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2° parte Commissione internazionale di inchiesta sulla morte di Ulrike Meinhof
Proseguo con la pubblicazione di alcune parti della Commissione internazionale d’inchiesta sulla morte di Ulrike Meinhof. Qui ci focalizzeremo un po’ di più su alcuni dettagli inquietanti sia delle due autopsie a cui è stata sottoposta, sia del ritrovamento del corpo, della sua posizione e della condizione della cella.
Affronteremo, la prossima volta, un accurata analisi degli accessi al braccio dove era detenuta, dell’illuminazione della stanza e dei verbali con gli interrogatori alle guardie penitenziarie che avevano il compito di sorvegliarla quella notte.
Qui la 1° parte della Commissione.
Qui invece la terza parte!
Presa di posizione di medici inglesi, 13 agosto 1976
“Com’è morta Ulrike Meinhof?
Il 9 maggio 1976, il mondo fu informato del ‘suicidio’ a Stoccarda di Ulrike Meinhof, quadro dirigente del gruppo Baader-Meinhof, nel carcere appositamente costruito, con misure di sicurezza particolari, in cui era stata detenuta per molti mesi prima e durante il processo. Da allora, sono venuti alla luce un certo numero di elementi che mettono in dubbio la versione ufficiale degli avvenimenti. Questi elementi hanno sollevato importanti quesiti, non solo per chi è impegnato politicamente, ma per tutti coloro che difendono le libertà civili.
Ulrike Meinhof è davvero morta per suicidi, per impiccagione? Oppure trattasi di morte per arresto cardiaco riflesso in seguito alla pressione esercitata sul suo collo da terzi? Vi è stata una violenza sessuale contro Ulrike Meinhof oppure solo un tentativo? IL significato di una risposta affermativa a una di queste domande non ha bisogno di essere dimostrato.
Sul corpo di Ulrike Meinhof sono state praticate due autopsie. Ci sono pervenuti entrambi i rapporti. Riteniamo necessario dare ampia diffusione all’opinione pubblica di questi risolutati profondamente inquietanti, sia per ciò che dicono, sia per ciò che non dicono.
Prendendo posizione, speriamo di sfuggire alle solite manipolazioni e alle deformazioni dei documenti fornitici; ugualmente desideriamo evitare l’orribile compiacimento “nel sangue dei martiri”, tanto caratteristico delle parrocchie e delle organizzazioni politiche. La linea politica di Ulrike Meinhof non è stata la nostra. Ma non è questo il problema.
L’autopsia ufficiale, nel suo rapporto, indica che il corpo è stato trovato mentre il tallone sinistro toccava ancora la sedia sulla quale sarebbe salita per appendersi. In altre parole, una “caduta” del corpo da una certa altezza non c’è stata. Se c’era stato suicidio, la morte avrebbe dovuto subentrare, verosimilmente, per asfissia e non per rottura della colonna vertebrale a livello delle vertebre cervicali superiori, come è solito nelle esecuzioni legali. (Infatti non c’è stato spostamento violento delle vertebre cervicali).
Uno dei segni più importanti d’asfissia per strangolamento è l’impossibilità per il sangue della testa di ritornare in circolo. Il sintomo di una tale impossibilità è la presenza di emorragie interstiziali nelle congiuntive. Ambedue i rapporti d’autopsia non rilevano simili emorragie. Inoltre, i rapporti non citano nemmeno la protusione degli occhi e della lingua, o la cianosi del viso, segni abituali della morte per asfissia. Nonostante la frattura dell’osso ioide alla base della lingua, non c’era alcuna tumefazione al collo, nella zona interna al segno lasciato dalla “corda ricavata da un asciugamano”, con la quale la detenuta si sarebbe impiccata.
Questi risultati negativi sono insoliti per una morte per asfissia; è il meno che si possa dire. Si inseriscono invece, molto bene nel quadro di morte per compressione del nervo vago, ossia di morte per pressione sulla carotide che può provocare un arresto cardiaco riflesso.
Ci sono altri risultati inquietanti. I due rapporti d’autopsia menzionano un edema importante nelle parti genitali esterne e tumefazioni ai polpacci. Le due perizie parlano di una escoriazione, coperta di sangue coagulato alla natica sinistra. Il rapporto di Janssen menziona anche un’ecchimosi nella zona dell’anca destra. L’esame dello slip della detenuta rileva macchie sospetto. Le analisi chimiche per la ricerca dello sperma, secondo la dichiarazione ufficiale, hanno dato risultati positivi malgrado l’assenza di spermatozoi. (Atti della procura, Istituto tecnico di ricerche criminologiche, rapporto dell’11 maggio 1976)”.
