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Posts Tagged ‘Oreste Scalzone’

Prospero Gallinari, un anno fa

13 gennaio 2014 5 commenti

Prospero ci ha lasciati il 14 gennaio dello scorso anno,

Foto di Valentina Perniciaro : i funerali di Prospero Gallinari, Coviolo 2013

si è accasciato poco dopo esser uscito di casa e se ne è andato, quel rivoluzionario di altri tempi, di altri luoghi, di storie di cui la memoria collettiva sembra scordarsi, se non quando qualche deriva dietrologica o giustizialista li trascina fuori.
Non ci si ricorda della “brigata ospedaliera” che di lui si prese cura, non ci si ricorda di tante cose…

Prospero Gallinari, rivoluzionario, uomo del 900, contadino, uomo più unico che raro,
che come ultimo regalo ci ha donato i suoi funerali, che per ognuno di noi sono stati una grande emozione.
Chiunque ha calpestato quella neve, in quella fredda giornata di un gennaio emiliano, porta dentro di sè un calore raro,
il calore della “generazione più felice e più cara“, che noi abbiamo avuto solo modo di sfiorare,
di aspettar fuori dalle galere, di osservare invecchiare ed ora lentamente morire.
In un oblio che fa tanta rabbia.
Prospero ci ha fatti stare tutti insieme quel giorno, ha permesso un funerale non solo suo, ma anche di tutti gli altri, di tutti quelli che non hanno potuto ricevere lo stesso saluto, di quelli caduti sull’asfalto o lasciatisi morire penzoloni in una cella.
Quel giorno, tra i nostri canti stonati, li abbiamo urlati tutti i nomi di quelli che non avevamo mai potuto seppellire così, tutti insieme, cantando piangendo e ridendo: quel giorno abbiamo seppellito Mara e Walter, quel giorno Annamaria, come Riccardo o Ennio, come tanti e tanti altri sono stati seppelliti nel calore dei loro compagni, della loro storia.

Altri nomi sono stati urlati poi… i nomi degli assenti;
di tutti coloro che ancora scontano quegli anni sulla propria pelle e non possono spostarsi.
I detenuti come gli esuli, quel giorno eravamo tutti insieme.
Chi si è fatto fino all’ultimo giorno di carcere,  chi ha rosicchiato libertà usufruendo della clemenza di Stato: quel giorno per un po’ si è stati tutti insieme, e la neve s’è sciolta d’emozione.
E allora grazie, che mi hai regalato un pezzettino di voi, anche a me, che vengo da un mondo altro.
Che fa pure un po’ schifo.

Un funerale che ha dato fastidio, almeno alla Procura di Bologna, forse a corto di lavoro interessante: ben 4 son le persone indagate per “istigazione a delinquere in concorso” per aver partecipato al funerale.
Un funerale, scambiato per terrorismo … pensa che risata ti sarai fatto.

CIAO GALLO!

Voglio lasciarvi con una carrellata di link, con i racconti di quei giorni, con del materiale su Prospero Gallinari…
tutte cose che ogni tanto fa bene rileggere…

Link
A Prospero Gallinari volato via troppo presto
Ciao Prospero
Fine di UNA storia, LA storia continua
Chi era Prospero Gallinari
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero
In memoria di Prospero Gallinari di Oreste Scalzone
Su Prospero Gallinari di Salvatore Ricciardi
Prospero Gallinari, un uomo del 900
Gallinari è morto in esecuzione pena. Dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale
Gli avvoltoi s’avventano sulla memoria di Prospero Gallinari
Prospero Gallinari quando la brigata ospedalieri lo accudì al san Giovanni
“Eravamo le Brigate rosse”, l’ultima intervista di Prospero Gallinari

Gallinari e Caselli, il confronto tra cattivi maestri e bravi bidelli
Prospero Gallinari chiede la liberazione condizionale e lo Stato si nasconde dietro le parti civili
Scalzone: Gallinari come Prospero di Shakespeare, “la vita è fatta della stessa sostanza dei sogni”

“Volevo dirgli grazie per avermi fatto capire la storia di quegli anni”. Una testimonianza sui funerali di Prospero Gallinari
Perché sono andato ai funerali di Prospero Gallianari by Stecca
Al funerale di Gallinari la generazione più felice e più cara

Sonja Suder e la libertà, FINALMENTE!

14 novembre 2013 2 commenti

Una bella notizia dopo settimane di gelo.
Assaporo un po’ di libertà, ormai lontana sconosciuta, attraverso le foto del tuo volto finalmente libero.
Sono felice Sonja,

Splendida! Sonja Suder, 12 novembre 2013

Grazie a quelle immagini viste quasi per caso; nella mia nuova vita fuori dal mondo, dove lo schermo del computer è mutato in altro tipo di monitor,
dove il wi-fi è stato sostituito da milioni di cavi e tubi e fili e cavi, che circondano corpi per legarli a monitor, macchine, aghi (corpi piccolissimi)…
grazie a quelle tue rughe impegnate in un sorriso ho vissuto qualche istante di felicità intensa.

SEI LIBERA!
Posso pensare che a breve sentirò il tuo abbraccio, fortissimo e vibrante che tanto mi aveva colpito.
Mi hai parlato subito come una sorella, hai pianto tra le mie braccia chiedendomi di portare la carrellata di emozioni che mi passavi al di là del confine, sulle labbra di un uomo che aveva finito il suo esilio tra le sbarre, nuovamente.
E’ toccato a te poco dopo, in un arresto surreale che ci ha lasciati tutti basiti, non solo per la follia giudiziaria ma anche per la tua età (ora sono 81), e quella di Christian.

Tra i tuoi compagni…

Sei libera cavolo, la montatura si è sbriciolata, la libertà è di nuovo infilata tra le pieghe del tuo viso.
Qui, anche se la felicità non sappiamo più da che lettere è composta, sentiamo il brivido di chi sa che tra un po’ ci si riabbraccia tutti.
Alla faccia dei confini, delle galere, dei tribunali …

Qui un po’ di link sulla  storia:
Due estradizioni annunciate
Erri De Luca su Sonja e Christian
Una loro intervista
Estradati Sonja e Christian
Oreste Scalzone commenta l’estradizione

Verso e oltre il processo per i fatti del 15 ottobre, “Nè spettatori, nè vittime”: fate girare

15 giugno 2013 1 commento

Vi giro e vi chiedo di spammare questo comunicato.
Perché quella è stata per tutti noi una giornata importante, che ha segnato chi ne ha fatto parte volente o nolente:
una giornata che ha sicuramente mutato equilibri e affinità, che ha fatto male al cuore e allo stesso tempo è stata una boccata d’ossigeno.
Una giornata che non è finita, perché ce la vogliono far pagare cara.
Qui il comunicato della Rete Evasioni: spammate!

Foto di Valentina Perniciaro

Foto di Valentina Perniciaro

Tra lunedì 20 e mercoledì 22 maggio si è svolta all’università La Sapienza di Roma una tre giorni di dibattiti e discussioni, che si è poi conclusa, la settimana successiva, con una serata musicale a sostegno degli imputati e delle imputate per i “fatti del 15 ottobre” 2011.

Le discussioni hanno visto la partecipazione di diversi gruppi e collettivi, di ragazzi e ragazze, compagni e compagne di Roma e di altre parti d’Italia.

I collettivi autorganizzati di Scienze Politiche e Giurisprudenza, la Fucina 62 e la Rete Evasioni, hanno proposto dibattiti intorno a temi quali il carcere, le pratiche di piazza e l’organizzazione del controllo
poliziesco e statale nel suo assetto attuale. È stato un momento importante per parlare a distanza di tempo del 15 ottobre, sia rispetto alla repressione che ne è seguita, sia per scambiarsi sensazioni e riflessioni che quella giornata ancora suscita in molti di noi; si è avuto inoltre modo di misurare complessivamente l’inasprimento della repressione nei confronti dei movimenti di lotta.

Un’opportunità per discutere, incontrarsi e per organizzare quella solidarietà che, per chi lotta quotidianamente contro questo sistema, diviene ormai una tappa fondamentale e una pratica da assumere
collettivamente.

È stata anche l’occasione per ribadire la necessità di supportare la “cassa di solidarietà 15 ottobre”, indispensabile per affrontare le prossime scadenze processuali e le spese di chi è ancora detenuto.

EVASIONE!

EVASIONE!

Il prossimo 27 giugno si terrà presso il tribunale di Roma, a Piazzale Clodio, la prima udienza del processo del terzo troncone di indagini a carico di 18 persone accusate, tra le altre cose, di “devastazione e saccheggio”. Invitiamo tutti e tutte a partecipare numerosi, per far sentire le nostre voci e ribadire ancora una volta in modo determinato la nostra solidarietà e complicità.

Sentiamo forte l’esigenza di continuare, e possibilmente allargare, questo percorso: organizzare una rete solidale che sia in grado di affrontare al meglio, su un piano materiale e politico, i prossimi passaggi che riguardano il processo del 15 Ottobre e non solo.

L’accanimento poliziesco e giudiziario che nell’ultimo periodo si è scagliato contro ogni forma di conflitto non deve passare. Esige invece una risposta all’altezza della situazione.

Lanciamo un appello generale, rivolto a coloro che come noi ritengono necessario tenere alta l’attenzione rispetto alla questione della repressione, per dare inizio a un percorso determinato che sia in grado
di rilanciare in modo efficace la solidarietà e la complicità nelle lotte. Invitiamo tutti e tutte a partecipare all’assemblea che si terrà dopo il presidio, il 27 giugno all’università La Sapienza alle 17,00.

Sarà un momento di confronto per aggiornarci rispetto il processo per il 15 Ottobre e decidere insieme quali iniziative intraprendere nei prossimi mesi.

Tutte libere, tutti liberi!
Complici e Solidali a Roma

ulteriori info e aggiornamento sul sito della ReteEvasioni
sul 15 ottobre un po’ di link:
Su quelle giornate e la repressione che ne è seguita:
Delazione e rimozione della propria storia
Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti
Il comunicato su Giovanni Caputi
Pin va al 15 ottobre
Ecco la prima condanna
Cobas contro Cobas
Un commento di Oreste Scalzone
Presidio a Regina Coeli
Infoaut risponde al comunicato dei Cobas
I “terroristi urbani”

Conflitto, rivolta, autonomia e libertà: una quattro giorni a Roma

7 Maggio 2013 Lascia un commento

4 GIORNI A SOSTEGNO DEGLI IMPUTATI E DELLE IMPUTATE PER LA RIVOLTA DEL 15 OTTOBRE 2011
Rete Evasioni e Collettivi Autorganizzati presentano:

CONFLITTO-RIVOLTA-AUTONOMIA-LIBERTA’
– Tutti i giorni al piazzale della facoltà di FISICA, Università La Sapienza –
Lunedì 20 Maggio:    ore 13.00 pranzo sociale
ore 16.00 “Decostruire il carcere” esperienze, riflessioni ed analisi su detenzione, legalità e controllo sociale
a cura del collettivo Autorganizzato di Scienze politiche

Martedì 21 Maggio:   ore 13.00 pranzo sociale
ore 16.00 “Su la testa! Pratiche e forme di conflitto nelle strade che si agitano”
presentazione dell’opuscolo “prima, dopo e durante un corteo” a cura della Rete Evasioni

Mercoledì 22 Maggio: ore 13.00 pranzo sociale
ore 16.00 “Devastazione e Saccheggio, tra controinssurrezione e stato d’eccezione”
a cura del collettivo autorganizzato di Giurisprudenza e Fucina 62

Giovedì 30 Maggio:  OUR POTENCIAL, OUR PASSIONS!
Al piazzale della Minerva dell’Università La Sapienza
– dalle 20.00 aperitivo, cena e proiezione video “Autodefensa”
dalle 22.00 concerto con : ARDECORE
ALTERNATIVE ROCK, una rilettura della musica popolare romana
SERPE IN SENO  Hardcore rap, presentazione del nuovo disco “CARNE”
A seguire dj-set/live-set:  Electro-Techno, Drum’n’bass, Break beat :
MINIMAL ROME / THC / KNS / BLACK SAM

flyer4giorniulteriori info e aggiornamento sul sito della ReteEvasioni
sul 15 ottobre un po’ di link:
Su quelle giornate e la repressione che ne è seguita:
Delazione e rimozione della propria storia
Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti
Il comunicato su Giovanni Caputi
Pin va al 15 ottobre
Ecco la prima condanna
Cobas contro Cobas
Un commento di Oreste Scalzone
Presidio a Regina Coeli
Infoaut risponde al comunicato dei Cobas
La solidarietà di Radio Onda Rossa agli arrestati
I “terroristi urbani”

il 7 aprile, una data tutta da leggere

7 aprile 2013 Lascia un commento

disegno_graffiti_baloonCi son date in cui la memoria si accavalla, con stratificazioni di anni e di capitoli importanti della storia del movimento operaio e rivoluzionario, come della resistenza romana.
Il 7 aprile è una data che dal 1944, con l’eccidio delle donne di Ponte di Ferro,
al 1976  quando l’agente penitenziario Velluto uccise Mario Salvi, compagno del Comitato Proletario di Primavalle,
al 1979 con l’ondata di arresti causati dalla delirante inchiesta Calogero, dal suo “teorema”.
E allora non faccio altro che mettervi una carrellata di link di materiale già presente in questo blog,
perché la memoria, tutta, sia un arma di formazione e approfondimento, e non uno sterile e trasversale delirio commemorativo e vittimistico.

 7 aprile 1944:
Le donne di Ponte di Ferro
7 aprile 1976:
A Mario Salvi, ucciso da un agente penitenziario
7 aprile 1979:
Processo all’autonomia
Franco Fortini sul 7 aprile
Quando lo Stato si scatenò contro i movimenti
Il 7 aprile 30 anni dopo
Scalzone risponde a Gasparri sul 7 aprile

Categorie:ANNI '70 / MEMORIA, L'Italia e il movimento, Per i compagni uccisi..., resistenza Tag:, , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

A Nicola Pellecchia, combattente fino all’ultimo respiro

22 marzo 2013 2 commenti

Le prime righe scritte da Oreste,
in saluto di un compagno, un fratello, un amico di cui mi ha sempre parlato, col suo occhio vispo da bambino dispettoso.
Non ho mai conosciuto Nicola Pellecchia,  non ho avuto modo di incontrarlo mai e mi dispiace.

