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Altra fuga per un po’ di giorni…
Proverò a prender confidenza con il freddo dell’Europa continentale.
Solo a scriverlo mi sento a disagio, ma sicuramente i tetti di Paris e la sua luce obliqua mi faranno pentire di tanti anni di indifferenza.
E’ che son legata ad altri colori, ad altri odori…il mio corpo non sentirà alcuna attrazione per quella terra: il mio cuore e la mia testa sicuramente scopriranno invece un mondo affascinante, curioso, reattivo, interessante. Cose lontane anni luce dalle strade di questa stupida e ormai insostenibile Italia.
Quindi so che ti amerò, struggente Parigi … di quegli amori scontati e duratori, con poche scosse passionali e una riverenza incantata.
Ti amerò, senza che il mio corpo potrà mai innamorarsi di te: ma bando alle troppe inutili ciance, vengo a conoscere il tuo abbraccio!
Israele e i progetti di “deportazione”
Eppure ad intuito uno avrebbe pensato che lo Stato ebraico d’Israele provasse repulsione per la parola DEPORTAZIONE!
E invece:
“I loro genitori li stanno usando per guadagnarsi uno status legale in Israele Israele – ha dichiarato il ministro degli Interni Eli Yishai – Se non li deportiamo i lavoratori immigrati continueranno a sfruttare la gentilezza dello stato di Israele”. Molti immigrati sono costretti a firmare contratti di lavoro in cui si impegnano a non avere figli in Israele e impongono alle donne incinta di lasciare il Paese. Nonostante questo, si calcola che almeno duemila bambini siano nati negli ultimi dieci anni in Israele. Di questi, seicento erano riusciti a rientrare in un sanatoria offerta dal governo nel 2006.
In giugno OZ, la nuova unità anti-immigrazione, aveva lanciato una campagna volta ad espellere trecento mila immigrati irregolari. Critiche da parte della società civile e di numerose organizzazioni non governative avevano spinto il primo ministro, Benjamin Netanyahu, a sospendere l’operazione per tre mesi. Il 21 ottobre le autorità hanno iniziato a rimpatriare settecento lavoratori adulti, mentre una commissione parlamentare ha stabilito di incominciare ad espellere i bambini a partire dalla metà del 2010, quando si chiuderà l’anno scolastico.
3 giorni di iniziative per i/la compagna di Magliana
Dopo oltre un mese Francesca, Gabriele e Simone sono ancora agli arresti domiciliari a seguito di accuse false e infamanti fatte da alcuni ex occupanti alimentate dagli organi di informazione al soldo dei costruttori romani.
Per questo dal 22 al 24 ottobre si svolgerà a Magliana una tre giorni di iniziative a cura della ex scuola occupata 8 marzo, della ciclofficina Macchia Rossa e del CSOA Macchia Rossa.
GIOVEDì 22 e VENERDì 23
dalle ORE 17.00: BANCHETTO DI INFORMAZIONE E DISCUSSIONE (PIAZZA DE ANDRE’)
SABATO 24
grande iniziativa per sostenere le spese legali della compagna e dei compagni arrestati
ORE 15.00: GRANDE ASTA POPOLARE DI BICI USATE (PIAZZA DE ANDRE’)
a seguire: GRAZIELLIADI (corsa di bici pieghevoli). IN PALIO UNA GRAZIELLA.
ORE 20.30: CENA (EX SCUOLA OCCUPATA 8 MARZO)
Inoltre: ciclolab per bambine/i, proiezioni, dj set notturno
QUESTO L’APPELLO DA SOTTOSCRIVERE:
Il 14 settembre scorso nel quartiere Magliana, a Roma, si è consumato il tentativo di sgomberare l’occupazione a scopo abitativo dell’ex-scuola Otto Marzo. Nonostante il consistente spiegamento delle forze dell’ordine (circa 200 carabinieri guidati dal comandante provinciale dell’Arma) l’operazione non è riuscita.
A fermarla è bastata la resistenza pacifica ma determinata delle 40 famiglie che abitano nell’ex edificio scolastico. Constatato l’insuccesso, i carabinieri hanno tratto in arresto alcuni occupanti: 5 lavoratori precari che non potendosi permettere un affitto a prezzi “romani” hanno avuto il merito di non rassegnarsi a sopravvivere ma di lottare insieme ad altri, spinti dalla necessità materiale di avere una casa e dal desiderio di un diverso abitare. È così che in 2 anni di occupazione gli arrestati insieme ad altri nuclei familiari hanno recuperato uno spazio pubblico abbandonato al degrado restituendolo all’intero quartiere: oggi l’ampio giardino della ex- scuola è uno dei pochi spazi verdi di Magliana, mentre le sue mura ospitano una scuola di teatro e una palestra popolare tirata su con le fatiche degli occupanti. Un auto-recupero che evidentemente nella capitale fa paura a molti: Roma vive, in effetti, da anni una condizione di emergenza abitativa, nonostante gli appartamenti sfitti sfiorino le 200.000 unità. Una città paradossale: la popolazione non cresce da circa vent’anni ma si continua a costruire senza sosta, mentre il bisogno di casa ha fatto sorgere diverse occupazioni, a scopo abitativo, di stabili pubblici abbandonati.
Dopo la sentenza del riesame, che ha avuto luogo il 29 settembre scorso, 3 dei 5 arrestati sono ora agli domiciliari, uno di loro invece ha l’obbligo di firma quotidiana presso il commissariato di P.S., mentre il quinto è stato liberato dopo 10 giorni di detenzione. Per un sesto occupante, che si trova all’estero per motivi di lavoro, pende una richiesta di arresto presso il proprio domicilio.
Le accuse a loro carico sono state formulate da un unico testimone: un ex-occupante allontanato dallo stabile perché violento e sessista, che oggi li accusa di estorsione, violenza privata, nonché di furto di rame e di corrente elettrica. In particolare quest’uomo, sostiene che i sei avrebbero preteso in cambio della permanenza nello stabile un “pizzo” di 150 euro mensili per ogni singolo abitante (compresi i minori). Non è stato ancora possibile per gli avvocati della difesa ascoltare quest’individuo, né far testimoniare gli altri abitanti della “8 Marzo” che scagionerebbero gli accusati. Così prima che il riesame deliberasse la scarcerazione, il Gip ha confermato gli arresti a scopo cautelare benché non esistesse alcun pericolo di fuga e nonostante l’impianto accusatorio sia a dir poco fantasioso: com’è possibile, per esempio, che famiglie numerose come alcune di quelle della “8 marzo” possano pagare una cifra che complessivamente supererebbe quella di un affitto? Com’è possibile non tener conto dell’incompatibilità dell’accusa di estorsione con lo stile di vita e i movimenti di denaro, ampiamente documentati dalla difesa, di 6 precari squattrinati?
– Per quanto riguarda poi il presunto furto di rame, l’accusa sostiene che gli arrestati avrebbero sventrato l’intero palazzo per ricavarne il prezioso materiale dall’impianto elettrico il quale però oggi risulta perfettamente funzionante; ma, nel caso fosse reale tale assurda imputazione, come sarebbe possibile accusarli anche di furto di elettricità? Delle due l’una.
– Per quanto riguarda il furto di elettricità bisogna inoltre ricordare che gli occupanti hanno fatto, più volte, richiesta di regolare allaccio per poter pagare la corrente di cui usufruiscono. Tale regolarizzazione non gli è stata però mai accordata.A rimarcare l’infondatezza delle accuse si aggiungono le numerose attestazioni di solidarietà che i 6 hanno ricevuto da tutti i movimenti di lotta per la casa, dai movimenti studenteschi e universitari, da numerosi centri sociali e associazioni socio-culturali della città che hanno organizzato varie iniziative politiche in loro sostegno.
– Per quanto concerne le vicende personali dei 6 occupanti accusati è necessario evidenziare che uno di loro è in gravi condizioni di salute e attende da tempo un intervento molto delicato. Nel corso dei 16 giorni di detenzione gli è stata nei fatti negata la possibilità di una visita specialistica da parte di un chirurgo oncologo.
Siamo sgomenti di fronte a una tale sospensione dei diritti civili nel nostro paese e chiediamo pertanto la fine di qualsiasi restrizione alla libertà di tutti loro. Allo stesso tempo però, al di là delle decisioni del Gip e del tribunale del riesame, non possiamo dirci sorpresi dall’intera vicenda.
Con questo appello vogliamo, difatti, portare all’attenzione generale eventi che altrimenti rimarrebbero rubricati nella cronaca locale, per riannodarli in un discorso politico più ampio che riguarda tanto il disastro urbanistico della città di Roma quanto le ingiustizie sociali che si consumano nel paese in cui viviamo.
La campagna d’autunno di Alemanno è cominciata, per chi non se ne fosse accorto, il primo settembre scorso con lo sgombero dell’ex ospedale Regina Elena. L’edificio di proprietà dell’università (anch’esso abbandonato al degrado da diversi anni) in cui dal 2007 avevano trovato una sistemazione circa 300 nuclei familiari. Ciò che è accaduto il 14 settembre, primo giorno di scuola, a Magliana non è che la prosecuzione di tale campagna. Per i circa 30 bambini che vivono nella Otto Marzo l’anno scolastico è così iniziato sul tetto dello stabile che li ospita insieme alle loro famiglie. Tema dell’insolita lezione, il diritto all’abitare. Il metodo d’insegnamento seguito, invece, è lo stesso degli operai della Insse. All’alba, bambini e genitori sono stati infatti costretti a rifugiarsi sul tetto dell’edificio in cui vivono per difendersi dall’operazione di sgombero.
Nelle ore successive al blitz, il sindaco Gianni Alemanno ha fatto riferimento, commentando l’operazione, all’esistenza di un “vero e proprio racket delle occupazioni”, del quale sarebbero vittime “persone costrette a pagare un affitto e a partecipare a manifestazioni” e altre addirittura “aggredite e malmenate perché non pagavano questi veri e propri pizzi”. Una tesi, quella sottoscritta dal primo cittadino capitolino, che fa eco a quanto più volte sostenuto dal presidente della Commissione Sicurezza del Comune, Fabrizio Santori. Il quale, del resto, nei giorni scorsi aveva avuto modo di lanciare i suoi strali contro il blog del comitato d’occupazione della “Otto Marzo”, definendolo “un canale d’informazione deviato”.
