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Il sesso tra le sbarre nell’era del bunga bunga, e altre storie dal carcere di Opera
Dal Blog Urladalsilenzio, dove prendono voce molti detenuti e molti ergastolani, arriva un’interessante lettera dal carcere di Opera.
Una lettera di un detenuto che spesso scrive alla redazione di quel sito per informare e aggiornare sulla quotidianità tra quelle mura invalicabili e che ora ci racconta cosa significa un irrigidimento del clima all’interno di un penitenziario.
Cosa significa la privazione di piccole cose o il diverso atteggiamento dei secondini: insomma, dalle parole riportate sul sito, stralci di quella lettera, si capisce come le prigioni italiane stiano diventando ogni giorno di più una polveriera.
Una polveriera che se pure non scoppierà, perchè non ci sono le consapevolezze politiche necessarie per gestire una rivolta reale, rende irrespirabile l’aria che respirano quasi 70.000 persone nel nostro paese.
Vi lascio alle parole di Alfredo Sole, che parlano da sole… che parlano anche di sessualità tra le sbarre, argomento tabù nel nostro paese…
il diritto a scopare è dei potenti ormai.
Per quanto riguarda il nuovo clima di “estrema sicurezza”, cinicamente sto sperando che esagerino ancora, in modo che anche i più “pacati” -che poi non si tratta di essere “pacati”, ma è la paura di essere trasferiti e di prendere rapporti- si diano una svegliata e capiscano che non si può stare 20 ore chiusi sempre in cella e che quella volta che esci per andare in doccia la guardia non può starti dietro, e, prima ancora che esci dalla doccia, hai già la cella aperta perché devi rientrare e se attendi un pò, ecco che la voce del padrone si fa dura. DEVI ENTRARE!
Ho fatto la proposta ai lavoranti, tra cui ero anche io, di chiuderci dal lavoro, creandogli così non pochi problemi. Ma a quanto pare nessuno è ancora pronto.. Mi sono chiuso dal lavoro solo io, ma l’ho fatto con la scusa che devo studiare. Non potevo stare fuori a lavorare. Prima che succedesse che cambiasse il loro modo di trattarci, il lavorante aveva la cella aperta dalle 9:00 di mattina fino alle 18:00 di sera. Tutto sommato era anche piacevole. Adesso rispettano gli orari..
TI APRONO TRE ORE AL GIORNO DISTRIBUITE NELLA GIORNATA.
Per ciò significa che quando esci dalla cella è solo per fare un lavoro, ma poi devi rientrare subito.
Bene, io non ci sto, e visto che gli altri non vogliono venirmi dietro (per il momento), mi sono chiuso per motivi di studio. Se rimanessi a lavorare, rischierei di mandare a fare in culo qualcuno… Per adessso preferisco aspettare che i miei compagni si rendano conto che non è possibile farsi la galera in questo modo. Che non siamo in un carcere giudiziario, ma bensì in un penale dove scontare una pena definitiva, e quello tra noi che deve scontare “meno galera” ha 30 anni di carcere; e tutti più o meno abbiamo scontato già almeno 20 anni di carcere.
Poco fa, dalla mia pstazioni di stuidio, la mia cella, ho assistito a una “scaramuccia”. La guardia con la cella aperta di un detenuto e la chiave già inserita pronto a chiudere. Il detenuto che si ferma un attimo a parlare con un compagno e immancabilemnte la guardia.. “deve rientrare, è mezzora che parla!”. Bhè, il mio compagno si è incazzato.. “Ora basta, state esagerando, va bene?!” Sono i primi segnali che a lungo porterano a non far sopportare più questa situazione.
C’è un altro aspetto del carcere che voglio farti conoscere. E’ un aspetto da non sottovalutare, anche se, magari per vergogna, nessuno ne parla. Ma se viene analizzato, nella sua parte “scientifica”, allora si comprende che è qualcosa di importante. Ma putroppo in questo carcere ignorano l’importanza dello sfogo ormonale dei maschi. La notte non c’è detenuto in questo Paese che non si faccia uno zapping in tv per scovare qualche donnina nuda. Oppure, non c’è carceere che non ti permetta di acquistare riviste per adulti. TRANNE OPERA!
Prima dell’avvento del digitale, era possibile la notte trovare in tv qualche programma del genere. Adesso non è più possibile. Così come non è possibile comprare riviste del genere. Anche questa privazione non può che potare a un nervosismo crescente. E’ scientificamente provato che la produzione di ormoni porta alla aggressività.. specialmente in carcere, dove non esiste il sesso, come in molti altri paesi che invece danno questa possibilità.
Il detenuto italiano sfoga questa mancanza con l’autoerotismo che diventa una necessità per controllare la propria aggressività. Ma, come ti ho detto, questo carcere è diretto da persone che pensano che la pena da scontare sia anche questo tipo di privazione. Nonostante ci siano sentenze di Cassazione che dimostrano il contrario. Ma, essendo un argomento delicato, loro fanno affidamento sul fatto che nessuno si ribelli per la vergogna che ne scaturirebbe. Ma quella aggressività di cui ti parlo, comincia a farsi strada. I detenuti sono più nerosi, e gran parte di questo nervosismo è proprio dovuto all’impossibilità di “deliziare la vista”. E’ risaputo che è la donna a usare l’immaginazione, l’uomo ha bisogno della vista. Qui a Opera ci hanno accecati.
