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Rojava: le case delle donne
Quest’articolo apparentemente breve raccoglie un mondo grandissimo, che ho in parte sfiorato.
Sono righe che fanno percepire all’istante l’empatia, la familiarità, la vicinanza umana e politica che si sente pulsare dentro nei confronti di queste donne, le combattenti kurde di Kobane,
così come le tante e tante altre, siriane, che da anni resistono ad una guerra dai mille fronti ormai.
Quest’articolo ci palesa un processo di liberazione ed emancipazione, femminile innanzitutto, che non riuscirà ad esser fermato da nessun califfato tagliagole o esercito marciante: queste donne e il faticoso percorso portato avanti negli anni non saranno facili da fermare e non possiamo non sostenerle con ogni sforzo possibile.
Oltre a quest’articolo potete leggere gli altri sul blog di Zeropregi e sulla sua pagina twitter: porta un nostro bacio a quella terra.
LE CASE DELLE DONNE NEL ROJAVA
Prima di tutto abbiamo dovuto insegnare cos’è libertà. Abbiamo dovuto iniziare a fare formazione per far capire cos’è la libertà perché c’era gente che non sapeva cosa fosse” dice così Newroz Kobane, 25 anni, dal nome improbabile ma che lei dice essere il suo, spiegandoci cos’è “il modello Rojava” e il lavoro fatto negli ultimi anni su quel territorio devastato dalla guerra. Ci guarda fisso negli occhi e ci racconta per oltre un’ora com’era la sua vita a pochi km da qui, nella Kobane ora teatro dello scontro con l’Isis. Siamo nella tenda di uno dei campi profughi alla periferia di Soruc dove Newroz è una delle responsabili, ci racconta di quando hanno aperto la casa delle donne o di quando hanno creato le scuole per le stesse donne a cui fino ad allora era impedito andarci.
“Ma non ci siamo limitate a farlo a Kobane, siamo andati villaggio per villaggio a spiegare e a insegnare cos’è la libertà e cos’è la libertà delle donne”. Mi fermo a pensare a ciò che sono “le case delle donne” dalle nostre parti e dell’attacco che subiscono quotidianamente mentre lei ci spiega il lavoro (enorme aggiungo io) che hanno fatto negli ultimi anni. “Per prima cosa abbiamo dovuto ridurre la pressione degli uomini sulle donne. Difendevamo i diritti delle donne quando una di loro scappava di casa o veniva cacciata. Le accoglievamo perché volevamo evitare che le donne subissero violenze. Abbiamo fatto formazione con le donne su quali erano i loro diritti ma allo stesso tempo insieme ai tribunali e alle donne stesse decidevamo le cause di separazione. Il nostro obiettivo erano i diritti delle donne ed eravamo così riconosciute che nei casi di violenze o stupri eravamo noi ad andare a prendere gli uomini per portarli in tribunale”.
A Kobane ogni quartiere aveva la sua casa delle donne ed erano tante coloro che ci lavoravano. Mi imbarazzo se penso che a Roma a stento ogni municipio abbia un consultorio. Ma penso anche che se oggi Newroz e le altre donne nei campi abbiano un ruolo e una importanza è soprattutto grazie a questa rivoluzione culturale messa in atto da loro stesse.
“Abbiamo fatto anche formazione per gli uomini, certamente. Ed è probabile che la nostra determinazione gli abbia impedito di reagire con violenza ai cambiamenti tanto che alla fine sono stati costretti ad accettarli”.
È una donna fiera della sua identità e del suo essere musulmana. Non da nessuna dignità politica e religiosa all’esercito islamico, lo liquida con un “sono disumani e non sono dei musulmani”.
E mi imbarazzo di nuovo visto l’immaginario costruito nel mio paese dell’universo musulmano. Per questo probabile che loro vincano e che dalle mie parti invece giorno dopo giorno si perda un pezzo dei diritti conquistati con anni di lotte.
Foto, video e report della Staffetta Romana per Kobane https://m.facebook.com/profile.php?id=635796289863470
Kobane ha retto anche per oggi…
Giro al volo e ringrazio Lena!
#Kobane ha retto anche per oggi.
Riferisco quel poco dal confine: i jihadisti dell’IS sono ancora in citta’. E’ difficile sperare di scacciarli cosi’. Hanno carri armati, mortai e armi a lunga gittata, quintali di munizioni e soprattutto i tanti soldi dei rapimenti e della compravendita del petrolio (per non parlare dei milioni delle donazioni di Qatar & Friends. Dalla loro, le combattenti e i combattenti del Rojava hanno soltanto qualche fucile e le munizioni autofinanziate. Possono contare sul fatto che la loro citta’ la conoscono, che sanno cosa e chi stanno proteggendo. E aggiungo: c’e’ anche il fatto che, quando non combatti sperando di finire in paradiso, l’unica cosa che conta e’ quella di restar vivi.