In effetti, la libertà d’informazione sembra essere l’altro nodo della questione esplosa a Magliana. “Ma nun c’avete ‘na famija pure voi?”, gridava un occupante a un carabiniere prima che salisse la tensione. “Io sono come un muratore”, rispondeva l’altro “se il costruttore mi dice che devo fare una casa a forma di piramide, io la faccio”. Mai paragone fu più calzante: sono difatti Il Messaggero e Il Tempo, quotidiani dei costruttori Caltagirone e Bonifaci, ad aver dato risonanza negli ultimi giorni alla campagna dei “si dice” e dei “pare che” contro l’occupazione. Senza che i giornalisti di queste testate siano mai venuti a fare un’inchiesta nell’occupazione di questo quartiere già preda decenni addietro del famigerato sacco di Roma. Gli unici giornalisti main stream a essere venuti nell’ex scuola a fare domande e riprese erano stati quelli di Report, (Il Male Comune, puntata del 31 maggio 2009). Milena Gabanelli aveva spiegato cosa significasse l’auto-recupero della “Otto Marzo” per le famiglie di Magliana, inserendo quest’occupazione nella più generale situazione abitativa e urbanistica romana (questa sì, veramente preoccupante).
Quest’autunno la trasmissione di Rai Tre sembra abbia avuto non pochi problemi a ripartire. Proprio per il giorno degli arresti il comitato d’occupazione aveva indetto una conferenza stampa per prendersi il diritto di replica alla campagna diffamatoria del Messaggero e del Tempo. Qualche muratore ha però costruito una piramide di troppo che ha costretto gli occupanti a ridiscutere la loro agenda.
La vicenda di Magliana e gli arresti dei 6 precari, spingono dunque a una riflessione più ampia sul concetto di libertà di stampa.
Chi oggi ritiene che la profonda crisi democratica che pervade il paese riguardi esclusivamente la programmazione dei palinsesti Rai è destinato a rimanere minoritario. Continuerà, cioè, a restare ostaggio di un populismo che ha gioco facile nell’alimentare l’idea che esista un’élite intellettuale e politica ossessionata a tal punto dalla persona del premier da arrivare a preoccuparsi di quanto accade sotto le sue lenzuola. Le preoccupazioni, destate da quello che si presenta come l’esito più recente di una crisi democratica dalle profonde radici storiche, niente hanno a che vedere con la ripugnanza estetica suscitata dal cattivo gusto di Berlusconi. Se questo è vero, va in egual modo evidenziato che l’inquietudine avvertita da molti non può limitarsi al feroce attacco subito in questi giorni da alcuni quotidiani nazionali, quali La Repubblica e L’Unità. Lo stretto controllo che il potere esercita sulla propria rappresentazione è in effetti fortemente connesso a ciò che si iscrive sulla pelle e nel quotidiano delle persone. Appare evidente, in tal senso, che vi è da tempo un tentativo di far sembrare naturali e ineluttabili processi economico -sociali che invece appartengono alla dimensione dell’agire politico. L’intento è cioè quello di ridurre questioni collettive come il disagio abitativo, la precarietà e la riduzione del potere d’acquisto degli stipendi, a problemi che riguardano il singolo e il suo personale fallimento sociale. Implicazione non trascurabile di questo discorso, ormai egemone, è che coloro che tentano di organizzare nei territori lotte su tali temi sono non solo generici “farabutti”, ma addirittura criminali che attentano all’ordine e alla sicurezza pubblica.
Invitiamo perciò a sottoscrivere questo appello tramite il quale si chiede che i 5 occupanti vengano immediatamente liberati poiché i fatti contestati non sussistono, che le accuse, assurde ed infamanti, vengano ritirate e pubblicamente smentite e, in ultimo, che si faccia piena chiarezza su quella che è una lotta per il diritto all’abitare che non può, e non deve, essere ricostruita come una questione di malavita.
Per aderire a questo appello mandate una e mail con nome, cognome e professione, all’indirizzo: occupa@inventati.org
Comitato di Occupazione Magliana
CSOA Macchia Rossa
Ciclofficina Magliana, Coordinamento cittadino di lotta per la casa, B.P.M.- Blocchi Precari Metropolitani, Asia- R.D.B. ,Action, L.O.A. Acrobax Project, Volturno-Occupato, Horus Liberato, C.S.O.A. Corto circuito, C.S.O.A. Spartaco, C.S.O.A. La strada, C.S.O.A. Sans Papier, Spazio Sociale 32, Militant, Atelier ESC, Point Break, Strike S.P.A., Casa Occupata Portonaccio, Senza Tregua, All Reds Rugby Roma, Spazio Sociale Ex 51, Laboratorio Sociale “La Talpa”, USI-A.I.T. ,C.S.O.A. EX Snia, Associazione Yakaar Italia Senegal, Circolo di Rifondazione comunista “Primo Maggio” Corviale, CST Decolliamo, L38SQUAT, Comunisti-sinistra popolare, La rete dei comunisti (Roma), Federazione romana del PRC, Luna e le altre, Collettivo “l’Officina” di Ostia, Coordinamento dei Collettivi – Sapienza, Collettivo di Fisica – Sapienza, CSOA Forte Prenestino, Assemblea Coordinata e Continuativa Contro la Precarietà, Co.M.Uni.A. (cospirazione metropolitana per l’università autogestita) della Sapienza, Comitato di lotta per la casa di Livorno, Lab6b Economia (Sapienza), Kollatino underground, Comitato di quartiere Pigneto Prenestino, Cantiere Sociale Tiburtino, Collettivo Giovanile Tifiamo Rivolta, Assemblea permanente di Fisica – La Sapienza, Confederazione COBAS – Roma, Sinistra e Libertà XV Municipio,Centro Donna L.I.S.A., Ciclofficina exLavaderia, A.R.C.A. associazione romana casa e ambiente, Radio Onda Rossa, Collettivo Antagonista K4R del Liceo Classico Anco Marzio, Martedi autogestito da femministe e lesbiche-Radio Onda Rossa, Le Ribellule,Coordinamento donne contro il razzismo, Laboratorio Sociale Autogestito 100celle, Agenzia X, Sinistra e Libertà I° Municipio, Radio Città Aperta, Mithra (collettivo musicale romano), Palestra Popolare Valerio Verbano, Astra 19 Spa, Associazione interculturale Villaggio Globale, Collettivo “tutti potenziali bersagli”, C.S.O. Ricomincio dal Faro, Collettivo Comunista Romano, Associazione Marxista Unità Comunista,
Botta e risposta tra Casa Pound e Liberazione: esilarante
Richiesta di rettifica ai sensi dell’art. 8 L. 47/48.
Nella qualità di Presidente e legale rappresentante pro tempore dell’Associazione di Promozione Sociale CasaPound Italia, Vi diffido a rettificare, nei termini e modi di legge, il contenuto dell’articolo «Roma, Giovane Italia dopo l’attentato vuol chiudere Radio Onda Rossa», a firma di Paolo Persichetti, da Voi pubblicato nell’edizione del 3 ottobre 2009, alla pagina 4, pubblicando con il medesimo rilievo e uguale posizione, il seguente testo: «Si precisa che non è esatto quanto riportato, a pagina 4 dell’edizione del 3 ottobre 2009, nell’articolo “Roma, Giovane Italia dopo l’attentato vuol chiudere Radio Onda Rossa”, e cioè che l’azione politica di CasaPound sia architettata al solo scopo di garantire agli associati un ingresso nel Pdl per non restare fuori “dai giochi e soprattutto dalla torta dei soldi che arrivano dal sottogoverno”. Vero è, infatti, che l’attività politica, sociale e culturale dell’associazione, finanziata esclusivamente dai contributi degli associati, mira a proporre un nuovo rivoluzionario concetto politico, l’Estremocentroalto, e che, a tal fine, la stessa associazione è pronta a dialogare e confrontarsi con chiunque, senza volgari pregiudizi né puerili pregiudiziali». In mancanza di un Vostro riscontro entro i termini di legge, Vi preannuncio sin d’ora l’intenzione di adire l’autorità giudiziaria al fine di ottenere giusta tutela dei diritti dell’associazione.
Gianluca Iannone
RISPOSTA SU LIBERAZIONE DEL 14 OTTOBRE 2009
Perché mai negare così nervosamente l’evidenza? Che CasaPound faccia parte di quella sessantina di associazioni, che dopo un bando sono entrate nella graduatoria dei finanziamenti stanziati lo scorso agosto, con procedura del tutto anomala, dalla presidenza del consiglio comunale di Roma, è un fatto pubblico attestato da una delibera per «Attività culturali, sportive e folkloristiche». Per altro, in una risposta polemica alle dichiarazioni fatte dal sindaco Alemanno sulla necessità di ridiscutere il “finanziamento” a CasaPound, dopo che una giornalista si era vista vietare l’ingresso all’incontro-dibattito con Marcello Dell’Utri sui ”diari del Duce”, organizzato nella sede romana di via Napoleone III, lo stesso Iannone aveva precisato che «della vittoria di un bando» si trattava. Appunto!
Certo brucia non essere più i primi della classe, non poter più vantare l’aristocratica purezza di chi rivendica per se “etica, epica ed estetica”, ma si è piegato alla pratica plebea di ricevere denaro pubblico, come un normale client.
Quanto al resto, le coloriture futuriste, le provocazioni dannunziane, la postura superomista, lo stile scapigliato, spostano di poco la sostanza politica di un gruppo che agita simbologie tutte interne al blocco sociale della destra di governo e conduce con brio la marcia d’avvicinamento-dialogo con l’area multiforme del Pdl. Insomma siamo sempre lì, nel cortile del Palazzo, all’Estremocentroalto, come lo chiamate, che non è in politica quello che nel calcio ha rappresentato la «bizona» del mitico Oronzo Canà, col suo rivoluzionario modulo 5-5-5, ma qualcosa che dietro l’iperbole della formula nasconde una visione inquietante.
«Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici; conservatori e progressisti; reazionari e rivoluzionari; legalitari e illegalitari; a seconda delle circostanze, di tempo, di luogo, di ambiente, in una parola di “storia” nelle quali siamo costretti a vivere e ad agire». Lo diceva un tale nel 1922. Anche lui cercava posizioni «regali e sovrane, al di là degli opposti sbandamenti», anche lui elogiava «la vita come ascesa», anche lui immaginava «la partecipazione per base, la decisione per altezza e la selezione per profondità» e rifiutava «l’attrazione morbosa per l’informe e il deforme». Anche lui praticava «l’Estremocentroalto». Si chiamava Benito Mussolini. Appunto.
Paolo Persichetti
Sit in contro il golpe in Honduras
IL 13 OTTOBRE TUTTI E TUTTE SOTTO L’AMBASCIATA DELL’HONDURAS
CONTRO IL GOLPE MILITARE-FASCISTA
Sono trascorsi oltre tre mesi dal golpe in Honduras finanziato e realizzato dalla cricca oligarchica del paese che detiene la totalità della ricchezza e del potere politico e militare.
Da quel 28 giugno, giorno in cui ha preso avvio il golpe e la successiva dittatura militare-fascista, si contano a decine le vittime, a centinaia gli arresti e le torture tra la popolazione civile che ogni giorno porta nelle piazze il suo coraggioso NO AL GOLPE.
La giunta golpista per tutta risposta ha sospeso ogni garanzia costituzionale e instaurato lo stato d’assedio attraverso il Decreto Esecutivo PCM-M-016-2009 del 26 settembre scorso, misura condannata duramente anche dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) in quanto “violatoria del diritto internazionale”.
Questo decreto permette di fatto alla polizia e all’esercito di entrare nelle case e arrestare chiunque sia sospettato di opporsi alla dittatura, avalla la chiusura di giornali e radio e ogni voce che critichi il regime golpista.
In questi tre mesi, le forze democratiche e popolari del paese, hanno costruito una resistenza che si esprime con manifestazioni di massa pacifiche pagando un costo di decine di morti e centinaia di arresti.
Il popolo e la resistenza honduregna lottano incessantemente in ogni momento, ma la fine della dittatura golpista sarà più vicina con la solidarietà internazionale.
Portiamo pertanto la protesta sotto le ambasciate dell’Honduras; chiediamo ai governi europei e a quello degli Stati Uniti di rompere definitivamente le relazioni diplomatiche e commerciali con la giunta golpista.
Tutti e tutte martedì 13 ottobre ore 17,30 sotto l’ambasciata dell’Honduras in Via Giambattista Vico n.40
Contro il fascismo sempre! No al golpe ! No pasaran!
Prime adesioni: Associazione A Sud, Comitato Carlos Fonseca, Unione Forense per la Tutela dei Diritti dell’Uomo, Comitato Pro Zelaya, Centro Sociale Ex Snia, Collettivo Italia-Centro America, Associazione Italia-Nicaragua, Annalisa Melandri, Rete Antifascista Metropolitana, SiporCuba, Radio Latina Web, Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive!, Conf. COBAS, Marco Rizzo, Comunisti Sinistra Popolare, redazione Guardare Avanti!, Circolo Celia Sánchez PARMA Ass. Nazionale Italia Cuba, Comité Internacionalista Camilo Cienfuegos, Cicolo la villetta per Cuba Piombino, area programmatica e culturale Sinistra Comunista –PRC, Spazio Sociale Ex 51, Fulvio Grimaldi, Sandra Paganini, Circolo della Tuscia, Italia Cuba
Sgomberato all’alba GIAP, nuova occupazione romana nel cuore di San Lorenzo
Era stato veramente un piacere passare a vedere questa nuova occupazione, tre giorni fa.
Un gran piacere per la sua composizione sociale, per gli sguardi giovanissimi dei fanciulli che riempivano quei pavimenti, per la quantità di sorrisi e speranze presenti in quei locali.
Giovanissimi, in mondo impressionante, gli studenti medi e universitari che avevano occupato questo nuovo spazio, con il desiderio di renderlo fruibile al quartieri anche con l’apertura di uno sportello casa, uno sportello lavoro, una ludoteca popolare e una sala della partecipazione dove precari e studenti potevano entrare per assemblee, riunioni ed iniziative.
Uno spazio così non poteva che esser necessario in una città come questa, ora.
E’ stato sgomberato stamattina….
Oggi alle 7:20 di mattina, è stata sgomberata GIAP, l’occupazione che da sabato mattina cercava di riqualificare i locali, abbandonati da almeno 15 anni, fra via degli Ausoni e via dei Sabelli. Lo spiegamento messo in campo dalle forze dell’ordine è stato particolarmente imponente, circa 250
agenti.
Una novità per un’occupazione che non era abitativa, e che durava da appena 3 giorni. Nonostante non siano ancora del tutto note le motivazioni che hanno portato ad un intervento così massiccio, è facile
immaginare che dietro vi sia il solito intento speculativo da parte della proprietà. Piuttosto che affrontare le questioni sociali che Giap si proponeva di portare all’attenzione della cittadinanza, le istituzioni e le forze dell’ordine preferiscono, ancora una volta, reprimere il dissenso e
tutte quelle soggettività che tentano di sottolineare le contraddizioni interne al sistema, che cercano di ricomporre una classe che ha cambiato le sue connotazioni, ma che vive un disagio profondo a cui le istituzioni non sono in grado di dare una risposta che non sia la repressione e il subdolo
tentativo di imbavagliare il dissenso.
La stretta repressiva contro le lotte sociali che attraversano la città mostra quanto le istituzioni siano insensibili ai veri problemi sociali.
Questa mattina il dispiegamento di forze dell’ordine faceva immaginare che si stesse organizzando una operazione per sgominare una organizzazione criminale. Ma i criminali sappiamo bene da che parte stanno. Noi siamo studenti, precari, lavoratori che resistono alla speculazione, allo sfruttamento, alla repressione e che tentano di coinvolgere l’intera cittadinanza nella costruzione di una società differente.
Mercoledì 13 ottobre assemblea pubblica ore 18.00 nello spazio antistante all’occupazione GIAP (via degli Ausoni angolo via dei Sabelli)
Giap si aggira nella metropoli
Suicidi in carcere: il ministero cambia le carte in tavola
Facile cambiare le carte in tavola quando si parla di reclusi, di persone impossibilitate a comunicare le loro condizioni di vita.
Facile modificare i numeri e le cause di morte di coloro che sono privati della loro libertà e vivono nelle carceri di questo paese: facile eccome rigirarsi la frittata e parlare di “tossici”, di “cause naturali”, di “arresti cardiaci”.
Ristretti Orizzonti, nel suo costante lavoro di inchiesta dall’altra parte delle sbarre, smentisce i dati lanciati pomposamente dal sottosegretario alla Giustizia Caliendo.
Poche chiacchiere, Paolo ha scritto sinteticamente la situazione. Lascio a lui la parola. Qui anche il link delle sue Cronache Carcerarie, per chi volesse approfondire
Il sottosegretario Caliendo, «solo 37», Ristretti orizzonti, «già 46»
di Paolo Persichetti, Liberazione 12 ottobre 2009
Nelle carceri italiane si muore troppo spesso. Nelle carceri italiane ci sono tanti suicidi. Che cosa fanno il ministero della Giustizia e la Direzione dell’amministrazione penitenziaria per risolvere il problema? Oltre a diramare circolari che intasano matricole e archivi degli istituti di pena, ricorrono a degli espedienti meschini come la cosmesi linguistica. Cambiano denominazione alle cause dei decessi.
Se un detenuto è anziano e gravemente malato, finisce che l’indagine amministrativa interna addebiti la sua morte a «cause naturali». Se un altro tenta d’impiccarsi, ma muore durante il trasporto in ospedale, il decesso non è più considerato un suicidio. Diventa la conseguenza di un malore. Un modo burocratico per scaricare noie e problemi eventuali, abbassare il livello di allarme, distogliere l’occhio dei media da quel che accade dentro le mura di cinta. Nella casa circondariale di “Villa Fastiggi”, a Pesaro, l’11 novembre 2008 una detenuta, Francesca Balzelli, si è tolta la vita aspirando gas da una bomboletta. L’inalazione di gas è molto pericolosa perché l’intossicazione da idrocarburi volatili innesca meccanismi d’asfissia. Insomma vi è un rischio di morte molto alto. I detenuti lo sanno benissimo. E se alcuni ricorrono ancora a questo metodo per sballarsi, perfettamente consapevoli del rischio, altri lo fanno chiaramente per suicidarsi.
Una morte più dolce rispetto alla brutale violenza dell’impiccagione. Questa incertezza sulle ragioni ultime che spingono i carcerati, in genere con problemi di tossicodipendenza o alcolismo, a sniffare gas, viene utilizzata dal Dap come un pretesto per evitare la parola suicidio. Che questo comportamento, quale che sia il suo esito, configuri comunque un desiderio di autodistruzione, è sottaciuto. Sui referti compare un altro termine: «malore», «collasso», «arresto cardiocircolatorio». Così non c’è notizia, viene meno il rischio di clamori mediatici, di campagne sulle condizioni di vita dentro le prigioni, sul sovraffollamento.
Rispondendo a una interrogazione della parlamentare radicale Rita Bernardini, il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, ha liquidato la morte della Balzelli alludendo proprio alla tossicodipendenza della reclusa, sottoposta per questo a terapia ansiolitica. Secondo il magistrato e senatore del Pdl, la detenuta avrebbe assunto gas «come succedaneo di sostanza stupefacente».
Risultato finale: un morto in più e un suicidio in meno. Un gioco di prestigio insomma. Con questo trucchetto Caliendo ha raccontato in commissione la favola «dell’impegno profuso dall’Amministrazione» per rivendicare un calo dei suicidi. Dai 45 del 2007 ai 37 registrati fino ad oggi. Solo che alla fine i conti non tornano. In una nota diramata da Ristretti orizzonti, si precisa che i casi di suicidio documentati sono già 46, mentre altre 10 segnalazioni attendono conferma.