Nicola e Oreste… Oreste era ricoverato a Napoli per un malore… abbracciato a Nicola le energie son tornate rapidamente (grazie al maestro Sepe, per la foto)

Ieri i funerali a Procida, in fretta e furia, non hanno permesso a molti di noi di andarlo a salutare,
di stringerci ai suoi compagni più stretti, in quel quadro struggente che è quell’isoletta partenopea.
Il mare grosso ha reso duro il viaggio anche per chi doveva attraversare solo quel tratto di golfo.
A PUGNO CHIUSO NICOLA,
la tua storia, la tua lotta fino all’ultimo contro lo Stato,
contro il male che l’ha strappato a sua figlia e al suo mare.
La terra sarà come un’onda, schiuma di mare, profumo di iodio.

carissim*,
Nicola ha finito ieri il suo andar morendo, con rabbiosa persistenza che resisteva mostrando “cosa può un corpo”.
Penso alla sera del secondo comune compleanno assieme, a casa di Ada.
Io stramazzavo quasi sotto il peso di una magnifica fisarmonica “maggiore” trovata da Ada e troppo bella, un po’ sprecata
dall’aleatorio dilettante di passaggio, ma lo sforzo era nulla rispetto alla pertinace potenza di persistere nel proprio essere che Nicola incarnava.
Col viso di cenere, è restato fino all’ultimo alla tavola, e la mattina è volato dalla figlia nell’isola che sa di
sortilegio segreto. Era finita, si capiva già, ma lui continuava astrappare minuti di tempo di vita, come Prometeo rubava il fuoco ai suoi dèi.
Per ora non ho energia per dire altro, e lo farò poi.
Il funerale è oggi, chè venerdì Procida sarà ancora più irraggiungibile, per causa di sciopero che si aggiunge al mare grosso. (( questo per me è impresso nel ricordo della prima volta che l’ho vista, arrivando col cuore grosso e una quindicina di sodàli arrivati laggiù per essere assieme alla dispersione delle ceneri di Roberto Silvi….
il fotogramma è quello di Nicola, che prende il sacchetto delle ceneri dalle mani di Janie nel punto oltre il quale nojaltri cittadini nonmdobbiamo andare, ché c’è rischio di spezzarsimle gambe scivolando sul mucchio dei lastroni di pietra, frangifluttimpiù che molo, e si avvia, dritto e con passo elastico, fino alla puntamdella muraglia, diciamo, d’improvviso spericolatamente inseguito da un Ermanno materializzatosi come una specie di nero uccello marino, lo spolverino
impermeabile svolazzante al vento, le scarpe pericolosamente da città…)).
Ci saranno dunque Fabia e la loro figlia, i pescatori di Procida e qualche amico di lì, e un pugno di compagne e compagni che erano già lì, nei suoi giorni estremi.
“È tutto per ora” cioé ben poco, comunque si vedrà. Per intanto un
abbraccio, Oreste
————————————-
2. Il primo rintocco della
“campana” che aveva suonato per lui :
” Questa notte Nicola e morto, a casa sua, circondato dall’affetto di tutti, ringrazio ancora chi di voi ha permesso, con il proprio contributo solidale, di rendergli meno gravoso questo distacco, Ada ”

 

A Giorgio Frau, da Oreste

8 marzo 2013 3 commenti

In morte di Giorgio Frau, di Oreste Scalzone

Succede ormai, sempre più spesso – cadenza accelerata di un addìo dopo l’altro, un mondo che ogni volta finisce, « gli occhî d’un uomo che muore ».
Ogni morte è una fine-di-mondo, fine del mondo in senso proprio, che si consuma per chi muore. E ogni persona morta, è uno squilibrarsi del resto, resto-del-mondo, sbilanciamento del paradigma, mutazione irreversibile dello ‘stato delle cose’, buco di vuoto che si produce, e conseguente effetto-vuoto d’aria, tutto ciò che vi si precipita…
Così come avviene per la pietra lanciata in uno stagno, o il battito d’ali di una farfalla in Amazzonia dei due esempî celebri, l’onda d’urto si propaga come per cerchî che si allargano de-centricamente nell’acqua « fino ai confini dell’universo ». ”Storicamente”.
Materialmente. Realmente.foto

‘Stavolta : eravamo rimasti folgorati Lucia ed io, dalla notizia – data dai telegionali di un mezzogiorno di qualche giorno fa – di una di quelle tragedie che avvengono periodicamente, che si sono ripetute in questi anni e che hanno riguardato come ‘comunità di destino’ questa nostra detta « generazione degli anni di piombo ».
Dove le morti, d’ogni tipo e per cause diverse, vanno cadendo con ritmo assai più accelerato che la statistica ”media sociale” (così come per l’ « aspettativa di vita », o « speranza », talmente censitaria che lì si vede (e si potrebbe sbattere in faccia a tutti i decerebrati e decerebranti pifferaî dello spirito del tempo), cosa vuol dire «classe » e che cos’è, ‘bio/tanato-politicamente’…).

Un primo pomeriggio di qualche giorno fa – stavamo dicendo – dicono dunque ”dalla regìa” che la mattina, a Roma, dopo uno scontro a fuoco avvenuto nel corso di un tentativo di rapina di un furgone di trasporto di fondi, un uomo é rimaso a terra , morto.
Ci risuona nella testa il nome, Giorgio Frau. Lo abbiamo conosciuto, fa parte come tanti e tante della tessitura della nostra vita – se la vita è in gran misura fatta d’altri, in una tessitura continua di una trama comune.
Penso, a caldo, a un « vecchio ragazzo » – e in effetti, ha 56 anni appena, dieci meno di me.
Compagno, « nato » durante gli anni settanta in Lotta continua, proseguitosi poi in gruppi ”dell’ autonomia”, più tardi, dopo ‘avventure’ diverse, fughe, ”esilî”, aderente ad un degli ultimi frammenti delle Brigate Rosse.
E poi, vita dentro o sul limitare della galera, scelte e necessità…
Ne avevamo incrociato il destino trent’anni fa. Nei primi anni ’80, con due altri suoi compagni/amici (potevano dirsi ”ragazzini”, allora…) anche loro inquisiti e braccati dall’apparato penale dello Stato Italiano, come tant’altri uomini e donne era riparato in Francia. Pur non puntando a utilizzare la definizione di « terre d’asile », avevano cercato un momentaneo rifugio, quantomeno per ‘tirare il fiato’.
Arrestati dopo qualche tempo per lievi reati, difesi dai nostri avvocati e sostenuti dalla solidarità di noialtri
della divisa, e ”morale provvisoria”, del « per tutti e ciascuno!», linea di condotta, punto di vista e traccia etica di base, con le correlate ‘pratiche di solidarietà concreta’, dopo qualche mese di detenzione erano usciti e avevano potuto restare, precariamente come tutti, in Francia, in condizione di ”accoglienza”, rifugio e asilo di fatto, presenza ‘tollerata’. A poco a poco erano usciti dal ‘giro’, dalle frequentazioni quotidiane della ”rifugiaterìa”.

Un giorno della fine anni 80/inizio 90, il pugno nello nstomaco anche allora a mezzo mass-mediatico della ‘caduta’ di Giorgio in Spagna. Quello che è seguito è noto : gli anni di galera lì, poi ancora la prigione in Italia ; e poi semi-libertà, ri-‘cadute’… ancora anni di galera …, e poi di nuovo semi-libertà (ossia, come per il bicchiere mezzo pieno mezzo vuoto, semi-prigionìa), con i corollarî di lavoro precario, vita difficile, che non sfugge ad una cappa di ulteriore durezza, infelicità a oltranza. Sempre – con tutta evidenza – una silenziosa fedeltà alle passioni, sogni, affetti, necessità e scelte dei suoi anni verdi.
Incontrandolo di recente a una manifestazione – non so più dove…, anzi ora sì, ma non é tanto importante qui data luogo situazione – e abbracciandolo, avevo notato ancora (non voglio toccare corde sentimentali, è che é così) gli occhi tristi
ridenti, occhi ”ossimori” di sorriso e allegrìa tristi. Non spiaccia ad alcuno/o (ma…, siamo ribelli e sovversivi, critici radicali, mica ”cattivisti”, più di quanto non siamo ”buonisti”…) l’immagine che segue : « il gh’aveva deu oecc’ de bun » (si perdoni l’ortografia…), ”aveva due occhî da buono”, come dice « Il purtava ‘i scarp’ de tenis »,la canzone di Jannacci.
Occhî, potrei dire, come tra il sognante, l’estenuato e un fondo di spavento – forse uno legge ciò che proietta lui, ma mi sembrava una specie di sgomento per questo mondo in cui si oscilla tra la prospettiva di « una fine spaventosa », « uno spavento senza fine » o entrambi gli scenarî in sequenza. Mondo, dove l’inerziale risultante delle dinamiche sistemiche, nonché l’insieme di ”quelli che comandano, utilizzano, capitalizzano, hanno potere di vita e di morte, decretano, decidono ‘passati presenti futuri’; quelli che ”vampirizzano” la potenza, « potenza di persistere nel proprio essere », forza-lavoro intelligenza cooperante, energia, « disperata vitalità » ;
quelli che presuppongono e icessantemente riproducono a-nomia, base di eteronomizzazione e a-tomizzazione, inibendo in radice (e comunque confiscandone ogni tentativo) capacità di comunanza, comune autonomia, interazione di singolarità differenti, tessitura di una trama comune di libera convivenza”, riducono schiaccianti maggioranze a pensare più facilmente « la fine del mondo che la fine del capitalismo », della Cosmo-macchina risultante, oggi esistente e in corso d’opera…

Of course, tutta la « sciacallerìa » (dal significato, in metafora, della parola ”sciacallo” nel linguaggio corrente), saremmo indotti a dire, più ancora che degli stessi « inquirenti/inquisitori », della propaganda di guerra per via mass-mediatica, dominata da lettura « conspirazionista » dei fatti e delle cose – della vita intera – , si era gia messa a ”macinare”…
Bisognerà – ancora una volta e forse un’ultima, chee valga come se ‘una volta per tutte–, mettere i piedi nel piatto, contrapporre, rispondere, introdurre dei ragionamenti in rapporto a questa ferocia, a questa, più ancora che « violenza », stolida crudeltà…
Stigmatizzano l’inimicizia (quando essa incarna la parte, il fronte di guerra sociale ”dal basso verso gli alti”, e quello che mettono al posto e chiamano « pace civile » &ccetera &ccetera… mettono, se è per questo, una nuvola di malanimo, risentimento, sprezzo misantropo e altre passioni tristi, invidia [della vita], tutto quanto insomma intesse il paradosso che qualcuno ha detto « della rivolta dei ricchi contro i poveri » (nonché, ovviamente, l’esser rotti ad ogni crimine
nella concorrenza [mimetica] a morte all’interno del ”loro mondo»…).

Ci sarebbe molto da dire (anche a certi Soloni che avvelenano i dibattiti nella rete, prendendosi per detentori della ”verità vera”, dello ‘spirito della Giusta Linea…). Come si usa dire, un po’ consentendosi il sogno, ”dormi, vola, riposa…, che la terra ti sia lieve…”.

Riscritto (potuto riscrivere, forse fuori tempo massimo,nella ‘dannazione’, anche, dell’ intempestivo)
oggi, 8 marzo 2013, a Parigi,
da Oreste (Scalzone)

LINK:
A GIORGIO FRAU, ucciso ieri
L’ultimo saluto a Giorgio

Exile is…

31 gennaio 2013 Lascia un commento

L’esilio, in un’opera di Mattia Pellegrini

I funerali di Prospero, una testimonianza

26 gennaio 2013 13 commenti

Il testo che leggerete qui sotto mi è stato inviato come commento ad una delle pagine che ho dedicato a Prospero Gallinari, e ai suoi funerali nel piccolo comune emiliano di Coviolo, dove mi son recata per salutarlo insieme ad un migliaio di persone, di compagni.
Una delle tante testimonianze di quella giornata particolare, tanto maleficamente e ridicolamente discussa sui giornali e nelle sedi di partito,
così incredibilmente calda e importanti per ognuno di noi, che ha calpestato quella soffice neve, tutti insieme, come fossimo un unico passo.
Questa testimonianza è bella perché racconta una piccola storia personale, un percorso affascinante di chi, cresciuto nel mondo, nel lessico, nella storia e nella letteratura dei vincitori, FUNERALI DEL BRIGATISTA PROSPERO GALLINARI
si accorge di aver anche qualcos’altro da scoprire,
da scoprire appunto, perchè era stato ben nascosto.
Grazie Davide, queste righe son straordinarie.

[sotto l’articolo “rubo” l’eccellente carrellata di link di racconti, analisi e testimonianze su Prospero e sulla giornata di Coviolo fatta da Paolo sul suo blog]

Anche se ovviamente non gliene frega giustamente niente a nessuno, vorrei dare un ulteriore “spaccato” di quel funerale, dicendo perchè sabato ho deciso di andare a Coviolo.
Da tempo avrei voluto incontrare Prospero Gallinari ma per mia colpa e pigrizia (avrei potuto chiedere aiuto al mio collega Burani, persona straordinaria che ho conosciuto nel corso di un processo che facemmo insieme anni fa) o anche “sbattermi” in qualche modo, ma non l’ho fatto, peccato.
E perchè avrei voluto incontare Gallinari, uno si chiede ?
Per ringraziarlo perchè gli dovevo qualcosa, e un qualcosa secondo me di importantissimo, gli dovevo l’avermi fatto capire LUI quello che era successo nel mio paese quando ero troppo giovane per comprenderne appieno la portata storica e soprattutto sociale, e che per decenni mi era stato raccontato ed insegnato solo da chi aveva vinto e nel modo in cui voleva chi aveva vinto.
E come avvenne ciò ? Me lo ricordo benissimo perchè non risale a molto tempo fa, stavo girovagando su youtube in cerca di materiale sul caso Moro per un mio personale approfondmento quando mi imbattei sulla sua lunga intervista del video del 2006 “una storia del 900”, ho cliccato, manco lo avrei riconosciuto visto che le solite foto d’epoca ce lo mostravano tutto diverso, e quel suo modo di raccontare e di raccontarsi mi ha colpito e molto positivamente, me lo immaginavo tutto diverso da quello che avevo letto (ovviamente scritto da quei vincitori), e così iniziai ad ascoltare il suo racconto, lungo, più di 1 ora, ma interrotto, una sorta di monologo, era il racconto della sua storia e di quella storia. Era la prima volta che qualcuno me la raccontava così, sembrerà strano ma è proprio così, fino a pochissimi anni fa ero uno dei tanti “indottrinati” dalla storia dei vincitori. Poi ovviamente dopo quella intervista ho letto tutto quello che ha scritto LUI e cercato di recuperare anche le sue altre inteviste, l’ultima delle quali (straordinaria) nel recente documentario francese. Gallinari mi ha fatto capire chi era LUi attraverso la spiegazione paziente, sofferta, precisa, meditata, genuina, vera, dolorosa ed esaltante etc. di quella sua storia e di quella nostra storia che mi era stata sempre taciuta e negata.
Siccome mi pareva di avere capito, ma magari sbagliavo, che lui ci tenesse molto a che venisse saputa e capita anche da chi allora non c’era (non credo si rivolgesse ai suoi compagni che qualla storia con lui l’avevano vissuta…) avrei voluto dirglielo e ringraziarlo e ho pensato di farlo andando a Coviolo in mezzo alla sua gente e nella sua terra, un pò per dirgli “c’è chi ha capito la tua storia ascoltando le tue parole e leggendo i tuoi libri”. Per questo sono andato ai SUOI funerali, non sarei andato al funerale di un altro che non conoscevo, sono andato al SUO.  E’ vero che sapevo che avrei incontrato alcuni amici ai quali sono molto legato, ma quel giorno mi sentivo lì proprio e solo per Prospero Gallinari, un uomo che non avevo mai incontrato.
Davide Steccanella

La cerimonia di saluto
Tutti a Coviolo per salutare Prospero Gallinari la cerimonia si terrà domani 19 gennaio alle-14-30
Ciao Prospero
In diretta da Coviolo immagini e parole della cerimonia di saluto a Prospero Gallinari/1
In diretta da Coviolo in migliaia per salutare Prospero Gallinari/2
La diretta twitter dai funerali
Ciao Prospero
Gli assenti
Scalzone: Gallinari come Prospero di Shakespeare, “la vita è fatta della stessa sostanza dei sogni”
Fine di UNA storia, LA storia continua
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero

Testimonianze
In memoria di Prospero Gallinari di Oreste Scalzone
Al funerale di Gallinari la generazione più felice e più cara
Su Prospero Gallinari
Gallinari e il funerale che andava fatto anche per gli altri

La storia
Quadruppani – Mort d’un combattant
Bianconi – I parenti delle vittime convocati via posta per perdonare Gallinari
Prospero Gallinari chiede la liberazione condizionale e lo Stato si nasconde dietro le parti civili
“Eravamo le Brigate rosse”, l’ultima intervista di Prospero Gallinari
Prospero Gallinari quando la brigata ospedalieri lo accudì al san Giovanni
Gli avvoltoi s’avventano sulla memoria di Prospero Gallinari
Gallinari è morto in esecuzione pena dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale
Prospero Gallinari un uomo del 900
Chi era Prospero Gallinari?
Gallinari e Caselli, il confronto tra cattivi maestri e bravi bidelli
Gallinari, Gotor e le lettere di Moro
Caselli Prospero Gallinari e i cattivi maestri
In risposta a Caselli su Gallinari

Gallinari e il funerale che andava fatto, anche per gli altri

23 gennaio 2013 8 commenti

30 novembre 2013: DOVEROSO AGGIORNAMENTO.. 4 indagati per i funerale, LEGGI QUI

“Due razze di uomini. L’una uccide e paga, anche con la vita. L’altra giustifica migliaia di crimini ed accetta di ricavarne onori”  (- Albert Camus –)

Dal blog di FrancoSenia la citazione che tra le tante mi ha più lasciato sulla pelle il calore di sabato scorso,
quel calore immenso che ci avvolgeva sotto la neve di Coviolo, in quel panorama piatto e soffice, che accarezzava lo sguardo mentre salutavamo Prospero.
Un viaggio di due giorni che lascerà il segno dentro di me, che ha scavato nel profondo in ogni suo abbraccio, in ogni mano a cui mi son aggrappata o che ho sentito attaccarsi a me, improvvisamente.

Foto di valentina perniciaro _coviolo_

Foto di valentina perniciaro _coviolo_

mai dimenticherò la mano di Sante che mi ha stretto nella folla quando Oreste ha iniziato il suo fischio coinvolgente… una mano tremante, che cercava alla cieca un calore da stringere, per poter iniziare un canto collettivo.
Poi Renato, il cui sguardo e le cui mani mi hanno colpito più di tutti gli altri e forse non conosco parole adeguate per descriverne il motivo, son quelle cose che viaggiano sulle vibrazioni nell’aria,
che si poggiano sulla pelle e lì scaldano il resto del corpo. Il suo sguardo carezzava quella bara e conteneva un mondo intero, forte, dignitoso, pulitissimo.

