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In riva al mare con Saffo, Britomarti e il caro Cesare…

24 settembre 2012 1 commento

Ancora i Dialoghi con Leucò, ancora Cesare, ancora -come da sempre- a rifuggire tra righe che si potrebbero recitare a memoria,
senza saperne il motivo, solo per sentire se il friccichio della schiuma di quell’onda è sempre lo stesso del primo istante.
Schiuma d’onda, una chiacchierata tra Saffo e Britomarti…

(Parlano Saffo e Britomarti).

SAFFO: E’ monotono qui, Britomarti. Il mare è monotono. Tu che sei qui da tanto tempo, non t’annoi?
BRITOMARTI: Preferivi quand’eri mortale, lo so. Diventare un po’ d’onda che schiuma, non vi basta.
Eppure cercate la morte, questa morte. Tu perché l’hai cercata?
Foto di Valentina Perniciaro _Strapiombo e blu… _
SAFFO: Non sapevo che fosse così. Credevo che tutto finisse con l’ultimo salto. Che il desiderio, l’inquietudine, il tumulto sarebbero spenti. Il mare inghiotte, il mare annienta, mi dicevo.
BRITOMARTI: Tutto muore nel mare, e rivive. Ora lo sai.
SAFFO: E tu perché hai cercato il mare, Britomarti – tu che eri ninfa?
BRITOMARTI: Non l’ho cercato, il mare. Io vivevo sui monti. E fuggivo sotto la luna, inseguita da non so che mortale. Tu, Saffo, non conosci i nostri boschi, altissimi, a strapiombo sul mare.
Spiccai il salto, per salvarmi.
SAFFO: E perché poi, salvarti?
BRITOMARTI: Per sfuggirgli, per essere io. Perché dovevo, Saffo.
SAFFO: Dovevi? Tanto ti dispiaceva quel mortale?
BRITOMARTI: Non so, non l’avevo veduto. Sapevo soltanto che dovevo fuggire.
SAFFO: E’ possibile questo? Lasciare i giorni, la montagna, i prati – lasciar la terra e diventare schiuma d’onda – tutto perché dovevi?  Dovevi che cosa? Non ne sentivi desiderî, non eri fatta anche di questo?
BRITOMARTI: Non ti capisco, Saffo bella. I desiderî e l’inquietudine ti han fatta chi sei; poi ti lagni
che anch’io sia fuggita.
SAFFO: Tu non eri mortale e sapevi che a niente si sfugge.
BRITOMARTI: Non ho fuggito i desiderî, Saffo. Quel che desidero ce l’ho. Prima ero ninfa delle
rupi, ora del mare. Siamo fatte di questo. La nostra vita è foglia e tronco, polla d’acqua,
schiuma d’onda. Noi giochiamo a sfiorare le cose, non fuggiamo. Mutiamo.
Questo è il nostro desiderio e il destino. Nostro solo terrore è che un uomo ci possegga, ci fermi.
Allora sì che sarebbe la fine. Tu conosci Calipso?
SAFFO: Ne ho sentito.
BRITOMARTI: Calipso si è fatta fermare da un uomo. E più nulla le è valso. Per anni e per anni
non uscì più dalla sua grotta. Vennero tutte, Leucotea, Callianira, Cimodoce, Oritía,
venne Anfitrìte, e le parlarono, la presero con sé, la salvarono. Ma ci vollero anni, e che
quell’uomo se ne andasse.
SAFFO: Io capisco Calipso. Ma non capisco che vi abbia ascoltate.
Che cos’è un desiderio che cede?
BRITOMARTI: Oh Saffo, onda mortale, non saprai mai cos’è sorridere?
SAFFO: Lo sapevo da viva. E ho cercato la morte.
BRITOMARTI: Oh Saffo, non è questo il sorridere. Sorridere è vivere come un’onda o una foglia,
accettando la sorte. E’ morire a una forma e rinascere a un’altra.
E’ accettare, accettare, se stesse e il destino.
SAFFO: Tu l’hai dunque accettato?
BRITOMARTI: Sono fuggita, Saffo. Per noialtre è più facile.
SAFFO: Anch’io, Britomarti, nei giorni, sapevo fuggire. E la mia fuga era guardare nelle cose e
nel tumulto, e farne un canto, una parola. Ma il destino è ben altro.
BRITOMARTI: Saffo, perché? Il destino è gioia, e quando tu cantavi il canto eri felice.
Foto di Valentina Perniciaro
– Dunque accetti il desiderio?
– Non lo accetto, lo sono.
SAFFO: Non sono mai stata felice,
Britomarti. Il desiderio non è canto.
Il desiderio schianta e brucia,
come il serpe, come il vento.
BRITOMARTI: Non hai mai
conosciuto donne mortali che
vivessero in pace nel desiderio
