino.
– Dove sei stato? Che hai fatto?
– Mamma io non ho fatto nulla, però ho assistito ad una cosa grossa, domani lo saprai dalla tv.
In quella notte era avvenuto l’incendio della Face Standard, per protesta contro gli americani che avevano favorito la fine di Allende. Maurizio si rese conto che i compagni non andavano bene, parlavano di rapine per finanziare il movimento e il mio ragazzo non voleva passare da ladro.
Insomma il comportamento degli autonomi lo aveva deluso. […] Io mi ricordo che ogni giorno aumentavano le simpatie e il proselitismo a causa della pubblicità che alcuni giornali davano alle azioni terroristiche.[…]
Durante l’anno faceva il muratore e metteva da parte i soldi per girare l’Europa durante le vacanze.
E’ stato in Portogallo, quando c’è stata la rivoluzione dei garofani, per rendersi conto che nulla era cambiato, la musica era sempre la stessa. La rivoluzione -diceva- non si può farla con i fiori.
Anche in Spagna era stato ospite di ragazze basche, le sue vacanze erano politiche. […]
Intanto è arrivata la cartolina: lo Stato lo chiamava a fare il suo dovere. Mi aspettavo l’obiezione di coscienza, sarebbe stata in carattere con il personaggio, invece fa domanda per entrare nei paracadutisti. Questo suo desiderio di imparare a paracadutarsi e ad usare le armi nasceva da una ormai radicata speranza nella rivoluzione. Mi dispiaceva che fosse così lontano a fare il soldato e che soffrisse per tante cose che non andavano ma per me è stato un periodo di calma. Potevo dormire senza l’angoscia della perquisizione, senza il timore che mio figlio finisse morto ammazzato.
Si vede che io di pace non dovevo averne perché alla fine del servizio militare, quando Maurizio torna, mio marito si ammala e in breve muore.[…]
Maurizio inizia un lavoro politico con i compagni del quartiere. Lavora insieme a Democrazia Proletaria. Scrive articoli, prepara relazioni, alcune sere va alle assemblee e si va avanti così. Per me la scuola e per lui lo studio di giorno e la politica, che non rende niente, la sera.
Gli domando se ha intenzione di farsi mantenere dalla madre per tutta la vita, in attesa di una rivoluzione che non verrà mai.[…] Io con mio figlio ho parlato, ho ricevuto le sue confidenze e ho tentato di convincerlo a considerare pericolose illusioni i suoi ideali ma, alla fine, è riuscito lui a farmi condividere in parte i suoi ideali di giustizia, di uguaglianza, di fraternità.
Comunque io potevo comprendere questo desiderio di pulizia, questa voglia di una società più giusta, questa delusione per il comportamento dei partiti politici, ma le azioni violente no, quelle non le ho mai comprese, non le ho mai giustificate.
[…]Mi stupisce in quel periodo la sua prudenza. Non si faceva vedere in giro, non fa mai una fotografia e si fa crescere i baffi spioventi alla mongola. E’ un comportamento di persona che non vuol lasciare nulla dietro di sé, non vuole essere identificata. […] Maurizio mi sta cercando. E infatti lo vedo. Sono molto brusca, incattivita dal suo comportamento e gli chiedo chi vuol prendere in giro!
– Dove sei e con chi, si può sapere?
– Sono con le Brigate Rosse.
Queste parole mi arrivano come uno schiaffo d’acqua gelida.
– Verrò a riconoscerti all’obitorio- è la mia raggelante profezia.
Ora che Maurizio si è confessato viene spesso a casa, di nascosto dai compagni. Cerca di non incontrare gente, e quando torno da scuola, se non trovo lui in casa, trovo un suo scritto. Le lettere che ci scrivevamo purtroppo le ho distrutte perché temevo da un momento all’altro la perquisizione, ed ora vorrei averle perché erano belle, erano interessanti, anche se per indicare l’organizzazione, scriveva “L’azienda”. In una sua lettera mi dava notizia del suo innamoramento per una compagna di latitanza! Fra tante ragazze che ha conosciuto di bell’aspetto, di buona famiglia, va ad innamorarsi di una brigatista! Così ragionavo sul momento.
Poi, pensandoci bene, dicevo a me stessa che tramite quella ragazza la sua vita di disperato forse diventava più sopportabile, forse riusciva a godere ancora qualche gioia dell’amore e finivo per simpatizzare con questa sua innamorata.
[…]
Prende un libro di poesie di Prévert dalla biblioteca e si confida:
– Mamma ho bisogno di nutire l’anima e l’intelletto.
Sono le sue ultime parole.
Lo accompagno all’ascensore. Mi abbraccia. Ci scambiamo un bacio e io gli dico:
– Tesoro attento a venerdì, c’è l’allineamento degli astri: porta disgrazia.
Sorride della mia superstizione e, scuotendo la testa, se ne va. […]
Intanto arriva venerdì notte 13 novembre 1982. Verso le sei e mezza suona il campanello. So già chi può essere: c’è una perquisizione in vista, quella è l’ora canonica. Domando: Chi è?
– Carabinieri, aprite!
Prendo fiato, poi apro la porta. Come bolidi si infilano in casa col mitra spianato molti carabinieri in borghese. Girano per tutta la casa, guardano in tutti gli angoli, poi il comandante mi fa sedere e mi interroga.
– Ha una foto di suo figlio?
– No. Ho solo questa che gli è stata fatta da militare, mentre cavalca.
La guarda, e poi mi chiede di telefonare. Sono spaventatissima, hanno individuato Maurizio e lo stanno cercando.
– Dov’è suo figlio?
– In Inghilterra per lavoro, ma per l’amor di Dio che cosa è successo?
– Nulla, signora, solo che suo figlio non è in Inghilterra. Chiami il suo avvocato perché dobbiamo fare una perquisizione.
– No, non ho l’avvocato e non ne ho bisogno, in casa non c’è nulla di compromettente.
Entrano nella camera del mio Maurizio e con un’occhiata il comandante fa capire ai suoi uomini che devono comportarsi educatamente. […]
Lunedì mattina, molto presto, corro a comperare i giornali.
Al ritorno in cortile incontro un vicino di casa che sconsideratamente mi grida:
– E’ suo figlio quello che è caduto dal sesto piano di Cinisello!
Arrivano intanto alcune mie colleghe […] e anche l’alto ufficiale dei Carabinieri che aveva comandato il blitz di Cinisello e che era venuto a far la perquisizione. Gli dico:
– Perché non mi ha detto che mio figlio era morto? Avrei autorizzato il prelievo dei suoi organi, perché lui, che era generoso, ne sarebbe stato contento.
Chissà, forse non sarebbe stato possibile, perché credo che il corpo del mio Maurizio sia rimasto a terra tutta la notte e cioè fino a quando non è arrivato il magistrato per constatarne il decesso. […]
Ho cominciato ad attendere una chiamata per il riconoscimento del cadavere che era stato portato all’obitorio di Monza. Passano i giorni, rotolano via lenti e dolorosi. Nessuno mi chiama. Non so chi mi riferisce che qualcuno a Radio Popolare dice che quel povero cadavere è stato abbandonato, nessuno si presenta per il riconoscimento. ma cosa posso fare io, a chi mi presento? Mentre sono disperata a pensare al da farsi un caro amico mi propone di portarmi a Monza dal mio Maurizio. Abbiamo perduto tutto il pomeriggio, però sono riuscita a fare questo riconoscimento.
I giorni passano e non si riesce a fare il funerale. L’impresa di pompe funebri mi dice:
– Signora, se fosse morto un cane avrebbero più riguardo. Attendiamo l’ordine non so da chi. […]
Trascorrono altri giorni, poi finalmente mi avvertono che il funerale avrà luogo il lunedì mattina. […]
Arrivati a Lambrate, trovo la cassa mortuaria sotto una volta del cimitero, sola, abbandonata.
Con il mio arrivo si avvicinano molte persone, tutte con un garofano rosso in mano. Gli operai che avevano diviso le fatiche con mio figlio, quando faceva il muratore, erano tutti lì, con il pianto negli occhi. Erano stati loro a trovare i fiori e lo sa Iddio dove, perché al lunedì il cimitero è chiuso, per cui non arrivano i mezzi pubblici e non ci sono banchetti di fioristi. Ma loro li avevano trovati e distribuiti alle persone presenti.
Ed erano tante, malgrado le previsioni ed il desiderio delle autorità che avrebbero voluto fare le cose alla chetichella. Ad un certo punto, dopo il lancio dei garofani nella fossa i compagni si sono riuniti, col pugno alzato, a cantare sommessamente l’Internazionale. Allora, in quel preciso istante, molte persone, di idee anche opposte, si sono avvicinate al gruppo e si sono unite con le loro voci al coro.