Foto da Contropiano

Mai dimenticherò un treno pieno di ergastolani che tagliava l’Italia in due (abbiamo provato a contare il numero degli anni di carcere scontati in quelle carrozze in corsa ma ad un certo punto il conto si è perso)
mai dimenticherò quella neve soffice, l’abbraccio con mille compagni che ognuno strappava la carne e il sorriso.
E’ stato un funerale felice,
ha ragione Sante,
Prospero, che preferisco chiamare Gallo almeno su queste pagine, ha regalato a noi compagni quel che ancora ci mancava, quel che mancava a tutti coloro di quella generazione presenti in quel piccolo cimitero emiliano.

Con Prospero siamo riusciti a seppellire Mara, i fratelli Mantini, Annamaria, Martino, Antonio, Luca, Wilma
cantando quello stonatissimo coro d’Internazionale, abbiamo per la prima volta salutato e seppellito tutti insieme tutti quei compagni uccisi e rimossi dalla memoria collettiva, spesso anche del movimento stesso.
Più che spesso. E cavolo che bene che ci ha fatto, che esplosione straordinaria d’amore che c’è stata.
Perché con noi c’era anche chi non poteva esserci,
perché chi è detenuto ha mandato un figlio, un bacio, un sorriso, un foglietto,
perché gli esuli, lontani da decenni dalla terra e lingua di casa c’erano tutti,
i loro nomi son stati urlati uno ad uno.
Non c’è stata una lacrima di tristezza Prospero, malgrado la tua mancanza sia pesante,
ci son state lacrime di un’emozione che in me ha mutato tante cose,
che in me ha riaperto quella bella capacità di credere di far parte di qualcosa di straordinario,
che sono i compagni.
Quei compagni, di ogni età, che sabato ho stretto forte forte a me.

Grazie Gallo!

LEGGI:
La mia diretta twitter dai funerali
Ciao Prospero
Fine di UNA storia, LA storia continua
In risposta a Caselli su Gallinari
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero

Altre pesanti condanne per il 15 ottobre

7 gennaio 2013 1 commento

Foto di Valentina Perniciaro _15ottobre_

Galera.
Solo galera. Non c’è altro modo di affrontare le cose in questo paese.
Ancora le parole usate solo : devastazione, saccheggio, resistenza pluriaggravata e lesioni a pubblico ufficiale.
Devastazione e saccheggio: il nuovo paradigma penale che fa penetrare le sue radici nel codice Rocco, si presenta ancora una volta,
per la prima in questo 2013, dopo che lo scorso anno c’ha portato via dei compagni.
Ora in cella, o in fuga.

Sei condanne a sei anni: sei per sei fa trentasei…
trentasei anni di galera per una giornata di resistenza,
dove migliaia di persone hanno difeso una piazza e l’incolumità dei manifestanti da folli caroselli e feroce repressione.
Ma la risposta a tutto ormai è DEVASTAZIONE e SACCHEGGIO,
che comporta un pacco d’anni minimi da far paura,
quelli che non ti danno nemmeno se stupri una persona.

Altri trentasei anni di carcere per il 15 ottobre: oltre a 30.000 euro cadauno di risarcimento danni.
Pensano di toglierci dalle strade rovinando le nostre vite, quelle dei nostri compagni e amici.
SOLIDARIETA’ AI MANIFESTANTI CONDANNATI!

Proverò ad aggiornare con maggiori notizie-
per info serguire : ReteEvasioni

Su quelle giornate e la repressione che ne è seguita:
Il comunicato su Giovanni Caputi
Pin va al 15 ottobre
Ecco la prima condanna
Cobas contro Cobas
Un commento di Oreste Scalzone
Presidio a Regina Coeli
Infoaut risponde al comunicato dei Cobas
I “terroristi urbani”

i testi caldi 🙂  son qui:
Delazione e rimozione della propria storia
Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti

Due vademecum per muoversi tra piazze, cordoni, celle e domandine

11 dicembre 2012 2 commenti

La Rete Evasioni nasce all’indomani del 15 ottobre,
per sostenere attivamente e portare solidarietà a tutti e tutte coloro colpiti dalla repressione seguita a quella giornata di mobilitazione internazionale.
Pesanti, pesantissime le conseguenze legali per molti giovanissimi dimostranti,
che dati in pasto alla stampa (soprattutto grazie al meticoloso lavoro infame di La Repubblica) si sono visti sbranare dai tribunali, con richieste di carcerazioni pesantissime,
molte immediatamente effettive.
La Rete Evasioni, appunto, nasce in un clima estremamente sfavorevole non solo alle persone colpite ma a tutti coloro che hanno vissuto e analizzato quella piazza come qualcosa di nuovo, da conoscere ed affrontare,
con cui muoversi spalla a spalla, malgrado differenze e metodologie.
Questo è quel che abbiamo pensato mettendo in piedi questa rete: il portare solidarietà, un aiuto effettivo in aula, in cella e in qualunque luogo di privazione della libertà;
a coloro considerati, anche da buona parte del movimento italiano, “sfasciacarrozze”.

In quest’anno di governo tecnico il livello di repressione nei confronti di chi manifesta è aumentato vertiginosamente,
così come la partecipazione dei giovanissimi, che riempiono le piazze spesso senza rendersi conto della violenza dei manganelli che si trovano difronte.
E così sono stati prodotti due libricini,
due piccoli libretti che provano ad essere un aiuto tascabile,
per i nuovi masticatori di marciapiedi e conflitto,
ma anche per chi avrà la sfortuna di essere acciuffato,
quindi ammanettato, incarcerato, processato e magari condannato.

Un libricino sul “come stare in piazza”, sul come muoversi tra i cordoni, sul come muoversi col proprio materiale tecnologico, sul come gestire la tensione e la calma nei momenti di panico e scontro.
Poi, un libricino sul come affrontare la galera,
un piccolo vademecum che cerca di spiegare a chi lo ignora completamente,  quali sono i meccanismi della detenzione, le sue parole d’ordine, i piccolo consiglio che aiutano a gestire con lucidità la propria carcerazione.

Vi consiglio di leggerli,
di scaricarli, magari anche di stamparli e diffonderli nelle strutture, piazze, città, collettivi, consultori che frequentate….insomma, ovunque.

– PRIMA, DURANTE e DOPO il CORTEO: file PDF
– GUIDA PER CHI HA LA SFORTUNA DI ENTRARE IN CARCERE: File PDF

Su quelle giornate e la repressione che ne è seguita:
Delazione e rimozione della propria storia
Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti
Il comunicato su Giovanni Caputi
Pin va al 15 ottobre
Ecco la prima condanna
Cobas contro Cobas
Un commento di Oreste Scalzone
Presidio a Regina Coeli
Infoaut risponde al comunicato dei Cobas
La solidarietà di Radio Onda Rossa agli arrestati
I “terroristi urbani”

Il 15 ottobre e gli scontri a San Giovanni: un anno dopo

15 ottobre 2012 7 commenti

Ci sarebbe da scriverci per ore, (io ho fatto già abbastanza danni con queste due pagine a caldo : – Delazione e rimozione della propria storia Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti)

Foto di Valentina Perniciaro _resistenza a Piazza San Giovanni_

sarebbero molte le pagine da dover riempire per valutare quella giornata, un anno fa.
Ci sarebbe anche, ancora e più di prima, da essere furiosi, per il comportamento di “tanta” piazza, di quei signori della piazza che pensano sempre di poter gestire e prevedere ogni mossa, ogni slogan, ogni pulsione di rabbia e rivolta.
Gli è andata male a lor signori,
ma è andata male anche a chi quella piazza l’ha voluta determinare da capo, spontaneamente,
senza la minima organizzazione, ma con tanto fiato in gola e petto gonfio da battiti emozionati.
E’ andata male perché dal comportamente surreale in piazza, al rientro a casa, c’è stata la scoperta della delazione,
della caccia al mostro, infiltrato o black bloc che sia.
E’ andata male perché l’ondata repressiva è stata veramente di portata bellica, e le condanne che son seguite a quei giorni sono pesanti, spropositata, avvolte in una nuvola di oblio dei compagni, un silenzio che non si può accettare.
Faticoso scriverne, perché la rabbia è tanta per quella giornata così speciale, sotto tutti i punti di vista.
Siamo tornati a casa tutti molto cambiati da quel corteo,
per quel che mi riguarda sento che c’è stato uno spartiacque, una pagina girata con delusione e rabbia.

Aspettando che le piazze tornino a riempirsi,
aspettando che il conflitto, in tutte le sue forme e la sua autodeterminazione, tornino a riempire le strade…

Su quelle giornate e la repressione che ne è seguita:
Il comunicato su Giovanni Caputi
Pin va al 15 ottobre
Ecco la prima condanna
Cobas contro Cobas
Un commento di Oreste Scalzone
Presidio a Regina Coeli
Infoaut risponde al comunicato dei Cobas
La solidarietà di Radio Onda Rossa agli arrestati
I “terroristi urbani”
Delazione e rimozione della propria storia
Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti

Oreste Scalzone su Delle Chiaie, “un manipolatore che non merita nemmeno di esssere gratificato come nemico”

28 settembre 2012 5 commenti

Prendo quest’intervista ad Oreste dal blog di Paolo Persichetti: la trovo eccellente, di quelle in cui non c’è una parola che non è quella che vorresti saper dire, non c’è errore, non c’è nulla che non condivido.
Anche sul bisogno di dedicarsi a ben altro, del movimento sovversivo, se questo esistesse sul serio…

Il fondatore di avanguardia nazionale, autore di un’autobiografia edulcorata che sorvola sui servigi prestati alla Spagna franchista e alle dittature militari latinoamericane per reprimere gli oppositori politici – in passato – ricorda Oreste Scalzone, insieme a Mario Merlino ha più volte sostenuto che la battaglia di Valle Giulia, nata dalla resistenza opposta dagli studenti al tentativo di sgombero della facoltà di architettura da parte della polizia, sarebbe stata preceduta da un incontro tra neofascisti e il comitato d’Ateneo della Sapienza del quale facevano parte, oltre a Scalzone e Roberto Gabriele, anche Franco Russo, Paolo Mieli, Paolo Flores D’Arcais e altri ancora. L’episodio è un falso storico clamoroso, ribatte Scalzone: «Delle Chiaie è un pessimo personaggio, un manipolatore che non merita nemmeno di esssere gratificato come nemico»

Camillo Giuliani
Calabria ora 28 settembre 2012

A prescindere dalla temperatura esterna, si prospetta un pomeriggio da autunno caldo a Cosenza. Il giorno dopo Renato Curcio arriva in città l’uomo nero, Stefano Delle Chiaie, e non sono pochi quelli che, da giorni, annunciano su internet manifestazioni per impedirgli di presentare “L’aquila e il condor”, il libro in cui il 76enne esponente della destra radicale racconta la sua versione su una stagione politica di cui fu (in)discusso protagonista. Ne abbiamo parlato con un altro primattore di quegli anni, Oreste Scalzone, fondatore di Potere Operaio. «È difficile trovare due uomini più agli antipodi tra loro», il suo commento iniziale. Nonostante abbiano in comune l’attivismo politico – su sponde e con metodi differenti – e una lunga latitanza all’estero per sottrarsi alla giustizia italiana, Scalzone e Delle Chiaie, il rosso e il nero, sono come due rette parallele che non trovano mai un punto d’incontro.

Cosa pensa di Delle Chiaie?
«Sono solito parlare in modo critico di sistemi e non di singoli, ma quando si tratta di uomini pubblici con responsabilità come le sue un giudizio è doveroso: credo – anche sulla base di un riscontro pratico, dettaglio sintomatico – sia un pessimo personaggio».

Quali riscontri?
«Lui e Mario Merlino hanno fatto circolare falsità quale quella che prima di Valle Giulia loro avessero preso contatto col Comitato d’agitazione d’ateneo alla Sapienza, e che quindi quella fosse stata un’impresa comune. Un episodio che mostra inequivocabilmente l’indole manipolatrice di questo personaggio che ama rimestare nel torbido».

I fascisti con Valle Giulia non c’entrano?
«Basta aver letto, che so… Malaparte, per sapere che in una piazza in tumulto può esserci di tutto. Certo è che se c’erano i fascisti, il movimento non se ne accorse».

Che differenza c’era tra ribelli di sinistra e di destra?
«Molti giovani, anche per opporsi a un antifascismo trasformatosi in regime, diventarono fascisti pensando di ribellarsi all’ordine costituito. La ritengo una forma, certo malintesa – un tragico equivoco –  di ribellione vera. Delle Chiaie con loro non c’entra, la cosa peggiore è che abbia lavorato per i servizi segreti del Paraguay di Stroessner».

Franco Piperno ha definito i terroristi “delle ottime persone, anche se hanno ucciso”. Che ne pensa?
«Condivido il suo giudizio per quanto riguarda coloro che, a torto o ragione, si ribellano all’ordine costituito, dal basso verso l’alto. Camus diceva che “non ci sono angeli di luce e idoli di fango; gli umani vivono così, a mezz’altezza”. Ma quando qualcuno si comporta in tutta la carriera come un gerarca dalla parte di coloro che schiacciano altri, non vedo come gli si possano concedere riconoscimenti di una qualche nobiltà, quantomeno d’intenti».

Ha letto “L’aquila e il condor”?
«Ci sono tante cose che non si riescono a leggere nella vita, mancanze che lasciano un rimorso, ma ammetto che difficilmente troverò il tempo di dedicarmi al libro di Delle Chiaie. Potrebbe anche avere un qualche interesse, tutto può essere. Ma la vicenda del Paraguay, ciò che si dice tra gli stessi fascisti di quest’individuo, il piccolo riscontro personale di cui sopra, mi fanno dubitare che in quelle pagine ci sia qualcosa di pregevole».

Scenderebbe in piazza per impedirne la presentazione?
«I movimenti sovversivi avrebbero ben altro da fare che impigliarsi in sceneggiate per vietare la parola a personaggi che converrebbe invece gratificare con un disinteresse e un silenzio eloquenti. Meglio sarebbe occuparsi di dare il fatto suo a gente più significativa, a partire dal dottor Marchionne».

Ha vissuto situazioni come quella che si attende per Delle Chiaie?
«Dopo il rientro ho ricevuto diverse contestazioni. All’università di Palermo lanciarono pietre contro le vetrate dell’aula dove si svolgeva l’assemblea, sembrava un cattivo remake del 16 marzo del ’68 alla Sapienza. L’onorevole signorina Meloni andava straparlando  di “bombaroli”, imitata da un tale Volontè deputato Udc…la sinistra di Stato annuiva. Quelle contestazioni, però, avevano origine nelle stanze del potere, non c’erano folle che si riunivano spontaneamente. Spero che i compagni cosentini non finiscano a chiedere alla questura di vietare l’evento, sarebbe una vera contraddizione in termini!».

Perché nemmeno una polemica per l’arrivo di Curcio?
«Il generale Dalla Chiesa, strenuo avversario delle BR, disse di Renato che era “uno che andava, non mandava”, manifestandogli quel rispetto che si concede a un nemico, nel senso più alto del termine. Lo stesso rispetto che Cossiga mostrò per Prospero Gallinari o Maurizio Ferrari che oggi, dopo 32 anni di prigione, è di nuovo rimesso e tenuto in galera per manifestazioni di lotta da un piccolo Vichinskij  (l’inquisitore per eccellenza della Russia di Stalin, ndr) come il procuratore Caselli. Ecco, l’intero percorso di Delle Chiaie non mi sembra suscettibile di raccogliere un rispetto della stessa natura».

Delle Chiaie è un suo nemico?
«Qualcuno ha detto che si è, o si diventa sempre un po’ alla misura del nemico che ci si sceglie. L’inimicizia, anche assoluta, è una relazione alta e non richiede di considerare l’altro un “sotto-uomo” – “Untermensch”, termine squisitamente nazista – o un demone. Escludendo dunque la passione triste ed autolesiva del risentimento o della diabolizzazione, non è necessario, tuttavia, gratificare qualcuno che non la meriti di una relazione simile. Comunque, se oggi qualcuno vuole telefonarmi per avere un confronto pubblico tra Delle Chiaie e me sulla questione di Valle Giulia, accetto la sfida di buon grado».