e nel tumulto?
SAFFO: Nessuna… forse sì…
Non le mortali come Saffo.
Tu eri ancora la ninfa dei monti,
io non ero ancor nata.
Una donna varcò questo mare,
una mortale, che visse sempre nel
tumulto – forse in pace.
Una donna che uccise, distrusse,
accecò, come una dea – sempre uguale
a se stessa. Forse non ebbe da sorridere
neppure. Era bella, non sciocca,
e intorno a lei tutto moriva e combatteva.
Britomarti, combattevano e morivano
chiedendo solo che il suo nome fosse un
istante unito al loro, desse il nome alla
vita e alla morte di tutti.
E sorridevano per lei… Tu la conosci – Elena Tindaride, la figlia di Leda.
BRITOMARTI: E costei fu felice?
SAFFO: Non fuggì, questo è certo. Bastava a se stessa. Non si chiese quale fosse il suo destino.
Chi volle, e fu forte abbastanza, la prese con sé. Seguì a dieci anni un eroe, la ritolsero a lui,
la sposarono a un altro, anche questo la perse, se la contesero oltremare in molti,
la riprese il secondo, visse in pace con lui, fu sepolta, e nell’Ade conobbe altri ancora.
Non mentì con nessuno, non sorrise a nessuno. Forse fu felice.
BRITOMARTI: E tu invidi costei?
SAFFO: Non invidio nessuno. Io ho voluto morire. Essere un’altra non mi basta.
Se non posso esser Saffo, preferisco esser nulla.
BRITOMARTI: Dunque accetti il destino?
SAFFO: Non l’accetto. Lo sono. Nessuno l’accetta.
BRITOMARTI: Tranne noi che sappiamo sorridere.
SAFFO: Bella forza. E’ nel vostro destino. Ma che cosa significa?
BRITOMARTI: Significa accettarsi e accettare.
SAFFO: E che cosa vuol dire? Si può accettare che una forza ti rapisca e tu diventi desiderio,
desiderio tremante che si dibatte intorno a un corpo, di compagno o compagna,
come la schiuma tra gli scogli? E questo corpo ti respinge e t’infrange, e tu ricadi,
e vorresti abbracciare lo scoglio, accettarlo. Altre volte sei scoglio tu stessa,
e la schiuma – il tumulto – si dibatte ai tuoi piedi.
Nessuno ha mai pace. Si può accettare tutto questo?
BRITOMARTI: Bisogna accettarlo. Hai voluto sfuggire, e sei schiuma anche tu.
SAFFO: Ma tu lo senti questo tedio, quest’inquietudine marina?
Qui tutto macera e ribolle senza posa. Anche ciò che è morto si dibatte inquieto.
BRITOMARTI: Dovresti conoscerlo il mare. Anche tu sei da un’isola…
SAFFO: Oh Britomarti, fin da bimba mi atterriva. Questa vita incessante è monotona e triste.
Non c’è parola che ne dica il tedio.
BRITOMARTI: Un tempo, nella mia isola, vedevo arrivare e partire i mortali.
C’erano donne come te, donne d’amore, Saffo. Non mi parvero mai tristi né stanche.
SAFFO: Lo so, Britomarti, lo so. Ma le hai seguite sul loro cammino?
Ci fu quella che in terra straniera s’impiccò con le sue mani alla trave di casa.
E quella che si svegliò la mattina sopra uno scoglio, abbandonata.
E poi le altre, tante altre, da tutte le isole, da tutte le terre, che discesero in mare e chi fu serva,
chi straziata, chi uccise i suoi figli, chi stentò giorno e notte,
chi non toccò più terraferma e divenne una cosa, una belva del mare.
BRITOMARTI: Ma la Tindaride, tu hai detto, uscì illesa.
SAFFO: Seminando l’incendio e la strage. Non sorrise a nessuno. Non mentì con nessuno.
Ah, fu degna del mare. Britomarti, ricorda chi nacque quaggiù…
BRITOMARTI: Chi vuoi dire?
SAFFO: C’è ancora un’isola che non hai visto. Quando sorge il mattino, è la prima nel sole…
BRITOMARTI: Oh Saffo.
SAFFO: Là balzò dalla schiuma quella che non ha nome, l’inquieta angosciosa, che sorride da sola.
BRITOMARTI: Ma lei non soffre. E’ una gran dea.
SAFFO: E tutto quello che si macera e dibatte nel mare, è sua sostanza e suo respiro. Tu l’hai veduta, Britomarti?
BRITOMARTI: Oh Saffo, non dirlo. Sono soltanto una piccola ninfa.
SAFFO: Tu vedi, dunque…
BRITOMARTI: Davanti a lei, tutte fuggiamo. Non parlarne, bambina.

