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Una lettera dalle Vallette racconta il carcere di oggi. Femminile.
Purtroppo nulla di quel che ho letto in queste righe mi ha stupito.
Chi conosce il pianeta carcere, chi con lui ha la familiarità e l’odio del caso sa perfettamente che quel che raccontano queste righe è normale amministrazione, è il carcere di oggi, quello che azzitta e separa, quello dove non esiste lotta ed organizzazione,
quello dove l’abuso è tra i più squallidi e il controllo farmacologico pane quotidiano.

Carcere di Rebibbia…
Mi piacerebbe lo leggessero tutte coloro che si sono addannate per trovare delle scarpette rosse, due giorni fa.
Stralci di una lettera dalle Vallette.
04/11/2013
(…) Mi trovo tutt’oggi ancora ai Nuovi Giunti. Sono stata trasferita il 22 luglio. Io come altre detenute, siamo al livello di non ritorno dalla quasi pazzia. In teoria nei Nuovi Giunti puoi starci massimo 15 giorni.
Dopo svariati mesi da una petizione siamo riuscite a ottenere uno sgabello per cella, poter fare l’aria a uno stesso orario, e non come pecore da pascolo, o tappa-buchi quando le altre sezioni non scendono. Questo era un disagio non da poco. Una mattina alle 9, il giorno dopo alle 11 come veniva comodo a loro e quell’ora d’aria diventava una corsa per poter essere pronte all’improvviso. Questa situazione è da sempre insostenibile. Due ore d’aria e ventidue chiuse senza la possibilità di fare un’attività ricreativa. C’è una bellissima palestra inagibile. Abbiamo ottenuto di poter usufruire della doccia dalle 9 alle 11, orario in cui devi essere già pronta per la così sospirata ora d’aria. Alle 11 passa il vitto. Bene noi al nostro ritorno dall’aria alle 12 abbiamo nei piatti qualcosa di commestibile, di cui non si capisce la fattispecie, messa a giacere per un’ora fino al nostro ritorno in cella. Prima cosa non mi sembra molto corretto e igienico che io debba avere il vitto per un’ora dentro la cella senza neppur vedere cosa mi ci si mette dentro. Io personalmente ho un piccolo aiuto dall’esterno e vado avanti da più di tre mesi a yogurt e frutta. Ma chi non ha la possibilità di fare quel minimo di spesa si fa coraggio chiude gli occhi e butta giù. Le mie compagne mangiano degli alimenti con corpi estranei all’interno!
Poi c’è il lusso della doccia dalle 13 alle 15. Alle 15 bisogna essere pronte per l’aria. Quindi in una sezione dove ora siamo 25, ma spesso si è in 50, con 2 docce funzionanti e un lavabo bisogna fare coincidere tutto. Voglio puntualizzare che nelle celle non c’è proprio la predisposizione per l’acqua calda a differenza delle docce dove c’è un termostato per la temperatura a piacimento loro. Quello che potrebbe essere un piccolo ritaglio di relax diventa una vera e propria tortura per molte, direi quasi tutte. La temperatura priva di calore rende insostenibile il nostro livello di stabilità. Io personalmente faccio comunque la doccia seppur con la speranza che non mi si geli il cervello. Ma le mie compagne sono tutte comunque di un’età sulla cinquantina anche oltre puoi capire il loro disagio e impossibilità di lavarsi dignitosamente: si prendono a secchiate a vicenda prendendo l’acqua dal lavabo della doccia che è per lo meno tiepida. Potrebbero chiamarsi problematiche sorvolabili invece queste condizioni imposte rendono la nostra permanenza e sopravvivenza insostenibili a un minimo tenore dignitoso. Ho deciso di scrivere questa parte di lettera di sfogo perché vedo crollare la stabilità delle compagne sotto ai miei occhi! E mi sto quasi sentendo impotente a poter solo tendergli la mano.
Ci sono detenute che andrebbero spostate in centri che possano aiutarle e non essere imbottite di terapia per non disturbare la quiete delle lavoranti “agenti-assistenti” con il continuo urlo straziante per il loro malessere psicologico con “invalidità al 100% neurologica”. Sono già state in diverse strutture OPG ma ora giacciono qui nei Nuovi Giunti. Io non mi permetto di chiudere la bocca a nessuno. Così per non sentire queste urla assordanti ho praticamente un trapianto di cuffie alle orecchie.
