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Abbattiamo le carceri, a partire da quelle per minori! 14 aprile TUTT@ A CASAL DEL MARMO

18 marzo 2013 3 commenti

Un’iniziativa importantissima, bella, che mi rende felice.
Perché anche chi si occupa di carcere, chi si adopera per organizzare iniziative fuori le maledette mura che privano della libertà donne e uomini, spesso ci si dimentica delle carceri minorili,
come degli altri centri di privazione di libertà che possono essere i CIE, gli ospedali psichiatrici giudiziari e certi tipi di “case di cura”.
Istituzioni totali, già: quelle che ci abituano a pensare “sempre esistite”, quando non è così,
quelle che nell’immaginario che ci costruiscono davanti e dentro dalla nascita sembrano immutabili ed eterne,  ma che in realtà hanno una storia breve, che possiamo collegare alla proprietà privata dei mezzi di produzione, e alla successiva necessità di mostrificare, denigrare e quindi internare alcune figure sociali davanti ad un cambiamento della struttura economica della società.

Ora viviamo nella società della “sicurezza”, del panpenalismo che tutto fagocita, soprattutto la capacità di molti di comprendere i meccanismi dell’abolizionismo, quelli capaci di minare il dispositivo dell’internamento, del controllo, quindi del concetto di “sicurezza” e “rieducazione”.
Penso sempre all’isolotto di Santo Stefano, primo vero carcere d’Italia costruito dai Borboni nel lontano 1796 e in funzione fino al vicinissimo 1965. Ci penso perchè scesi alla Marinella, da barchini traballanti, appena iniziata la salita verso l’ergastulum, i detenuti si trovavano davanti questa scritta scolpita su roccia:
“Fintanto che la santa giustizia tiene tanti mostri di scelleratezza in catene sta salda la tua proprietà, rimane protetta la tua casa”
… erano avanti, il mito della sicurezza, effimero carceriere del presente, si faceva largo, tra i rumori di catene e cancelli e il canto dei gabbiani che osservavano liberi.

Alla Comune di Parigi, Vladimir Majakovskij

18 marzo 2013 Lascia un commento

Pochi vi sono
che ancora ricordano
quei giorni,
quelle battagli, quei nomi,
ma il cuore
operaio
serba
il ricordo di quella rossa giornata.
Il capitale
era ancora giovane,
le ciminiere
erano meno alte;
essi
alzarono la bandiera della lotta
nella
loro Parigi francese.
Balenando
come speranza
nel cuore ai miseri,
consumando
d’angoscia i ricchi,
le parole
del socialismo vivente
per la prima volta
si accesero sulla terra.
Il mondo borghese
tutto intero
appaludì
con le mani grasse
il passaggio
sul nastro della strada
dei suoi gendarmi,
i versagliesi.
Senza frugare
negli articoli della legge,
senza discussioni,
nè buchi nell’acqua,
Galliffet,
loro Kolcak francese,
mise al muro
la Comune.
Tacquero definitivamente le loro voci,
ma si riuscì a soffocarle per sempre?
Per esserne sicure,
le dame
nei loro occhi
ficcavano
punte d’ombrello.
Di buon appetito
il borghese
divorò la Comune,
e le labbra
si forbì con bandiere.
Ci è rimasta solo
la parola d’ordine:
”Vincere!
Vincere,
o morire!”
I versagliesi,
rovesciando su Parigi
sputi di piombo,
se ne andarono
in un tintinnio di speroni,
e la faccia borghese
si fece di nuovo raggiante,
ma durò solo fino al nostro Ottobre.
La classe operaia
ora ha più intelletto
e più uomini.
Non ci abbattono
nè parole,
nè fruste.
Essi
tennero duro
per una manciata di giorni,
noi
terremo duro
per secoli.
Mormorando
col fruscio delle bandiere di seta i loro nomi
sopra il rosso corteo
delle masse,
oggi
per la nona volta
noi portiamo
il nostro lutto
e il nostro orgoglio.”

1927

           -Vladimir Valdimirovic Majakovskij-

Leggi anche la Canzone della Commune:QUI

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