E mancano ancora tre mesi alla fine dell’anno.
La vendetta di Via Corelli ora passa per Gradisca.
Dopo le espulsioni e i massicci trasferimenti di Roma, il vento della vendetta ministeriale arriva anche a Gradisca dove, lunedì scorso, è stato arrestato uno dei presunti protagonisti della tentata fuga del 21 di settembre. È un ragazzo di 21 anni ed è accusato di aver fatto cadere giù dalle scale d’emergenza un carabiniere che stava cercando di tirarlo giù dal tetto. Il carabiniere ruzzolato è finito subito al pronto soccorso ed ha avuto i soliti dieci giorni di prognosi: quello che è successo dopo ai reclusi potete vederlo invece sul video che sta circolando in rete da tre settimane. L’arresto è avvenuto a due settimane dai fatti, giusto il tempo che si calmassero un po’ le acque, ed è stato richiesto – a detta del capitano Sutto del comando dei Carabinieri di Gradisca – a causa dell’«atteggiamento particolarmente sfrontato dell’immigrato». Sembra quasi, insomma, che quello che pesa non siano tanto i fatti specifici dei quali è accusato l’arrestato ma la sua presunta mancanza di rispetto verso i proprio carcerieri: fatto indicativo di un clima, senza dubbio. È indicativo anche che, dall’arresto in poi, le autorità parlino dei fatti del 21 come di una «doverosa e regolare reazione alla resistenza a pubblico ufficiale». Se per una settimana intera hanno fatto finta di niente e se tutta la settimana successiva hanno messo in dubbio l’autenticità delle foto e del video, ora invece rivendicano l’accaduto e lo giustificano. Finalmente si parla chiaro.
Quelli che stanno ancora zitti, invece, sono i consiglieri d’amministrazione della “Connecting Peolple” che in altri tempi erano tanto loquaci. Del resto il consorzio che gestisce il Centro di Gradisca è in corsa per aggiudicarsi anche quello di Ponte Galeria e deve dare prova di fedeltà complice e silenziosa per rimanere nelle grazie del ministro Maroni
Macerie, 13 ottobre 2009
QUESTA MATTINA INVECE CI SARA’ L’ENNESIMA UDIENZA DEL PROCESSO CONTRO I 14 RIVOLTOSI DEL CIE DI VIA CORELLI: oggi è il turno degli avvocati della difesa e potrebbe anche arrivare la sentenza.
I compagni di Milano stanno raggiungendo il Tribunale per portare una rumorosa solidarietà ai processati: i reclusi di Gradisca e di Via Corelli stanno iniziando uno sciopero della fame per dar maggior voce alla loro solidarietà con i loro compagni di prigionia e rivolte.
Proverò a dare aggiornamenti in maniera costante.
La nuova trasmissione “Silenzio assordante” di Radio Onda Rossa, in onda tutti i venerdì pomeriggio sugli 87.900 FM a Roma e ascoltabile anche in streaming dal sito della Radio, nell’ultima puntata ha fatto un resoconto dell’ultima udienza del processo di Milano
Intervista a Tarso Genro sull’asilo politico a Cesare Battisti
«Anni 70 in Italia, giustizia d’eccezione non fascismo»
di Paolo Persichetti, Liberazione 11 ottobre 2009
Quando nel gennaio scorso il ministro della Giustizia brasiliana, Tarso Genro, concesse l’asilo politico a Cesare Battisti, una reazione carica di astio coprì la sua decisione. Dai vertici istituzionali, sui media, dalla magistratura, senza mai veramente controargomentare vennero risposte spesso fuori dalle righe. Addirittura nel corso di una cerimonia, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, rivolto carabinieri, disse: «se ci potesse essere un gruppetto che vuole andare in Brasile…». Oggi, per la prima volta, il guardasigilli brasiliano si spiega su un quotidiano italiano. Lo fa estesamente e con molta pacatezza. Evita le riposte polemiche. Tempo fa, Armando Spataro, il pm milanese che condusse l’inchiesta contro i Pac, noto per essere uno dei cuori di pietra dell’emergenza, domandò ai giudici brasiliani di «decidere col cuore». In Brasile, a leggere questa intervista, pare che continuino a preferire il Diritto, la Filosofia, la Storia.
Quali sono le fonti giuridiche della sua decisione di concedere l’asilo a Cesare Battisti?
Il Brasile ha sottoscritto la convenzione sullo Statuto dei rifugiati del 1951 e il Protocollo del 1967, che amplia la possibilità di riconoscimento dello status di rifugiato anche per fatti diversi da quelli accaduti fino al 1951, e legati alla seconda guerra mondiale.
Nella legislazione brasiliana, la mia decisione trova sostegno nella Legge n. 9.474 del 1997, che disciplina il riconoscimento della condizione di rifugiato. Questa legge riconosce l’asilo ad ogni persona che, a causa di fondati timori di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, gruppo sociale od opinioni politiche, si trovi fuori dal suo paese di origine e non possa o non voglia avvalersi della protezione di tale paese. Sempre secondo questa legge, il ministro della Giustizia è l’istanza di ricorso nella concessioni dell’asilo e la sua decisione è inappellabile.
Inoltre, considerando che la carta delle Nazioni unite e la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo affermano il principio secondo il quale gli esseri umani senza distinzione alcuna debbano godere dei diritti e delle libertà fondamentali, e che gli stessi principi sono riconosciuti dalla Costituzione brasiliana, ritengo che la mia decisione sia ampiamente fondata.
Nel testo in cui lei concede l’asilo politico cita importanti autori nel campo della filosofia politica e del dirittocostituzionale, come Norberto Bobbio, Carl Schmitt, Jurgen Habermas, il sociologo Laurent Mucchielli. Si dilunga con un’analisi molto dettagliata sulla particolare natura dello stato d’eccezione che è venuto a crearsi. Una disamina che assomiglia, per taluni aspetti, alle analisi condotte dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel 1991, quando avviò la procedura di grazia (poi bloccata) a Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate rosse. Gran parte delle obiezioni che si sono levate contro le sue argomentazioni riguardano i passaggi sui «poteri occulti», citazione di Norberto Bobbio. I suoi argomenti, tutt’altro che grossolani e affrettati, sono stati stravolti fino ad accusarla di aver definito l’Italia degli anni 70 una dittatura fascista. Può spiegare meglio cosa intendeva?
Non ho mai definito l’Italia degli anni 70 un regime dittatoriale o fascista. I fatti da me richiamati sono pubblici e ampiamente argomentati dagli autori sopracitati. Ho sostenuto invece la legittimità della reazione dello Stato di diritto italiano di fronte ad una situazione storica di rivolta sociale. Quella reazione venneportata avanti applicando le norme giuridiche in vigore all’epoca. Tuttavia è impossibile negare che avvenne anche ricorrendo alla creazione di un regime di eccezioni che ha ridotto le prerogative di difesa degli accusati di sovversione o di azioni violente. L’introduzione del “pentitismo remunerato” è un esempio di queste eccezioni restrittive del diritto di difesa, e, nel caso in questione, fu la base principale della condanna di Cesare Battisti. Inoltre è notorio che i meccanismi di funzionamento dell’eccezione operarono, a quell’epoca, anche fuori dalle regole della stessa eccezionalità prevista dalla legge. Circostanza che suscitò ripercussioni in diversi paesi, anche fuori dall’Europa, che per questo concessero asilo politico ad attivisti italiani, e che spinse organismi internazionali che si occupano dei diritti umani, come Amnesty International e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti, a elaborare dei rapporti su quanto accadeva.
La decisione del presidente Lula di nominare il giurista José Antonio Dias Toffoli nuovo giudice del Supremo tribunal federal al posto di Carlos Alberto Menezes Direito, deceduto il primo settembre, ha suscitato polemiche perché considerato vicino al Pt (partito del presidente ndr). Secondo i critici, questa nomina modificherebbe gli equilibri interni al tribunale a ridosso di un voto controverso, come quello sul caso Battisti. E’ vero?
L’indicazione di un nome per ricoprire l’incarico nel Stf suscita sempre polemiche. E’ impossibile che un nome sia gradito a tutti i settori politici. E’ però una prerogativa attribuita dalla Costituzione al Presidente della Repubblica. Lo stesso presidente del Stf, Gilmar Mendes, ha dichiarato che Toffoli è una persona “qualificata” per divenire componente della Corte, e che ha “un buon dialogo nel tribunale”. L’indicazione attuale non provocherà cambiamenti significativi nell’equilibrio interno della corte. Il Presidente Lula ha già designato in passato 8 ministri del Tribunale, il che non significa che ciò gli permetta una qualsiasi ingerenza nel lavoro del Stf. Perché mai la designazione di Toffoli dovrebbe avere conseguenze diverse dalle precedenti? Anche Menezes Direito era stato designato dal Presidente Lula, eppure allora nessuno sollevava critiche.
La stampa di destra, riprendendo un’opinione del presidente del Tribunale Gilmar Mendes, ha sostenuto che Toffoli difficilmente potrà votare sul caso Battisti perché non ha assistito fin dall’inizio alla discussione. Cosa dice la legge in proposito?
Fino alla nomina al Stf Toffoli ha esercitato il ruolo di avvocato generale dell’Unione. Vi potrà essere un impedimento a votare solo sull’eccezione di incostituzionalità, poiché l’Avvocatura generale si è espressa in proposito. Ma nel processo di estradizione non esiste nessun ostacolo alla sua partecipazione.
In caso di parità tra i voti dei Ministri all’interno del Tsf, cosa succede?
Sarà il presidente della corte ad esprimere il voto decisivo.
Secondo il presidente del Tsf, Gilmar Mendes, è il Tribunale e non l’Esecutivo che deve dire l’ultima parola sulla procedura di estradizione. A suo avviso è corretta questa interpretazione? E’ in corso un conflitto istituzionale?