Frammenti di Oreste Scalzone, da Genova al 15 ottobre, passando per Matteo Renzi

11 novembre 2011 11 commenti

12 anni bastano compagni.
Avete mai visto una rivoluzione, una sovversione, che continua a riprodursi per appuntamento, spettacolare.
Ce li organizza la società dello spettacolo, e noi appresso. Ogni volta s’è riprodotta così: chi faceva il pacifico, chi faceva il black bloc…ma fino a quando?Sappiamo già tutto, fino a quando andremo avanti?
Il 15 ottobre forse ha chiuso un cerchio.
[…]
La crescita, l’intergenerazionale…quelli del ’69, l’operaio comune eh, non io, Pifano, Curcio o Miliucci, ma quello delle canzoni di lotta continua: ha recuperato del reddito,no?  ha mandato il figlio all’università? E mo si ritrova che fa da ammortizzatore sociale.
Pulisce il culo dei bambini, tiene in casa la nuora o il genero , c’ha già i genitori con l’Alzheimer (perché è l’aumento della speranza di vita dopo i 75 anni) aspetta di avercelo  lui e gli dicono pure che ha rubato il futuro a quella faccia da cazzo di Matteo Renzi.

Oreste Scalzone

Come si fa a non amarlo?

Amburgo: solidarietà per Sonja Suder e Christian Gauger

10 novembre 2011 Lascia un commento

AMBURGO _Oggi come allora - mille ragioni per la rivolta! Solidarietà a Sonja e Christian. Dal 1978 Sonja e Christian erano ricercati dallo stato tedesco, con l'accusa di aver preso parte ad attentati contro energia nucleare, bomba atomica e gentrificazione e di far parte delle Cellule Rivoluzionarie (RZ). Entrambi hanno scelto la fuga e una vita in esilio sotto falsa identità e deciso di non scendere a compromessi e cooperazione con lo stato e i suoi aiutanti. _

Christian fortunatamente è stato scarcerato pochi giorni fa, viste le sue condizioni di salute, completamente incompatibili con il carcere.
Sonja malgrado l’età avanzata è di una forza incredibile, vive la sua carcerazione con serenità, scrivendo che l’aveva sempre immaginato che prima o poi l’avrebbero presi, quindi è preparata e sollevata che Christian sia lontano dal carcere.
Informationen:
verdammtlangquer.org/
abc-berlin.net
freilassung.de

Qui un po’ di link sulla lorio storia:
Due estradizioni annunciate
Erri De Luca su Sonja e Christian
Una loro intervista
Estradati Sonja e Christian
Oreste Scalzone commenta l’estradizione

Un audio di Oreste Scalzone sull’estradizione di Sonja e Christian

18 settembre 2011 3 commenti

Noi compagni ne parliamo a malapena, mentre “gli altri”, quelli che ci vorrebbero tutti in galera hanno l’occhio lungo e non si fanno sfuggire nulla:
Il Giornale si è accorto dell’estradizione di Sonja Suder e Christian Gauger, molto più dei siti di controinformazione, molto più dei militanti della sinistra italiana. Sono in grado, meglio di noi, di capire le connessioni e le implicazioni che potrebbero sorgere da quest’estradizione, per i rifugiati italiani in Francia.
Insomma, ancora una volta il nemico è un po’ più avanti di noi. (leggi l’articolo)

Intanto dai microfoni di Radio Onda Rossa, un commento di Oreste Scalzone, che tanto si è battuto per evitare questa “doccia fredda” di Sonja e Christian…così come aveva fatto per Paolo Persichetti, per Marina Petrella e tanti altri…

ESTRADATI SONJA E CHRISTIAN IN GERMANIA! Fate girare la notizia

15 settembre 2011 10 commenti

La giustizia, per quel grand'uomo di Ali Ferzat

NE ABBIAMO PARLATO SPESSO SU QUESTO BLOG.
VI HO RACCONTATO LA STORIA DI QUESTI DUE ANZIANI SIGNORI, DI QUESTA BELLA COPPIA CRUCCA, PERCHE’ HO AVUTO IL PIACERE DI DIBATTERE CON LORO, DI SCHERZARE E ABBRACCIARSI.
HANNO CONOSCIUTO IL MIO PANCIONE, SI SON PRESENTATI AL MIO BIMBO NON POTENDO ABBRACCIARE IL SUO PAPA’, ANCHE LUI ESTRADATO DALLA FRANCIA VERSO L’ITALIA.
INSOMMA…SONJA E CHRISTIAN PER ME NON SONO SOLO DUE NOMI, MA SON DUE SORRISI TRA MILLE RUGHE, SON DUE SGUARDI AFFASCINANTI E MOLTO DIVERSI TRA LORO, SONO LA FORZA DI QUELL’ABBRACCIO CHE DOVEVA ARRIVARE FINO AL MIO AMORE PRIGIONIERO, CHE LORO AVEVANO IL TERRORE DI NON VEDERE PIU.
E INVECE OGGI E’ TOCCATO A LORO, MALGRADO L’ETA’, MALGRADO SIANO ABBONDANTEMENTE SUPERATI I 30 ANNI DAI FATTI DI CUI SI PARLA, MALGRADO SIA STATO SENTENZIATO CHE LA LORO NON ERA UNA CONDIZIONE COMPATIBILE CON UN’ESTRADIZIONE E POI UNA DETENZIONE. MA ORA CONTA POCO.
STAMATTINA SONO STATI PRESI E PORTATI IN GERMANIA…DOVE AD OTTANT’ANNI DOVREBBERO ATTENDERE UN NUOVO PROCESSO.
UNA FOLLIA, UNA FOLLIA COLOSSALE…. DA CUI CI AUGURIAMO SOLO DI VEDERLI USCIRE.

VI METTO QUI SOTTO UN MESSAGGIO DI ORESTE… [QUI UN PO’ DI MATERIALE SU SONJA E CHRISTIAN]

Alla fine, oggi gli avvocati tedeschi hanno avvertito che stamattina all’alba hanno estradato Sonja e Christian, che si trovano a Francoforte.
Partito stamattina per Napoli per un dibattito, avevo aperto il computer e internet per mandare l’invito a qualche compagno/a, amici, di Napoli, e ho trovato questa “doccia fredda”.
Mi diranno i compagni di Parigi, pugno di uomini e donne che si son battuti con le unghie e coi denti contro quest’abiezione, resa iperbolica dal fatto che si estradano una donna di 79 anni e il suo compagno che una perizia medica aveva appena definito “incompatibile per stato fisico con un’estradizione”, per metterli in detenzione preventiva in vista di un processo per farri che risalgono a 35 anni fa!!!!
Cio’ che aveva detto Sarkozy a proposito del caso di figura rappresentato dall’affare Polanskij, era colo un argomento surrettizio, una privatizzazione censita ria, discriminatoria – una porcata, insomma – di qualcosa posto come “indivisibile, <eguale-astratto>”, come la presunzione d’innocenza, che vale per sé e la propria cosca, e contro <nemici>, come noi, nonché anche contro cosche concorrenti, o semplici malcapitati…
Penso alla frase di Jean Genet di ritorno da Stammheim nel 79 ( <Non saro’ mai neutrale tra la violenza degli oppressi che si ribellano, e la brutalità degli oppressori>).

 Questa estradizione poi non è atto di <ostilità> in qualche modo limpida ; non è forma dell’inimicizia, violenza, guerra : è crudeltà, vendetta da tagliagole, “morto che vuole sotterrare il vivo”…
Noi non ci rinchiudiamo nella “denuncia” frustrata : intanto, esprimiamo tutto il nostro disprezzo anche per figure personali, delle quali si potrà dire, con Joseph K, che “soltanto la vergogna gli sarà sopravvissuta”.
E poi, con “disperata vitalità”, resistenze, persistenza, certo micro-molecolari, ma…altrimenti non c’è aria per respirare.

Un abbraccio, Oreste Scalzone

per scrivere a Sonja Suder: JVA III OBERE
KREUZACKERSTR 4
604350 FRANKFORT
ALLEMAGNE

Un commento di Oreste Scalzone sulla scarcerazione di Battisti

12 giugno 2011 9 commenti

Un commento a caldo sulla scarcerazione di Cesare Battisti e quindi la sua mancata estradizione, sull’assurdità del concetto di ergastolo, sulla bile italiana ormai quasi ridicola.
Dai microfoni di Radio Onda Rossa,  mentre loro si rosicchiano il fegato, ascoltate Oreste!
🙂

il 7 aprile: trent’anni dopo

20 dicembre 2010 3 commenti

Le sparate di Gasparri sono continuate: prima la richiesta di un nuovo 7 aprile, poi addirittura il consiglio ai genitori di tenere i propri figli a casa perchè ci sarebbero potenziali assassini tra i partecipanti alle manifestazioni di piazza.
Cosa che sappiamo tutti e tutte bene, noi genitori e non, ogni volta che guardiamo le espressioni degli uomini in divisa ai lati del corteo.
Ne siamo consapevoli e finalmente ci son piazze che dimostrano di volersi difendere da cotanti pericolosi aspiranti macellai.
Gasparri non sa molto del 7 aprile probabilmente, visto il libro che teneva nelle mani e visto che nemmeno si ricordava l’anno di quell’operazione mastodontica nella sua infamia e anche nel suo essere una montatura che si rideva in faccia da sola.
Ma per le montature la gente ha pagato stando dentro un bel po’…
tutte cose che noi sappiamo bene e approfonditamente e che a quanto pare il blateratore del Pdl ignora spudoratamente.
Così, nella ricerca di qualche lettura interessante a riguardo, vi segnalo, copiando per intero, un articolo di Pino Nicotri: un altro di quelli che il 7 aprile l’hanno vissuto sulle loro teste.
E che il PD continui a tacere per favore….visto che “i loro padri” ( va di moda no?) son quelli che l’hanno fatto il 7 aprile, visto che il PCI ben contento ha aiutato il caro Calogero fornendo molti nomi.

7 aprile 1979: la lezione è sempre attuale, ma nessuno impara. Si insiste negli stessi clamorosi errori, quasi sempre disonesti
da Pino Nicotri

Sono passati ormai ben 30 anni dal 7 aprile 1979, quando di primo pomeriggio mi trovai in manette assieme a un’altra dozzina di miei amici e conoscenti famosi, da Toni Negri a Franco Piperno, da Oreste Scalzone a Luciano Ferrari Bravo ed Emilio Vesce, accusati in blocco dal sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero di essere i responsabili del rapimento e dell’uccisione dell’onorevole Aldo Moro, uomo di punta della Democrazia cristiana e di qualche governo, e i membri della direzione strategia del’intero terrorismo di sinistra italiano: dalle Brigate Rosse alla cosiddetta Autonomia Organizzata (“cosiddetta” perché non ho mai visto nulla di più disorganizzato) passando per Prima Linea. Mi spiace molto non poter essere il 7 di questo mese a Padova a rimembrare quei giorni assieme ai superstiti – alcuni infatti purtroppo non ci sono più – di quella straordinaria esperienza non solo giudiziaria, ma anche umana e – nei confronti di molti – anche disumana. Le tragedie quando sono basate sull’ignoranza e sulla supponenza hanno sempre anche un lato ridicolo.

E infatti. Nel carcere romano di Regina Coeli, dove mi sbatterono dopo qualche settimana passata nelle carceri di Bassano e Venezia, potei finalmente leggere il mostruoso e voluminoso mandato di cattura (su 80 pagine, ne lessi solo poche, mi pareva tutto troppo irreale, assurdo, manicomiale) e scoprii così che ero accusato non solo di una quantità industriale di omicidi, ma perfino di non aver pagato il bollo della Renault rossa in cui era stato rinvenuto il cadavere di Aldo Moro.Il processo è stato l’inizio della demolizione del cosiddetto antagonismo sociale, un modo per togliersi dai piedi gli intelligenti senza collare, i “capi” o presunti tali comunque sospetti e non addomesticabili. Non a caso il sociologo Francesco Alberoni ha scritto che il fenomeno della moda italiana è esploso a Milano a partire dal ’79, quando “finalmente si respirava aria nuova”. Il botto del 7 aprile 1979 è stato innescato, a detta dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, da me interpellato nel 2004, dal Pci che aveva passato alla polizia gli elenchi di tutti coloro che dopo la fine degli anni sessanta per un motivo o per l’altro non avevano rinnovato la tessera del partito. Io non l’avevo rinnovata nel ‘66 o ’67, ed ero comunque sospettabilissimo: ero infatti corrispondente e collaboratore fisso de L’Espresso e di Repubblica, nonché capo servizio del Mattino di Padova, che ho contribuito a fondare per conto di Giorgio Mondadori reperendo quasi tutti i giornalisti da assumere ed alcuni soci locali per la neonata società editoriale Giorgio Mondatori e Associati. Ma non avevo in tasca nessuna tessera di partito.

Come se non bastasse, mi occupavo specie per L’Espresso di terrorismo, prima di destra e poi anche di sinistra. In più, negli anni caldi dal 1968 fino alla partenza per il servizio militare nel ’70 o ’71 ero stato il presidente dell’intera Assemblea d’Ateneo (oltre che della facoltà di Fisica, dove ero iscritto) e abitavo alla Casa dello Studente Fusinato, su decisione dell’assemblea degli studenti che ne gestivano la lunga occupazione, ospitato nella foresteria di solito riservata a docenti in visita all’Ateneo, Nel febbraio 1973 avevo pubblicato il mio primo libro, “Il silenzio di Stato” (Sapere Edizioni. Di recente ho saputo che nel ’78 ne è stata fatta una edizione a mia insaputa), e avevo aiutato poco prima L’Espresso e suo tramite la magistratura milanese a scoprire che le valige utilizzate nella strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 69 erano state comprate nella valigeria di Piazza Duomo a Padova, vicina alla Bettola Dal Capo dove usavo mangiare e a fianco del bar Duomo dove sempre bevevo il caffè. I giornali e la Rai, cioè gli inquirenti che imbeccavano sia questa che quelli, avevano invece sostenuto, mentendo a bella posta, che si trattava di borse non in vendita in Italia.

Di fatto la mia carriera di giornalista è iniziata con quel libro, della preparazione del quale vennero a sapere a L’Espresso a Roma perché ne diedi anticipazioni in una assemblea alla Fusinato e quindi le voci iniziarono a circolare. Come si legge cliccando sotto la mia fotina nella home page del blog, L’Espresso spedì il famoso inviato “pistarolo” Mario Scialoja, giornalista di razza come ce ne sono pochi e al quale devo molto, a parlarmi per farsi dare delle anteprime. Raccontai a Scialoja che uno studente di ingegneria che nel ’69 abitava con me in via Oberdan 2 possedeva una borsa del tipo usato per gli attentati del 12 dicembre, caratterizzato da una chiusura metallica particolare: il profilo di una testa di gallo, logo della ditta tedesca Mossbach&Grueber. Raccontai anche che inutilmente tre giorni dopo gli attentati quel mio amico – di ritorno dal fine settimana a casa dei suoi a Treviso – tentò su mio consiglio di andare a mostrare in questura la borsa e a dire dove l’aveva comprata. Uscito di casa alle 11 di mattina, dopo pochi metri aveva incontrato davanti al palazzo del Bo un noto commissario della squadra politica e gli aveva mostrato la borsa, ma era stato liquidato con una risata: “Non ci interessa, sappiamo già chi è il colpevole”. Una delle cose che in quell’occasione mi colpì fu che il presunto colpevole, l’anarchico Pietro Valpreda, venne arrestato a Milano alle 12, cioè un’oretta dopo quelle parole del commissario, che evidentemente già sapeva della montatura in atto. Mi ripromisi di rendere nota quella strana storia, ma all’epoca io il giornalismo non sapevo neppure cosa fosse, ero solo uno studente lavoratore e molto fuoricorso, inoltre non avevo ancora fatto il servizio di leva e sicuramente ero nella “lista nera” degli apparati statali più o meno “riservati”. Il giorno dopo la strage di piazza Fontana infatti sia la polizia che i carabinieri vennero a perquisire il mio appartamento in via Oberdan e con ben tre mandati di perquisizione: uno per me, uno per il mio coinquilino e uno per la sua ragazza, che abitava con noi. Il mio timore di scherzi da prete durante la “naja” se avessi fiatata sulla faccenda delle borse e dintorni era quindi giustificato, ecco perché il libro ho iniziato a scriverlo dopo il congedo a fine leva militare.