[…]Spesso pensavo a quella Daniela di cui mio figlio si dichiarava innamorato, avrei tanto voluto conoscerla, parlarle, ma come fare? Fra tutte le brigaste arrestate quale poteva essere? Cercavo di immaginarmela.
Un mattino, precisamente il 22 febbraio 1983, mi arriva una lettera dal carcere di Voghera.
“Gentile signora, se avessi seguito l’istinto avrei scritto questa lettera qualche mese fa ma un sacco di preoccupazioni che mi rimbalzavano nella mente di volta in volta, mi hanno impedito di farlo. La paura più grande è quella di riaprire ferite comunque non rimarginabili, di far riemergere sentimenti e sensazioni incancellabili, le stesse che con grande sforzo si tenta quotidianamente di razionalizzare e nascondere e soffocare nei meandri più reconditi del pensiero e della memoria. Ho amato Maurizio profondamente e questo filo che mi accomuna a lei contiene in sé il motivo che mi ha spinta a scriverle.
La mia intenzione è quella di renderla partecipe dell’amore genuino nato tra me e Maurizio e sviluppatosi nel tempo, nella maniera più felice possibile. Ci siamo conosciuti, amati, plasmati giorno per giorno a vicenda, ci siamo dati e abbiamo dato insieme il massimo di noi stessi e ciò che mi fa felice anche oggi è l’essere stata il soggetto di quell’amore, così come lo è stata diversamente lei. Vorrei trovare altre parole e suoni in grado di comunicare tutta la bellezza di quell’amore ma non le conosco e forse non esistono. Sono sicura, però, che lei saprà cogliere da questa mia il dolore che si sa esiste senza bisogno di dirglielo, ma almeno un po’ della gioia vissuta. Un abbraccio con tanto affetto.”
Dopo questa missiva ci siamo scritte per tutto il tempo in cui è rimasta prigioniera. Non solo, ma ho ottenuto il permesso di andarla a trovare. Non saprei raccontare la prima volta, davanti a quell’immenso carcere bianco, in mezzo ai campi, con un carro armato che faceva il giro dell’isolato e tante guardie carcerarie con grossi cani lupo. Come sono entrata nel cortile, ho sentito un coro di voci:
– Vittoria, Vittoria, ciao!
Le voci venivano da lontano, io non vedevo le ragazze, ma forse loro vedevano me. Mi sono sentita commuovere fino alle lacrime. Erano in sei o sette dietro ai vetri. Le ho guardate tutte: belle, carine, spavalde. […] Per cinque anni sono andata regolarmente a trovare Daniela, prima a Voghera e poi a San Vittore. Mi sono legata a lei come se fosse mia figlia. […]