Negli atti del PM il prof. Mallach constata che, malgrado un test di sperma positivom non sono stati rilevati spermatozoi. Ciò non prova nulla; se nella biancheria esistono tracce di materia fecale o di urina, gli spermatozoi sono disgregati dall’azione dei batteri e spariscono entro qualche ora. E macchie di urina sono state trovate nello slip di Ulrike Meinhof. L’azione di questi batteri attenua anche la reazione positiva dello sperma.
STRALCI DEL RAPPORTO DEL DOTT. HANS JOACHIM MEYER , membro della Commissione internazionale d’inchiesta
[…] Il materiale a nostra disposizione consiste dei rapporti di autopsia dei prof. Mallach e Rauscke e della seconda autopsia eseguita dal prof. Janssen; ambedue i rapporti sono incompleti: mancano i risultati degli esami microscopici e istologici. Inoltre vi sono i risultati dell’esame del cadavere, condotto dal prof. Rauschke il 9 maggio ’76, gli esami dell’Ufficio regionale della polizia criminale del Land di Baden-Wuttemberg e i risultati delle analisi dell’Istituto di Medicina legale a Tubinga.
I tre rapporti arrivano alla conclusione che si tratti di suicidio per impiccagione. Nel rapporto Mallach-Rauschke è detto testualmente: “LA posizione del corpo appeso alla cella, la disposizione e la lunghezza del mezzo servito all’impiccagione, nonché l’analisi degli elementi rilevati sul luogo e dei risultati medici dell’autopsia, corrispondono inequivocabilmente ad una impiccagione che si è svolta nel seguente modo: la signora Meinhof è salita sulla sedia che
aveva disposto sotto la finestra su un materasso; ha fatto passare la striscia ritagliata dall’asciugamano attraverso le maglie del reticolato della finestra, poi, dopo essersi addossata al muro sotto la finestra, ha annodato due volte la striscia sotto al mento e ha lasciato la sedia, facendo un passo nel vuoto. Pendendo liberamente al reticolato della finestra, ha presto perso conoscenza ed è morta per asfissia.”
Ecco alcune osservazioni in merito a questo rapporto:
– la Meinhof non poteva fare questo passo nel vuoto, avendo davanti lo schienale della sedia che glielo impediva
– non pendeva liberamente dal reticolato della finestra perché il piede sinistro era poggiato sulla sedia
Problematica dell’impiccagione:
Abbiamo dall’inizio insistito sul fatto che le circostanze dell’impiccagione sono state falsificate accorciando, di 29 cm, il cappio nel quale era appesa. In realtà è stata messa in un cappio di 80-82 cm che aveva quindi un diametro di 26 cm. Chiunque è in grado di verificare che si può facilmente passare la testa attraverso un cappio di questo diametro e farla uscire senza difficoltà. Per appendersi con un cappio di questo tipo bisogna inclinare la testa leggermente in avanti, appoggiare il mento sul petto, altrimenti il cappio non può sostenere il peso del corpo.
Nei casi di incoscienza, i movimenti dipendenti dalla volontà non sono più possibili, il tono muscolare a poco a poco sparisce e la persona, appesa in questo m odo, cade dal cappio, poiché il peso del corpo tende verso la testa. La testa viene tirata indietro e allo stesso modo, il cappio solleva il mento e la testa. La stretta del cappio intorno al corpo non è più possibile. Il cappio, in queste condizioni, non lascia il segno di strangolamento che aveva la Meinhof, poiché comprime solo la parte anteriore del collo e non i lati, e passa dietro la testa. Questo cappio probabilmente non potrebbe nemmeno garantire la compressione dei vasi sanguigni.
Del tutto diversa è la situazione con un cappio della circonferenza di 51 cm. La testa non può passarvi, né uscire cadendo. Il punto in cui la corda è annodata non è più allora dietro la testa, ma dietro al collo e, effettivamente, provoca un profondo segno di strangolamento. Ed è questa l’impressione che, accorciando la circonferenza del cappio, si è voluta dare agli esperti. Tutto questo non corrisponde ai fatti.
L’impiccagione, in un cappio così largo (80-82 cm) è un modo poco appropriato per impiccare una persona r improprio per appendere un corpo e mantenerlo per ore in questa posizione. In base alle stesse leggi fisiche, un cadavere cadrebbe fuori dal cappio, come l’uomo ancora in vita che ha perduto conoscenza. Si può appendere un cadavere in un cappio troppo largo, solo se si approfitta della rigidità cadaverica per mettere la testa in una posizione fissa, che non permetta più al cappio di scivolare.
