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Senza diritto all’ossigeno: i fumi dell’Ilva di Taranto

25 novembre 2013 4 commenti

Era il marzo del 2011 quando misi su questo blog un video di alcune esplosioni notturne provenienti dall’Ilva di Taranto.
Oggi il buongiorno mi è stato nuovamente dato da immagini incommentabili di fumi neri alzarsi in aria, per ricadere sulla vita (sulla morte dovremmo scrivere) di un’intera città, di un intero splendido golfo, di centinaia di migliaia di persone.

In questi due anni, decine di tavoli tecnici, di menzogne, di risate vendoliane al telefono (qui i commenti li lascio a voi che le vie respiratorie si ingolfano di secrezioni improvvise impedendomi la sopravvivenza), di bla bla bla eppure…
ecco Taranto ieri mattina, ecco Taranto anche in questo momento probabilmente.

Ci inquinate da millenni, ci uccidete, ci rendete metastasi impazzite: ma la pagherete, senza ombra di dubbio.

Le emissione dell’Ilva di Taranto

7 marzo 2011 Lascia un commento


E’ dalle immagini riprese dal noto ambientalista Fabio Matacchiera che abbiamo la conferma definitiva di quel che causa l’impianto industriale dell’Ilva di Taranto. Dalle pagine de Il Mattino la notizia ha avuto eco, ma il video su youtube era stato già lanciato da decine di utenti su facebook e i social network più usati. Il Gruppo Riva oltretutto, ha querelato Matacchiera per le parole usate durante le immagini (solo pochi mesi fa aveva pubblicato un altro video simile), ma lui non si dice preoccupato, visto la quantità di materiale raccolto sulla nocività delle polveri e dei fumi dell’Ilva.
«Sempre più operai mi riferiscono di storie vissute all’interno della fabbrica che riguardano problemi ambientali. Loro hanno a cuore il proprio lavoro, ma sentono un certo disagio e lo trasmettono. Perché hanno una forte sensibilità, ma è difficile ascoltare la loro voce. Ho ricevuto alcune segnalazioni dai lavoratori. Nella notte tra il 3 e il 4 marzo – spiega – è stato riattivata la linea “D” dell’agglomerato che sarebbe stata ferma alcuni giorni per manutenzione. Alle 23,30 mi sono appostato e grazie alla tecnologia ad infrarossi, con una speciale telecamera di tipologia militare, abbiamo ripreso l’a re a dall’esterno. Puntavamo a dimostrare che gli impianti di abbattimento fumi dell’Ilva di Taranto non sarebbero sufficienti a contenere le emissioni, specie durante la notte. Le segnalazioni arrivano. Gli operai, ripeto, vogliono difendere l’ambiente e la loro salute».

Il bello è  che solo dieci giorni fa s’è riunito un tavolo tecnico presso il ministero dell’Ambiente proprio puntato alla sperimentazione e alla realizzazione di impianti capaci di ridurre drasticamente le emissioni di diossine dall’acciaieria di Taranto: soprattutto la garanzia di controlli continui.
Abbiamo visto

Isola d’Elba: pesci morti nelle reti, dopo l’avvistamento di una nave che getta container

8 novembre 2009 1 commento

Pesci morti nelle reti dei pescatori dell’isola d’Elba
di Andrea Palladino,  Il Manifesto 07/11/09
È il cinque luglio scorso. Il battello della Ong tedesca Green Ocean ha appena avvistato la nave tedesca Toscana – battente bandiera maltese – mentre getta almeno un container in fondo al mare, di fronte all’isola d’Elba. Passano appena 48 ore e i pescatori di Marciana vedono i pesci morire. Forse un caso o, molto probabilmente, l’ulteriore conferma che il crimine ambientale delle navi dei veleni non è una leggenda dei mari.
La denuncia arriva direttamente da chi ha avvistato il mercantile armato di gru, alle prese con i movimenti sospetti di containers al largo della costa toscana. «Ho parlato con i pescatori – racconta Robert Groitl, comandante della nave Thales della Green Ocean – e mi hanno confermato tutto». Non solo. Fino a qualche settimana fa «anche i pescatori di Livorno hanno raccontato che nei giorni successivi all’individuazione della nave Toscana nelle loro reti hanno visto molti pesci morti».

