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L’odio per gli anni ’70 e la retorica dei “calli”


C’è una categoria di questo blog a cui tengo molto.
E’ quella dedicata ai
compagni uccisi, una sezione aggiornata costantemente (purtroppo la lista è lunga ed io sono lenta) con pagine di ricordo che hanno come fonte principale gli “Sguardi Ritrovati”, secondo volume del Progetto Memoria (Ed. Sensibili alle Foglie), dedicato a tutti i compagni che hanno perso la vita durante azioni armate.
Io amo ricordare anche loro. Tra i miei morti, quelli che sento parte della mia storia, c’è tutta quella generazione di operai e di sfruttati, di studenti e proletari che scelsero di provarci con le armi a sovvertire questo paese.
Una di queste pagine è dedicata a
Margherita Cagol, tra le fondatrici delle Brigate Rosse, uccisa dai carabinieri di Dalla Chiesa in uno scontro a fuoco durante il sequestro Gancia, in una cascina delle langhe piemontesi.

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Margherita Cagol, durante una manifestazione

Pochi giorni fa il signor Piep Piper, così si è firmato, m’ha lasciato un commento che m’ha particolarmente irritato…
commento che per un po’ ho lasciato a marcire, in sospeso. Il tono è di quelli da vecchio comunista del P.C.I., di quelli che denunciavano gli operai dentro le fabbriche; in più mi accusa della mia età, divertentissimo!
Ora l’ho approvato ed è stato decorato meravigliosamente da una risposta a firma di Paolo Persichetti che sento di sottoscrivere in tono e con sommo piacere … quindi vi riposto qui questo allegro dibattito…
Se volete, i microfoni sono aperti: questo il
link del vecchio post.

Piep Piper: ” Vedo con raccapriccio che la demenza ideologica mascherata da poesia libertaria fa ancora proseliti, anche tra chi, essendo nata nel 1982, di quello che sono stati i sanguinosi anni 70′, probabilmente ha solo leggiucchiato in piena era già berlusconiana. Si vergogni, la Cagol era solo una potenziale assassina, allo stesso livello di quelli che diceva di combattere. Noi comunisti veri, coi calli sulle mani, ce ne abbiamo le palle piene di voi, poeti borghesi della libertà col mitra in mano. Chi spara non ha mai ragione, si rilegga (se mai l’ha letto) Socrate, Gandhi, Pasolini e anche Paperino.”

Paolo Persichetti:

Commendator Piep Piper,
Di sicuro gli unici calli che lei conosce sono quelli che crescono tra l’indice e il medio, notoriamente i calli della spia, come quelle che negli anni 70 denunciavano gli operai insubordinati, i quadri di lotta più combattivi, i militanti che nei quartieri portavano avanti le battaglie sociali e che davano fastidio al suo Pci coinvolto nella politica di solidarietà nazionale, nel compromesso storico, nella strategia dell’austerità che chiedeva alla classe operaia di lavorare di più e rinunciare agli aumenti salariali. Eravate i maggiordomi della Fiat, gli informatori delle questure, stilavate liste di sospetti che poi portavate a Dalla Chiesa e ai vostri magistrati, come Caselli.

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Il modo in cui operavano i carabinieri del generale Dalla Chiesa