Foto di Valentina Perniciaro _Un’isola all’ergastolo_

“Hai portato un’altra isola in te”

5 Maggio 2009 6 commenti

CALIPSO Odisseo, non c’è nulla di molto diverso. Anche tu come me vuoi fermarti su un’isola. Hai veduto e patito ogni cosa. Io forse un giorno ti dirò quel che ho patito. Tutti e due siamo stanchi di un grosso destino. Perché continuare? Che t’importa che l’isola non sia quella che cercavi? Qui mai nulla succede. C’è un po’ di terra e un orizzonte. Qui puoi vivere sempre.
ODISSEO Una vita immortale
CALIPSO Immortale è chi accetta l’istante. Che non conosce più un domani. Ma se ti piace la parola, dilla. Tu sei davvero a questo punto?
ODISSEO Io credevo immortale chi non teme la morte.
CALIPSO Chi non spera di vivere. Certo, quasi lo sei. Hai patito molto anche tu. Ma perché questa smania di tornartene a casa? Sei ancora inquieto. Perché i discorsi che da solo vai facendo tra gli scogli?
ODISSEO Se domani io partissi tu saresti infelice?

Foto di Valentina Perniciaro

Foto di Valentina Perniciaro

CALIPSO Vuoi sapere troppo, caro. Diciamo che sono immortale. Ma se tu non rinunci ai tuoi ricordi e ai sogni, se non deponi la smania e non accetti l’orizzonte, non uscirai da quel destino che conosci,.
ODISSEO Si tratta sempre di accettare un orizzonte. E ottenere che cosa?
CALIPSO Ma posare la testa e tacere, Odisseo. TI sei mai chiesto perché anche noi cerchiamo il sonno? Ti sei mai chiesto dove vanno i vecchi dèi che il mondo ignora?perchè sprofondano nel tempo, come le pietre nella terra, loro che pure sono eterni? E chi son io, che è Calipso?
ODISSEO Ti ho chiesto se tu sei falice.
CALIPSO Non è questo, Odisseo. L’aria, anche l’aria di quest’isola deserta, che adesso vibra solamente dei rimbombi del mare e di stridi d’uccelli, è troppo vuota. In questo vuoto non c’è nulla da rimpiangere, bada. Ma non senti anche tu certi giorni un silenzio, un arresto, che è come la traccia di un’antica tensione e presenza scomparse?
ODISSEO Dunque anche tu parli con gli scogli?
CALIPSO E’ un silenzio, ti dico. Una cosa remota e quasi morta. Quello che è stato e non sarà mai più. Nel vecchio mondo degli dèi quando un mio gesto era destino. Ebbi nomi paurosi, Odisseo. La terra e il mare mi obbedivano. Poi mi stancai; passò del tempo, non mi volli più muovere. Qualcuna di noi resisté ai nuovi dèi ; lasciai che i nomi sprofondassero nel tempo; tutto mutò e rimase uguale; non vale la pena di contendere ai nuovi il destino. Ormai sapevo il mio orizzonte e perché i vecchi non avevano conteso con noialtri.
ODISSEO Ma non eri immortale?
CALIPSO E lo sono, Odisseo. Di morire non spero. E non spero di vivere. Accetto l’istante. Voi mortali vi attende qualcosa di simile, la vecchiezza e il rimpianto. Perché non vuoi posare il capo con me, su quest’isola?
ODISSEO Lo farei, se credessi che sei rassegnata. Ma anche tu che sei stata signora di tutte le cose, hai bisogno di me, di un mortale, per aiutarti a sopportare.
CALIPSO E’ un reciproco bene, Odisseo. Non c’è vero silenzio se non condiviso
ODISSEO Non ti basta che sono con te quest’oggi?
CALIPSO Non si con me, Odisseo. Tu non accetti l’orizzonte di quest’isola. E non sfuggi al rimpianto.
ODISSEO Quel che rimpiango è parte viva di me stesso come di te il tuo silenzio. Che cos’è mutato per te da quel giorno che terra e mare ti obbedivano? Hai sentito ch’eri sola e ch’eri stanca e scordato i tuoi nomi. Nulla ti è stato tolto. Quel che sei l’hai voluto.
CALIPSO Quello che sono è quasi nulla, caro. Quasi mortale, quasi un’ombra come te. E’ un lungo sonno cominciato chissà quando e tu sei giunto in questo sonno come un sogno. Temo l’alba, il risveglio; se tu vai via, è il risveglio
ODISSEO Sei tu, la signora, che parli?
CALIPSO Temo il risveglio come tu temi la morte. Ecco prima ero morta, ora lo so. Non restava di me su quest’isola che la voce del mare e del vento. Oh non era patire. Dormivo. Ma da quando sei giunto hai portato un’altra isola in te.
ODISSEO Da troppo tempo la cerco. Tu non sai quel che sia avvistare una terra e socchiudere gli occhi ogni volta per illudersi. Io non posso accettare e tacere.
CALIPSO Eppure, Odisseo, voi uomini dite che ritrovare quel che si è perduto è sempre un male. Il passato non torna. Nulla regge all’andare del tempo. Tu che hai visto l’Oceano, i mostri e l’Eliso, potrai ancora riconoscere le case, le tue case?
ODISSEO Tu stessa hai detto che porto l’isola in me
CALIPSO Oh mutata, perduta, un silenzio. L’eco di un mare tra gli scogli o un po’ di fumo. Con te nessuno potrà condividerla. Le case saranno come il viso di un vecchio. Le tue parole avranno un senso altro dal loro. Sarai più solo che nel mare.
ODISSEO Saprò almeno che devo fermarmi.
CALIPSO Non vale la pena, Odisseo. Chi non si ferma adesso, subito, non si ferma mai più. Quello che fai, lo farai sempre. Devi rompere una volta il destino, devi uscire di strada, e lasciarti affondare nel tempo.. 
ODISSEO Non sono immortale.
CALIPSO Lo sarai, se mi ascolti. Che cos’è vita eterna se non questo accettare l’istante che viene e l’istante che va? L’ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. Cos’è stato finora il tuo errare inquieto?
ODISSEO Se lo sapessi avrei già smesso. Ma tu dimentichi qualcosa.
CALIPSO Dimmi
ODISSEO Quello che cerco l’ho nel cuore, come te.
       L’ISOLA  -Tratto da “Dialoghi con Leucò. Cesare Pavese-

