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Il carcere e il suo pervadere i corpi …


Ci son parole e meccanismi che fanno capire il carcere meglio di una settimana di isolamento.
Perché il carcere non è fatto solo di cemento e di ferro,
il carcere non è solo una branda sudicia e scomoda, uno spioncino, un blindato che sbatte prima o dopo altre decine di suoi simili.
Perché il carcere non sono solo le chiavi di ottone che pendono dalle divise, non sono i propri amori visti col contagocce davanti ad occhi inquisitori e sconosciuti,
perchè il carcere non è solo anfibi unti, non è solo lavarsi il culo dove si tiene a bagno la frutta,
il carcere non è solo sudore mischiato tra troppi,
non sono solo tanti corpi a russare, puzzare, lavarsi, mangiare, masturbarsi, gridare, giocare, bestemmiare, farsi belli per un colloquio.

Il carcere ti deve entrare in testa, e se per caso sei donna deve entrare anche nel tuo utero.
Il carcere pervade ogni istante del detenuto, ma anche di sua madre, di suo figlio, di sua moglie, di chi lo ama.
Il carcere si appropria della tua vita, anche in quelle tue zone interiori dove non penseresti mai che qualcuno possa entrare e sfondare tutto, o tentare di appropriarsi di tutto.
Perché il carcere con la scusa di rieducare cerca di puntellare la tua testa, di plasmarla,
di domare il tuo corpo e farti dire “sì signore” davanti alle assurdità più inconciliabili con la ragione.
Il carcere è sopruso psicologico e fisico, il carcere stupra chi ami,
sottopone anche i tuoi figli a violenze inaudite,
il carcere annulla la privacy della tua famiglia,
la calpesta, la deride, la violenta come se niente fosse.
Il carcere è un’ aberrazione che cerca di appropriarsi anche delle vite di chi non ha compiuto reati,
il carcere è forse l’istituzione che più di qualunque altra ti fa sognare di farne di reati.
Ti fa sognare enormi esplosioni, dove il ferro e il cemento si fondono con i loro meccanismi perversi, con le loro indagini comportamentali, con le loro relazioni psicologiche,

dove ad esplodere sia la privazione di libertà come quei continui tentativi di annientare la tua persona, anche quando non ce n’è bisogno.
Il carcere è un oceano di desiderio di reati: perché è inaccettabile
e come tutte le cose inaccettabili vanno distrutte.
Abolite.
Abbattute.

 

  1. Luca
    19 marzo 2012 alle 16:25

    Sono d’accordo completamente,su tutto !!!!!

    La prigione

    Incasellai nella mente
    sguardi fiori e uno spicchio di cielo.
    La pianura addormenta l’anima,
    ma la prigione resta ferma sulla collina.

    Dopo tentai di gettare l’anima
    al di là del muro. Zelante
    il guardiano me la sbattè sul muso.

    S.Vittore 21 ottobre 1971

    Sante notarnicola

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  2. 19 marzo 2012 alle 16:31

    Grazie di queste righe di Sante,Luca.
    Valgono più di mille scritti!

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  3. Marco Pacifici
    19 marzo 2012 alle 17:36

    BELLO COME UN CARCERE CHE BRUCIA. Grazie Valentina, condivido come sempre.(a maggio, mi dice Pralina Diamante la Compagna di Horst Fantazzini, sara’ pronto il libro con tutti gli scritti di Horst:sarai tra le prime a riceverlo). Che la Vita ci sia leggera. Marco.