_Vittoria Dilda Biscaro, “L’ultimo caduto della Walter Alasia”, Milano 1992. Frammenti di un dattiloscritto dell’Archivio Progetto Memoria

Quando entrò in clandestinità non lo vidi più. Lessi della sua morte sul giornale, andai al funerale.
C’erano i garofani rossi e cantammo l’Internazionale. Ma erano gli anni ottanta, tempo di tradimenti.
Il cielo era livido come il cuore di tutti noi.
Là presenti a testimoniare che quel ragazzo che era morto era stato capace di sognare.
Non aveva difetti? Ne aveva. Ma è morto giovane, non ho fatto in tempo a riconoscerli.”
_Rossella Simone, testimonianza al Progetto Memoria_

entrambi i testi sono tratti da “Sguardi ritrovati” , vol. 2 del Progetto Memoria _Ed. Sensibili alle Foglie 1995_

questa canzone la dedico a Vittoria, la mamma di Maurizio

Ciao, Wilma Monaco (via Insorgenze)

12 dicembre 2010 2 commenti

Ciao, Wilma Monaco Wilma Monaco è nata a Roma il 28 ottobre 1958. Si diploma nel luglio 1976 in lingue e milita prima nei movimenti, poi nel Movimento proletario di resistenza offensivo e infine nelle Brigate Rosse – Unione dei Comunisti Combattenti. Wilma, nome di battaglia “Roberta, muore a Roma, il 21 febbraio 1986, nel corso di un’azione contro Antonio Da Empoli (consigliere economico della Presidenza del Consiglio del Governo Craxi) [caption id=”attachment_676 … Read More

via Insorgenze

21 febbraio. A Wilma Monaco

21 febbraio 2009 5 commenti

Wilma Monaco è nata a Roma il 28 ottobre 1958.
Si diploma nel luglio 1976 in lingue e milita prima nei movimenti, poi nel Movimento Proletario di Resistenza Offensivo e poi nelle Brigate Rosse – Unione dei Comunisti Combattenti.
Wilma, nome di battaglia “Roberta, viene assassinata dalla polizia a Roma, il 21 febbraio 1986, nel corso di un’ azione contro Da Empoli (consigliere economico della Presidenza del Consiglio del Governo Craxi)