Scialoja portò al magistrato milanese Gerardo D’Ambrosio la borsa che recuperammo dal mio ex inquilino e sparò su L’Espresso la notizia che quelle borse si vendevano anche in Italia, per giunta nel Veneto della cellula neonazista del padovano Giorgio Franco Freda…. La pista anarchica crollò come panna montata irrancidita di colpo e venne fuori clamorosamente la realtà dei “servizi” deviati e della complicità dello Stato in quella stagione di attentati culminati nella strage del 12 dicembre ’69. Era la strategia della tensione, a base di bombe, per spingere il Partito comunista sempre più verso l’accettazione del “sistema” e dei suoi vizi, strategia per porre anche un argine alle conquiste dei lavoratori e ricacciare indietro l’onda lunga di quella che era allora la classe operaia. Il “blitz” del 7 aprile servì di fatto a certi apparati anche per vendicarsi di quei miei “colpi” giornalistici. Quando mi arrestarono, il giornale Repubblica si guardò bene dallo scrivere che ero il suo corrispondente da Padova e di fatto dalle Tre Venezie: si limitò a dire che ero caposervizio del Mattino e collaboratore de L’Espresso. Però L’Espresso mi diede il miglior avvocato d’Italia, Adolfo Gatti, e con Repubblica si accollò tutte le spese processuali. Purtroppo però quando fui scarcerato e non rispettai l’invito di Scalfari a non difendere quelli con cui ero stato arrestato, su Repubblica non mi fecero più scrivere. Scalfari, non uso a essere disobbedito, si arrabbiò molto perché la prima cosa che feci appena tornato a Padova fu una conferenza stampa a Scienze Politiche nel corso della quale sostenni che certi magistrati padovani erano dei “mentecatti”, espressione che venne riportata dall’Ansa e dai giornali alla lettera. Appena uscito da Rebibbia, Scalfari mi fece prelevare da un’auto di Repubblica e portare al suo cospetto in redazione a Roma. Mi invitò ad andarmene “per qualche mese in ferie e a tacere perché questa del 7 aprile è una storia molto sopra le nostre teste”. Gli risposi che non potevo accettare perché proprio dalla sua scuola giornalistica avevo imparato che quando si morde un polpaccio non bisogna mollare la presa a nessun costo: “Su Repubblica avete scritto che noi imputati del 7 aprile siamo o tutti colpevoli o tutti innocenti.

La censura!

Bene: sul mio ordine si scarcerazione c’è scritto che i magistrati romani già sapevano che io, spedito loro in manette dalla Procura della Repubblica di Padova, col caso Moro, Br, ecc, non c’entro assolutamente nulla. Se ne deduce, proprio con la logica di Repubblica, che sono innocenti anche tutti gli altri coimputati”. Ecco perché una volta scarcerato non potevo che fare come sempre il mio mestiere di giornalista, evitare cioè di avvalorare accuse del cavolo e battermi invece perché fosse fatta piena luce, fosse cioè riconosciuta l’innocenza di persone in galera, alcune delle quali conoscevo da anni, erano miei amici e mai ne avrei tradito l’amicizia. Ecco perché Repubblica/Scalfari mi fece fuori. Persone come Emilio Vesce e Luciano Ferrrari Bravo si fecero invece fino a sette anni di galera gratis: li avrei fatti anch’io se L’Espresso mi avesse mollato. Oggi è impossibile che un giornale si comporti come L’Espresso di allora: il panorama giornalistico mostra più che altro macerie e schiene curve, grazie alla scomparsa dell’editore “puro”, che di mestiere fa cioè solo l’editore, come era il caso di Carlo Caracciolo, e il dilagare della genia di editori che usano i giornali e le tv come taxi per dare passaggi ai politici dai quali poi avere favori, se non come scale per l’arrampicata al potere (vedi alla voce “Berlusconi Silvio”…..). E’ legittimo anche il sospetto che il “blitz” del 7 aprile servì in realtà a depistare le indagini sul caso Moro quando la pista era ancora calda. A capo dei vari servizi segreti e nei gangli più sensibili anche del ministero dell’Interno c’erano infatti quelli della P2, che la apposita commissione di indagine parlamentare presieduta da Tina Anselmi appurò essere dediti ai depistaggi più vari. Il “teorema” dell’unità “Brigate Rosse/Prima Linea/ Autonomia Operaia Organizzata” era un teorema basato sul nulla più assoluto, tant’è che crollò miseramente già prima del processo.

Il “teorema” servì però per stroncare anche l’opposizione nemica del terrorismo, ma comunque extraparlamentare e pericolosamente intelligente perché in grado di capire il nuovo e spiegarlo. Una opposizione alla quale io non appartenevo come militante, però facevo il giornalista come credo che vada fatto, cioè senza riverenze, senza leccare i piedi o fare sconti a nessuno. L’allora ministro dell’Industria Toni Bisaglia, venetissimo, ex preferito dell’ex grande capo democristiano Mariano Rumor, fu a un passo dal doversi dimettersi perché scoprii un suo conflitto di interessi che oggi farebbe ridere i polli, visti i giganteschi conflitti di Berlusconi, ma allora fece scandalo: lui, che aveva varato l’aumento dei “premi”, cioè dei costi, delle polizze assicurative, era socio nell’agenzia padovana delle Assicurazioni Generali! Lo scrissi su Repubblica e Bisaglia, evitate per un pelo le dimissioni, si vendicò pretendendo e ottenendo da Mondadori nel dicembre ’78 il mio licenziamento dal Mattino, licenziamento annullato dal pretore del Lavoro Luciano Jauch. Formalmente fui coinvolto nel “blitz” del 7 aprile perché a detta di due persone – Renato Troilo e Severino Galante – la mia voce assomigliava a quella del brigatista che telefonava a casa dei Moro durante la prigionia del rapito. Negri era accusati di essere l’autore di una telefonata brigatista, a me invece – sapete bene che sono sempre stato logorroico – ne appiopparono cinque! La voce dei due telefonisti, che anni dopo si venne a sapere essere Valerio Morucci e Mario Moretti, il primo addebitato a me e il secondo a Negri, erano state fatte diffondere dal ministero dell’Interno fornendo a radio e televisioni alcune intercettazioni telefoniche.

Pur in carcere con accuse di una gravità pazzesca, L’Espresso non mi mollò, non tolse il mio nome dall’elenco dei suoi giornalisti nel tamburino della gerenza e mi pubblicò due articoli che ero riuscito a fargli recapitare dal carcere. L’avvocato Gatti fu eccezionale: dopo tre mesi, due dei quali in isolamento stretto con soli 30 minuti di “aria” al giorno in solitudine, ero fuori. Del resto a Roma anche i sassi, e certo anche gente di alto livello non solo del Pci, sapevano che la voce fatta diffondere dal ministero dell’Interno via radio e tv era quella di Morucci: lo sapevano per conoscenza diretta, per il semplice motivo che Morucci, che a Roma era vissuto, aveva studiato e si era laureato, aveva amicizie e frequentazioni anche di rango. Ma veniamo ora al vero problema, che si ripete sempre: il caso 7 aprile fu in realtà un sequestro e un processo di massa a mezzo stampa. A tenere gli imputati in galera era il baccano dei mass media, che avvaloravano man mano le balle più colossali rifilate dagli inquirenti che non sapevano più come tenere in piedi una montatura tanto mostruosa quanto vacua. Venne sparata la “notizia” che Toni Negri aveva parlato con un magistrato milanese per organizzare l’uccisione del magistrato Emilio Alessandrini. Si strombazzò Urbi et orbi che a casa mia era stata trovata la bozza originale della “risoluzione strategica” delle Brigate Rosse su Moro. Il mio collega de L’Europeo Roberto Chiodi giunse a scrivere che “l’ergastolo a Nicotri non glielo toglie nessuno perché una perizia fonica eseguita prima del suo arresto dimostra senza possibilità di dubbio che la voce del telefonista delle Br è la sua”. Perizia ovviamente mai avvenuta. Porcheria nella porcheria, non ho mai saputo che fine hanno fatto la mia querela per diffamazione contro Chiodi e le altre querele contro altri giornali con articoli cialtroni e mascalzoni: il palazzo di Giustizia di Roma era capace di questo ed altro, non a caso si era guadagnato il soprannome di “porto delle nebbie”.

E del resto Chiodi, quando in seguito venne assunto a L’Espresso nell’88, nella redazione di Roma dove in quel periodo lavoravo anch’io, non ebbe mai la decenza di chiedermi scusa. “E il giornalismo, bellezza”, si potrebbe parafrasare con Via col vento…. Il giornalismo pessimo, però, non quello degno del nome. Embé, non tutti sono all’altezza di uno Scialoja. Appena quattro anni dopo il 7 aprile ’79, lo stesso uso vergognoso dei mass media è dilagato alla grande con il caso della scomparsa della cittadina vaticana Emanuele Orlandi, che ancora oggi, a 25 anni di distanza, si insiste a dire sia stato un rapimento, quando invece perfino il giudice Severino Santiapichi, lo stesso che a Roma ha presieduto il collegio giudicante del caso 7 aprile e poi anche del caso Moro, ha dichiarato a più riprese che si è tratto di un “rapimento mediatico”: cioè di balle rifilate ai mass media e da questi ingordamente avvalorate per nascondere i veri motivi della scomparsa della ragazza.

Gasparazzo e i vuoti di bottiglia!

Motivi che nulla hanno di politico, ma molto devono avere a che vedere con gli obbrobbri del Vaticano se dobbiamo giudicare dalla ostinata e documentatissima volontà della “Santa Sede” di tacere e sabotare l’inchiesta dei magistrati italiani. Il culmine dell’uso violento e politicamente finalizzato dei mass media è stato senza dubbio l’invasione dell’Iraq, avvenuta grazie alla campagna di stampa a base di panzane sulle “bombe atomiche” e altre armi di distruzione di massa che si è voluto far credere a tutti i costi che fossero in mano agli iracheni.

Oggi seminare la paura e l’odio verso i “diversi”è diventato normale: gli extracomunitari, i rom e i gli altri dannati della terra sono eternamente sotto accusa. In Italia dalla strategia della tensione tramite le bombe del ’69 si è passati alla strategia della paura e dell’insicurezza tramite i mass media sempre più irresponsabili, come se gli stupratori, i rapitori di bambini, i terroristi non più “rossi” ma islamisti, i rapinatori di tabaccherie e gioiellerie e altri barbari di vario tipo stiano in agguato dietro ogni angolo non appena usciamo di casa. Si tratta di una variabile rozza del classico “Divide et impera”. Ora non sono più i cosacchi, ma i musulmani, i palestinesi, gli arabi, i romeni e i rom che stanno per abbeverare i loro cavalli in piazza S. Pietro…. E’ il nostro nuovo modo di dirottare su capri espiatori di comodo e impossibilitati a difendersi la paura e l’insicurezza che nascono dalla mancanza, dalla perdita o dall’incertezza del posto di lavoro, dalla crisi del sistema produttivo più forte e minacciosa del solito, dal pericolo di “deriva argentina” dell’Italia. Gli antichi romani quando qualcosa andava male correvano a controllare se le vestali erano o no ancora vergini, e se non lo erano davano loro la colpa della sventura e le sotterravano vive. La strategia e l’uso del capro espiatorio è vecchia più del cucco, ma ha sempre funzionato. La gestione del potere costituito e di quello arrembante per perpetuarsi, per poter fare e giustificare le guerre, ha bisogno di costruire società percorse dalla paura e dalle paure. Che portano immancabilmente alla costruzione del capro espiatorio di turno, per scoprire solo dopo che si trattava di un nemico è fasullo. Si tratta di una strategia che oggi serve a Berlusconi – dominus delle televisioni sue e di quelle della Rai, oltre che di qualche giornale – per distogliere l’attenzione dalla crisi epocale in atto, nascondere il bilancio fallimentare dei suoi decantati governi e ministri al di sotto di ogni sospetto e poter eventualmente reprimere meglio le possibili banlieue future: se in Francia si comincia a temere che iniziano le rivolte di piazza, in Italia si impallidisce al pensiero di ciò che potrà avvenire a settembre, quando molti rientrati dalle ferie per tornare al lavoro non lo troveranno più. Tant’è che circola con insistenza la voce che Berlsuconi cederà palazzo Chigi a Gianfranco Fini, onde evitare che la dura repressione che potrà essere usata contro la piazza faccia sparire molto del pubblico delle sue televisioni mandando così in malora Mediaset e dintorni.

Ma si tratta anche di una strategia che serve anche a ciò che resta della sinistra per poter in qualche modo mettere una pezza alla sua mancanza di programmi, analisi e idee adeguate ai tempi. Quando non si sa più dove portare il gregge e su quali pascoli continuare a farlo ingrassare, è sicuro che il gregge inizia a sfaldarsi: nulla di meglio, per ricompattarlo e governarlo, della paura tramite i cani pastore che abbaiano, ringhiano, mostrano i denti e se necessario azzannano….. Dopo che la sinistra ha gridato “Al ladro, al ladro!” per l’intera stagione di Mani Pulite, ecco che con il governo Berlusconi si è passati al grido di “Al lupo, al lupo!”: i lupi sono gli immigrati extracomunitari, i rom e di fatto un po’ anche gli islamici in generale, che nei nostri pregiudizi e nelle nostra fobie hanno occupato almeno parte del posto lasciato vacante dopo la guerra dagli ebrei. Si è arrivati al punto che l’anoressia è diventata una malattia di massa perché si semina ad arte nelle giovanissime la paura di non essere sufficientemente “strafiche”, alte, magre, bionde, disinibite e, ovviamente, anche straricche. Milano è la capitale della moda così come del leghismo e del berlusconismo (e tralasciamo che è stata anche la culla del fascismo). Può parere assurdo che si voglia imporre soprattutto alle giovanissime un modello fisico nordico, per giunta di un nord Europa immaginario, comunque impossibile per le italiane e le mediterranee in genere, ma di assurdo non c’è nulla: anzi, è una ben precisa strategia funzionale al seminare la paura per meglio dominare e, in questo caso, anche vendere qualunque cazzata purché “griffata” e a prezzi ladreschi. L’insegnamento del 7 aprile è che non bisogna quasi mai credere ai mass media, specie alla tv. Bisogna rimanere critici e avere una propria visione critica del mondo, sapersela costruire: oggi tramite Internet e le tv satellitari si possono mettere a confronto le notizie e i giornalismi, il mondo dell’online permette di fornire e veicolare informazioni e giornalismi diversi dalla voce del padrone e dei padroni. Purtroppo i mentitori e i servi sciocchi molto prezzolati non pagano mai il fio delle loro menzogne.

Il Corriere della Sera e la Repubblica hanno dato per certo che nell’Iraq di Saddam Hussein “continua la costruzione di bombe atomiche”, e il settimanale Panorama, proprietà di Berlusconi, ha potuto avvalorare la gigantesca balla dell’”uranio del Niger comprato dall’Iraq per costruire bombe atomiche”, balla gigantesca ma utile a supportare la politica servile del padrone di Panorama nei confronti di un bugiardo disonesto e fallito come George W. Bush. Se i mass media del can can sul 7 aprile avevano le mani macchiate “solo” dell’incarcerazione di molti innocenti, quelli che hanno spianato la strada alla guerra all’Iraq hanno le mani sporche di sangue. molto sangue. Eppure né l’Ordine dei giornalisti né la magistratura procura loro un qualche fastidio. L’informazione, o meglio il controllo sull’informazione, è una merce più preziosa dell’oro, sia di quello giallo che di quello nero, vale a dire del petrolio in nome del quale si sono combattute, si combattono e si combatteranno ancora guerre rovinose.

Oreste Scalzone risponde a Gasparri sul 7 aprile

19 dicembre 2010 3 commenti

Da Parigi Oreste Scalzone replica alle dichiarazioni rilasciate oggi da Maurizio Gasparri che ha auspicato una retatata preventiva, come gli arresti del 7 aprile 1979 che portarono in carcere i vertci dell’Autonomia, contro i Centri sociali da lui considerati i capi occulti delle manifestazioni di quest’ultimo periodo contro il governo e degli scontri del 14 dicembre scorso a Roma

Foto di Valentina Perniciaro _Oreste perplesso_

«La governance, non solo in Italia, marcia allo sbando e non avendo niente da offrire sul terreno di una regolazione sociale che non sia dettata da un sotterraneo panico, semplicemente si fa feroce. Resta un’attitudine predatoria e di guerra alla cieca a quelli che per per brevità possiamo chiamare poveri e sottoposti». È il punto di vista di Oreste Scalzone, ex leader di Potere Operaio, che fu tra gli arrestati in quel 7 aprile evocato oggi dal capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. «Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un Sette aprile, giorno in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo», ha detto il senatore Pdl in merito agli scontri dei giorni scorsi a Roma. «Gasparri non perde occasione per straparlare in modo talmente grottesco che rende difficile anche infuriarsi», è stata la replica di Scalzone, al telefono con l’Ansa.
«Di fronte all’orizzonte livido e stregato che passa il convento – ha continuato Scalzone – considerare impensabili delle esplosioni di rivolta di questo genere è da decerebrati. Quando poi si parte col voler strumentalizzare questa rabbia per giocarla nel teatrino della politica e poi si sconfessa chi esce dalle righe e lo si demonizza, si esercita una vera funzione di provocazione prima e di infamia dopo».
Scalzone – che fu condannato a 16 anni di reclusione per partecipazione a banda armata e rapina e ora, dopo una lunga latitanza, è un uomo libero perchè i reati di cui era accusato sono stati dichiarati prescritti – ha annunciato che proprio sugli scontri di Roma sta inserendo in queste ore una «videolettera» su Youtube in 12 moduli. Al centro delle sue osservazioni, anche Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato: «La signora Finocchiaro – ha osservato, fra l’altro – aveva sfoderato la solita abbietta dietrologia straparlando di poliziotti infiltrati tra quei manifestanti». «Siamo al punto – ha poi sottolineato Scalzone – che è il capo della polizia Manganelli che deve farsi carico di parlare della rabbia sociale che muove soprattutto i giovanissimi, per lamentare che una ‘voragine di vuotò affida alla polizia ed esclusivamente ad essa la gestione del problema».