In concreto, l’estradizione rappresenta la proiezione del diritto di punire di uno Stato sul territorio di un altro Stato. Proprio per questo suo costituire un atto di disposizione sulla propria sovranità, si tratta di un fatto politico, e dunque di competenza del capo del potere esecutivo, che è il legittimo rappresentante del paese negli affari internazionali. Ciò non è una novità nel Diritto: né di quello brasiliano, né di quello straniero. Anche l’Italia possiede un sistema simile. Il procedimento esaminato dal Tsf è diviso in due fasi distinte. Una giudiziaria, dove il Tribunale funziona come garante dei diritti individuali della persona richiesta per l’estradizione, e verifica la possibilità giuridica di mandare avanti la procedura di estradizione. E’ una fase di autorizzazione, in cui la decisione è senza dubbio di competenza del tribunale. La decisione finale, invece, è di competenza dell’autorità amministrativa. Conseguenza del potere politico conferito dal voto al suo rappresentante, eletto anche per rappresentare il paese nelle sue relazioni esterne.
Il procuratore generale Antonio Fernando De Souza, che pure nell’aprile 2008 si era detto favorevole all’estradizione di Battisti, a patto che l’Italia commutasse la pena dell’ergastolo a 30 anni, aveva riconosciuto che la concessione dell’asilo estingueva la procedura d’estradizione. Il presidente del Tsf, Gilmar Mendes, ha ritenuto il contrario. Esiste una diversità di vedute anche all’interno del mondo giudiziario?
Nel mondo giuridico ci saranno sempre divergenze interpretative. Tuttavia la posizione del Procuratore generale non è una interpretazione isolata.Corrisponde al giudizio dei più capaci giuristi del nostro paese e fa parte della tradizione giuridica del nostro paese. Ciò che sorprende. in questo caso, è l’incompatibilità tra questa decisione e la giurisprudenza precedente del Stf. Ad esempio, nel caso Medina (esponente delle Farc), dove la richiesta di estradizione da parte del governo colombiano venne estinta dalla concessione dell’asilo.
Se, come ha detto il relatore Cesar Peluso nella sua requisitoria, la legge del 1997, che attribuisce al potere politico il compito di concedere l’asilo politico, è corretta, perché la corte pretende di sindacare nel merito della singola concessione?
La verifica di merito da parte di un altro potere costituisce senz’altro un danno al regime costituzionale della separazione dei poteri.
In Brasile, la vicenda Battisti non corre il rischio di favorire un’offensiva del potere giudiziario contro quello politico-elettivo? In Italia, la supplenza giudiziaria concessa dal potere politico alla magistratura sul finire degli anni 70, per combattere la sovversione politica della sinistra armata, si è poi trasformata in una “interferenza” teorizzata dagli stessi giudici, autoinvestitisi “nuovo soggetto” politico negli anni 90, fino a paventare scenari di «democrazia giudiziaria», di «repubblica penale», per dirla con Antoine Garapon. C’è il rischio che in Brasile si arrivi ad uno scenario simile?
La Costituzione del 1988 garantisce un ampio ricorso al potere giudiziario. La giudiziarizzazione è un fenomeno interessante perché promuove un ampio dibattito pubblico su temi importanti. Ovviamente c’è sempre il rischio di cadere in una giudiziarizzazione della politica, cosa che non sarebbe salutare. Però non credo che questo processo sia in corso. Il Brasile è una democrazia recente, e ancora in fase di maturazione, ma avanziamo rapidamente nel consolidamento delle nostre istituzioni.
Il Pasok non aspettava altro: blitz e minacce contro il movimento
Chi conosceva anche poco la realtà greca sapeva perfettamente che la sconfitta di Karamanlis e la vittoria del Pasok di Papandreou non avrebbero mutato la situazione, anzi.
Chi ha passato un po’ del suo tempo nelle piazze ateniesi, nelle loro manifestazioni, affrontando celere e MAT (i reparti speciali) con la loro incredibile tecnologia chimica e con il loro strano modo di gestire la piazza ed attaccare, sa perfettamente che tra i primi nemici di quella massa nera e colorata che incendiava la città c’era proprio il Pasok, quella democratica sinistra che ha strappato la vittoria alle ultime elezioni, pochi giorni fa.
E non perdono tempo, i nuovi padroni, le guardie rosse, a minacciare chi in quei mesi e senza smettere poi in quelli successivi ha sovvertito la quotidianeità. I nuovi scagnozzi delegati alla difese e all’ordine interno, hanno lanciato dichiarazioni bellicose contro il movimento anarchico che ha trasformato “atene in kabul”. Ovviamente oltre a lanciare dichiarazioni hanno fatto partire due pesanti blitz polizieschi nel quartiere simbolo della rivolta, a pochi passi dal Politecnico.
Vi incollo l’agenzia stampa di questa mattina:
Il neo ministro socialista dell’ordine pubblico, Michalis Chrisochoidis, ha promesso «democrazia e pugno di ferro» contro gli anarchici, dopo aver ordinato ieri due blitz polizieschi senza precedenti nel centro di Atene. Ma l’estrema sinistra denuncia la minaccia di «uno stato di polizia» e il movimento anarchico si mobilita. «Con la nuova generazione di terroristi, siamo diventati Kabul» ha affermato Chrisochoidis, parafrasando se stesso quando era all’opposizione. Ed ha avvertito, citato stamane dalla stampa, che con il nuovo governo del premier Giorgio Papandreou «la tolleranza è finita» e «non sarà consentito a delinquenti e vandali di distruggere le proprietà». Il ministro, cui viene attribuito il passato smantellamento dell’organizzazione armata marxista 17 Novembre, ha promesso il rafforzamento della polizia e la riforma dei servizi segreti. Ieri due operazioni senza precedenti, con la partecipazione di centinaia di agenti dei corpi speciali antisommossa, avevano assediato per ore il quartiere di Exarchia, roccaforte del movimento anarchico, da dove era partita lo scorso dicembre la rivolta seguita all’uccisione di un quindicenne da parte della polizia. Le retate, che hanno portato ad oltre cento fermi, centinaia di perquisizioni e ad una decina di arresti, hanno seguito di poco più di 24 ore un raid di incappucciati al centro della capitale contro banche,negozi e automobili per protesta contro l’arresto di tre loro compagni «accusati ingiustamente» di far parte di un gruppo armato. Il partito di estrema sinistra Syriza ha duramente stigmatizzato i raid delle forze dell’ordine definiti «attacchi contro la gioventù» e i «diritti democratici» ed ha invitato il governo socialista a «cambiare strada». Il movimento anarchico ha accusato il nuovo governo socialista di essere peggio di quello precedente di centrodestra ed ha annunciato mobilitazioni.
Per una Roma antirazzista, per una città bene comune
Il Comitato di Quartiere Pigneto-Prenestino invita i cittadini ad una manifestazione con assemblea pubblica in cui verranno presentate le iniziative sul territorio, i progetti di riqualificazione, le rivendicazione dei diritti negati ai giovani e vecchi, a grandi e bambini in una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paura.
Un’altra città è possibile.
Una città che riconosca il diritto alla casa e all’abitare. A luoghi dove i bambini possano giocare, i giovani ritrovarsi, gli anziani uscire dalla solitudine. A spazi sociali sottratti al profitto. Al reddito e ai servizi sociali. Una città bene comune. Vogliamo farlo a partire dalla nostra piazza, l’isola pedonale. Che vorremmo diventasse un’isola per i bambini, gli anziani, le donne e i giovani, un’isola della creatività, della cultura e dell’inclusione. Un’isola antirazzista. In una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paura
Invitiamo tutte e tutti a partecipare alla manifestazione di sabato al Pigneto, a partire dalle 16.30, in cui verranno presentate le iniziative sul territorio, i progetti di riqualificazione, le rivendicazione dei diritti negati ai giovani e vecchi, a grandi e bambini. Alle 18 assemblea pubblica.
– Lunedì 5 ottobre uomini delle forze dell’ordine hanno seminato il panico all’isola pedonale. In un’operazione che in teoria doveva solo contrastare il commercio di marchi falsi, uomini in divisa grigia e caschi neri, manganelli in mano, urlando contro chiunque si trovasse a tiro, hanno inscenato un vero e proprio rastrellamento.
Una caccia all’uomo nero.
Hanno inseguito per lo più senegalesi che si trovavano in quel momento tra via Campobasso e via Macerata, li hanno picchiati, sono entrati nelle loro case, hanno divelto porte, sfondato vetri.
Hanno portato via 25 persone.
E hanno minacciato chiunque provasse a documentare la follia che stava avvenendo sotto i loro occhi. Chiedendo loro di cancellare le foto scattate. Pena l’arresto.
E’ questo il modello di città sicura che vogliamo?
E’ questo il modello di città sicura che hanno promesso?
Una caccia indiscriminata allo straniero?
Cosa giustificava un’azione del genere?
Alle richieste di spiegazioni hanno risposto che è un problema di legalità: ma chi decide cosa è più illegale tra vendere merce contraffatta, affittare al nero a prezzi alle stelle pochi metri quadrati e vendere droga alla luce del sole? Cosa rovina di più la vita delle famiglie?
Tutti i comportamenti illegali vanno censurati ma non abbiamo mai visto azioni contro gli affitti illegali. E le azioni messe in campo quest’estate per combattere lo spaccio ed evitare violenze sono miserabilmente fallite (tre accoltellamenti e tre morti per overdose).
I lavoratori immigrati che vivono al nostro fianco, al Pigneto, non amano spendere i propri soldi nei pub. Preferiscono mandarli alle proprie famiglie lontane e ritrovarsi tutti in strada finito di lavorare. Si stringono in tanti negli appartamenti, non possono accendere mutui sanguinari con le banche, ma vengono ugualmente spremuti dalla rendita immobiliare.
Che ci stanno a fare al Pigneto, nel bel mezzo dell’isola che si vorrebbe trasformare in una vetrina del commercio e del divertimento?
In un quartiere dove i prezzi degli immobili costringono alla fuga i vecchi abitanti – costretti dagli sfratti a rifugiarsi in una infinita, anonima periferia – a due passi da un immobile dove sta per nascere un albergo a 5 stelle, che ci fanno tanti stranieri?
Il quartiere-vetrina, dunque, va ripulito. Con ogni mezzo.
È questa la città che vogliono. Una Roma violenta verso i più deboli. Dove esistono cittadini con diritti di serie B, utili a far arretrare i diritti di tutti quanti.