 

Foto di Valentina Perniciaro, parlando con Odisseo

A te, che sei la vita mia.

Omaggio a Cesare Pavese -corrispondenze-

1 settembre 2008 3 commenti

Un piccolo omaggio al mio Cesare, a Cesare Pavese, in attesa del centenario della sua nascita, il 9 settembre. Un piccolo assaggio della sua corrispondenza…ho fatto una scelta “leggera”, che non sfiora le lettere ai suoi maestri, editori, compagni di penna e di vita. E nemmeno le ultime lettere prima del suicidio. La prima è una lettera ad una ragazza anonima, scritta nella fanciullezza..
poi un piccolo assaggio del confino in Calabria, dopo qualche mese di detenzione prima a Torino e poi nel carcere romano di Regina Coeli..
E poi Fernanda. La cara Fernanda Pivano, cresciuta da Pavese come sua alunna al liceo, sua piccola amica e confidente, sua erede valida e meravigliosa.

Tra qualche giorno metterò alcuni stralci de “Il mestiere di Vivere”, suo diario e capolavoro.
A UNA RAGAZZA
Santo Stefano Belbo, 17 settembre 1927, notte

Per tutto il viaggio non ho pensato che a te.
Al tuo volto e alla tua figura continua che tu hai sempre. Ma soprattutto, immerso in una nuvola di dolcezza segreta, ho fantasticato e mi sono inebriato a lungo del dono dolcissimo e indicibile che ho avuto da te ieri senza aver osato sperarlo mai. Nei giorni passati tu mi avevi già confuso di cose belle, di doni semplici e meravigliosi, ma ieri tu mi hai donato nella tua intimità dolce e triste il culmine della vita. Mi hai mostrato la grandezza appassionata e rassegnata del tuo sentimento di essere una creatura  altissima che vive davvero di sogni e di dolore e hai saputo nei baci, nelle carezze, nella carezza più pura del tuo corpo, colmare di gioia e insieme convincere di rassegnazione il mio cuore. Sei tornata per me quella che per un istante l’odiosità degli altri e la viltà della mia anima avevano oscurato: un fiore di poesia, un fiore delicato e indicibile, pieno di dolcezza e tristezza, datrice di spasimi e di gioie, un’immagine affinata nella bellezza di un sogno, della vita immensa e umile, di tutte le cose più alte.
Mi fai soffrire, divinamente soffrire ancora, al pensiero di te, del tuo passato e del tuo avvenire, ma ora comprendo, comprendo come non mai.  Ho sentito sotto la mia guancia battere il tuo cuore profumato e triste e ho compreso con tutta la mia rassegnazione l’altezza della tua anima che sa sacrificarsi così per donare intorno a sé, a un povero poetucolo inetto, tanta dolcezza di poesia, per il solo amore di regalare una cosa buona a un essere tanto triste e tanto fanciullo.