Nel caso di Ulrike Meinhof, coloro che l’hanno appesa, hanno dovuto avere dubbi rispetto alla stabilità dell’impiccagione. Comunque hanno rafforzato questa stabilità, appoggiando il piede sinistro sulla sedia davanti a lei. Quando il corpo è rigido, la gamba tesa ha lo steso effetto di un bastone di legno sul quale si potrebbe appoggiare un peso. In questo modo la pesantezza del corpo è stata alleggerita sostenendolo in parte. Per maggiore sicurezza, le spalle sono state portate in avanti perché facessero da contrappeso. La gamba sinistra è stata appoggiata sulla sedia proprio al momento della rigidità cadaverica. E’ riconoscibile dal fatto che il piede è rimasto nella sua posizione normale. Se il piede, immediatamente dopo la morte, avesse avuto questa posizione, l’avrebbe perduta al momento del rilasciamento del tono muscolare e questa posizione rilasciata sarebbe stata fissata dalla rigidità cadaverica. Non è questo il nostro caso. […]
Per quanto riguarda lo stesso strumento di strangolamento, sembra evidente che una corda di tale lunghezza non poteva essere ricavata da una striscia tagliata da un asciugamano lungo 75 cm, senza ricorrere ad una cucitura.
9 Maggio, Ulrike Meinhof. 1° parte della commissione internazionale d’inchiesta sulla sua morte
Il 9 maggio ricorre (oltre all’anniversario dell’assassinio di Peppino Impastato) l’anniversario dell’assassinio di Ulrike Meinhof, nel carcere di Stammheim. Già in passato questo blog si è occupato di questa figura degli anni ’70 tedeschi, con alcuni stralci presi dalle sue lettere e dai suoi scritti.
E’ il caso, invece, da questo momento in poi (la “serie” sarà un po’ lunga) di mettere in rete un po’ di materiale che dimostra l’assassinio che c’è dietro la sua morte e quella successiva e simultanea di altri 3 prigionieri della stessa formazione , la R.A.F. anche conosciuta come Banda Baader-Meinhof., a partire dal Rapporto della Commissione internazionale d’inchiesta sulla morte di Ulrike Meinhof. Fu ritrovata impiccata, con ancora un piede poggiato sulla sedia, morta da ore…ma come vedremo successivamente, l’autopsia dimostra più che chiaramente come non si sia trattato di suicidio…
Prima di affrontare la parte tecnica dell’inchiesta mettiamo la sua dichiarazione d’intenti e una parte della prima inchiesta sulla tortura ‘pulita’ applicata costantemente su tutti i detenuti politici tedeschi, e non solo.
Di tortura non si può smettere di parlare, di indagare, di archiviare e diffondere…
« …anche i giudici che condannavano ai roghi le streghe e i maghi del secolo passato, credevano di purgare la terra di più fieri nemici… » (Pietro Verri –Osservazioni Sulla tortura- 1776)
DICHIARAZIONE DELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE D’INCHIESTA SULLA MORTE DI ULRIKE MEINHOF
A conclusione dei suoi lavori, la Commissione internazionale d’inchiesta Sulla morte di Ulrike Meinhof ha preso atto del rapporto formulato dalla segreteria.Senza far propria ogni singola formulazione, la Commissione sottolinea, tuttavia, che si tratta di un lavoro serio, realizzato grazie alla collaborazione di periti qualificati, che merita di essere preso in considerazione e ampiamente diffuso.
Per riassumere i pareri sui quali i suoi membri hanno trovato un accordo, la Commissione ha constatato :
– che Ulrike Meinhof è stata sottoposta, a più riprese e per lunghi periodi, a condizioni di detenzione che si è costretti a qualificare « tortura ». Si tratta di quel tipo di tortura chiamata isolamento sociale e privazione sensoriale, comunemente applicanto nella Repubblica Federale Tedesca a numerosi prigionieri politici e anche a detenuti comuni ;
– che la tesi delle autorità statali, secondo la quale Ulrike Meinhof si sarebbe suicidata per impiccagione non è provata e che i risultati della Commissione tendono a dimostrare che Ulrike Meinhof non potuto impiccarsi da sola ;
– che i risultati dell’inchiesta suggeriscono che Ulrike Meinhof era morta quando è stata appesa e che vi sono indizi inquietanti d’intervento di terzi in relazione a questa morte. eorge
La Commissione non può esprimersi con certezza sulle circostanze della morte di Ulrike Meinhof. Tuttavia, il fatto che al di fuori del personale della prigione i servizi segreti avessero accesso alle celle del 7° piano attraverso un passaggio distinto e segreto autorizza ogni sospetto. I risultati dell’inchiesta, qui presentati dalla Commissione, rendono più urgente la nécessita di costituire una commissione internazionale d’inchiesta sui morti di Stammheim e di Stadelheim.