IL 7 APRILE su questo blog : 12

Un bel vaffanculo alla retorica risorgimentale: grazie Oreste!

21 settembre 2010 2 commenti

…. Bé, immagino che il tutto fosse condito da tricolori che garriscono, ottoni lucidati che strombazzano l’Inno di Mameli. Ah, le matrioska di ambivalenze! Mazzini, tra madre giansenista e carboneria, “Dio & Popolo”, il cospirativismo antesignano della “propaganda attraverso il gesto” – che il povero Martone nel suo film gli è venuto il capogiro -, il patriottismo italounitario e l’europeismo del tipo “Giovine Italia”, “Giovine Europa”, i contatti con Bakunin e l’appello a Pio IX a mettersi alla testa del movimento per “l’unità d’Italia”, il triumvirato con Saffi e Armellini alla testa della Repubblica Romana nel ’49 e l’intervento francesde che schiaccia la stessa e rimette sul trono lo stesso Pio IX come “Papa Re”. E poi Oudinot, col ‘gap tecnologico’ a vantaggio degli “chassepots” (dal nome dell’inventore, l’ingegner omonimo….un po’ come Kalashnikov….), che porta il tricolore de La République a rinverdire la retorica da Ancient Régime e San Luigi della “Francia figlia prediletta della Chiesa”…., e al contempo si trova che i Felice Orsini & i suoi compagni (la bomba all’Opera, attentato a Luigi Bonaparte, quello del 18 Brumaio…., e la lettera che gli invia dall’ombra del patibolo per scongiurarlo di non opporsi all’unità d’Italia), e quasi tutti i cospiratori insurrezionalisti, repubblicani e/o “sociali”, dei decenni successivi sono reduci dall’aver combattuto nelle file degli insorti e poi difensori della Repubblica Romana… da Carlo Pisacane, poi definito proto-anarco-comunista, ai componenti della “Banda del Matese”, Errico Malatesta e Carlo Cafiero in primis…. ; e poi le querelles tra Mazzini e Marx, Marx e Mazzini nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (postumamente inumata come “Prima Internazionale”, quella della Commune]…… Eh, anche allora la sensazione di carnevale della storia… roba da dare l’emicrania al povero Martone).
Chissà che penserebbe Gaspare De Caro dello sbandierar Salvemini e cosa direbbe Jakob Taube dopo questa teologia mondanizzata dello Stato, nel drittofilo della teologia politica di Paolo di Tarso….

E chi sono i “nanni”? Come dire “i ragazzi del ’99″…., le burbe, il Milite Ignoto, l’Altare della Patria, Gioacchino Murat, l’incontro di
Teano, Garibaldi fu ferito…., Bronte, i lazzaroni e i briganti, la stampella di Enrico Toti, il cuore gettato oltre i reticolati (e “Due
anni sull’altipiano”/”Uomini contro”, “sparare sul [proprio] quartier generale?
Certo ch’è una bella maledizione, sempre, sempre, sempre ‘incaprettarsi’ a scegliere fra testa o croce, peste o colera…. e intanto le via
Mazzini, Garibaldi, De Amicis, Roger de L’Isle, Goffredo Mameli, Cesare Battisti, persistono indenni tra il Regno sabaudo, il fascismo e il Re Imperaztore, la Costituzione repubblicana.
“….l’Italia s’è desta/dell’elmo di Scipio/s’è cinta la testa…. Alé!, retrodatiamo l’Italia a Roma capoccia, caput mundi, imperiale….tutti contro Amilcare Barca, Annibale, i Berberi, Delenda Carthago, coi vèliti e Massinissa come proto-Ascari, Harkis….., dov’è la vittoria/che porga la chioma/che schiava di Roma/Iddio la creò….” . Così in “Allon’z enfants de la Patri-i-e“,
non ci si deve abbeverare al “sangue impuro dello straniero?” Quello che il Piave mormorò “Non passa?”.
Allora, per non vedere “fascismo” dappertutto, occorre guardarsi dagli anacronismi. Ma bisogna farlo sempre, non a corrente alternata…
Ma in che epoca viviamo? Con Niki Vendola che fa l’occhietto come l’onorevole Angrisani che chiudeva un comizio a Nusco: “Dopo di me parlerà ll’onorevole Sullo…… che è anche nu poco ricchio-oo-ne!”. Ecché è, tutti nel manicomio postribolare di Fagioli?
Adesso, quel risucchio di Nulla […] che è Veltroni, viene a spiegare che Marchionne e Mimmo Mignano sono “una comunità di destino”.
Malatempora, o che? O il cielo che Bifo dava come “caduto sulla terra” ha abbozzato i neuroni alla grande? New age, commistioni continue di panglossismo e di cazzimme?
Oreste Scalzone, 20 settembre 2010

Francia: il servizio d’ordine del sindacato spranga i sans papiers

27 giugno 2009 Lascia un commento

Segnalo due articoli che parlano di quello che sta accadendo a Parigi in questi giorni ma soprattutto di quello che ha accaduto una manciata di giorni fa, quando la Bourse du travail di Parigi è stata sgomberata (con il pestaggio di decine e decine di sans papiers) dagli uomini del servizio d’ordine del corrispettivo francese della CGIL.
Balordi picchiatori e bastonatori del sindacato. 

Via, via, la nuova polizia!

Liberazione 25 giugno 2009, di Paolo Persichetti

Quando il servizio d’ordine del sindacato, di un sindacato che si dice «comunista», fa il lavoro della polizia e si mette al posto dei Crs, i reparti celere francesi, sgombera con le maniere forti, innaffiando di gas lacrimogeno, pugni e calci, donne e bambini, famiglie disperate e orgogliose di sans papiers, 2489228844_9c0d5192a8colpevoli solo di lottare per avere il diritto di vivere, e che per questo occupavano da 14 mesi i locali della Bourse du travail di Parigi, vuol dire che questa sinistra non ha più nulla da dire. È morta. È un cadavere putrefatto. Una sinistra che è solo apparato. Che pensa solo ai suoi «beni». È successo mercoledì scorso verso le 12.30, quando una cinquantina di uomini col cranio rasato, il volto coperto, gli occhi protetti da occhialini da piscina e una fascia rossa al braccio, sono entrati con la forza nei locali della camera del lavoro vicino place de la Republique, e armati di bastoni hanno cosparso di gas lacrimogeno, inseguito e pestato i presenti, trascinandoli verso l’esterno (il grosso degli occupanti era impegnato a manifestare davanti alla prefettura). I testimoni raccontano di aver assistito a scene d’intensa violenza. «Era previsto e l’abbiamo fatto!», dichiara soddisfatto uno dei picchiatori. Increduli e scioccati, i circa 800 sans papiers carichi di fagotti e materassi fanno molta fatica a credere che la violenta aggressione abbia come origine proprio la Cgt, per altro spalleggiata dall’arrivo di decine di furgoni e centinaia di uomini della polizia schierati in assetto antisommossa. All’inizio molti passanti e commercianti avevano temuto un’aggressione lepenista. «Dopo aver tentato per mesi di negoziare una soluzione abbiamo deciso di mettere fine all’occupazione», si è giustificato Patrick Picard, segretario generale dell’Unione dipartimentale di Parigi. Da tempo il sindacato intratteneva relazioni molto tese con gli occupanti, in massima parte lavoratori di ditte di pulizie. Questi avevano deciso di riunirsi in un collettivo autonomo, il coordinamento sans papiers 75, rivendicando una regolarizzazione generale e non dei soli aderenti al sindacato.

Sgomberata con la forza dal servizio d’ordine della Cgt la camera del lavori di Parigi da 15 mesi occupata da un collettivo di sans paiers

Oreste Scalzone

L’Altro, 27 giugno 2009

Alle tre del mattino, poco prima del canto degli uccelli che risveglia il sole, sul largo marciapiede bagnato e corso da rigagnoli, un po’ sopraelevato che ha visto passare sul filo del tempo moltitudini di genti, fiumane di cortei di quelle classi pericolose che discendevano i faubourgs dalle ban-lieues, luoghi del bando e dei banditi, verso i cronotopi dei poteri costituiti, era coperto per duecento metri da fagotti di cenci. DSC_9655Un ammasso di cenci circondato da transenne metalliche guardate a vista da sagome nere di poliziotti in tenuta antisommossa, a loro volta con le spalle coperte da teorie di camion. Avvicinandomi, comincio a distinguere facce, sagome, qualche brace di sigaretta, iskra che buca la notte. Potrebbero essere corpi – morti o ancor vivi, eccola la nuda vita ! – di deportati, respinti, cacciati a forza verso esodo forzato, in fuga senza fine. O corpi decisamente morti, di massacrati, di sterminati, di espulsi dall’umano, “sotto-uomini”. Sono bambini, donne, uomini avvolti in coperte, in sacchi a pelo o in niente, sdraiati su qualche brandina più o meno da campo, chi raggomitolato in un sonno che s’immagina buio, pesto e pesante e chissà se senza sogni, e incubi, o forse no. Parecchi stanno sollevati, appoggiati sul gomito a parlare. Overload di sottovoce, con qualche acuto, scoppio, abreazione, ragionamento. Quel marciapiede di corpi non è il fondo del peggio, navigando in rete si può trovare dell’incommensurabilmente più grave, più significativo, più tremendo. Ma, questo marciapiede, è qui, ora, su un piano di consistenza immanente, non più consistente di altri in sé, di per sé, ma per noi si.
Raggiungiamo i capannelli, si materializzano facce di compagni e compagne. Cerchiamo, troviamo quelli di noialtri che in questi quattordici o quindici mesi hanno dedicato passione, applicazione, tempo di vita a questa sorta di zattera ferma nel cuore di Parigi, fatto con i sans-papier giornali, radio, televisioni porta-a-porta, un sito nella Tela, dibattiti nella grande corte della Bourse de Travail di rue Charlot occupata, divenuta come una piazza di villaggio africano. Le Bourse de Travail sono antiche istituizioni territoriali dei movimenti operai, presto “formattate” dalle strutture sindacali. Cerchiamo, troviamo o ci dicono che sono qua o là – bisogna stare attenti a camminare per non calpestare coperte, quando non corpi –, Claudio, François o Michel, complici nella facitura di un aperiodico Quotidién des sans-papiers, poi del Journal de la Bourse du travail occupée, e altro ancora… DSC_9684Incontriamo un sacco di gente, sans-papiers, “compagnerìa”. Ci dicono tutti quello che poi stamattina troviamo, chiunque può trovare, confermato sulla stampa, nella rete, addirittura sfrontatamente rivendicato nei comunicati. É stata una squadraccia, una squadra d’azione del servizio d’ordine della Cgt, la Confederazione generale del lavoro, padrona dei luoghi, gerente dell’edificio, che – dopo aver “schiumato” per tutti i quattordici mesi dell’occupazione – ieri verso mezzogiorno è passata all’atto. Tutti i disagi, i disfunzionamenti, le ragioni accampate hanno un loro fondamento (ma questo vale sempre, o comunque in tanti altri casi…).
Al limite, per uno come me, forse sarebbe stato ancora peggiore se avessero fatto la stessa cosa per interposta polizia invece che passando all’azione diretta, terrorizzando in proprio per primi i bambini, con una brutalità che a torto si usa – con termine etnocentrista e civilizzatore – definire «barbara» e «selvaggia». Ma queste sono sfumature, dettagli. Resta, che hanno compiuto un passo, un salto mortale, uno strappo, che non è nuovo ma è sempre un po’ nuovo e un po’ diverso. Fa di nuovo irruzione sulla scena lo chauvinismo del «socialismo dai colori della Francia» che aveva spinto al crimine trent’anni fa il sindaco Pcf di Vitry, il quale aveva rotto un tabù mandando le ruspe a radere al suolo un foyer d’immigrati magrebini (con il pretesto – che, come sempre, o quasi, aveva anche degli elementi di fondamento: e allora? Non è qui il nodo della cosa! – che gl’immigrati doveva prenderseli il sindaco giscardiano del comune attiguo, che la dislocazione delle residenze degli immigrati veniva fatta dalle autorità in modo non casuale, e provocava la spirale viziosa dell’impoverimento crescente dei comuni le cui entrate fiscali si abbassano in modo corrispondente alla modificazione della composizione sociale dei residenti, con i relativi effetti di degrado).
La breccia aperta allora dal sindaco di Vitry aveva creato le pre-condizioni per l’irruzione del lepenismo, di questo risentimento intruppato in mentalità e comportamenti da white-shit, di populismo xenofobo, nutrito d’antiche ossessioni antisemite e di più recenti pozzi neri viscerali e mentali colonialisti, post-colonialisti, corporativi, servo/padronali. Comportamenti e mentalità che in Francia, in generale, non sono passati all’azione diretta ma sono rimasti piuttosto su un piano ideologico-elettorale. Comunque più grave dei picchi lepenisti arrivati a sfiorare il 20%, era soprattutto per il loro effetto indiretto, quello di scatenare una corsa a “rasar l’erba sotto i piedi di Le Pen” facendo proprie, le rivendicazioni e proposte che incarnava. Quasi un modello di fascismo per motivi antifascisti….
Potremmo dire, tagliando rozzamente, che una serie di parole composte più radicali che una lama di rasoio po20080506CGTSansPap1ssono essere applicate, come definizioni critiche e criticissime, sia alla socialdemocrazia che – a maggior ragione data la sua potenza di mi[s]tificazione, e innanzitutto il potere di contraffazione onomastica e di manipolazione nel profondo delle soggettività, fino alle passioni, agli affetti più viscerali – alla variante boscevica, social-©omunista, del corpus del “marxismo volgare anti-marxiano”, kautsko-lassalliano, vera e propria controrivoluzione contro il comunismo comunardo. Possiamo parlare di socialismi lavoristi/padronali, capitalistici, statali, e dunque anche nazionalisti, colonialisti, imperialisti, xenofobi, razzisti, fascisti. D’altronde, il fascismo, il nazional-socialismo non sono forse, tra l’altro, nella loro effettualità sociale, l’intruppamento di milioni di proletari, e di operai, in forme stornate, deformate, mostruose che formattano l’odio di classe corrompendolo, snaturandolo, trainandolo verso una conseguenza abietta, il rifarsela sugli ancor più deboli, il riprodurre relazioni di sopraffazione, di sottomissione, a catena, a cascata, in una corsa miserabile spinta da concorrenza mimetica, in un gioco di scaricabarile o comunque, al massimo, di specularità subalterna, come ritorsione?
Senza rischiare di doverci sentir accusare di «banalizzazione», non possiamo vedere nell’uovo del serpente del cumulo di ambivalenze risolventisi in ambiguità a premessa di successive decantazioni, che connotava le prime scorribande delle SA nelle strade di Weimar, l’embrione di quello che sarà lo scenario risolutamente apocalittico degli ultimi anni ’30 e della prima méta dei ’40 ? Niente si ripete mai identicamente (e la frase di Marx sulla farsa come calco e replica della tragedia non è certo una regoletta catechistica). Niente si ripete identicamente, ma questo non vuol dire che ogni volta si debba cercare l’assolutamente inedito – è per questo che, nel finale dell’Arturo Ui, Brecht attira l’attenzione sul grembo sempre fertile che partorì la bestia immonda. Dev’essere però mostrato con chiarezza che ciò che ha deciso e fatto eseguire da elementi della sua truppa la Cgt ieri, è della stessa natura di ciò che la Lega Nord o i caricaturali nazistoidi di Saja, stanno inscenando nelle strade delle città italiane. Si tratta di formattazione del male di vivere nelle forme che, in una luminosa definizione benjaminiana, sono le più antitetiche all’autocognizione come classe, che è dunque forma autopoïetica. FRANCE/Soldataglia coloniale, turba fascista, teppa shalamoviana – ognuna inquadrata dai corrispondenti gerarchi e relative catene: queste sono le definizioni appropriate.
I Thibaud (il segretario generale della Cgt) non sono, in sé, migliori o peggiori dei Maroni o Hortefeux (il suo omologo di Francia) – questa problematica comparatista su migliori, peggiori, men-peggiori ci sembra insensata. Sono – e chi non lo aveva rivelato interamente prima, in questo passaggio e momento della verità lo mostra inequivocabilmente – dei veri e propri nemici. Ma rispetto ad autorappresentazioni e proiezioni d’attesa e fiducia che essi irradiano, a partire dall’onomastica, i Thibaud rappresentano la componente dell’infamia. Non perché realmente «tradiscano» qualcosa (che, per come si ponevano ed erano, son sempre stati, c’era poco o niente da tradire…), ma perché la lunga persistenza del peso delle parole, quel dirsi comunisti, li ha legati per ragioni di catene genealogiche di cui resta comunque una conseguenza onomastica pregna di mistificazione ed equivoco, una conseguenza di omonimia. Se si farà un corteo sotto la sede della Cgt, non sarà questione di psicodrammi e di “lacrime e parole amare”, ma il dirigere la lotta, di volta in volta, là dove risiede il potere costituito responsabile di un atto d’ostilità, di vera e propria guerra sociale. Una nota – non già di speranza, ma di scommessa: dopo più di ventiquattrore, sono ancora tutti e tutte lì, su quel marciapiede, e a rischio di una retata che li porti in un centro di detenzione e di smistamento per la deportazione. La vita nuda mostra così la sua irriducibile potenza, la sua disperata vitalità, potenza di persistere nel proprio essere

 

Tienanmen 1989, socialismo di mercato contro comunismo

8 giugno 2009 Lascia un commento

Un uomo solo, camicia bianca su calzoni neri, ripreso di spalle. Dritto, fragile e possente, armato di niente, niente di concreto ma molto di più, come transumano si erige contro una colonna di carrarmati. Non sappiamo chi sia, come la pensi e cosa voglia.

