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Posts Tagged ‘malattia’

Il diritto all’autodeterminazione sulle proprie ovaie e sul modo di curarsi…

26 marzo 2015 1 commento

Posto quest’articolo perché l’ho letto con rabbia ed empatia.
Perché nel mio anno dentro un ospedale pediatrico e in tutti quelli che ancora vivrò entrando ed uscendo da ospedali per lottare insieme a mio figlio per una vita dignitosa, ho imparato tante cose.
Perché in questi anni ho scoperto la malattia in tutti i sensi tranne che sulla pelle mia: ed è una situazione particolare.
Mio figlio pagherà per sempre le conseguenze di un arresto cardiaco e i suoi occhi lo urlano,
mia madre combatte, fa chemio, fa interventi, rifà chemio.
Si impara tanto e cambia tutto. Si impara l’umilità e la lotta quella con le unghie e i denti e le lacrime e i porchiddii.
Si impara, e quando ci si guarda intorno spesso ci si sente soli ma soli tanto,
perché chi ti circonda spesso ancora lo senti dire “aho ma che sei spastico?” e poi guardi la mano di tuo figlio che ogni giorno fa più cose ma ogni giorno è più storta e te ne vorresti tornare a casa.
Soli, perché sulla disabilità spesso si scherza con una cattiveria che appare innocua finchè non si trafigge nel cuore di chi la combatte ogni giorno. E fa male.
Si scherza facile, si giudica con ancora più facilità

La disabilità così come il cancro.
Il maledetto cancro che ci sta sterminando, uno ad uno che pare una guerra vaffanculo.
E allora anche io quando ho letto le battute su Angelina Jolie ho avuto un conato e capisco quanto più grosso del mio sia quello di compagne e amiche che da prima di me lo combattono o subiscono.
Dovremmo imparare a ridere di altro, ecco.
Tutto qui.

Da Le amazzoni Furiose:

Non che voglia in alcun modo paragonarmi a lei, cosi` bella e ricca, pero` forse io e Angelina Jolie qualcosa in comune ce l’avremo presto. In un futuro non troppo lontano, anch’io togliero` le ovaie. Non sono portatrice di una mutazione BRCA come la Jolie, ma mi sono ammalata di cancro al seno a soli 30 anni e il mio e` un carcinoma fortemente ormonoreponsivo. Significa, in parole povere, che la stragrande maggioranza delle mie cellule cancerose utilizzano estrogeni e progesterone per riprodursi. E` per questo che, oltre ad avermi prescritto il tamoxifene per 5 anni, gli oncologi del centro presso cui sono in cura, mi hanno bloccato le ovaie impedendo a queste ultime di produrre estrogeni. Fino al prossimo anno, la soppressione ovarica avverra` mediante l’iniezione di Decapeptyl ogni 28 giorni. Considerando, pero`, che e` mia intenzione proseguire oltre i 5 anni, dal momento che, come rilevato recentemente dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) nel rapporto I tumori in Italia. Prevalenza e guarigione da tumore in Italia, nel caso del cancro al seno occorre aspettare 20 anni prima di raggiungere un’attesa di vita simile a quella della popolazione generale (qui), sto seriamente considerando l’ovariectomia.
E` una decisione non facile e sono molto contenta che la mia oncologa mi abbia rassicurata sul fatto che andremo avanti con la soppressione chimica finche` non mi sentiro` pronta per l’intervento chirurgico. Ha inoltre precisato che una misura di questo tipo non mi garantisce che la malattia non si ripresentera`. “Qui certezze non ce ne sono”, mi ha detto. Allo stesso tempo, pero`, ho intenzione di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per ridurre le probabilita` di recidiva. Lo faccio per me, perche` voglio vivere e a lungo, ma anche per mio marito e per i miei genitori

e poi dal blog di Lorenza:
Basta.
Vi prego, basta con le battute su Angelina Jolie che si fa togliere il cervello, la fica, i piedi.
Basta.
Ve lo chiedo come un favore personale.
Ve lo chiedo perché mia madre è morta di cancro in 11 mesi.
Ve lo chiedo perché mia zia, la mia adoratissima zia, ha combattuto quindici anni prima di morire anche lei.
Ve lo chiedo per le mastectomie delle donne della mia famiglia.
Ve lo chiedo per la mia ecografia annuale, che ogni volta è un momento terrificante.
Non fate ridere.
Dimostrate solo tanta ignoranza e una totale mancanza di empatia e rispetto.
E non per Angelina, ma per lei, per l’Amazzone Furiosa che non ho mai visto dal vivo, ma per la quale bestemmio e spero.