Voi siete quelli del muro di Berlino, di una concezione del socialismo che pensava di organizzare la società come una caserma. Quel tipo di socialismo che irrideva Brecht quando ricordava il discorso del segretario dei comunisti di Berlino, che davanti ad una piazza di operai in protesta non chiedeva le dimissioni del comitato centrale ma quelle del popolo. Lei è della stessa pasta dei Severino Galante, dei Luciano Violante. Uomini dell’ordine statale, legalitari, amate le toghe non le tute blu. Pensate che la società debba essere un tribunale.
Nei posti di lavoro e nei quartieri avete preso il posto delle Digos e dimenticato persino l’azione sindacale. La lotta di classe non la praticavate più da tempo con la vostra ideologia del patto tra produttori. Da classe operaia dentro lo Stato, siete diventati un pezzo di Stato dentro la classe operaia.
Grazie ai “sanguinosi anni 70”, come lei li chiama con consumata prosa berlusconiana-girotondina (rovesci della stessa medaglia), abbiamo avuto per un paio di decenni la scuola di massa, il diritto allo studio per tutti, l’accesso alle università senza più criteri di classe (così i figli di operai e dei contadini sono potuti diventare avvocati o medici), il divorzio, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia, la chiusura dei manicomi, la riforma carceraria, il diritto all’assistenza sanitaria, il miglioramento e l’estensione delle pensioni, il punto unico di scala mobile, conquiste salariali e normative sul diritto del lavoro, un abbozzo di Stato sociale prima inesistente, e altro ancora.
Tutte cose smantellate a partire dagli anni 80, grazie a gente come lei. Per quelli come la Cagol, era ancora troppo poco. Ma senza gente come lei tutto questo non ci sarebbe stato.
Quello che lei scrive mi fa pensare ad una frase di Socrate: “Più gente conosco, e più apprezzo il mio cane.”
Forse farebbe bene a seguire anche il consiglio che Gandhi dava quando incontrava tipi come lei: “Dobbiamo fare il miglior uso possibile del tempo libero”, aggiungo, invece di scrivere stronzate a commento dei post altrui che non gradisce.
Pasolini se lo tenga pure. Lei è di quelli che ama di certo la poesia in cui si sbrodolava per i poliziotti del 68. Criticava la modernità capitalista perché era un nostalgico dell’evo rurale. Ha scritto anche cose giuste, come spesso accade ai più lucidi reazionari.
Paperino? Certo che adoriamo Paperino.
Lei invece è di quelli che si identificano con Topolino, e forse ancora di più con Gastone.alanford_1_big Viva il papero proletario che rifiuta il lavoro, che non vuole morire in fabbrica e cerca di strappare qualche dollaro a quel taccagno di suo zio. Nella paperopli degli anni 70, lei invece sarebbe stato uno di quelli arruolati in difesa del suo forziere. Oggi invece è con quelli che concepiscono la politica unicamente come uno scontro tra Rockerduck-Berlusconi e Debenedetti-Paperon de Paperoni.
Si vede che ha letto per troppo tempo Tex Willer e Zagor. Un po’ di Gruppo Tnt e di Mafalda le avrebbe allargato il cervello.
È dai fumetti che uno legge da bambino che si vede poi cosa diventerà da grande.

  1. Arkeon
    16 novembre 2009 alle 07:47

    Sottoscrivo e concordo pienamente con quanto scritto da Paolo Persichetti. Noi operai e impiegati ne abbiamo pieni i.. di tutta questa gente che in anni e anni ha distrutto sistematicamente quanto i nostri padri e nonni erano riusciti a costruire con le lotte, con il sudore e con il sangue di tanti compagni e compagne morti negli scioperi e nelle lotte sociali. L’augurio per tutti di un risveglio generale da questo torpore, e un ricordo commosso a chi per idee progressiste ha sacrificato anche la propria vita senza chidere nulla in cambio e senza trincerarsi dietro frasi di comodo e retoriche, ahimé fin troppo sentite

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  2. 24 novembre 2010 alle 01:15

    una sola segnalazione.