La Commissione ringrazia la sorella di Ulrike Meinhof che ha messo a disposizione tutta la documentazione in suo possesso, nonché tutte le persone ed organizzazioni che hanno facilitato il lavoro intrapreso, appoggiandolo e contribuendo al suo finanziamento. Il lavoro è stato finanziato esclusivamente da questi contributi e senza di essi non sarebbe stato possibile realizzarlo. La Commissione ringrazia anche tutte le persone che si sono impegnate nella pubblicazione del presente rapporto.
Parigi, 15 dicembre 1978
Michelle Beauvillard, avvocato, Parigi – Claude Bourdet, giornalista, Parigi – Robert Davezies, giornalista, Parigi – Georges Casalis, teologo, Parigi – Joachim Israel, sociologo, Copenhagen – Panayotis Kanelakis, avvocato, Atene – Henrik Kaufholz, giornalista, Aarhus (Danimarca) – John McGuffin, scrittore, Belfast – Hans Joachim Meyer, neuropsichiatra, R.F.T. – Jeane-Pierre Vigier, fisico, Parigi
[stralci del Rapporto della Commissione]
1. CONDIZIONI DI DETENZIONE
Dopo l’arresto di Ingrid Schbert e di Monika Berberich, nell’ottobre 1970, i prigionieri della R.A.F. sono sottoposti ad un regolamento di detenzione, calcolato fin nei minimi dettagli : il totale isolamento e l’isolamento in Piccoli gruppi.
Rapporto di Jorgen Pauli Jensen, psicologo, Danimarca :
All’indomani dell’arresto, Ulrike Meinhof fu tenuta prigioniera, in condizioni di assoluto isolamento, nel « braccio della morte » del carcere di Colonia-Ossendorf [era in un braccio vuoto, con 6 celle vuote e lei era al centro di queste]. Questo primo periodo di isolamento totale (poi ne seguiranno altri) è durato 237 giorni.
Metodo ed effetto della tortura dell’isolamento sono in diretta interdipendenza : il metodo consiste nell’isolamento assoluto da ogni contatto sociale e nella soppressione di impressioni sensoriali differenziate, che sono una condizione necessaria al funzionamento dell’organismo umano. Rinchiudendo i detenuti in una camera silens, una cella perfettamente isolata, dunque senza alcun rumore ( o una cella nella quale si ascolta un suono incessante), buia di giorno (o dipinta di bianco e illuminata al neon giorno e notte), con ridotte possibilità di movimento e aria viziata, si tenta, in qualche modo, di esasperarne il bisogno umano di contatti e impressioni sensoriali, vale a dire di comunicazione umana. Le ricerche di psicologia sperimentale e, disgraziatamente, anche l’esperienza diretta, ci hanno insegnato con certezza che tali condizioni possono corrodere e annientare, nel giro di breve tempo, gli esseri umani fisicamente e psichicamente
A livello fisico, la funzione vegetativa è distrutta poco a poco (modificazione patologica del bisogno di dirmire e urinare, della famé, della sete, nonchè mal di testa e perdita di peso). A livello psichico si sviluppa instabilità emotiva (angoscia improvisa o collera). Sul piano psichico e su quello della conoscenza si sviluppa entro brève tempo, un disorientamento nel tempo e nello spazio ; difficoltà di concentrazione, difficoltà nel definire un pensiero , perdita della memoria, déficit del linguaggio e della comprensione, allucinazioni ecc.
Tuttavia, non sempre questo progetto raggiunge il suo scopo : esistono donne e uomini che, malgrado la tortura dell’isolamento, conservano la loro identità politica.
Dal 1972 vengono applicati metodi speciali contro i prigionieri politici nelle carceri della R.F.T.
– isolamento sistematico dei prigionieri in rapporto agli altri ; esclusione da tutte le attività comuni, dalla vita normale della prigione ; divieto di comunicare con altri prigionieri, ogni tentativo di ignorare tale divieto viene punito con la detenzione nelle celle di punizione ;
– l’applicazione di inferriate speciali dinanzi allé finestre delle celle allo scopo di rendere impossibile la vista sull’esterno [bocche di lupo]
– solo un’ora d’aria, soli, con manette ai polsi
– divieto di ricevere visite e lettere, tranne che da familiari
– tutte le visite sono sorvegliate dalla polizia politica, che registra tutta la conversazione e l’utilizza, all’occorrenza, nel processo
– censura totale di libri e giornali
« …Che fare ? E’ chiaro, sporgere denuncia per lesioni fisiche. Allora, dai ! L’ho già detto centinaia di volte : psichiatra e –ormai l’ho capito- otorinolaringoiatra che spieghino, finalmente, scientificamente, come il ‘silenzio’ abbia gli stessi effetti degli elettrochoc, provochi lo stesso tipo di lesioni, di devastazioni nell’organo dell’equilibrio e nel cervello… » Ulrike Meinhof ai suoi avvocati, dal braccio della morte, febbraio 1974
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