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Cetraro, il relitto della nave dei veleni

Almeno uno dei container abbandonati probabilmente dal Toscana è ora a 120 metri di profondità, a nord dell’Elba. È stato individuato dalla nave Alliance della Nato, intervenuta su richiesta dell’Ente parco dell’Arcipelago toscano, guidato da Mario Tozzi. La moria della fauna marina è ora il sintomo preoccupante dell’eventuale presenza di rifiuti tossici all’interno del contenitore gettato in mare. Un allarme che ovviamente dovrà essere confermato da analisi mirate e urgenti. «Ma qualcuno ha effettuato dei prelievi dell’acqua? Qualcuno ha analizzato il pescato», chiede Robert Groitl.
Il ricercatore della Green Ocean il mare lo conosce bene. Conosce anche molto bene il mondo della navigazione, essendo stato capitano di mercantili. «Accade molto spesso di vedere buttare in mare rifiuti tossici – racconta – è una cosa comune. Qualcuno paga molto bene l’equipaggio, fa caricare i container per scaricarli in mare». Quello che colpisce è però il luogo scelto. In un recente reportage della televisone franco-tedesca Arte sono state mostrate le immagini di navi europee che scaricavano centinaia di bidoni al largo dell’Atlantico, dove le fosse oceaniche raggiungono profondità altissime. Perché dunque puntare sul Tirreno? «Dipende dalla rotta, chiaramente», spiega Robert Groitl. «La posizione della zona a nord dell’Elba – continua – è poi ideale, perfetta. Ci sono tanti residui della guerra, bombe, aeroplani, sommergibili, c’è tanta roba sott’acqua in quella zona, relitti segnati sulle carte nautiche».
scorieCome al largo della Calabria, dove la storia del relitto di Cetraro – ancora da chiarire in molti aspetti – è stata chiusa dal ministero dell’Ambiente spiegando che si trattava per l’appunto di una nave affondata nel 1917. «Se buttano qualcosa vicino ai vecchi relitti gli strumenti si confondono – continua il racconto il ricercatore tedesco – è difficile individuare container o fusti». È come il famoso racconto di Poe, la lettera rubata: per far sparire qualcosa devi metterla magari in evidenza, ma dove però nessuno andrebbe a cercare.
Ora sappiamo che in un punto individuato da una nave della Nato c’è un container probabilmente buttato a mare dall’equipaggio della nave Toscana, intestata all’armatore tedesco Bertling FH, come risulta da un’ispezione della nave effettuata in Lituania lo scorso luglio; sappiamo che in quella zona starebbero morendo dei pesci, come raccontano alcuni pescatori. E sappiamo che chi ha buttato quel container ha cercato di speronare il battello degli ambientalisti tedeschi mentre cercavano di fotografare l’operazione.
Il ministero dell’ambiente non ha, però, ancora attivato nessuna procedura d’intervento, perché «ad oggi non è stato ancora avvisato», spiega il portavoce del ministro Stefania Prestigiacomo. Eppure la Capitaneria di Porto è stata subito allertata e immediatamente, già a luglio, si è attivata inviando una relazione alla Procura di Livorno. L’inchiesta dei magistrati è già partita da questa estate con l’acquisizione del materiale fotografico realizzato dall’equipaggio della Thales. E la stessa capitaneria, subito dopo la segnalazione, cercò di raggiungere il mercantile, intervenendo immediatamente. All’appello manca solo il ministero della Prestigiacomo, che, d’altra parte, a Cetraro è intervenuto dopo un mese e mezzo dal ritrovamento del relitto.
La Ong tedesca sta seguendo da vicino l’intera vicenda, anche perché in Germania la storia delle navi dei veleni non è passata innosservata. Robert Groitl – che per primo denunciò il caso – è stato minacciato direttamente, subito dopo l’avvistamento del Toscana. «Mi sono arrivate due o tre telefonate anonime – racconta – dicendomi di stare zitto, di fare attenzione alla mia nave, e alla mia vita». Chi organizza i traffici criminali di rifiuti sa che in questi casi il silenzio e le coperture sono essenziali.

 

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