A Nicola Pellecchia, combattente fino all’ultimo respiro

22 marzo 2013 2 commenti

Le prime righe scritte da Oreste,
in saluto di un compagno, un fratello, un amico di cui mi ha sempre parlato, col suo occhio vispo da bambino dispettoso.
Non ho mai conosciuto Nicola Pellecchia,  non ho avuto modo di incontrarlo mai e mi dispiace.

Nicola e Oreste… Oreste era ricoverato a Napoli per un malore… abbracciato a Nicola le energie son tornate rapidamente (grazie al maestro Sepe, per la foto)

Ieri i funerali a Procida, in fretta e furia, non hanno permesso a molti di noi di andarlo a salutare,
di stringerci ai suoi compagni più stretti, in quel quadro struggente che è quell’isoletta partenopea.
Il mare grosso ha reso duro il viaggio anche per chi doveva attraversare solo quel tratto di golfo.
A PUGNO CHIUSO NICOLA,
la tua storia, la tua lotta fino all’ultimo contro lo Stato,
contro il male che l’ha strappato a sua figlia e al suo mare.
La terra sarà come un’onda, schiuma di mare, profumo di iodio.

carissim*,
Nicola ha finito ieri il suo andar morendo, con rabbiosa persistenza che resisteva mostrando “cosa può un corpo”.
Penso alla sera del secondo comune compleanno assieme, a casa di Ada.
Io stramazzavo quasi sotto il peso di una magnifica fisarmonica “maggiore” trovata da Ada e troppo bella, un po’ sprecata
dall’aleatorio dilettante di passaggio, ma lo sforzo era nulla rispetto alla pertinace potenza di persistere nel proprio essere che Nicola incarnava.
Col viso di cenere, è restato fino all’ultimo alla tavola, e la mattina è volato dalla figlia nell’isola che sa di
sortilegio segreto. Era finita, si capiva già, ma lui continuava astrappare minuti di tempo di vita, come Prometeo rubava il fuoco ai suoi dèi.
Per ora non ho energia per dire altro, e lo farò poi.
Il funerale è oggi, chè venerdì Procida sarà ancora più irraggiungibile, per causa di sciopero che si aggiunge al mare grosso. (( questo per me è impresso nel ricordo della prima volta che l’ho vista, arrivando col cuore grosso e una quindicina di sodàli arrivati laggiù per essere assieme alla dispersione delle ceneri di Roberto Silvi….
il fotogramma è quello di Nicola, che prende il sacchetto delle ceneri dalle mani di Janie nel punto oltre il quale nojaltri cittadini nonmdobbiamo andare, ché c’è rischio di spezzarsimle gambe scivolando sul mucchio dei lastroni di pietra, frangifluttimpiù che molo, e si avvia, dritto e con passo elastico, fino alla puntamdella muraglia, diciamo, d’improvviso spericolatamente inseguito da un Ermanno materializzatosi come una specie di nero uccello marino, lo spolverino
impermeabile svolazzante al vento, le scarpe pericolosamente da città…)).
Ci saranno dunque Fabia e la loro figlia, i pescatori di Procida e qualche amico di lì, e un pugno di compagne e compagni che erano già lì, nei suoi giorni estremi.
“È tutto per ora” cioé ben poco, comunque si vedrà. Per intanto un
abbraccio, Oreste
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2. Il primo rintocco della
“campana” che aveva suonato per lui :
” Questa notte Nicola e morto, a casa sua, circondato dall’affetto di tutti, ringrazio ancora chi di voi ha permesso, con il proprio contributo solidale, di rendergli meno gravoso questo distacco, Ada ”