Rispetto all’essenziale, questo è relativamente un dettaglio – la scena lo trascende. Un esemplare di specie umana, specie di esseri parlanti e perciostesso “pericolosa”. Nel fondo del fondo comune, di specie, potremmo dire proletari. Un uomo, astratto-eguale e al contempo singolare, unico, è il segno forte di chissà quante migliaia. Uno, centomila, nessuno. Lui può essere tutto, e tutt’altro. Questo, nella nostra percezione indelebile, viene dopo, specificazione ulteriore. oreste_scalzone
Un carrarmato è cosa complicatissima. Si può adattare ad esso la definizione marxiana della merce, plesso di relazioni invisibili eppur materialmente costituenti il suo ontos. Carrarmato ha un fondo eguale ad altro, ogni altro carrarmato, come merce con ogni altra, in ultima analisi. Implica, traduce, incarna reca in sé – condizione d’esistenza, essere, qualità, natura e funzione – una complessità enorme di relazioni, traduce rapporto sociale, un’intera sistemica. Abbiamo visto che innanzitutto è una merce. Come un flacone di penicillina che può salvare. Cambia il valore d’uso, ma sul piano del Valore, ovverossia valore-di-scambio, questa è la primordiale qualità. In quanto merce, sottende, implica denaro, accumulazione, lavoro, mercato del lavoro (della forza-lavoro), estrazione di plusvalore, profitto.
Eppoi, un carrarmato ha altri caratteri essenziali sul piano di altre economie politiche. È mezzo di distruzione, di riproduzione allargata di essa. È dispositivo e funzione dello Stato. Un padrone, uno statista, un colonialista, un monarca, un tiranno, un gerarca, un rappresentante, un “democratòcrate”, sono tutti compatibili con la forma-carrarmato.
Un comunista, nel senso etimologico del termine, coniato e/o ripescato all’altezza dei tempi del diluvio rivoluzionario – come diceva Marx – dilagato in Europa attorno al 1848, un comunista, nel senso che questa parola aveva nell’Associazione internazionale dei lavoratori, quella che i suoi becchini avevano poi etichettato come Prima internazionale; un comunista, nel senso che il termine aveva all’epoca della Comune di Parigi, «la forma finalmente scoperta che mostra come il proletariato non possa che liberarsi da sé» cioè un comunardo, un comun’autonomo (autonomia e comunanza essendo consustanziali (…)
La forma-carrarmato è intrinsecamente statale. E comunismo statale è perfetta contraddizione in termini, come comunismo capitalistico, padronale, nazionale, ideologico, governante, governativo, politico, identitario – cioè proprietario -, razzistico, moralista, penale. Comunismo critico è agli antipodi di comunismo cratico.
A meno del verificarsi di una situazione per cui un’insurrezione si trovasse ad aver requisito carrarmati per rivolgerli contro le forze armate dell’oppressione, come i cannoni presi dalla Guardia repubblicana all’Armée nei giorni della Comune, i carrarmati, come gli aerei o le portaerei… non possono essere – come non può mai esserlo un Libertador, soggetto individuale o corporazione, casta, gerarchia che pretende autonomizzarti in tuo nome e per tuo conto – un mezzo, una forma, un’arma liberatrice.
Se la semantica non fosse stata violentata, se i fatti e le cose, la loro interpretazione, la loro costruzione, non fossero stati distorti da malinteso e concatenamenti di vere e proprie alienazioni, contraffatti, resi mutanti mutageni mostruosi, questo non potrebbe che essere il nòcciolo primordiale, semplice e chiaro.
Si discute tanto di mezzi e fini, di violenza, di terrorismo. Non avremo mai abbastanza disprezzo – stavolta sì – per tutti quegli ipocriti o, peggio, sfrontati che mostrano di considerare mostruosa una sassaiola, impensabile ogni rivolta e qualsivoglia spunto di violenza se non come, addirittura, provocazione, frutto di manipolazione, mossa da marionettisti e pupari, ma ritengono più che compatibile comunismo e violenza statale.
Un tank è un tank. Non può esserci un carrarmato “Compagno”. Se questo accade, se una colonna di carrarmati – contro uno solo o contro una folla di operai scioperanti in tumulto, come a Berlino ’53, come a Budapest ’56, come a Tienanmen nell’’89 – si avanza inalberando la bandiera rossa, lo stesso colore di quella de la Sociale che, accanto a quelle nere degli anarchici – nere come i grembiuli dei tessitori Canuts delle rivolte degli anni ’30 dell’Ottocento alla Croix rousse di Lione – è stata un vessillo degli insorti comunardi, vuol dire che è avvenuta una sorta di catastrofica e mostruosa mutazione di ogni parametro e termine della questione. Che il termine comunismo è stato sottoposto ad una serie di stupri semantici a catena.CHP_KarlMarx
Se una vertigine identitaria, cioè la peggior forma della patrimonialità, della proprietarietà, fa pensare a tanti rivoltosi, a tanti antagonisti, che il colore e i simboli facciano la differenza e contino più della natura, della natura dei rapporti sociali, inter-umani che fatti e cose rivelano, questo è segno che c’è qualcosa di profondamente insensato e malato sotto tutto questo, che dura da più di un secolo, e che rischia di esser mortale.
Ha scritto su queste colonne Piero Sansonetti che «noi sessantottini avevamo fatto della Cina un’icona, e avevamo visto nel maoismo non un’orrenda variante dello stalinismo e del comunismo di Stato oppressivo, ma al contrario una forma di rinnovamento del cupo socialismo sovietico, un modo per restituire potere al popolo il potere espropriato dalla nomenclatura di partito […] Avevamo visto nel maoismo, e nella Cina, una forma libertaria di comunismo. I carrarmati di Deng hanno sotterrato definitivamente questa speranza».
Vorrei segnalare a Piero alcune obiezioni cominciando col dire che il Sessantotto non è certo stato tutto dominato dall’ideologia maoista o da altre varianti consimili di un’idea comunque statalista, post-giacobina e lassalliana più che, certo non solo anarchica, ma anche marxiana. Dovrei ricordare tutta una cartografia dei comunismi “altri”, che non sono piccole élites, ma – per esempio negli anni ‘20 – hanno condotto una durissima guerra su due fronti della controrivoluzione, quello statal-padronale diretto, classico, e quello del socialismo reale staliniano, conseguenza estrema di quello che qualcuno ha chiamato il “kautsko-bolscevismo”.
Si può dire piuttosto che i Viet-cong, sì, sono stati un mito sessantottesco largamente condiviso. Ma, chi avrebbe potuto aver una pre-scienza, allora, per capire come sarebbe andata a finire? Non conoscevamo le pagine straordinarie dell’operaio rivoluzionario Ngo Van, Vietnam 1920-45, rivoluzione e contro-rivoluzione sotto la dominazione coloniale.
Mi limito dunque a dire che, per tanti come me, il comunismo non ha una data e luogo di nascita per questo non può avere un certificato di morte. Comunismo non è un’invenzione, o un regime da instaurare. Come istanza, come figura della potenza nel senso spinoziano, cioè dell’etica, esso è sempre vissuto nelle pieghe del reale, venendo a tratti allo scoperto. Vale quello che vale per la facoltà della parola, l’amore, la rivolta. Forse che possono avere una territorializzazione, una forma di Stato, un luogo e certificazione di nascita e dunque di morte? Quello che è morto (e voglio dire: sempre troppo tardi!) è una radicale contraffazione – derivante da malinteso, da omologia – del comunismo come movimento, movimento della critica radicale, teorico/pratica. Nel mio piccolo, vorrei ricordare il poster che nell’89 – dopo la caduta del Muro e prima di Tienanmen – chiedemmo a Mario Schifano di illustrare (e lo fece, con una bellissima faccia di Marx che era confusa con la cartografia di un globo terracqueo). Lo slogan stampigliato sopra era: «Marx 1989, finalmente libero!». Certo che la previsione era sognante e quella riapertura che ci sembrava di intravedere e speravamo non si è prodotta. Ma come arrivare a dire che la partita sia chiusa? Non è forse idea da «fine della Storia» alla Fukujama? Il comunismo non l’ha inventato nessuno, è una virtualità, che c’è, come la potenza di vita. Non è un articolo di fede, una giaculatoria. Ma forse il comunismo potrà riemergere solo quando, e se il suo “doppio” mostruosamente contraffatto avrà finito di esser dimenticato per sempre.

di Oreste Scalzone

Franco Fortini sul caso 7 aprile

19 aprile 2009 5 commenti

Dieci anni fa gli arresti di Padova. Scrive il Corriere: “se gli arresti del 7 aprile si risolsero in un errore giudiziario e in anni di sofferenze per persone che sarebbero state assolte…”. 
A chi spiegare che non si trattò di un errore giudiziario ma di uno sporco atto di violenza compiuto, in solido, da tutta la classe dirigente?
fortinigo8Quel che oggi persino ‘il Manifesto’  dimentica di dire è che da allora l’istruttoria è stata gestita e sostenuta da un giudice, Calogero, considerato ‘vicino’ al Partito Comunista. E che il Partito Comunista ha sempre sostenuto la colpevolezza degli uomini del 7 aprile soprattutto perché avversari della sua politica e perché, dirigendo contro le loro tesi l’ostilità e l’attenzione pubblica, di altrettanto si diminuiva la portata delle radici sociali, politiche e storiche comuniste che avevano dato origine alle Brigate Rosse, dico, non in termini sociologici ma storici. E così per non fare i conti con il proprio passato storico, quando c’era ancora Gorbaciov, il maggior partito d’opposizione trascinò l’opinione pubblica contro gli “intellettuali assassini” con il medesimo entusiasmo con cui per quarant’anni aveva infamato Bucharin o Trotzkij. Così, o anche così, si perdono le cause storiche. E poi si rovescia tutto e si vuol far credere che la conseguenza sia la causa.
Il declino del PCI italiano si distende lungo gli anni Ottanta. Gli organismi politici non fanno autocritiche finché sono forti. Ma diventano deboli per non averle fate. I compagni di Autonomia invecchiano a Parigi.
Ferrari Bravo, tornato in cattedra a Padova dopo cinque anni di prigione, rammenta in un’intervista la battuta di un autore cecoslovacco: chi è passato attraverso le guerre del nostro secolo, e fino alla presente distruzione ecologica, senza essere andato in galera per reato di opinione non può dire di aver sperso bene la sua vita. 7aprile_16
Non sono andato in galera per reato d’opinione. Per caso, credo.
Quel che ho detto in pubblico tra il 1967 e il 1973 e quel che poi ho scritto e stampato sarebbe stato più che sufficiente per una adeguata detenzione. O ero considerato ingombrante perché ‘poeta’? E’ probabile. Nelle valutazioni di certa gente -almeno alle nostre latitudini, perché sotto altre lo scrittore e l’artista sono caccia prelibata per gli squadroni della morte- valgono i canoni che nelle classi dirigenti da costoro servite hanno per secoli privilegiato il santone o infante (anche per meglio poterlo disprezzare) il Musarum sacerdos.
——–FRANCO FORTINI, Per le Prigioni   tratto da “Extrema Ratio” ———

7 APRILE 1979: processo all’Autonomia

6 aprile 2009 10 commenti

7 aprile 1979.
7aprile_webStampa e tv danno notizia della maxi-retata che da poche ore ha portato in galera il presunto vertice delle Brigate Rosse. Gli arresti, avvenuti su tutto il territorio nazionale, sono stati ordinati dal sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero.
Quasi tutti gli accusati sono intellettuali: docenti universitari, scrittori, giornalisti e leaders dei diversi movimenti post-’68. Tra i più noti vi sono: Antonio “Toni” Negri, docente di Dottrina dello Stato all’università di Padova, indicato come capo e ispiratore di tutta la galassia sovversiva italiana; Nanni Balestrini (latitante), poeta e scrittore, già nel Gruppo 63 e poi autore del romanzo-culto “Vogliamo tutto”; Franco Piperno (latitante), docente di fisica all’università di Cosenza; Oreste Scalzone, insieme a Piperno leader storico del ‘68 romano; Luciano Ferrari Bravo, Guido Bianchini,

Il sostituto procuratore Pietro Calogero

Il sostituto procuratore Pietro Calogero

Sandro Serafini e Alisa del Re, tutti assistenti di Negri all’università di Padova; Giuseppe “Pino” Nicotri, giornalista del “Mattino” di Padova, di “Repubblica” e de “L’Espresso” (in passato si è occupato della controinformazione su Piazza Fontana, e le sue scoperte sugli spostamenti di Franco Freda sono state preziose per le indagini di Calogero); Emilio Vesce, redattore delle riviste “Rosso” e “Controinformazione. L’elenco prosegue con diversi militanti dell’Autonomia Operaia ed ex-membri del gruppo Potere Operaio, scioltosi nel 1973. Secondo gli inquirenti, Potere Operaio non si sarebbe sciolto, piuttosto sarebbe divenuto un’organizzazione clandestina, una vera e propria “cupola” della sovversione. Inoltre, malgrado l’evidenza di insanabili contrasti teorici e politici, Autonomia Operaia e Brigate Rosse sono ritenute la stessa cosa, o meglio: la “illegalità di massa” propugnata dalla prima non sarebbe che il mare magnum in cui sguazza l’avanguardia clandestina rappresentata dalle seconde. Per alcuni degli arrestati vale solo la seconda parte del mandato, cioè l’accusa di associazione sovversiva. Al contrario, su Negri e alcuni altri sta per rovesciarsi una valanga di fantasiosi mandati di cattura per gli episodi più diversi. Nei giorni successivi il processo si estende ai redattori della rivista romana “Metropoli”, su cui scrivevano anche Scalzone e Piperno. I nuovi inquisiti sono Libero Maesano, Lucio Castellano e Paolo Virno. Anche loro apparterrebbero in blocco all’organizzazione eversiva “costituita in più bande armate variamente denominate”, per il semplice motivo di… aver scritto su “Metropoli”. Pleonasmi a non finire. Davvero curiosa questa “guerra civile” combattuta a colpi di saggi, editoriali, recensioni… e anche fumetti: su “Metropoli” è comparsa una drammatizzazione a fumetti del caso Moro. Secondo gli inquirenti, alcune vignette contengono l’esatta riproduzione della “prigione del popolo” in cui era rinchiuso Moro.processo_autonomia Poi si verrà a sapere che l’autore si è ispirato a un fotoromanzo di “Grand Hotel”. Ormai sappiamo tutti che Toni Negri non era il capo delle Brigate Rosse, né il telefonista dei rapitori di Moro, né l’assassino di Carlo Saronio. Eppure un giudice, su basi così palesemente assurde, imbastì nel 1979 il processo simbolo del periodo dell’ “emergenza”, rimasto noto come “il caso 7 aprile”. Vi furono coinvolti prima una ventina di imputati, quasi tutti docenti e ricercatori della facoltà di Scienze Politiche di Padova, poi divenuti oltre un centinaio. Molti furono incarcerati, altri costretti all’esilio, uno (“Pedro”) perse la vita, ucciso dalle forze dell’ordine mentre era armato di un semplice ombrello. Inutile dire che gli assassini di Pedro rimasero impuniti, e che il magistrato che gestì il processo ha tranquillamente fatto carriera. autonomiaL’impianto dell’inchiesta crollò solo grazie alle confessioni di Patrizio Peci, che dimostrarono come Negri, Piperno, Scalzone e gli altri del 7 aprile, con le Brigate Rosse, non avessero nulla a che spartire. Il teorema Calogero è rimasta la più impressionante montatura mediatico-giudiziaria dell’Italia repubblicana.
A trent’anni da quel giorno, martedì 7 aprile 2009 Filorosso organizza un’iniziativa dal titolo “Una storia da ricordare” con alcuni dei protagonisti, loro malgrado di quella vicenda: Franco Piperno, Oreste Scalzone (in collegamento da Parigi) e Francesco Febbraio, che in quel periodo era studente e attivista politico all’Università di Padova.
La discussione si terrà alle ore 17:30 presso il Capannone del Filorosso nell’edificio Polifunzionale dell’Unical di Cosenza. L’iniziativa è rivolta agli studenti universitari che nel ’79 non erano ancora nati e che avranno l’occasione di ascoltare una pagina di storia raccontata dalla voce viva di chi l’ha vissuta sulla sua pelle.