Ho preso realmente coscienza che bisogna fare uscire al di fuori da queste mura la realtà vera, cruda delle carceri italiane. Perché lottando sole facciamo solo numero. Così da questa sera a un mese ognuna di noi farà da passaparola per fare girare la voce nelle carceri italiane. Il 4|12 alle ore 16 faremo una battitura. Nel giro di un mese credo che il passaparola sarà arrivato in tutte le carcere e chi ha la possibilità di mandarci giornalisti al di fuori di queste strutture da degrado, aiuterà a fare uscire oltre queste infinite sbarre il nostro grido di aiuto. Se una persona lotta da sola, resta solo un sogno, quando si lotta assieme la realtà cambia. Qualcuno dovrà pure darci ascolto!
Siamo ancora prive di un contatto con il mondo esterno, prive di tv che potrebbe aiutare a distogliere la mente dai nostri pensieri. La posta potrebbe essere un po’ di zucchero per i nostri cuori ma anche lì abbiamo il lusso che ci venga consegnata “dal martedì al venerdì”, forse non avendo contatti con il mondo esterno non siamo a conoscenza che le poste italiane ora lavorano solo quei giorni. Ma non credo sia così. Dopo un mese dal mio trasferimento a questo penitenziario nuova disposizione: tutta la posta deve essere registrata al computer “quando ne hanno tempo”. Altrimenti come oggi seppur lunedì la posta vista da altre detenute non c’è stata consegnata. In prima sezione hanno fatto la battitura, noi nuovi giunti all’aria ci mettiamo sul piede di guerra: minacciamo di non risalire dall’aria. Così per azzittirci la nostra dignitosa ispettrice ci viene a dire che stanno registrando la posta. A chiacchiere: niente posta. Io personalmente una raccomandata l’ho firmata dopo 9 giorni dal suo arrivo!
Non veniamo rifornite di niente: generi di prima necessità per l’igiene persona e quant’altro. Solo al nostro arrivo un rotolo di carta igienica, due piatti e due posate di plastica, uno spazzolino e un dentifricio con saponetta. Poi dopo aver dormito senza lenzuola coperte e cuscino se sei fortunato entro un paio di giorni dal tuo arrivo puoi ottenerle e poi niente più. E, mi ripeto, chi non ha un piccolo aiuto dall’esterno economico è privo di tutto. Non viene rifornito neppure dalla carta igienica. Ma per fortuna c’è la domenica di mezzo. Ci viene data gentilmente in regalo Famiglia Cristiana e molti giornali. E molte hanno trovato rimedio a scopo carta.
Scrivo terra-terra sdrammatizzando ma siamo nel tunnel degli orrori. Prendendo atto di ciò che è accaduto il 31 ottobre ora do il libero sfogo. Abbiamo sollecitato più volte le assistenti di sezione di tenere sotto osservazione una nostra compagna da giorni in uno stato confusionale e, preoccupate per questa visibile instabilità, abbiamo solo richiesto che venisse applicato il loro ruolo: controllarci. Bene se questo fosse stato fatto con i tempi giusti oggi non ci si troverebbe in questa condizione. Bene siamo scese all’aria alle 15 e al nostro ritorno dopo più di un’ora che eravamo rientrate notiamo un’allarmante via vai di assistenti nella cella di questa nostra compagna. L’hanno trovata priva di sensi con entrambe le braccia tagliate da ferite importanti tanto da procurarsi la sutura di 19 punti al braccio sinistro e 24 al quella destro. Ovviamente mentre era in infermeria viene fatto il cambio cella per essere poi piantonata. “Ovviamente”. Tutto ciò poteva essere evitato ascoltando le sue ragioni. Non volevano consegnarle la spesa della sua concellina uscita liberamente, che aveva fatto tanto di domandina per lasciare la sua spesa a lei. Domandina vista da vari assistenti e poi credo cestinata. Questa è stata la goccia che ha interrotto quel filo sottile della sua stabilità già offuscata. Anche qui sarebbe bastato ascoltare e controllare prima che succedesse l’accaduto.
Malgrado piantonata, la stessa notte per la seconda volta ci è andata troppo vicina: si stava soffocando con la sua maglia, e per ritardare l’accesso alla sua cella di piantonamento ha tirato su la branda facendola incastrare nelle sbarre del blindo. Allora tiriamo fuori la realtà, la verità. Non credo che bisogna aspettare che uno sia sottoterra. Questo va ben oltre. Ieri è andata bene, se così si può dire, facciamo qualcosa. Aiutateci. Aiutiamo queste donne, figlie, madri.