 

Giuliano Naria…fiabe quasi fiabe

28 agosto 2008 4 commenti

CONTRO I MANGIATORI DI DONI   [dal carcere di Trani]

Disprezzare ciò che è lento è già un donare.
Essere nei gesti delle parole è ricevere doni da te.
Soltanto quando il cielo sbucherà dai soffitti potrai vedere i miei doni per te.
Non compatisco i mangiatori di doni perché non sanno ricevere. E non potranno fare a meno di ricevere quello che meno vogliono. E dovranno accettare doni che non sono fatti per loro. E non saranno doni d’amore quelli che dovranno ricevere.
Superare il tempo in velocità è il mio primo dono d’amore per te.
Vedere nel futuro questo presente è il mio secondo dono per te.
Conficcare nell’immagine non l’immaginazione soltanto ma le parole e i gesti e i gesti delle parole e poi palpare e palparne gli occhi di sole, con il sole negli occhi, addentando il prossimo quanto il remoto, è il mio ottavo dono per te.

Foto di Valentina Perniciaro, passeggiando per il gheto, a testa in su

Foto di Valentina Perniciaro, passeggiando per il ghetto, a testa in su

Togliersi una maschera migliore dello stesso volto e togliersi anche il volto migliore della maschera e ripassare di vernice tutti i sogni e i simboli e i segnali, è il mio quarto dono per te.
Superare l’azione e l’immaginazione dell’azione e l’azione dell’immaginazione per divenire contraddizione degli scopi  e mezzo di questa contraddizione, nel divenire del suo processo  e nel movimento di questo divenire processo è il mio dodicesimo dono per te. Pronunciare: perché? per chi? con che? a che? dove? come? E aspettare i tuoi doni oltre la Soglia e superare cercando e creando un mondo per poterlo pensare e poi farlo perire vivendolo, è il mio settimo dono per te.
Infine abbracciare le stelle dentro e ricostruire attraverso questo abbraccio la mappa del firmamento e distinguere in tanti punti e linee-sfere il visibile e l’enunciabile, ciò che appartiene alle parole e ciò che appartiene alle cose, ciò che non è più discorso, ma non è neppure esperienza, nè identico nè differente, nè continuo, nè discontinuo. Questo abbraccio non è più neppure un dono, ma uno strappare ai mangiatori di doni la stessa possibilità di inventarmi per te e anche amarti come un dono donato da te.

E’ VIETATO CALPESTARE LE AIUOLE E STRAPPARE I FIORI   [San Vittore, marzo 1981]

C’erano vapori allucinogeni nell’aria ed era difficile distinguere il luogo e il tempo dai molti altri paralleli e intersecati. Dimensioni diverse si attorcigliavano fra loro inestricabilmente sino a confondere i sensi.
I sensi impiastricciati, impasticcati, avviticchiati, moltiplicati e divisi, incredibilmente “diversi”.
Nic Niven si chiamò dentro di sé, raccolse i sette spiriti astrali e li ingoiò. Si aggrappò tenacemente alla realtà, intrigandosi con essa; appoggiò le mani sulla terra e ritrovò se stessa.

Foto di Valentina Perniciaro, passeggiando per il ghetto

Foto di Valentina Perniciaro, passeggiando per il ghetto

Lei non aveva paura di perdere l’amore di Oberon, questo, ne era certa, non era in alcun modo possibile. Avevano in comune un regno segreto che apparteneva a loro, creato da loro, era indecifrabile. Ma temeva la malattia dell’anima di Oberon che insieme li avrebbe corrosi.
Separò a forza parte del cervello per trovare la sua interiorità. Con il coltello obbligò i sensi a ricomporsi; obbligò a separare i numeri esterni per sentire solo le voci; il naso le separò dal fumo e non odorò che assenzio; gli occhi si voltarono in dietro e guardò il suo cervello; offese il tatto perché si ritraesse in buon ordine; riempì la bocca di saliva e deglutì a lungo e non sentì più sapore. Scrigno chiuso in sè dentro uno scrigno, blindato, e si trovò lucida e attenta.
Ti regalo lo scrigno, abbine cura e abbi cura di te.