Sono aumentati i bombardamenti americani. Oggi e’ stato un non-stop: i carri armati turchi che stavano a guardare i jihadisti, i jihadisti che bombardavano le forze del Rojava, gli Stati Uniti che bombardavano le rocce. I testimoni (di parte. Ci mancherebbe che mi interessano le opinioni moderate…) insistono che non servono a nulla, non bombardano aree strategiche e forse la strategia non ce l’hanno proprio in generale. All’ospedale oltreconfine di Suruç, sotto Urfa, oggi di combattenti feriti gravi ne sono arrivati molti. Ci sono poche speranze, perche’ li fanno aspettare troppo prima di lasciarli passare il confine. E quel che raccontano e’ che la comune di #Kobane, se la Turchia non viene costretta a lasciar passare munizioni, volontari e cibo, rischia veramente di cadere. Tempo stimato: due giorni massimo.
E’ per costringere il governo Erdogan alla resa e all’apertura dei confini (o quantomeno alla sospensione dell’aiuto, materiale e mediatico, ai jihadisti) che in tutta la Turchia si e’ scesi in strada. Da ieri sera le folle si autoconvocano, si piantano seduti nelle piazze fino al mattino, bloccano le autostrade e danno fuoco a copertoni, e cercano a colpi di ingovernabilita’ di costringere il governo Erdogan alla trattative. Ci sono state le prime voci di morti (uno confermato) e gli interventi della polizia sono stati puntualmente orribili. Pero’ si insiste anche stasera. Si prova a resistere. E’ vero che questi i tempi della Catalonia sono finiti, e che magari non possiamo andarcene a fare i partigiani a Kobane. Pero’ sarebbe gia’ qualcosa se facessimo i partigiani dove siamo, imponendo una presa di posizione. Erdogan, l’unico che puo’ smobilitare i suoi carri armati da quel confine e lasciar passare gli aiuti, va costretto a farlo.
Visto che sono qui a parlare a vanvera del piu’ e del meno volevo aggiungere un’ultimo paio di pensieri straordinariamente inutili. A parte che oggi i movimenti Kurdi hanno occupato il parlamento Europeo, quel famoso parlamento che le sinistre non hanno occupato neanche dopo anni di crisi che uccidono centinaia di insolventi, anni che hanno tolto il futuro e affogato migliaia di migranti. Insomma, ci voleva proprio che qualcuno ci facesse vedere come si fa nel giro di qualche ora. Altro che Articolo 18 e tasse sulla non-proprieta’.
E poi. Oggi un compagno fra gli status ha fatto notare che corre voce a Gaza si sventolino bandiere dell’IS. Chissa’. Quel che e’ certo e’ che a Sud le simpatie piu’ che altro sono verso #Erdogan, che di esternazioni per Gaza come pure contro i massacri di Rab’a non ha lesinato, e che non nasconde certo di sentirsi piu’ a suo agio nei confronti dei salafiti che della comune del Rojava (non la chiamo comune kurda, perche’ accoglie e offre margini d’azione a tutte le etnie). Ecco, bingo. Questo dovrebbe farci riflettere su quanti colpi stiamo perdendo a sinistra, e su come le nostre strategie di solidarieta’ vadano davvero ripensate, su come a colpi di bandiere della pace e convogli di medicinali ci siamo ridotti a vedere i nostri fratelli come vittime piu’ che come soggetti politici, assolvendo qualsiasi posizione politica. Insomma, qui bisogna ripensare tutto. Mobilitiamoci per i compagni di Rojava. Mobilitiamoci subito. Ma non solo perche’ stanno morendo e perche’ e’ ingiusto. Mobilitiamoci perche’ dobbiamo imparare da loro. Perche’ hanno sognato un po’ piu’ in la’ di noi, e se vogliamo riuscire vedere come hanno fatto ci tocca sperare che Kobane resista.Lena DG
Poi toccherebbe anche spiegare ai giornalisti che Kobane e Ayn al-Arab son la stessa cosa, lo stesso posto: le lingue son diverse.
troppo complicato, me rendo conto
Il sorriso della libertà, Arin Mirkan…

Arin Mirkan
“La mia presenza è stata lama per tagliare l’indifferenza. Ma dentro di lei esistevano occulte le sensazioni che ora affiorano e che un giorno intoneranno canti che non moriranno” (Gioconda Belli)
Li senti i nostri canti Arin?
Cercano di placare il pianto delle tue bambine,
Cercano di ringraziarti, di rendere eterno quel sorriso che racchiude il mondo,
racchiude la libertà.
La terra per te sarà ali di farfalla, compagna mia.
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