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  4. icittadiniprimaditutto
    19 marzo 2012 alle 18:06

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

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  5. gianni
    20 marzo 2012 alle 11:29

    Distruggere materialmente le carceri era una parola d’ordine applicabile negli anni ’70-’80 quando iniziarono a costruire i carceri in cemento armato; dai vecchi carceri si poteva ancora cercar di evadere perchè non tutti erano attrezzati come supercarceri; qualcuno provò ad attaccarli ( come a Sollicciano vicino a Firenze), ma senza avere gli “strumenti” adatti si fece anche prendere per il culo dal progettista architetto Italo Castore, mio compagno di liceo. Il cemento armato non brucia! anche le metafore talvolta danno noia ed Horst lo sapeva bene! Ottimi i versi di Sante, molto spesso più indicativi di parole d’ordine sorpassate; ci sono parole o versi pesanti come il piombo e lasciano spazio alla immaginazione operativa-concreta come le parole di Valentina, di Salvatore Ricciardi o di Sante che di diritto o di rovescio hanno conosciuto il carcere. Concretezza ci vuole e senso della realtà che si ha di fronte.

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  6. 20 marzo 2012 alle 20:12

    Lager

    Oscillano
    i resti del giorno
    e
    nella luce frigale
    sentiamo un mare
    rassegnato
    alla spinta dei venti.

    Osserviamo un muro bianco
    osserviamo un muro duro
    osserviamo un muro granuloso
    osserviamo un muro offensivo
    osserviamo un muro
    un muro
    un muro
    un muro
    martellante
    muro
    su cui continuamo a scrivere…

    In questo paesaggio
    straniero all’anima e
    con un muro
    vorrebbero spianare
    le nostre coscienze.

    Asinara 22 agosto 1977

    S. N.

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  7. Marco Pacifici
    21 marzo 2012 alle 20:56

    Gianni perdonami tu che sai tutto(io il carcere l’ho conosciuto a 15 anni l’11 aprile 1969 all’Aristide Gabelli porta portese per gli scontri per i morti di Battipaglia ed è stato l’inizio della perdita dell’innocenza(che per tutti noi credo sia stato il 12 dicembre 1969…) ed Horst l’ho conosciuto in carcere a Perugia nel 74 era in cella davanti alla mia con Sabatino Catapano(che ho rivisto a Zona Rischio Casal Bertone per Francesco Mastrogiovanni “il professore Anarchico piu alto del mondo”), ma “Bello come un carcere che brucia” è semplicemente come chiamiamo l’iniziativa che, dal giugno 2011 quando c’è stata la prima a via dei Volsci, stiamo portando in tutti i CSOA e spazi sociali autogestiti contro tutti i centri di detenzione: forse tu Gianni sei avanguardia intellettuale, e noi invece siamo l’ala ignorante del movimento, quella che il 15 ottobre, come il 12 marzo’77, non ha ceduto un passo ai soldatini di piombo sebbene fosse pieno di infami che consegnavano i nostri cuccioli alle guardie:Chi semina vento raccoglie tempesta Gianni. Che la Vita ci sia leggera. Marco Pacifici(autore con Marco Ligini Edoardo Di Giovanni e tanti altri del libro “La strage di stato”).

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  8. Marco Pacifici
    21 marzo 2012 alle 21:00

    Ci mettiamo la faccia ed il nome e cognome Noi Compagni e Compagne idealiste, piu di quello che ci han fatto possono solo ammazzarci: tu Gianni chi sei ? Tristezza e Dolore, quando uno non ha un cazzo di mejo da fare che buttar merda sui “suoi”Compagni siamo altro che alla frutta, ai torsoli di mela marcia. Besos a tutta la mia Gente: Noi senza Voi non siamo nulla.

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  9. Marco Pacifici
    21 marzo 2012 alle 22:05

    Per cortesia Valentina togli i miei due commenti, non c’è problema, preferirei , anzi non voglio rileggerli che fanno parte della parte oscura di me che non amo… e te lo dico con molta calma. Io i miei Compagni li amo soprattutto se sbagliano (infamita e delazione escluse…): ed io ho fatto un mare di cazzate nella mia vita, ne porto ancora le piste sulle braccia. Perdonatemi, credo di non esser l’unico straincazzato in questi tempi di morte e schiavitu’. E come sempre ci massacriamo tra di noi(o almeno a me talvolta capita) che invece dovremmo tenerci per mano. TOGLILI TI SPERSCONGIURO VALE.

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  10. 21 marzo 2012 alle 22:09

    No problem! Fatto! 😉

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