Per finire in bellezza la stessa notte una compagna si sente male. Soffre di gastrite nervosa. Mi dirai che non è una patologia così allarmante, sì se solo non soffrisse di problemi cardiocircolatori. Ha già avuto un arresto cardiaco provocato da questi attacchi. Continuano a farle flebo e punture di “Contramal” per alleviare il suo dolore. Ma in sostanza con i problemi che ha aggrava solo le sue condizioni. Portandola tra le mie braccia di peso sino in infermeria è passata più di un’ora e mezza per fare intervenire la guardia medica.
Bene. Io sono allibita da tutto ciò. Ma non smetterò di combattere per me e le mie compagne, il nostro grido di dolore è assordante ma non ci sente nessuno. La guardasigilli Cancellieri si sta muovendo per noi? Per la popolazione carceraria? Ma deve aiutare noi tutte, detenute dal degrado.
Un grido di aiuto e un affettuoso saluto le detenute seconda sezione Nuovi Giunti.
M.
Seguono le firme di 22 detenute
NOTAV: hanno trasferito Tobia a Cuneo dopo le proteste alle Vallette
Ieri in tarda notte leggevo questa lettera scritta da Giorgio e Tobia, compagni NoTav detenuti nel carcere di Torino.
La leggevo e pensavo a quant’è bello vedere che i compagni, appena entrati in carcere, iniziano a portare avanti forme di lotta necessari per sostenere la detenzione e conquistare agibilità.
La repressione ovviamente non si è fatta attendere: TOBIA E’ STATO TRASFERITO ALL’ALBA DI OGGI A CUNEO!
A tutti i compagni/e
Vogliamo farvi sapere che ieri, mentre si svolgeva il concerto davanti al carcere, noi abbiamo dato corso a una protesta contro le pesanti condizioni di agibilità interna.
Al detenuto spettano, per disposizione ministeriale, 4 ore d’aria. In più sono concesse 2 ore di socialità, in cui i detenuti dovrebbero, appunto, socializzare tra loro.
Fino a poco tempo fa in queste ore venivano aperte le celle e si poteva passeggiare nel corridoio o, volendo, entrare in un’altra cella. Ultimamente ci fanno uscire e, dopo un quarto d’ora, ci fanno entrare nelle celle in cui vogliamo stare.
In questi giorni d’emergenza freddo è impossibile uscire all’aria anche perchè i cortili sono invasi dalla neve e non si sono attrezzati con scarpe adatte. Se non vai all’aria ti obbligano a stare chiuso in cella.
Ieri sera, nella nostra sezione le condizioni sono state inasprite. Invece di aprire tutte le celle contemporaneamente venivano aperte una alla volta, ti portavano alla cella che volevi e ti richiudevano nuovamente.
Quando ci hanno aperto noi (Tobia e Giorgio) siamo rimasti in corridoio rifiutando di farci nuovamente rinchiudere. Allora han provato a metterci contro gli altri, dicendo che fino a quando noi eravamo in corridoio non avrebbero più aperto a nessuno. Dopo esserci consultati con gli altri detenuti, abbiamo deciso di non desistere.
Dopo un po’ di minacce, hanno chiamato la squadretta, composta da mezza dozzina di agenti nerboruti, con il chiaro intento di intimidirci. Al nostro netto rifiuto di rientrare in cella, ci hanno presi di peso e sbattuti dentro, senza però usare violenza.
Dopo una decina di minuti siamo stati convocati dal Direttore che, con modi gentili e molto paternalismo si lamentava che era la terza protesta di questo tipo che avevano messo in atto.
Noi, dopo aver precisato che non volevamo favori ne privilegi personali, abbiamo presentato a nome di tutti i detenuti della sezione una serie di richieste di agibilità minima.
Il direttore ha risposto che ci avrebbe riflettuto sopra e ci avrebbe fatto sapere.
Adesso stiamo valutando il da farsi.
Come i banchieri cercano di far pagare la crisi ai lavoratori, in carcere si cerca di far pagare il sovraffollamento ai detenuti. Vengono progressivamente ridotte le dotazioni (detersivi, carta igienica, ecc.) e, con la scusa di maggiori difficoltà di gestione, gli spazi di agibilità.