    La rimando a questo indirizzo

    http://javert113.wordpress.com

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  3. Noi
    23 febbraio 2011 alle 22:00

    ..a quel tempo attorno al 1975, per “bizzarra” tradizione familiare, ero iscritto alla FGCI, non avevo fatto la comunione in chiesa ma in piazza con preti di una Comunità di Base… poi spretatisi. Si frequentava la sezione del quartiere, si diffondeva l’Unità la Domenica mattina, si faceva la festa dell’Unità col porcellino e la lotteria, in mezzo a più o meno vecchi “compagni” beceri, ignoranti, partigiani che portavano ancora addosso le cicatrici delle manganellate fasciste e le discriminazioni padronali, ignoranti….ma autentici. Si era convinti che quella strada presto o tardi avrebbe significato in qualche modo il sol dell’avvenir.
    Ogni tanto arrivava l’Ivan Franko e si era tutti invitati e i dirigenti che tornavano dall’URSS raccontavano i progressi e le magnificenze della società socialista. Non era ancora di moda la critica al Socialismo reale. I Dirigenti, col loro fare sempre serio e pretesco, incutevano timore reverenziale, per la loro magniloquente cultura e il loro eloquio forbito alla grassa ignoranza proletaria. Allora non si coglieva il paradosso di avere come capo del PCI un ex(?)-conte latifondista sardo, non si coglieva che “quella” classe dirigente poco aveva da spartire in termini di origini con la classe operaia. I compagni erano persuasi che “il manovratore” sapesse cosa stava facendo, anche quando sostenne il governo Andreotti, votò la legge Reale, minimizzò sulle violenze e sulle torture, istituì finte commissioni di inchiesta che “indagassero sulle tante morti poliziotte” che si verificavano (e si verificano) con incidenza crescente e preoccupante per le strade e nelle questure. Finte commissioni che non approdarono mai a nulla, servirono solo per tenere al basto persone come ero io, e come forse (e dicendolo gli concedo il beneficio dell’onestà intellettuale di cui non ne sono certo) è ancora Pier Piper. Al basto, pronti ad ubbidire a quella accozzaglia di borghesi spie e bastardi, servi dello Stato clericalfascista che erano i dirigenti del pci, agenti al servizio del capitalismo il cui compito era quello di tenere a bada la classe proletaria con la frottola della “terza via al socialismo…come insegna il compagno Gramsci”. Tutte palle buone per imbonire dei coglioni per 40 anni, qunado poi il vento è passato hanno fatto presto a riciclarsi pur di mantenere lo scranno a Montecitorio (e con esso gli interessi economici che supportavano). Hanno cambiato nome, tanto non significava più niente, hanno cambiato obiettivo (mai importante in realtà), pur di continuare a stare a galla. Quelle merde hanno così dimostrato di essere dei farabutti imbroglioni, mentre chi ha scelto la violenza, subendone fino in fondo le conseguenze, ha solo dimostrato tutt’al più la sua coerenza. Se la lotta armata dal punto di vista strategico e militare è stata una follia, dal punto di vista esistenziale è comprensibilissimo. Credo che assistere alla morte di tanti ragazzi per le piazze d’italia e alla conseguente e colpevole ignavia di quei dirigenti felloni ed agenti del Capitale, abbia finito con lo smuovere più di qualche animo. Se Pier Piper rivendica la bontà della sua scelta ad aver sostenuto Andreotti pur di far la guerra a Mara Cagol, perchè così gli dicevano i suoi padroni, si compiaccia oggi, come gli suggerisce Violante, di Sostenere Berlusconi. Ma per lo meno cerchi di dimostrare di sapere da che parte sta !

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  4. KTsandy
    8 marzo 2012 alle 02:53

    Gli anni 70 sono stati un periodo “abnorme”, così densi di avvenimenti e stimoli e fatti che vale la pena di ricordare e raccontare, tanto che fanno sembrare il XXI secolo un fotoromanzo in bianco e nero. Li chiamo “gli anni innocenti” perché sono davvero gli ultimi momenti d’innocente colpevolezza di una generazione che non aveva conosciuto la Guerra, quella con la G maiuscola, ma che ha vissuto con dolore la dissoluzione degli ideali.
    La disamina storica e il giudizio spetta alle nuove generazioni non a noi. Noi possiamo dire giusto questo: io c’ero.

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