Testimonianza al Progetto Memoria  [Ed. Sensibili alle Foglie]   – Gianni Pelosi, Roma 1993-

“Wilma nasce a Roma nel quartiere Testaccio da una modesta famiglia. Si diploma in lingue ed è nella scuola che inizia il suo approccio alla politica. Appena diplomata resta in attesa di una collocazione e frequentando i luoghi del quartiere riesce a ricollocare il suo interesse politico. In quel periodo (’77-’78) a Roma erano proliferate decine di piccole organizzazioni che si erano riunite sotto la sigla del MPRO (Movimento Proletario di Resistenza Offensivo), coordinando iniziative su temi specifici come il problema della casa e del lavoro.
Wilma si inserisce in uno di questi nuclei sviluppando appieno il suo lavoro di militante. Partecipa così alle varie iniziative che, essendo di un certo valore, permettono al gruppo di entrare subito in contatto con le BR, con le quali l’organizzazione cui appartiene mantiene un rapporto critico. Nel giro di un anno il MPRO scompare e la stessa sorte tocca alle organizzazioni che lo avevano formato.
Le BR, sfruttando a loro favore il disgregamento di questa realtà organizzata, raccolgono i singoli e i gruppetti attraverso la proposta della costruzione dei Nuclei Clandestini di Resistenza. Lei diventa militante di uno di questi nuclei e nello stesso periodo si inserisce maggiormente in realtà di lotta ed emarginazione non più nel suo quartiere originario, ma nel quartiere dove si è trasferita.
Quando nell’82 l’Organizzazione subisce la poderosa ondata di arresti determinata dal fenomeno del pentitismo, si svilupperà un dibattito sul futuro dell’iniziativa armata che investirà tutto il Movimento Rivoluzionario.
A Roma, fuori dall’Organizzazione, il dibattito si svilupperà in un Coordinamento nel quale confluiranno tutte le organizzazioni o i singoli presenti nell’area romana, legato al percorso della lotta armata. Wilma partecipa attivamente a tale dibattito che in realtà non arriverà mai ad una conclusione determinata e non produrrà passaggi politici rilevanti; darà luogo invece ad un’ulteriore dispersione della quale Wilma stessa sentirà il peso.
La maggior parte dei partecipanti a questo Coordinamento si riverserà in varie istanze di lotta e così farà anche lei. Parteciperà alle lotte del Movimento Pacifista, alle lotte contro l’istallazione dei missili Nato a Comiso. Nello stesso lasso di tempo partecipa alle lotte dei disoccupati riuniti nelle Liste di Lotta alle quali lei stessa si iscriverà. E’ questo un periodo di evidente sbandamento politico dove è difficile per tutti ritrovare dei punti di riferimento e spesso si oscillerà tra la voglia di partecipare alle lotte di massa e il tentativo  di riprodurre il percorso armato.
Anche lei subirà questa  estenuante tensione tanto che si avvicinerà, alla fine dell’83, ad un piccolissimo gruppetto di fuoriusciti dall’Organizzazione provenienti dalla Brigata Tiburtina. Questi praticano un intervento nelle situazioni di movimento e nello stesso tempo parlano di lotta armata, non riproducendo  in realtà nessun percorso di quel tipo, passato o nuovo che sia, pur contando latitanti (in realtà uno solo) tra loro. E’ proprio a causa di quella situazione ambigua che nel loro gruppo si produce un delatore il quale, denunciandoli, produce l’arresto del latitante e la latitanza degli altri componenti del gruppo, tra cui la stessa Wilma.
Attraverso il periodo di latitanza entra in contato con la nuova formazione costituitasi alla fine dell’85 denominata UdCC con la quale porterà a termine l’iniziativa che aveva come obiettivo la gambizzazione di Antonio Da Empoli, nella quale cade mortalmente.”

In Memoria di Wilma

Ai confini
Della mia pelle
riparo
i tuoi occhi
sorella
dal gelo
di quel mattino.
_Geraldina Colotti_ 

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