Foto di Valentina Perniciaro  _La nostra montagna_

Foto di Valentina Perniciaro _La nostra montagna_

Tu mi hai fatto e convinto poeta, o mia grande bambina.
Prima di te tutte le mie pagine non erano che sfoghi sforzati e tremendi, fulminei, di lunghe sofferenze grige che a un tratto culminavano in una irresistibile potenza di spasimo, o cose morte stentate e sofferte in segreto e con immensa vergogna. Ma ora dopo la tua apparizione azzurra, che fu per me come una grande melodia, colle note gaie e serene dei tuoi capelli biondi, della tua fragilità di sogno, e con quelle più profonde e dolorose dei tuoi occhi spalancati, del tuo viso buono e sorridente della tua povera anima esile ma tanto dolce che rassomiglia solo alla tua voce e a tutta la tua vita… Vedi mi perdo bambina, a pensare e sognare di te.
Ora dicevo dopo la tua apparizione di sogno, la poesia è diventata una cosa sola colla mia esistenza, e ad ogni istante mi fioriscono in cuore tenerezze, scatti, struggimenti e contemplazioni, gioie vivissime e dolori tristi, spasimi, sogni, tutti fusi e vivificati nell’onda struggente di tenerezza che non mi lascia più e mi pare mi consumi lentamente il cuore. Intorno alla tua figura bella si raggruppano tutte queste ebbrezze del cuore, tu sei il loro corpo e la loro forma terrestre, sei il simbolo vivo delle tempeste e delle calme della mia anima e per te sbocciano tutti i miei canti.
Tu sei per me una cosa sovrumana, altissima e inesprimibile, bambina: sei per me la poesia e la vita, la poesia della vita. Vedi quanta gratitudine debbo avere per te. E ieri, ieri, tu mi hai dato nella rinuncia di te stessa i baci e le carezze e le parole di conforto che tu sola sai.
Oh grazie bambina.
Qua ho riveduto i colli fra cui sono nato nella dolce pianura del fiume, piena d’alberi e la terra del largo declivio dolcissimo dove ho scorrazzato e vissuto bambino: ho riveduto i profili delle colline pallidi di lontananza dove bambino ancora, spaziavo lo sguardo col cuore gonfio, e con parole esaltate alla bocca in un’aspirazione struggente a mondi lontani, tanto lontani, dove si viveva soltanto della musica di quelle belle parole d’amore.
Amavo le nuvole in cielo, allora, a dieci anni. Da allora, di anno in anno, sempre più, il cuore mi si è gonfiato e esaltato e ha goduto dei pochi trionfi, e tristemente sofferto con una gioia che altri non trova nemmeno pallidamente nei piaceri più vivi, e sempre si è agitato e contorto, dettandomi talvolta brevi parole della sua sofferenza viva, sconvolgendosi e stremandosi nel buio, piangendo, fino a ridursi tanto stanco tanto stanco da nemmeno più ricordarsi la sua fanciullezza.