IL SOGNO E LO SPAZIO [carcere di Palmi]

C’era una volta, miliardi e milioni di anni fa, il sogno di un uomo e di una donna, di un bambino e una bambina, di un fratello e una sorella, di un compagno e una compagna.
Questo sogno era un narciso che sbocciava solo a primavera.
Questo sogno era sognato insieme, era vissuto insieme, era un sogno di spazi e di viole, un sogno di prati e di primavere, un sogno in cui non occorreva che si battesse il tempo per poterlo scorrere.
Questo sogno aveva la proprietà degli spazi infiniti e simultanei in un tempo zero. Ogni mattina il loro sogno spariva e spariva con il sogno la dimensione dell’insieme in cui il sogno era vissuto.
Il Tempo ingoiava il sogno e non lasciava più lo spazio di sognare, il Tempo divorava lo spazio e non lasciava più il sogno dei loro spazi vissuti insieme.

Foto di Valentina Perniciaro, tartarughe per il Ghetto

Foto di Valentina Perniciaro, tartarughe per il Ghetto

Gli spazi come i sogni sparivano al mattino lasciando sulle loro labbra brividi di salvia e la misura della quantità del tempo che li separava.
Restavano i narcisi, i narcisi bianchi con sfumature sul viola, i narcisi dai profumi dolci e simpatici, i narcisi sinceri, buoni, che esprimevano la loro amicizia, il loro amore. I narcisi racchiudevano i loro ricordi e le loro discussioni, tutte le loro sensazioni, tutte quelle carezze e quei baci e quegli incontri che non sarebbero mai potuti appassire come quei fiori.
I loro volti assomigliavano a quei fiori, come i narcisi erano ugualmente profumati, colorati, distribuivano e sprizzavano meraviglie e meravigliosità.
(Si racconta, inoltre, che solo chi è insensibile alla grandezza di questo fiore è portato ad essere sensibile nell’amore).
I fiori di narciso racchiudevano in uno stesso spazio i loro sogni, perché nei sogni non solo non si muore, ma gli amori si fanno cristallo e superano ogni limite e confine.
Ogni mattina, quando quel sogno veniva loro rubato, i loro capelli si drizzavano e da ricciolini che erano diventavano simili a degli spaghettini.
Avevano fatto una scommessa su se stessi, con se stessi, battere il tempo, dovevano impedire di farsi trascorrere da lui.
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E liberarono il loro desiderio di loro, liberarono il loro gesti e le loro parole, quelle parole che non fanno in tempo a fermarsi perchè i gesti sono più veloci.
Si innamorarono del loro amore perché su di questo il tempo non aveva potere, non aveva dominio e il narciso li raccolse nel sogno e dal sogno per portarli lontano da tutto ciò che non erano prati e fiori di primavera.
Nel corpo del fiore era possibile proiettarsi oltre e anche di là. Qui la matematica e la geometria dell’ignoto funzionavano pienamente.
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Sparirono percorrendo le poliedriche possibilità delle pieghe e degli angoli, proteggendosi dalla tenebra e dalla luce. Come saranno ora i loro capelli?

Giuliano Naria, operaio genovese, era un militante delle Brigate Rosse. Accusato dell’azione che porta alla morte di Coco, passa diversi anni nelle carceri speciali (kampi) di Fossombrone, Cuneo, Asinara… Gli arresti domiciliari per gravi motivi di salute vengono concessi a Giuliano solo nell’estate del 1985. L’anno dopo viene assolto dall’accusa di avere ucciso Coco e la sua scorta. Negli anni successivi viene assolto anche dalle altre accuse, ma il suo fisico è ormai gravemente debilitato. Nel 1995 gli viene diagnosticato un tumore e muore nel 1997. Ha scontato 9 anni e 16 giorni per poi essere dichiarato innocente.

Le sue favole sono un percorso dolce e colorato di evasione. Le sue favole hanno la capacità di svicolare, di scivolare dalle mani dei carcerieri, di volare libere. 

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