Vedi, caro Alfredo, questi sono argomenti di cui nessuno parla. Per molti, compresi la maggior parte dei miei compagni, sono tabù. Ma è un aspetto importante della carcerazione. Se in Italia non esiste il vis a vi come in Spagna la colpa è anche dei detenuti che ritengono questo argomento un verò tabù. Qualcosa di cui vergognarsi al solo pensarlo.
Quando un pò di anni fa qualche parlamentare accenò alla possibilità di fare entrare la sessualità in carcere, i primi a indignarsi furono i detenuti. Beh, una parte dei detenuti. Mi ricordo ciò che dicevano: “Ma stiamo scherzando? Io dovrei fare venire qui la mia donna e tutti sapranno che sto andando a fare quella cosa?”.
EMERITO TESTA DI CAZZO.. avrei voluto dirgli, quello che tu chiami “QUELLA COSA” è il motore del mondo. Sei stato condannato a perdere la libertà, ma non a cessare di essere uomo.
Poi non se ne parlò più. Tipico dell’Italia. Si fa una proposta, si dannno delle speranze ai detenuti, e poi si accantona tutto nel dimenticatoio. Poi ti imbatti in un carcere come questo, e cercano di uccidere anche la tua fantasia… Ma come ti ho detto, io, nel mio cinismo, dico “bene!” Che tolgano sempre di più. Voglio che i miei compagni escano dal letargo, voglio che si sveglino più incazzati di prima che si addormentassero…
Leggi:
Dal letame nascono i fior?
Suicidi in carcere: il ministero cambia le carte in tavola
Facile cambiare le carte in tavola quando si parla di reclusi, di persone impossibilitate a comunicare le loro condizioni di vita.
Facile modificare i numeri e le cause di morte di coloro che sono privati della loro libertà e vivono nelle carceri di questo paese: facile eccome rigirarsi la frittata e parlare di “tossici”, di “cause naturali”, di “arresti cardiaci”.
Ristretti Orizzonti, nel suo costante lavoro di inchiesta dall’altra parte delle sbarre, smentisce i dati lanciati pomposamente dal sottosegretario alla Giustizia Caliendo.
Poche chiacchiere, Paolo ha scritto sinteticamente la situazione. Lascio a lui la parola. Qui anche il link delle sue Cronache Carcerarie, per chi volesse approfondire
Il sottosegretario Caliendo, «solo 37», Ristretti orizzonti, «già 46»
di Paolo Persichetti, Liberazione 12 ottobre 2009
Nelle carceri italiane si muore troppo spesso. Nelle carceri italiane ci sono tanti suicidi. Che cosa fanno il ministero della Giustizia e la Direzione dell’amministrazione penitenziaria per risolvere il problema? Oltre a diramare circolari che intasano matricole e archivi degli istituti di pena, ricorrono a degli espedienti meschini come la cosmesi linguistica. Cambiano denominazione alle cause dei decessi.
Se un detenuto è anziano e gravemente malato, finisce che l’indagine amministrativa interna addebiti la sua morte a «cause naturali». Se un altro tenta d’impiccarsi, ma muore durante il trasporto in ospedale, il decesso non è più considerato un suicidio. Diventa la conseguenza di un malore. Un modo burocratico per scaricare noie e problemi eventuali, abbassare il livello di allarme, distogliere l’occhio dei media da quel che accade dentro le mura di cinta. Nella casa circondariale di “Villa Fastiggi”, a Pesaro, l’11 novembre 2008 una detenuta, Francesca Balzelli, si è tolta la vita aspirando gas da una bomboletta. L’inalazione di gas è molto pericolosa perché l’intossicazione da idrocarburi volatili innesca meccanismi d’asfissia. Insomma vi è un rischio di morte molto alto. I detenuti lo sanno benissimo. E se alcuni ricorrono ancora a questo metodo per sballarsi, perfettamente consapevoli del rischio, altri lo fanno chiaramente per suicidarsi.
Una morte più dolce rispetto alla brutale violenza dell’impiccagione. Questa incertezza sulle ragioni ultime che spingono i carcerati, in genere con problemi di tossicodipendenza o alcolismo, a sniffare gas, viene utilizzata dal Dap come un pretesto per evitare la parola suicidio. Che questo comportamento, quale che sia il suo esito, configuri comunque un desiderio di autodistruzione, è sottaciuto. Sui referti compare un altro termine: «malore», «collasso», «arresto cardiocircolatorio». Così non c’è notizia, viene meno il rischio di clamori mediatici, di campagne sulle condizioni di vita dentro le prigioni, sul sovraffollamento.
Rispondendo a una interrogazione della parlamentare radicale Rita Bernardini, il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, ha liquidato la morte della Balzelli alludendo proprio alla tossicodipendenza della reclusa, sottoposta per questo a terapia ansiolitica. Secondo il magistrato e senatore del Pdl, la detenuta avrebbe assunto gas «come succedaneo di sostanza stupefacente».
Risultato finale: un morto in più e un suicidio in meno. Un gioco di prestigio insomma. Con questo trucchetto Caliendo ha raccontato in commissione la favola «dell’impegno profuso dall’Amministrazione» per rivendicare un calo dei suicidi. Dai 45 del 2007 ai 37 registrati fino ad oggi. Solo che alla fine i conti non tornano. In una nota diramata da Ristretti orizzonti, si precisa che i casi di suicidio documentati sono già 46, mentre altre 10 segnalazioni attendono conferma.
E mancano ancora tre mesi alla fine dell’anno.
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