La lotta non si fermerà.
i Detenuti del 26 Gennaio 2012
Giorgio e Tobia
Carcere Lorusso e Cutugno
Via Pianezza 300
10151 Torino
Il sesso tra le sbarre nell’era del bunga bunga, e altre storie dal carcere di Opera
Dal Blog Urladalsilenzio, dove prendono voce molti detenuti e molti ergastolani, arriva un’interessante lettera dal carcere di Opera.
Una lettera di un detenuto che spesso scrive alla redazione di quel sito per informare e aggiornare sulla quotidianità tra quelle mura invalicabili e che ora ci racconta cosa significa un irrigidimento del clima all’interno di un penitenziario.
Cosa significa la privazione di piccole cose o il diverso atteggiamento dei secondini: insomma, dalle parole riportate sul sito, stralci di quella lettera, si capisce come le prigioni italiane stiano diventando ogni giorno di più una polveriera.
Una polveriera che se pure non scoppierà, perchè non ci sono le consapevolezze politiche necessarie per gestire una rivolta reale, rende irrespirabile l’aria che respirano quasi 70.000 persone nel nostro paese.
Vi lascio alle parole di Alfredo Sole, che parlano da sole… che parlano anche di sessualità tra le sbarre, argomento tabù nel nostro paese…
il diritto a scopare è dei potenti ormai.
Per quanto riguarda il nuovo clima di “estrema sicurezza”, cinicamente sto sperando che esagerino ancora, in modo che anche i più “pacati” -che poi non si tratta di essere “pacati”, ma è la paura di essere trasferiti e di prendere rapporti- si diano una svegliata e capiscano che non si può stare 20 ore chiusi sempre in cella e che quella volta che esci per andare in doccia la guardia non può starti dietro, e, prima ancora che esci dalla doccia, hai già la cella aperta perché devi rientrare e se attendi un pò, ecco che la voce del padrone si fa dura. DEVI ENTRARE!
Ho fatto la proposta ai lavoranti, tra cui ero anche io, di chiuderci dal lavoro, creandogli così non pochi problemi. Ma a quanto pare nessuno è ancora pronto.. Mi sono chiuso dal lavoro solo io, ma l’ho fatto con la scusa che devo studiare. Non potevo stare fuori a lavorare. Prima che succedesse che cambiasse il loro modo di trattarci, il lavorante aveva la cella aperta dalle 9:00 di mattina fino alle 18:00 di sera. Tutto sommato era anche piacevole. Adesso rispettano gli orari..
TI APRONO TRE ORE AL GIORNO DISTRIBUITE NELLA GIORNATA.
Per ciò significa che quando esci dalla cella è solo per fare un lavoro, ma poi devi rientrare subito.
Bene, io non ci sto, e visto che gli altri non vogliono venirmi dietro (per il momento), mi sono chiuso per motivi di studio. Se rimanessi a lavorare, rischierei di mandare a fare in culo qualcuno… Per adessso preferisco aspettare che i miei compagni si rendano conto che non è possibile farsi la galera in questo modo. Che non siamo in un carcere giudiziario, ma bensì in un penale dove scontare una pena definitiva, e quello tra noi che deve scontare “meno galera” ha 30 anni di carcere; e tutti più o meno abbiamo scontato già almeno 20 anni di carcere.
Poco fa, dalla mia pstazioni di stuidio, la mia cella, ho assistito a una “scaramuccia”. La guardia con la cella aperta di un detenuto e la chiave già inserita pronto a chiudere. Il detenuto che si ferma un attimo a parlare con un compagno e immancabilemnte la guardia.. “deve rientrare, è mezzora che parla!”. Bhè, il mio compagno si è incazzato.. “Ora basta, state esagerando, va bene?!” Sono i primi segnali che a lungo porterano a non far sopportare più questa situazione.
C’è un altro aspetto del carcere che voglio farti conoscere. E’ un aspetto da non sottovalutare, anche se, magari per vergogna, nessuno ne parla. Ma se viene analizzato, nella sua parte “scientifica”, allora si comprende che è qualcosa di importante. Ma putroppo in questo carcere ignorano l’importanza dello sfogo ormonale dei maschi. La notte non c’è detenuto in questo Paese che non si faccia uno zapping in tv per scovare qualche donnina nuda. Oppure, non c’è carceere che non ti permetta di acquistare riviste per adulti. TRANNE OPERA!