È questo il Pigneto che stanno costruendo. A misura dei profitti, non dei suoi abitanti dove non esistono spazi pubblici destinati alla convivenza, al confronto, alla progettazione condivisa per risolvere i bisogni di tutti. Quello di lunedì non è un caso isolato.
A Roma cinquantamila famiglie vivono in condizioni di disagio abitativo, 7.500 sfratti ogni anno. E 245.000 appartamenti vuoti, un monumento allo spreco e all’egoismo. Secondo i CONTRATTI A CANONE CONCORDATO un appartamento di 50 metri quadrati nel nostro quartiere dovrebbe costare circa 375 euro al mese. E invece costa il triplo. Roma è la capitale dell’emergenza casa, dell’emergenza rifiuti, del taglio dei posti letto, degli asili nido insufficienti, dell’esclusione sociale, del traffico cronico, dell’evasione fiscale, gli investimenti della mafia e il narcotraffico. Dinanzi a una tale allarme scopriamo che il vero problema della città sono le merci contraffatte e chi si cerca di garantire il diritto ad una casa.
Negli ultimi due mesi il sindaco e il prefetto hanno messo in campo una vera e propria strategia di repressione.
Se la sono presa con gli immigrati, e con le case abitate da chi ha deciso di prendere con le proprie mani un diritto che gli veniva negato. Lo sgombero del Regina Elena e gli arresti alla ex scuola 8 marzo, due immobili occupati per l’emergenza abitativa, lo stanno a dimostrare.
Vogliamo dimostrare che un’altra città è possibile. Una città che riconosca il diritto alla casa e all’abitare. A luoghi dove i bambini possano giocare, i giovani ritrovarsi, gli anziani uscire dalla solitudine. A spazi sociali sottratti al profitto. Al reddito e ai servizi sociali. Una città bene comune.
Vogliamo farlo a partire dalla nostra piazza, l’isola pedonale. Che vorremmo diventasse un’isola per i bambini, gli anziani, le donne e i giovani, un’isola della creatività, della cultura e dell’inclusione. Un’isola antirazzista. In una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paura.
Sabato 10 ottobre 2009 a partire dalle 16.30 Isola Pedonale Pigneto
Comitato di Quartiere Pigneto – Prenestino
Osservatorio Antirazzista Pigneto Torpignattara
Sentenza d’appello su Genova: esplosione di rabbia!
SENTENZA CONTRO I NOSTRI 25.
GLI ANNI SONO AUMENTATI, LA RABBIA PURE!!
A due giorni dall’assoluzione in primo grado per Gianni De Gennaro, accusato di induzione alla falsa testimonianza per il blitz alla scuola Diaz, arriva dal tribunale di Genova un’altra sentenza stupefacente.
Quindici dei 24 imputati di devastazione e saccheggio sono stati condannati anche in appello a pene durissime.
La seconda sezione della Corte d’Appello del capoluogo ligure ha letto la sentenza circa tre ore fa:
Vincenzo Puglisi è stato condannato a 15 anni di carcere,
Vincenzo Vecchi a 13 anni e 3 mesi,
Marina Cugnaschi a 12 anni e 3 mesi,
Carlo Cuccomarino a 8 anni.
Dieci anni e nove mesi per Luca Finotti mentre
per Ines Morasca, sei anni e sei mesi.
Dieci anni per Alberto Funaro,
sette per dario Ursino.
Antonino Valguarnera, coinvolto in un episodio contestatissimo – secondo la polizia avrebbe lanciato delle bottiglie incendiarie, mai state individuate – è stato condannato ad otto anni. Durissima la reazione dei legali dei presunti black bloc, che hanno sottolineato come di fronte ai reati [tutti contro cose e nessuno contro persone] le pene siano assolutamente sproporzionate.
Tra i 9 assolti c’è anche Massimiliano Monai, il ragazzo che nelle riprese del 20 luglio a piazza Alimonda, dove venne ucciso Carlo Giuliani, compare con una trave diretta contro uno dei defender dei carabineri. I giudici per lui hanno decretato il non doversi procedere perché è arrivata la prescrizione.
Secondo giorno di scontri ad Istanbul, dove in piazza si muore “per infarto”
E’ il secondo giorno che Istanbul è “in fiamme”, con le strade occupate da manifestazioni e scontri di piazza che stanno infastidendo il vertice annuale dei padroni del mondo, il Fondo Monetario Internazionale.
I giovani resistenti, turchi e kurdi di Istanbul, stanno attaccando la polizia da ieri mattina a suon di sassi e molotov e di contro stanno avendo come risposta molte decine di arresti (solamente ieri mattina ce ne sono stati più di cento) e pesanti cariche con un fitto uso di lacrimogeni e di idranti.
Oggi anche la moderna piazza di Taksim, simbolo della nuova Istanbul, è stata luogo di scontri, con numerose banche attaccate da centinaia di manifestanti decisi a disturbare il vertice bancario-finanziario che decide le sorti del pianeta: le cariche, effettuate da polizia antisommossa e militari, sono ogni momento più pesanti.
Ieri ha perso la vita un manifestante di 55 anni: la polizia ha dichiarato che è morto per arresto cardiaco.
BRAVI COMPAGNI! SIAMO CON VOI
PIENA SOLIDARIETA’ A TUTTI COLORO CHE SONO STATI ARRESTATI E CHE STANNO RESISTENDO ALLA POLIZIA TURCA!
Fastweb non vende ai cittadini rumeni
PeaceReporter è entrato in possesso di una circolare che la responsabile dei venditori di Fastweb a Bologna ha recapitato a tutti i rivenditori autorizzati dell’Emilia Romagna.
Nel documento, datato 19 settembre 2009, si legge che l’azienda ha deciso di non stipulare più abbonamenti “Fastweb Mobile” a cittadini rumeni.
Evidentemente l’avvertimento era già stato divulgato in precedenza perché nella circolare è scritto: “Ciao a tutti, mi raccomando a voi, da ora in poi non fate più abbonamenti a cittadini rumeni. Dite chiaramente che non è possibile da sistema caricare abbonamenti Fastweb”. Il testo continua: “Ieri sono entrate 70 pda (proposte di abbonamento ndr) quasi tutte di clienti stranieri!!! Forse il messaggio non è stato trasferito alla rete con la giusta enfasi: “BLOCCATE LE VENDITE AI CITTADINI RUMENI”. L’ultima frase è scritta in rosso e a caratteri cubitali, in modo da far capire anche al più reticente il carattere definitivo della circolare.
La mail ci è stata passata da una fonte – che ovviamente vuole rimanere anonima – che si occupa dell’inserimento dei dati dei clienti. Questa persona ci ha riferito anche che è stato suggerito loro, non appena si accorgono di aver a che fare con un rumeno, di fingere che il sistema si sia bloccato e di tornare un altro giorno o di rivolgersi a qualcun altro.
Il diktat telematico è stato scritto da Micaela Serenari, Dealer Manager per l’Emilia Romagna di Fastweb. Le abbiamo chiesto spiegazioni:
Signora Serenari, la direttiva che lei ha emanato è un’iniziativa bolognese o è stata decisa a livello nazionale?
Certo, a livello nazionale perché abbiamo avuto tantissime frodi. Tantissime persone che sono venute a prendere dei cellulari e poi li hanno rivenduti aprendo dei conti che duravano un solo giorno. Quindi noi abbiamo regalato un sacco di telefoni.
E queste persone sono state prese?
Alcune sì, anche dai carabinieri. Era un’organizzazione che andava sempre negli stessi negozi. Venivano buttate le sim e venduti i telefoni.
Quest’organizzazione era composta da rumeni?
Nella nostra area diciamo di sì.
Non le sembra strano che se le persone sono state prese e i negozi erano sempre gli stessi la direttiva sia stata emanata a livello nazionale?
No non mi sembra strano. Comunque noi facciamo anche tanti controlli, tante cose, anche sui conti bancari.
Prima di questa intervista, abbiamo contattato telefonicamente due rivenditori dell’area bolognese fingendoci rumeni interessati al contratto “Mobile”. Non appena la nazionalità saltava fuori, l’operatore rispondeva che “… no allora non si può fare”, senza dare ulteriori spiegazioni.
Questo dimostrerebbe che nessun controllo viene fatto sul conto corrente o altro, si tratta semplicemente dell’applicazione di quanto scritto nella circolare. Abbiamo allora provato a contattare la direzione centrale di Fastweb Italia, a Milano, ma dall’ufficio stampa ci hanno detto che avrebbero dovuto fare accertamenti prima di rilasciare commenti.
Il responsabile delle relazioni esterne di Fastweb, Sergio Scalpelli, contattato da PeaceReporter, ha dichiarato che “si è trattato solo di un eccesso di zelo di una pur bravissima manager della zona, dovuta al fatto che tra il 2008 e il 2009 proprio in quella zono si sono verificate numerose truffe ai danni della azienda”. “In realtà – ha precisato Scalpelli – si tratta di un sistema di credit management che è in grado di verificare in tempo reale la solvibilità dei nuovi clienti e, essendo digitale, non fa distinzioni di razza, di sesso o di religione, proprio come l’azienda”.
Evidentemente, questo sistema deve essere così evoluto da essere in grado di verificare la solvibilità di un potenziale cliente, al telefono, anche solo dal tono della voce o dall’accento.
Marcello Brecciaroli
RASTRELLAMENTI AL PIGNETO
Un rastrellamento in piena regola ha sconvolto ieri pomeriggio la vita di un quartiere multietnico di Roma, il Pigneto.
Alle 18,30 numerose volanti e blindati della Guardia di finanza hanno circondato l’isola pedonale. Decine di agenti in assetto antisommossa, creando il panico tra i cittadini, hanno violentemente percosso e arrestato chiunque avesse la pelle scura. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in alcuni appartamenti, all’angolo tra via del Pigneto e via Campobasso, dove hanno divelto porte, sfondato finestre, sequestrato merci e beni degli abitanti.
La retata si è conclusa con 25 arresti di cittadini senegalesi e nigeriani, persone che vivono da anni nel nostro quartiere, lavoratori immigrati che mai hanno fatto male a nessuno. Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa.
Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città. Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe “ripulire”, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio. Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case è in costante ascesa. Noi, cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione.
Organizziamo a questo scopo il 10 ottobre un pomeriggio e serata di incontri con il quartiere, sui problemi di case, scuole, e del razzismo, che si concluderà alle 21 con un’assemblea per preparare insieme la manifestazione del 17 ottobre contro il razzismo e il pacchetto sicurezza.
Oggi 6 ottobre, ore 12, conferenza stampa, Via del Pigneto angolo via Campobasso
Comitato di quartiere Pigneto- Prenestino
Osservatorio antirazzista Pigneto
Per info: 3386034789
per info foto: 3384171445
qui un link con un sacco di sbirraglia che commenta, per chi non soffre di nausee : http://www.pigneto.it/news.asp?id=776
Ancora con il diario dai CIE
Sciopero della fame oggi al Cie di corso Brunelleschi a Torino. Quasi tutti i reclusi hanno rifiutato la colazione questa mattina e intendono proseguire almeno per tutta la giornata. Un recluso è in sciopero addirittura da sei giorni. Nel frattempo, continuano gli atti di autolesionismo e le denunce di condizioni di vita insopportabili, minacce, maltrattamenti continui e pestaggi brutali da parte dei militari. I reclusi sono molto determinati e consapevoli che in tutti gli altri Cie la situazione è calda.
Ieri c’è stata una protesta molto forte al Cie di Crotone, cominciata con grida e battitura delle sbarre. Quando è intervenuta la polizia i reclusi hanno spaccato i mobili per difendersi. E quando la polizia è riuscita a portarsi via due ragazzi, l’effetto è stato quello di prolungare la protesta fino al loro rilascio. Alla fine, nonostante fosse domenica, sono arrivati di corsa quelli dell’Ufficio Immigrazione della Questura, con la promessa di fare il possibile per migliorare la situazione e sbrigare le pratiche di chi può essere rilasciato.
A Brindisi, invece, otto reclusi se ne sono andati dal Centro. È la seconda fuga da quando,questa estate, il Cie di Restinco è stato riaperto per “accogliere” i reduci della sommossa di Milano. I prigionieri sono fuggiti alle cinque del mattino, ma le guardie si sono rese conto della loro assenza solo alle otto: auguriamo loro buon viaggio. Ora dentro al Centro sono rimasti soltanto in quindici, ed otto di loro – come ricorderete – sono in sciopero della fame e della sete dalla settimana scorsa.
A Roma la situazione è più tranquilla, a parte quattro rimpatri oggi all’alba e qualche scarcerazione in mattinata. Alcuni consiglieri regionali stanno facendo una visita dentro le gabbie e i detenuti hanno raccontato loro del pestaggio contro l’aspirante evaso di tre giorni fa: vedremo cosa dichiareranno i politici una volta usciti. Ieri sera le voci di alcuni reclusi sono finite nei titoli di testa del Tg3, insieme all’annuncio dello sciopero della fame… della settimana passata.
macerie @ Ottobre 5, 2009
In Italia da decenni: tra le sbarre dei CIE
PRENDO UNA SERIE DI STORIE DAL SITO FORTRESS EUROPE. SONO STORIE MOLTO DIVERSE TRA LORO; AD UNIRLE E’ LA DETENZIONE E IL FATTO CHE SONO QUASI TUTTI “ITALIANI” DA DECENNI O PARECCHI ANNI.
LA VERGOGNA DI QUESTO PAESE PASSA ATTRAVERSO LE STORIE DI CHI VIVE TRA LE GABBIE.
CHISSA’ SE I PARTECIPANTI ALLA MANIFESTAZIONE DI PIAZZA DEL POPOLO HANNO MAI DEDICATO UN MINUTO DELLA LORO VITA A TUTTO CIO’, INVECE DI LEGGERE IL TUTTOLOGO SAVIANO CHE PIANGE I CADUTI DEL SUD, QUELLI DELLA FOLGORE.
C’erano una volta gli sbarchi. E chi non faceva domanda d’asilo veniva smistato nei centri di identificazione e espulsione (Cie) d’Italia in attesa del rimpatrio o del rilascio con un ordine di allontanamento. Ma adesso che gli sbarchi sono diminuiti del 90% negli ultimi cinque mesi (dati del Viminale), chi è che finisce dentro i Cie? Per scoprirlo stiamo girando i Cie di tutta Italia. Cominciando da quello di Roma, a Ponte Galeria.
Lì abbiamo scoperto che, oltre a un terzo circa di ex detenuti trasferiti direttamente dal carcere, le vittime del giro di vite sulla clandestinità sono soprattutto “italiani”. Italiani tra virgolette, perché non hanno la cittadinanza, ma in Italia vivono da quindici, venti o trent’anni. Gente che ha avuto il permesso di soggiorno con le sanatorie del ‘93 e del ‘95, e che il permesso se l’è visto ritirare per scadenza termini, essendosi trovato senza datore di lavoro al momento del rinnovo. In vent’anni però in Italia uno si costruisce una vita. E allora c’è chi fuori ha moglie e bambini piccoli. Ci sono famiglie che rischiano di essere spezzate in due. In nome della sicurezza degli italianisenzavirgolette. Drammi che hanno portato alcuni a tentare il suicidio, bevendo la candeggina o tagliandosi i polsi. Oppure a imbottirsi di psicofarmaci per non impazzire. Fortress Europe ha raccolto per voi le loro storie. Ogni giorno ve ne racconteremo una
– Quando gli azzurri di Bearzot vinsero i mondiali di calcio del 1982 in Spagna, Z. Jacob viveva in Italia già da due anni. Era arrivato all’età di 19 anni, nel 1980, dal Camerun. Negli ultimi tempi a Roma lavorava al locale Jogodo, in via di Torre spaccata 127. Tutto in nero perché non aveva il permesso di soggiorno. Gli era scaduto durante la lunga convalescenza seguita a un grave incidente stradale di cui porta ancora le cicatrici sul cranio. A Roma aveva anche un magazzino di strumenti musicali. Li affittava per serate e concerti per guadagnarsi la vita. E aveva addirittura una associazione culturale, registrata a nome della moglie, l’associazione “Black and White”. La moglie già. Perché dopo 29 anni in Italia uno ha tutta la vita nel nostro paese. Jacob oltre alla moglie ha un figlio. Un bambino di 10 anni, a cui ancora la madre non ha spiegato dove sia finito il papà da quando lo ha fermato la polizia, lo scorso 31 agosto, per un banale controllo dei documenti. Rinchiuso da 29 giorni al centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, a Roma, Jacob adesso teme il rimpatrio. Soprattutto per la sorte della sua famiglia e del figlio.
C’è un altro particolare tragicomico. Il 18 aprile del 2009, quattro mesi prima di essere fermato dalla polizia e portato al Cie per essere espulso, il signor Jacob aveva partecipato a Frascati a una giornata di studi sui diritti umani, intitolata “Dai prigionieri di guerra ai nuovi privati della libertà”. Mi mostra l’attestato di partecipazione. C’è scritto il suo nome. Indovinate chi organizzava l’evento? La Croce rossa italiana. Gli stessi che ora gestiscono la sua di privazione della libertà, all’interno del Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, dove ha già passato 33 giorni e da dove rischia di essere rimpatriato quanto prima.
– Su un piazzale di cemento sono piantate le sbarre di ferro alte quattro metri che delimitano i moduli della sezione femminile del Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, a Roma. I posti a disposizione sono 172, sei per ogni camerata. Di notte i cancelli di ogni modulo si chiudono. Nella prima sezione ci sono le ragazze nigeriane, molte sono vittime del racket della prostituzione. Più avanti si trova la sezione delle cinesi. Massaggiatrici da spiaggia e madri di famiglia detenute in nome della sicurezza degli italiani. H. è una di loro. È dentro da 45 giorni. Ma nella sua stanza ci sono quattro donne che sono qui da più di 60 giorni e chiedono che cosa sarà di loro con questa nuova legge. “Dopo tle mesi fai come passo” dice nel poco italiano che conosce. Accanto a lei, si alza dal letto, dove era seduta sulle lenzuola di carta stropicciate, Sunchi. Lei vive a Roma da sei anni. È una dottoressa di medicina tradizionale cinese. A Roma si guadagnava da vivere con l’agopuntura e i massaggi, in un appartamento a Piazza Vittorio. Ha 53 anni. La polizia l’ha fermata due mesi fa a Fregene, sulla spiaggia, mentre faceva massaggi ai bagnanti. In Cina ha un figlio di 25 anni, che si sta per laureare a Pechino. Tra sette giorni scadono i primi due mesi del trattenimento. Ancora non ha ricevuto la notifica della proroga del trattenimento, che potrebbe durare fino a sei mesi secondo le nuove disposizioni. Tuttavia è quasi sicura che non sarà rimpatriata. E come lei le altre donne. Un ispettore di polizia del Cie conferma. L’ambasciata cinese non collabora con le identificazioni. Insomma, sei mesi di detenzione e poi tutto ricomincia come prima. Sunchi lo sa. E per questo – tramite amici che ha fuori – sta continuando a pagare l’affitto del suo posto letto in un appartamento sulla Casilina.
C. segue la nostra conversazione. Non vuole che scriva il suo nome, ma ci tiene a far sapere la sua storia. Perché è una di quelle storie che non possono essere taciute. Questa donna di 42 anni vive in Italia dal 1999. E non è da sola. A Forlì la aspettano il marito e i due figli, di 18 e 19 anni. Il suo permesso di soggiorno è scaduto tre anni fa, perché non aveva un contratto di lavoro al momento del rinnovo. Ha provato anche a metterci un avvocato, ma sono stati soldi sprecati. L’hanno fermata a Forlì durante un banale controllo dei documenti, lo scorso 13 agosto. Da allora sente i suoi figli soltanto al telefono. Soltanto tra quattro mesi potrà riabbracciarli e tornare al lavoro, nella fabbrica dove era impiegata in nero.
Tanti auguri al PASOK … non li invidio molto! ;-)
In Grecia vince il PASOK di Papandreou con una maggioranza non da poco.
