Bloccata la Ru486: piccolo sfogo personale
Vedevo negli occhi di quelle donne, di ogni età e posizione sociale, uno sguardo decisamente più sereno di quello che ricordavo scavato sul mio volto.
Qualche ora di treno e l’atmosfera cambia rapidamente: a Roma se devi abortire non trovi quell’atmosfera.
A Roma se devi abortire non è facile muoversi, malgrado si possa pensare che in una città del genere sia facile tutto, sia tutto fruibile e trovabile.
Bhè, abortire in questa città, nel terzo millennio non è per niente cosa facile.
Quando successe a me finii nelle mani di un reparto che neanche ebbe il buon gusto di aprire mai la mia cartella: così fui operata d’urgenza, all’ultimo momento utile per colpa loro, senza nemmeno aver il tempo di scegliere veramente. Senza avere quel tempo -incredibilmente necessario- per parlare un po’ con me, con le nuove sensazioni che arrivavano. Avevo, bho, credo 20 anni appena compiuti.
Poi, qualche anno dopo, m’è capitato di accompagnare una sorella a Pontedera, in questo rivoluzionario ospedale dove il Dott. Srabot (spero di ricordare bene il suo nome, visto che lui non lo dimenticherò) usava la RU486 in sperimentazione già da diverso tempo.
Nessun problema per noi che venivamo da Roma, nessuna domanda, nessuna richiesta.
Trattata con i guanti, rigirata come un calzino con rapide analisi e la prima pillola di preparazione.
Io non dovevo abortire, ma ero circondata da donne che avevano fatto molti km per andare proprio in quel reparto: donne consapevoli della loro scelta, coscienti di voler usare un farmaco che le tenesse lontane da anestesie, sale operatorie e raschiamenti. Donne consapevoli del dolore nel cuore, che avevano però SCELTO di non provarlo anche nel corpo.
O almeno limitarlo il più possibile.
Le ho viste una ad una prendersi quella pillola, le ho viste una ad una scoprire minuto dopo minuto come stava avvenendo dentro di loro il distacco.
Le ho viste entrare in un bagno, uscirne poco dopo … poi una rapida ecografia e se tutto è stato espulso integralmente, si può andare a casa.
Questo ho visto con i miei occhi: non ho visto una lacrima.
Ricordo il mio risveglio e lo ricorderò tutta la vita: mi svegliai dall’anestesia in un letto zuppo, completamente intriso di pianto. Di pianto mio, un pianto che non sapevo nemmeno di aver avuto, un pianto che non m’ha mai più lasciata e che mi porto dentro ancora ora… ora che ho un grande pancione con dentro un bambino che cresce.
Loro invece uscivano dall’ospedale con uno sguardo diverso: con lo stesso identico dolore di qualunque donna che prende una simile scelta, ma con la testa lucida, con il corpo forte, senza l’umiliazione di una procedura ormai lontana dagli ospedali del resto d’Europa.
E invece stamattina mi sveglio e scopro che il ritardo ventennale del nostro paese aumenterà: ancora una volta.
La pillola abortiva, la RU486, è stata bloccata dalla commissione Sanità del Senato: il documento in cui si chiede al governo di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola in attesa di un parere tecnico circa la compatibilità con la legge 194, è stata approvata.
Porta la firma di Antonio Tomassini: uno che sarebbe stato meglio abortire.
Mi vergogno di questo paese, mi vergogno del medioevo in cui vivo, mi vergogno di esser costretta ad abitare in una lontana provincia della Vandea.
Mi vergogno, come madre, di un paese che non mi vuole far scegliere quando esser madre.
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Capisco e ho provato anch’io una grandissima amarezza, la stessa che provo tutti i giorni quando chiudono fabbriche, quando muore qualcuno in carcere, quando si muore sul lavoro, quando viene violentata una persona, quando si uccide in nome delle missioni di pace, quando ogni giorno le mani infami del potere si stringono sul nostro collo negandoci la possibilità di vivere una vita serena e dignitosa. Un abbraccio
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