Prima dell’avvento del digitale, era possibile la notte trovare in tv qualche programma del genere. Adesso non è più possibile. Così come non è possibile comprare riviste del genere. Anche questa privazione non può che potare a un nervosismo crescente. E’ scientificamente provato che la produzione di ormoni porta alla aggressività.. specialmente in carcere, dove non esiste il sesso, come in molti altri paesi che invece danno questa possibilità.
Il detenuto italiano sfoga questa mancanza con l’autoerotismo che diventa una necessità per controllare la propria aggressività. Ma, come ti ho detto, questo carcere è diretto da persone che pensano che la pena da scontare sia anche questo tipo di privazione. Nonostante ci siano sentenze di Cassazione che dimostrano il contrario. Ma, essendo un argomento delicato, loro fanno affidamento sul fatto che nessuno si ribelli per la vergogna che ne scaturirebbe. Ma quella aggressività di cui ti parlo, comincia a farsi strada. I detenuti sono più nerosi, e gran parte di questo nervosismo è proprio dovuto all’impossibilità di “deliziare la vista”. E’ risaputo che è la donna a usare l’immaginazione, l’uomo ha bisogno della vista. Qui a Opera ci hanno accecati.
Vedi, caro Alfredo, questi sono argomenti di cui nessuno parla. Per molti, compresi la maggior parte dei miei compagni, sono tabù. Ma è un aspetto importante della carcerazione. Se in Italia non esiste il vis a vi come in Spagna la colpa è anche dei detenuti che ritengono questo argomento un verò tabù. Qualcosa di cui vergognarsi al solo pensarlo.
Quando un pò di anni fa qualche parlamentare accenò alla possibilità di fare entrare la sessualità in carcere, i primi a indignarsi furono i detenuti. Beh, una parte dei detenuti. Mi ricordo ciò che dicevano: “Ma stiamo scherzando? Io dovrei fare venire qui la mia donna e tutti sapranno che sto andando a fare quella cosa?”.
EMERITO TESTA DI CAZZO.. avrei voluto dirgli, quello che tu chiami “QUELLA COSA” è il motore del mondo. Sei stato condannato a perdere la libertà, ma non a cessare di essere uomo.
Poi non se ne parlò più. Tipico dell’Italia. Si fa una proposta, si dannno delle speranze ai detenuti, e poi si accantona tutto nel dimenticatoio. Poi ti imbatti in un carcere come questo, e cercano di uccidere anche la tua fantasia… Ma come ti ho detto, io, nel mio cinismo, dico “bene!” Che tolgano sempre di più. Voglio che i miei compagni escano dal letargo, voglio che si sveglino più incazzati di prima che si addormentassero…
Leggi:
Dal letame nascono i fior?
Ultima settimana dello sciopero della fame contro l’ergastolo
Giustizia: uno sciopero della fame per l’abolizione dell’ergastolo
di Sandro Padula Liberazione, 7 marzo 2009
Il 16 marzo sciopero della fame in tutta Italia, di ergastolani, detenuti, parenti, amici, volontari. L’ergastolo, residuo monarchico delle pene detentive italiane, fa discutere e lottare dentro e fuori le mura delle carceri della penisola. Continua infatti lo sciopero della fame degli ergastolani iniziato il primo dicembre, a staffetta e per gruppi di regioni, e proseguono le iniziative dei solidali, all’esterno delle carceri, nell’ambito della campagna per l’abolizione del “fine pena mai”. Il bollettino “Mai dire mai” del mese di febbraio, pubblicato dall’Associazione Liberarsi, e numerosi siti Internet fanno capire che la lotta è proseguita a gennaio e febbraio, trovando anche la solidarietà dentro e fuori dalle mura delle galere in Germania, Spagna, Grecia, Svizzera, Francia e Cile. In diverse città italiane si sono svolti presidi nelle vicinanze delle carceri: il 14 gennaio a Montorio (Verona), il 18 gennaio a Biella; il 24 gennaio ad Alessandria; il 29 gennaio nel borgo S. Nicola di Lecce; il 31 gennaio in via Speziale