Quando penso al PASOK mi viene in mente quella salitina, a pochi passi da Exarchia, dove c’è la loro sede principale.
Nelle giornate di dicembre era probabilmente il luogo più blindato, quello attorno a cui i MAT provocavano continuamente pattugliando i marciapiedi con le loro ridicole divise e quella tonnellata di armamenti chimici a testa. Era anche il luogo attorno a cui l’attenzione di quel massiccio e incazzato movimento era sempre alta, sempre pronti ad attaccarla alla prima distrazione dei burattini verdi e blu.
E’ stato poi, il Pasok, nei mesi successivi, oggetto di quasi tutti gli attentati avvenuti tra Atene e Salonicco
Repubblica ce la spaccia come la nuova speranza per la sinistra europea… noi sappiamo bene che sarà ancor più dura di prima.
La destra romana attacca Radio Onda Rossa
Nuova provocazione dopo la montatura giudiziaria costruita contro il movimento per la casa di Magliana. Approfittando di un attentato incendiario contro una sede di Giovane Italia (ex Azione giovani), il deputato Marco Marsilio (An-Pdl) e il presidente romano di Giovane ItaliaCesare Giardina, chiedono al ministero degli Interni di imbavagliare Radio Onda Rossa
Paolo Persichetti, Liberazione 3 ottobre 2009
C’è aria tesa nella destra romana. Giovedì notte una sede della Giovane Italia-Pdl (ex Azione giovani) è stata presa di mira da un attentato incendiario nel quartiere di san Giovanni a Roma, in via della Mirandola. Dopo aver praticato un foro nella saracinesca, gli attentatori hanno gettato all’interno del locale un ordigno rudimentale: una lattina contenente liquido infiammabile che nell’esplosione ha distrutto la porta d’ingresso. L’episodio segue di una decina di giorni un’altra incursione a colpi di molotov avvenuta durante l’inaugurazione di un altro circolo della destra, Gens romana, aperto proprio accanto alla storica sede di Acca Larentia, pantheon dei martiri e luogo di culto della memoria vittimaria ex-postfascista. La nuova sede è stata aperta da Giuliano Castellino, portavoce di “Popolo di Roma”, un gruppo fuoriuscito da Casa Pound per saltare sul carro vincente, e soprattutto appetitoso, della destra di governo. A dire il vero nella destra romana sono in pochi a essere rimasti fuori dai giochi e soprattutto dalla torta dei soldi che arrivano dal sottogoverno. L’estraneità rivendicata da Casa Pound è solo di facciata.
Lo splendido isolamento è finito da tempo. L’operazione di avvicinamento all’area di governo è in stato avanzato. Casa Pound, organizzazione in fase di crescita (continua ad aprire sedi in altre città), per il momento resta sulla soglia della maggioranza di governo, una posizione vantaggiosa che gli consente di rivendicare un’alterità di facciata, una diversità inesistente, incamerando al contempo risorse materiali e d’immagine anche grazie a un’accorta regia mediatica “dialogante”. La chiamano destra del terzo millennio, quel “fascismo dei paraculi” che tanto sta ammaliando spezzoni un po’ confusi di una sinistra in pieno naufragio. Gli unici a non aver dato segni di resipiscenza nella destra radicale restano, invece, i membri di Militia, la sigla utilizzata dal gruppo di Boccacci ben insediato nella zona dei Castelli romani, le alture prospicienti la Capitale.
Oltre alle modalità diverse, i due attentati hanno a tutt’oggi in comune l’assenza di rivendicazioni. Una circostanza piuttosto anomala che ha spinto gli inquirenti a non escludere nessuna pista. In effetti, al di là della solita retorica vittimistica degli esponenti della destra, o di chi ha voluto rilanciare la teoria degli opposti estremismi legando questi episodi agli attentati contro alcuni locali frequentati dalla comunità Gltbq, sulla paternità di quanto è accaduto non c’è alcuna certezza. D’altronde lo stesso Castellino, dopo le dichiarazioni della prima ora, all’uscita dalla questura dove era stato convocato insieme ad altri testimoni ha notevolmente abbassato i toni. «Non vogliamo né colpevoli di comodo, né verità preconfezionate», ha rettificato. Di diverso avviso si è dimostrato il deputato ex An, oggi Pdl, Marco Marsilio che invece per l’attentato di lunedì notte ha tirato in ballo radio Onda rossa, l’emittente storica dell’autonomia romana, poi punto di riferimento dell’area antagonista e oggi luogo di parola dei movimenti. Marsilio ha chiesto esplicitamente che «il ministero dell’Interno verifichi con attenzione l’attività e i contenuti» dell’emittente romana, «che alimenta con i suoi irresponsabili proclami una spirale pericolosissima di violenza».
Il deputato postfascista ha dichiarato che alcuni ragazzi di Giovane Italia gli hanno riferito che Onda rossa ha «fatto l’apologia dell’attentato invocando medaglie d’oro al valore per chi ha messo la bomba». Ed infatti in una nota diramata dal presidente romano di Giovane Italia, Cesare Giardina, si possono leggere una serie d’insulti rivolti all’emittente romana, «vicina agli ambienti dell’estrema sinistra che hanno invitato a premiare i vigliacchi autori dell’attentato», che si concludono con una pressante richiesta alle istituzioni per «la chiusura immediata della trasmissione radiofonica, radio Onda rossa». L’episodio, inventato di sana pianta come tutti gli ascoltatori dell’emittente hanno potuto verificare con le proprie orecchie, sembra pensato apposta dopo gli arresti e la pesante montatura giudiziaria che hanno colpito nel quartiere della Magliana il movimento per la casa. La sensazione è che vi siano forti spinte da parte di alcuni settori della destra per lanciare un’offensiva risolutiva contro gli spazi sociali, i luoghi di parola e comunicazione della sinistra radicale e antagonista a Roma. In un comunicato Onda rossa ha smentito seccamente le accuse, precisando di non aver mai accennato all’episodio dell’attentato nel corso delle sue trasmissioni. Le registrazioni audio stanno lì a dimostrarlo. Se gli autori della calunnia saranno chiamati a risponderne nelle sedi opportune, l’intero movimento romano è allertato sulla necessità di vigilare su quanto potrà accadere contro la radio nei prossimi giorni.
E’ morta Mercedes Sosa, grande compagna, grande voce
Un saluto a Mercedes Sosa, che oggi c’ha lasciato.
Lei che con la sua voce c’ha permesso di omaggiare Violetta Para, grande musicista chilena … che con cantautori come Victor Jara permisero alla cultura popolare chilena di riscoprirsi e venire alla luce.
Lei si suicidò prima che i torturatori di Pinochet potessero prenderla, stessa cosa non riuscì al suo amico Victor Jara.
L’argentina Mercedes Sosa, icona di libertà, non ha mai smesso di omaggiarli nei suoi lunghi anni argentini e nei faticosi anni del carcere e poi dell’esilio.
Un fiore rosso a Mercedes….
hasta la victoria
Torino, Parigi, Teramo… dal sito Macerie
Giusto all’ora di pranzo di giovedì, una decina di antirazzisti è entrata nella mensa del Politecnico di Torino, esponendo uno striscione con la scritta “La Sodexho ingrassa sui lager” e distribuendo volantini ai presenti. Studenti, cassiere e cuochi sono così stati informati che la grande multinazionale del catering Sodexho, oltre a gestire questa mensa, ha anche l’appalto per la fornitura dei pasti ai reclusi dei Centri di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano e di Roma Ponte Galeria.
Reclusi che da sempre si lamentano per la pessima qualità del cibo e per la presenza di vermi e scarafaggi cotti. Reclusi che spesso, come da quattro giorni proprio al Cie di Roma, sono in sciopero della fame contro le condizioni di detenzione e contro l’estensione a sei mesi del tempo massimo di permanenza, per la libertà. Reclusi che spesso si ribellano e distruggono questi lager, come hanno fatto i quattordici rivoltosi di via Corelli, sotto processo per la grande rivolta dell’agosto scorso. Reclusi che spesso evadono da quelle gabbie, come è successo al Cie di Torino nella notte tra domenica e lunedì. Detto questo, il gruppetto si è dileguato prima dell’arrivo della polizia, chiamata da un’inviperita funzionaria amministrativa della Sodexho.
Scarica, stampa e diffondi il comunicato della Sodexho e il menu della giornata.
A Parigi, invece, martedì sera una decina di solidali si sono auto-invitati a due dibattiti inseriti nel forum degli istituti culturali stranieri il cui tema di quest’anno è, pensate un po’ che pretese, “Sublimiamo le frontiere”. Il loro intento era quello di ricordare al pubblico dell’Istituto culturale olandese e di quello italiano che la parola stessa “frontiera” fa rima con controlli, lager, prigionia e morte per milioni di persone. Soprattutto ora, dentro alla moderna Europa di Schengen. Bisogna dire che l’accoglienza del pubblico che assisteva alla conferenza all’Istituto culturale olandese non è stata particolarmente calorosa: i presenti sul posto hanno cominciato molto presto a dare in escandescenze ed insultare i contestatori, e i volantini sono stati distribuiti e letti nonostante il loro gesticolare e il loro baccano. Al contrario, all’Istituto culturale italiano l’accoglienza è stata molto più cortese e comprensiva: i contestatori hanno letto la testimonianza di un recluso di Ponte Galeria ed hanno reso edotto il pubblico su quest’ultimo mese e mezzo di rivolte nei Centri italiani e del processo in corso contro i 14 di Corelli. “Sopprimiamo le frontiere” – così terminava il volantino distribuito in entrambe le occasioni.
A Teramo, invece, nella notte tra martedì e mercoledì sono stati imbrattati due mezzi della Misericordia. I quotidiani locali riportano le due scritte che sarebbero state vergate con lo spray nero sui portelloni: “Assassini” e “Complici dei lager”. La Digos, come al solito, indaga, e sospetta che a muovere gli autori delle scritte sia il disprezzo verso l’istituzione della Misericordia che, come sapete, gestisce i Cie di Bologna e Modena.
macerie @ Ottobre 1, 2009
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