Foto di Valentina Perniciaro _Valle della Femmina Morta_

Foto di Valentina Perniciaro _Valle della Femmina Morta_

E sei venuta tu bambina a riscuoterlo per un istante e a inebriarlo ancora, di quelle parole esaltate, a farlo vivere “soltanto” della loro musica. Come una di quelle nuvole che mi passavano nel cielo, bambina, io ti amo ora, mio esile sogno dagli occhi perduti nei capelli biondi.
Ciascuno dei ricordi più dolci di quella mia fanciullezza, mi ritorna al cuore con una sorpresa di gioia all’immagine presente di te, che ravvivi e fai bella ogni cosa più vile e dimenticata del mio passato.
E da ieri sei divenuta mia, per sempre, mia senza scampo come è mio tutto il ricordo evanescente tremante dei miei primi anni e delle mie lotte buie: tu sei ora la mia grande poesia, quella che mi è nata senza che io sapessi, in questa vasta pianura disseminata di grandi alberi e rinchiusa tra sognanti colline; quella poesia che ora, dopo lunghi anni di attesa disperata, ritrovo in te, chiara e straziante, e travagliata, armoniosa, indicibile e struggente, come te, te sola.
E’ questo bambina, l’amore che io ho per te.
Ma tu non dovrai mai dar cagione di dolore a Lui (tu sai) distruggergli anche un solo sogno per amore di me, per lenire anche di una sola sfitta le tristezze grige della mia anima.
Pensa che, a questo, il mio dolore sarebbe forse più grande del suo. Tu ricordi, tu sai, con quanta dolcezza rassegnata ho cercato di avvicinarmelo, di conoscerlo e farmelo amico. Piangerei di vergogna e dolore fremente se lui dovesse soffrire per noi. Io che ti amo, ti adoro di una passione disperata so quanto sarebbe terribile una rovina così grande. Un colpo di rivoltella. Non altro.
E del resto dopo tutto questo tu potrai dire, con un sorriso, “Bah, i poeti sono sempre stati così, impetuosi, ma in breve si stancano di tutto”. Io non risponderò a questo.
Sono triste triste e tanto vile. Ma credi, tutto quanto ti ho detto è la verità, la verità più pura. Tanto pura e tanto sincera che a scoprirla ho provato una gioia immensa.
Dovrò ancora soffrire tanto nell’avvenire, bambina!
E queste sono le mie sole gioie.  Non distruggerle non fare anche tu come gli altri, odiosi.

ALLA SORELLA MARIA     Brancaleone (al confino in Calabria), 2 Marzo ’36
Cara Maria,
continuo a non ricevere niente. Siete d’accordo col Padre Eterno: lui mi manda l’asma, voi il mal di cuore. Se sapesse che morso da affamato, da squalo, da cancro ha la lontananza, Agata mi scriverebbe. Il libro (Lavorare Stanca) dal 24 gennaio, era indirizzato a Lei.
Non chiedo che una cartolina con la firma. Il 25 è stato il suo compleanno.
Cesare

Quando un uomo invece di scrivere poesie, scrive lettere, è finito.

Brancaleone (al confino in Calabria), 12 Marzo ’36
Siete un mucchio di fottuti. Me ne importa tanto a me di Frassinelli, di quel bischero di Franco, e se mangio all’albergo! Quando la finirete di far finta di non ricevere che chiedo notizie, notizie, notizie, e una cartolina firmata, di Agata? E avete ancora il becco di scrivermi se ho bisogno di qualcosa. Da un mese non chiedo altro. Il confino è niente. Sono i parenti che costringono uno a lasciarci la pelle.
Che vi venga il cancro a tutti.

Foto di Valentina Perniciaro _a passeggio per le Langhe_

Foto di Valentina Perniciaro _a passeggio per le Langhe_

A FERNANDA PIVANO               Roma, Domenica 9 maggio, 1943
Cara Fern,
[…]Ieri era molto scorbutica, e scommetto che era perfino brutta. Invece di escogitare scuse e complici a tutt’andare, studi ché sarà meglio.
[…] Il sesso è la rovina della vita. Ma anche una gran consolazione. Fernanda, apprezzi il sesso che è quello che suscita le lettere e le arti e fornisce di cittadini la patria. Lo apprezzi.
Mi scriva se lo apprezza. Suo
Pavese

A FERNANDA PIVANO               Roma, 25 maggio, 1943
Cara Fernanda,
che lei è cattiva ed egoista l’ho sempre saputo, ma neanche io non scherzo e quindi sono disposto a correre il rischio. Ma parliamo di cose più decenti, si è decisa o no a studiare?
Cara Fernanda, quando ci si rifiuta di sposarmi, almeno si ha il dovere di risarcirmi facendosi una cultura e imparandola più lunga di me.[…] O sposi subito il capostazione e smetta!
[…]Fernanda, si mangia poco a casa nostra e, su cinque, tre hanno preso la tosse asinina. L’attendo anch’io, e in questa certezza La saluto caramente, non senza augurarmi che noi due siamo insieme, in una casetta di mare, entrambi con la tosse asinina, a darci i colpetti sulla schiena e confondere i nostri ruggiti.
Suo              Cesarino

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