a Taranto, al quale è seguito un concerto con tre gruppi musicali (SFC, Sick Boy e No Thanx); il 14 febbraio vicino al carcere Dozza di Bologna; il 15 febbraio in via Burla 59 a Parma. Si sono altresì avuti diversi incontri e dibatti: ad esempio, il 17 gennaio presso il laboratorio sociale “La città di sotto” di Biella e il 27 gennaio nella sede di un circolo anarchico di Lecce, dove è stato proiettato il film Filaki – Una rivolta nelle carceri greche, aprile 2007. Alcuni consiglieri regionali hanno espresso la propria solidarietà alla lotta per l’abolizione dell’ergastolo anche nei mesi di gennaio e febbraio: a metà gennaio i consiglieri regionali del Frilui Venezia Giulia Stefano Pustetto e Roberto Antonaz hanno fatto visita al carcere di Tolmezzo, accompagnati da Christian De Vito e da Giuliano Capecchi dell’associazione Liberarsi, per incontrare i detenuti delle sezioni a 41 bis e i detenuti ergastolani della sezione A.S. (Alta Sorveglianza); il 3 febbraio inoltre il Consigliere regionale del Molise Michelangelo Bonomolo, accompagnato da Giuliano Capecchi, ha incontrato i detenuti ergastolani del carcere di Larino. I grandi organi di informazione, complici come sono della produzione dell’”emergenza criminalità” e della caccia al Girolimoni di turno, hanno continuato per lo più a disinteressarsi del fatto che da oltre 60 anni, come dimostra l’esistenza dell’ergastolo, l’articolo 27 della Costituzione repubblicana non è applicato in maniera effettiva. Solo da parte di alcuni giornali locali si è avuto il coraggio di fornire qualche indiretto riferimento alla lotta per l’abolizione dell’ergastolo. Domenica 25 gennaio, ad esempio, il quotidiano “Gazzetta del Sud” ha pubblicato un articolo, riguardante il carcere calabrese di Rossano, che terminava in questo modo: “in vista della protesta di carattere nazionale degli ergastolani che partirà domani e che consisterà proprio nel rifiuto del vitto… tutto il cibo cotto e pronto per la consumazione, anziché essere buttato nella spazzatura, sarà consegnato gratuitamente alla mensa della Caritas”. Qui ovviamente riportiamo fatti che ognuno è libero di considerare come meglio ritiene. Il dramma è che spesso i fatti connessi alla lotta contro l’ergastolo neanche si conoscono. Per questo non solo è utile riportarli nudi e crudi ma anche comunicare subito le scadenze previste per l’immediato futuro. Prima di tutto bisogna ricordare che, dopo il turno della Sicilia (2-8 marzo), lo sciopero della fame riguarderà gli ergastolani e i detenuti del Lazio (9-15 marzo). Il 15 marzo, contemporaneamente all’ultimo giorno di lotta nel Lazio, alle ore 11 avrà inizio un incontro nazionale con all’ordine del giorno due punti: un primo bilancio generale dello sciopero della fame iniziato il 1° dicembre 2008 e le iniziative future per giungere all’abolizione dell’ergastolo e all’attuazione dell’art. 27 della Costituzione. L’Associazione Liberarsi ha chiesto al csoa Forte Prenestino (via Federico Delpino – Centocelle – Roma tel. 0621807855 mail: forte@ecn.org) di poter organizzare al suo interno questo momento di scambio e discussione anche perché già da tempo segue le tematiche del carcere. È prevista la chiusura alle ore 18.00. Last but not least, lunedì 16 marzo ci sarà, a livello nazionale, lo sciopero della fame per l’abolizione dell’ergastolo e per l’attuazione dell’art. 27 della Costituzione italiana. Si mobiliteranno ergastolani, detenuti, parenti, amici, volontari e persone che ritengono giusta la lotta per l’abolizione del “fine pena mai”!
QUESTA SERA AL VOLTURNO OCCUPATO DALLE ORE 18.30
INIZIATIVA SULLA DETENZIONE FEMMINILE, CON PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ANGELA DAVIS,
CENA CON LE RICETTE EVASIVE TRATTE DI SCARCERANDA.