QUI UN BRANO DI FORTINI SUL 7 APRILE

La coppia Battisti-Vargas e la guerra di pollaio

8 febbraio 2009 Lascia un commento

Battisti e l’aiuto dei Servizi        Gli ex compagni lo accusano
Scalzone e Persichetti: vede trame come nei suoi romanzetti

           di GIOVANNI BIANCONI, Corriere della Sera, Domenica 8 febbraio 2009

Fred Vargas

Fred Vargas

“Dove vuole arrivare la coppia Battisti-Vargas?”. La domanda viaggia su Internet, nel Blackblog di Oreste Scalzone e nel sito Insorgenze di Paolo Persichetti. Icona storica dei ‘rifugiati’ italiani in Francia il primo, unico estradato da Parigi il secondo, tuttora detenuto in semilibertà.

Paolo Persichetti il giorno del 'rapimento'

Paolo Persichetti il giorno del 'rapimento'

Sotto quel titolo, un lungo elenco di dubbi, interrogativi inquieti e critiche sull’ergastolano dei “Proletari Armati per il Comunismo” al quale il Brasile ha concesso asilo politico (ma si trova ancora in prigione); le sue ultime mosse non sono piaciute affatto alla ‘comunità’ degli ex militanti della lotta armata che hanno trovato ospitalità oltralpe, com’è stato per Battisti fino al 2004. Cinque anni fa, quando il governo di Parigi stava per rispedirlo nelle patrie galere, scappò in Sud America, e ora rivela che ad aiutarlo furono i servizi segreti francesi. “L’abbiamo letto con turbamento”, commenta Scalzone che nel 204 brindò alla sua fuga. Oggi non rinnega ma scrive: ” Le nostre reazioni oscillano tra incredulità e qualche domanda: perchè mai lo avrebbero ‘esfiltrato’? In cambio di che? E perchè mai, vero o fiction che sia, viene a dirlo come se fosse la cosa più normale del mondo, offrendo sponda alle calunnie “pistaiole”, in particolare stalino-fasciste, che da sempre ci propinano in materia?”
Subito dopo ce n’è per la scrittrice Fred Vargas, collega ‘giallista’ e amica di Battisti. Che ha confermato l’aiuto di Carla Bruni in Brasile, nonostante la pubblica smentita della signora Sarkozy, e fornito particolari sulla ‘persona servizievole’ che avrebbe fornito il passaporto falso al fuggiasco: “non esattamente un agente dei servizi ma una personalità molto vicina ai governi della presidenza Mitterand”, riassume Scalzone.

Oreste Scalzone

Oreste Scalzone

Tra gli ‘esiliati’ italiani Cesare Battisti, divenuto scrittore di successo in Francia, non ha mai goduto grandi simpatie. Anche perchè lui per primo assunse atteggiamenti distaccati dal resto della ‘compagneria’. Ma la battaglia per la sua libertà aveva rinsaldato la solidarietà. Scalzone intonava in piazza canti rivoluzionari accompagnati dalla fisarmonica, ma oggi accusa: “Manca solo che Battisti e Vargas lancino un altro strale contro qualche figura che si sia particolarmente impegnata verso la France terre d’asile e nella cosiddetta dottrina Mitterand”.
Poco meno che un traditore, insomma.
Paolo Persichetti, che nel 2002 fu riportato in Italia nel giro di una notte, unico risultato dei “patti” tra i governi di destra di Roma e Parigi, non crede al ruolo dei servizi segreti in favore di Battisti e dice: “Niente torna in questa storia. Il rancore dei suoi ex coimputati che lo stigmatizzano solo perchè a loro non è riuscito di fuggire; il fatto che per discolparsi Battisti stesso faccia il loro nome facendo passare per pentiti dei semplici ‘ammittenti’ che non avevano fatto dichiarazioni su terzi; una guerra di pollaio che vede i politici fare le dichiarazioni più astruse e insensate”.

 

Che ora l’ergastolano dei Pac abbia diritto di tornare libero in Brasile, per Scalzone, Persichetti e gli altri ‘rifugiati’ è un dato scontato. Ma “lo stillicidio di rivelazioni centellinnate e in crescendo sembrano uscite dalla mentalità contorta di chi, a furia d’inventare intrecci polizieschi, finisce per vedere la vita come un vortice di complotti. Battisti sembra vivere nella trama dei suoi romanzetti.”

Cesare Battisti durante un processo

Cesare Battisti durante un processo

E se gli amici dello scrittore, dalla Vargas e Bernard-Henry Levy, vengono bollati come “girotondini di Francia, con la loro vulgata sull’Italia ‘mai uscita dal fascismo’ “, l’ex militante dei Pac, “dev’essere affondato in un misto di ‘legittimismo’ e vittimismo: solo così si spiega l’odio riversato prima contro i ‘brigatisti’, poi ‘gli ex compagni’ fino a una sorta di sordo rancore contro Marina Petrella, come di gelosia perchè la battaglia du si lei ha avuto successo…”
Il finale è riservato al ‘terribile sospetto’ che la coppia Battisti-Vargas arrivi a fare “terra bruciata di quel che resta del mitterrandiano ‘asilo di fatto’ “, come fosse “la contropartita richiesta.” In ogni caso, “tutto quel che rende ancor più delirante, non meno, la caccia all’uomo e l’immagine che si vuol dare della rivolta con un intero Paese (l’Italia) contro uno (e di che spessore…)”

su Cesare Battisti…

30 gennaio 2009 Lascia un commento

PROSEGUE LA POLEMICA SUL CASO BATTISTI, ANCHE A CAUSA DELLE SUE DICHIARAZIONI.
Tralasciando i commenti su quello che ha dichiarato alla stampa brasiliana, vi lascio il link di un contributo audio preso da Radio Onda D’urto di un’intervista a Paolo Persichetti,ex  militante delle Brigate Rosse estradato o meglio, rapito, dalla Francia nell’agosto 2002.
Per ascoltarlo : intervista

INVECE QUI VI METTO UN INTERVENTO MOLTO INTERESSANTE DI ORESTE SCALZONE A RIGUARDA, che uscirà completo domani sul suo blog:

Paris, 30.1.2009

Se mi tengo strettamente al punto di vista dell’interesse particolare dei fuoriusciti dall’Italia del dopo- anni ‘70/’80, rifugiatisi in Francia e altrove, al loro destino, devo dire che questa inedita isteria di Stato e di “scrittori e popolo”, di <società civile> e di plebi aizzate a urlare al linciaggio, lo spettacolo del “Tutti contro uno!” , eppoi di così mediocre consistenza, spessore foss’anche semplicemente simbolico, è andata talmente oltre che – fuori dai confini d’Italia – ha doppiato il capo, il punto di non-ritorno oltre il quale ogni parola in più  ottiene l’effetto contrario, si rivela controproducente.battisti_arresto

Dunque, potrei dire, “Continuate così, ancora uno sforzo… Se un Berardi o un Borghezio – ma non solo – non esistessero, ci converrebbe inventarli! Ogni bercio o sofisma in più, è per noialtri un’assicurazione sul futuro, contro ogni rischio d’estradizione : una manna…”.

Lo spettacolo di sé che sta dando “l’impresa-Italia”, che stanno dando la <società politica> e in generale i piani alti delle istituzioni e della società ;  gli umori che la loro abietta majeusi fa trasudare dal vaso di Pandora del bassoventre della società, lasciano infatti, prima ancora che scandalizzati, allibiti anche persone che “naturalmente” si troverebbero dalla loro parte.

Mi risulta che figure pubbliche brasiliane, che mantenevano una forte perplessità ed incredulità rispetto a giudizî – che gli sembravano eccessivi e propagandistici – sullo stato delle garanzie giuridiche in Italia e sulla natura del suo <ordine giuridico interno>, hanno modificato radicalmente, un giorno dopo l’altro, il loro giudizio, rispetto a ciò che venivano ascoltando e constatando de visu ogni giorno. Insomma, la “parte italiana, richiedente”, si è cacciata da sé nella condizione di quell’orribile condizione che il gergo mafioso definisce “dell’incaprettato” : ormai, più si agita, più aggiunge berci, spinge al proscenio personaggi, argomenta e vocifera, più si condanna al discredito, dunque alla sconfitta. Se invece di fermarsi, tanto più rilancia quanto più è frustrata, la spirale viziosa si serrerà intorno al suo collo.

Spingendo in avanti dei soggetti privati, le parti lese ; facendosene scudo, alibi, esponendole come “teste di turco” ; giocando empiamente sul loro dolore, aizzandole, mettendo a prezzo la loro sofferenza ; non decidendo mai una legge sui risarcimenti materiali, e cooptandone qua e là qualcuno, retribuendolo con candidature ed elezioni al Parlamento e altre cariche politiche ; raccontandogli l’infame dottrina per la quale senza la <retribuzione> consistente nel castigo, nella punizione certa e <infinita> di chi la <verità giudiziaria> ha decretato colpevole ; stravolgendo la norma, la dottrina, la Costituzione e pretendendo di legare la pena al primato della logica detta <retributiva> ; dismettendo le proprie prerogative sovrane – per esempio in materia d’indulto ed amnistia – e facendole coincidere con la logica che presiede all’istituto della grazia; scatenando in modo demenziale e criminale un mercato e una “guerra fra tutti e tutti” gli egotismi identitarî, legittimistici, vittimarî ; spandendo psicosi e <razeionalizzazioni> di passioni tristi, sospetti, risentimenti, rancori….,  hanno fatto e continuano a fare gli apprendisti stregoni.

Il guaio è che seminano vento, e tutti raccoglieremo tempesta : a cominciare dal fatto di subire una sorta di conformazione, di coazione mimetica che ci porta a ritorcere specularmene e all’infinito quest’atteggiamento delirante e livido, che prima che distruttivo d’altrui è eticamente suicidario, mortifero.

La pretesa di esportare la stessa operazione altrove ; di chiedere agli altri Stati, loro “pari”, di dimettere anch’essi le loro prerogative e facoltà, per transmutarsi in mandanti e al contempo in esecutori di una mortale caccia all’uomo condotta da una parte privata, parte in causa, che meriterebbe il massimo di rispetto e compassione e invece viene violentata, plagiata e prostituita, fatta oggetto di uso strumentale, demagogico demma sua sofferenza ; la pretesa di sindacare la facoltà di un altro Paese di decidere su estradizioni o asili, accampando le ragioni delle parti civili, prima che un crimine è una perfetta idiozia.

Hanno perso il lume della ragione. Sono arrivati a straparlare di “terrorista comune”, quando – come gli aveva fatto osservare Cossiga – l’applicazione a un Battisti della legge “speciale”, “emergenziale” che porta il suo nome, e prevede l’applicazione di una aggravante che comporta un elevato moltiplicatore di pene, se in sentenza i comportamenti incriminati sono dichiarati compiuti <per fini di terrorismo ed eversione dell’ordine costituzionale>, è una cialtroneria da gente che ha perso la testa. Così come lasciarsi andare, spinti dal livore, a definire il Brasile <Repubblichetta sudamericana>. Così come portare al parossismo più grottesco la banalizzazione <negazionista> del genocidio degli Ebrei, stabilendo comparazioni tra Battisti e… Eichmann (e questo, da parte di gente che – perlatro in modo al solito doppiopesistico – ostenta scandalo e stigmatizza negazionismo, chi quando si osa anche solo parlare anche di Gulag, Laogaï e foibe, chi quando si evocano Hiroshima, o le stragi da colonizzazioni e da tratta…).

Epperò non ci rallegriamo. Primo, se pensiamo a tanti compagne e compagne di destino, in quella stagione, tuttora rinchiusi, a tempo pieno o parziale, dietro quelle mura.

Secondo, se pensiamo a questo incrementarsi vertiginoso di un populismo penale, di una tendenza allo Stato penale, della sua capacità di infettare in modo virale le teste, producendo – ben peggio che acquiescenza – malinteso “giustizierista” che obiettivamente attacca allo stesso bindolo chi crede di combatterlo, e cade nella più vieta corsa mimetica.

Non ci rallegriamo, last but not least, quando vediamo il compiersi di una ‘deriva’ da tempo intrapresa da uno che ha condiviso tratti di nostri percorsi, come Battisti.

Ora viene a dirci, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che nella sua fuga dalla Francia, sulla quale aveva spalmato il libro <La mia latitanza>, sarebbe stato aiutato dai servizî segreti francesi.

Tendo a non crederci, ma se devo crederci devo chiedermi (e potremmo chiedergli conto) di quali contropartite abbia dato, quali servigî resi, visto che non risulta che i “servizî” siano associazioni di assistenza ai fuggiaschi, che benevolmente aiutano ad esfiltrarli…

E a chi dovesse accampare stati di necessità assoluta, di indigenza, questioni di vita o morte, verrebbe comunque da chieder conto di questa rivelazione di una macchia, di una miseria privata, senza una ragione foss’anche la più opportunistica. E chiedere come non se ne scusi innanzitutto con uomini e donne che gli sono stati compagni di destino e si sono battuti per lui.

E se poi dovesse essere – come tendo a credere – un parto della spettrale fantasia da inventore di gialli polizieschi, quale sarebbe la ratio?

Viene in mente un’altro inspiegabile gesto, che sembra una piccola ignobiltà gratuita. Noi non sappiamo se la signora Carla Bruni-Sarkozy abbia in qualche modo “intercesso” per lui. Se no, non si vede perché dire in proposito una falsità. Se sì, e se – al centro di attacchi volgari, inauditi, conditi di allusioni pesanti che la mettono in causa “come donna” (a proposito, che dire del silenzio plumbeo dell’intellighentzsjia femminista, ancora una volta?) – questa persona è andata in TV a schermirsi, a negare, che senso ha non rispettare una doverosa discrezione e – con strumentalità da parvenu che vogliono sfruttare fino in fondo una relazione e una persona – andare a smentire la sua smentita, confermando ciò che le attira un vero linciaggio?

Il quadro di un ambiente nel suo complesso malsano, di un Paese malato, più ancora che altri, di una società violentata e sfigurata, viene completato dall’episodio – sintomatico, rivelatore – di una intervista mai data, fittiziamente costruite con spezzoni di frasi dette al telefono per spiegare la propria indisponibilità a farsi intervistare, da una compagna rifugiata in Francia. Si tratta di estorsione volgare, di manipolazione, di truffa, di vero e proprio stupro morale. Questo non è un episodio isolato : è un frutto avvelenato. Il frutto avvelenato di chi pensa di trattarci, non già da <nemici>, o da vinti ; e nemmeno, a ben vedere, da “folli” e/o “criminali” : ma piuttosto da ‘scherzi di natura’, impensabili se non in termini di marionette e di pupari . Mostri, da espellere dall’umano : vale a dire, <sotto-uomini>. Unter-Menschen.

Ecco, questo c’è al fondo. Per noi e per tutti, non éscenderemo nel gorgo, muti”. […segue ]

o.s.

Questa è la ‘base’ per interventi e risposte a domande d’intervista. Essa è come un estratto, un’estrapolazione, da un ragionamento più ampio.

Un primo “allargamento”sarà pubblicato sul BlackBlog domani, 31.1.2009