ABOLIAMOLE: presentazione del libro ABOLIAMO LE PRIGIONI? di Angela Davis al Volturnoccupato
“Aboliamo le prigioni?” sarà presentato domenica a Roma al Volturnoccupato, via Volturno 37 alle ore 19 nell’ambito di una “giornata sulla prigionia femminile” organizzata da Scarceranda e Ora d’aria
di Vincenzo Guagliardo, Liberazione 6 Marzo 2009
Che fine ha fatto la famosa compagna afroamericana Angela Davis, per la cui liberazione ci si mobilitò in tanti, e con successo, sia in America che in Europa nei primissimi anni Settanta? E’ rimasta al suo posto: sempre idealmente vicina ai suoi vecchi “maestri”, il filosofo Marcuse e il detenuto ammazzato in carcere George Jackson,
da studiosa e militante ha continuato ad approfondire certi temi, e, mutando e migliorando sempre il suo approccio, propone ora come approdo la lotta per l’abolizione delle prigioni. Così come si è fatto prima per la schiavitù e, ormai in molti paesi, per la pena di morte. (Angela Davis, Aboliamo le prigioni? , minimum fax, 270 pagine, euro 14,50).
Le prigioni sono un cancro nel cuore della democrazia che, così, non è più tale. Il carcere infatti non è solo la prigione, è una vasta intricata e ignorata rete di interessi e conseguenze, è un «complesso carcerario-industriale». «Le strategie di abolizione del carcere riflettono una comprensione dei nessi tra istituzioni che di solito concepiamo come diverse e slegate (…) La povertà persistente nel cuore del capitalismo globale porta a un aumento della popolazione carceraria, che a sua volta rafforza le condizioni che perpetuano la povertà».
I carcerati sono gli eredi degli schiavi, persone senza diritti (e gli ergastolani gli eredi dei condannati a morte). La vecchia pena visibile si occulta dietro i muri, e grazie all’invisibilità viene accettata come cosa normale. Ma da questo laboratorio-memoria ogni tanto le sue tecniche devono fuoriuscire. Mica sono lì per niente. Quando ciò avviene, a Guantanamo o ad Abu Ghraib in Iraq, magari sotto forma di tortura filmata, il progressista scende in campo in difesa della “democrazia”, cui tali aspetti sarebbero estranei: in realtà continua a ignorare la fonte, “il cancro” della cosiddetta democrazia, la sua realtà quotidiana. Ma ora in America ci sono più di due milioni di reclusi. Come nascondersi con tali numeri che il carcere è ormai un ghetto dove buttar via una buona parte della gente ormai considerata superflua, demonizzandola, sottoponendola a un trattamento che terrorizzi gli altri superflui e cementi la morale della gente perbene? E come ignorare che l’esportazione della “democrazia” americana esporta anche questo cancro, che esso ne fa parte… “di brutto”?
Ecco: un discorso semplice, lineare. Siamo arrivati a un momento chiave, possiamo ripercorrere a ritroso il cammino del cancro, giungere alla logica conclusione del discorso (la «democrazia dell’abolizione»). Ma immagino che l’intellettuale italiano medio qualificherà questa analisi come rozza: slogan pietrificati, detriti sociologici… E se fosse evangelica chiarezza? Il futuro che già vediamo in atto anche qui? Beh, se non lo riconosceremo, sarà allora difficile capire il successo ottenuto nel 1998 dagli studenti americani con sit-in e manifestazioni in cinquanta campus. Avevano visto in un filmato che «Le guardie del Brazoria County Detention Center usavano pungoli elettrici per il bestiame e altre forme d’intimidazione per ottenere il rispetto e costringere i prigionieri a dire: Amo il Texas». A guadagnare in quel carcere privatizzato era la Sodexho (con sede a Parigi!): tra le università che hanno rinunciato ai servizi della Sodexho figurano la Suny di Albany, il Goucher College e la James Madison University. La Sodexho ha ceduto, ha mollato il Brazoria…
Se non lo riconosceremo, faremo girotondi.
In appendice al libro della Davis, Guido Caldiron e Paolo Persichetti provano generosamente a dimostrare l’attualità delle tesi abolizioniste dell’autrice riferite alla situazione italiana ed europea. Un’attualità tutt’ora virtuale, s’intende…
Mamme e bimbi in cella: tutto il mondo è paese
Argentina: madri detenute con i loro bambini
Immagini del carcere femminile di Los Hornos, nei pressi di La Plata, che ospita le mamme con i figli fino a 4 anni. Nel carcere sono ospiti 63 bambini, che rimarranno insieme con le loro mamme fino all’età di 4 anni. I reati di cui sono accusate le detenute sono soprattutto legati a furti, traffico di droga e omicidi. Le condizioni di vita all’interno del carcere sono durissime. Nel 2005 una detenuta morì e altre due furono ferite gravemente a seguito di una ribellione.
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