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ITALIA-PALESTINA: i devastatori hanno gli stessi nomi
Quest’articolo, ripreso da Nena News, che ho trovato ripubblicato da FreePalestine.noblogs.org palesa una realtà surreale.
In un territorio di guerra permanente, di devastazione ambientale, di occupazione militare…… si parla di Alta Velocità. Oltretutto un paese piccolissimo, con distanze (per gli israeliani che son liberi di percorrerle al contrario dei palestinesi) quasi ridicole!
In Italia sin dal 1999 è coinvolta in una storia di tangenti e grandi appalti, che si dipana lungo due filoni: in primo piano i lavori per l’Alta velocità sulla tratta Roma-Napoli; in seconda battuta, alcuni fondi per il Giubileo. Un’inchiesta aperta da tempo, che ha portato ad alcuni arresti e alla sospensione di alcuni funzionari dagli incarichi legati alla realizzazione dell’Alta velocità.
Tra questi c’è appunto l’imprenditore Paolo Pizzarotti. Ma ciò non causò un rallentamento dell’imprenditore di Parma che nel 2005 acquisisce a sorpresa Garboli, grande impresa nel settore dei cantieri, battendo Astaldi. Pizzarotti si avvia così a diventare una stella nel firmamento italiano delle imprese di costruzione-viabilità-edilizia. I tempi in cui veniva incarcerato (con ammissione di colpevolezza, per aver dato soldi all’allora segretario della DC Citaristi e pure a Craxi, dai giudici di Tangentopoli )sembrano lontani, per ora. E così che il Pizzarotti si sposta dallo speculare in Italia alla colonizzazione della Palestina.
Due o tre treni ogni ora e soltanto 28 minuti per raggiungere Gerusalemme da Tel Aviv e viceversa. E’ il più grande progetto infrastrutturale che il governo israeliano abbia mai intrapreso negli ultimi dieci anni: la costruzione di un treno ad alta velocità, anche conosciuto come progetto A1, che collegherà i due centri abitati. Peccato che il percorso del treno, per sei chilometri e almeno in due aree, vada ben oltre la “Linea Verde”, ed entri nel territorio occupato palestinese. Comportando ulteriore requisizione di terra del futuro Stato di Palestina, mettendo a rischio almeno tre comunità, tra cui il villaggio di Beit Furik che ha già lanciato un appello di aiuto e mobilitazione alla comunità internazionale.
A lanciare l’allarme è stato il nuovo rapporto diffuso in questi giorni da “Whoprofit.org”, un progetto di ricerca della Ong israeliana femminista, Coalizione di Donne per la Pace.
Anche un’azienda italiana, la Pizzarotti &C S.p.A è coinvolta nel progetto, che vede la partecipazione, in qualità di contractor, non solo di aziende private europee ma anche di due imprese pubbliche, la tedesca Deutsche Bank e la Moscow Metrostroy (russa). Attualmente, parte della costruzione della ferrovia è già iniziata: delle quattro sezioni del percorso, la prima parte è già stata completata, mentre altre due sono in fase di inizio; la costruzione del tunnel principale vero e proprio invece, non è ancora stata avviata. L’intero progetto, da sei miliardi di shekel, per completare la ferrovia terminerà nel 2016-2017.La prima parte del documento illustra il percorso della ferrovia progettata e le sue implicazioni, analizzando il processo della progettazione e le considerazioni legali riguardanti il percorso, in collegamento con le conseguenze dirette sulle comunità palestinesi interessate, Yalu, Beit Surik e Beit Iksa. Penetrando in due aree (la cosiddetta enclave di Latrun e la zona dei villaggi di Beit Surik e Beit Iksa) all’interno della Linea Verde, parte del percorso del treno A1 è illegale, dal momento che il diritto internazionale vieta all’occupante di utilizzare le risorse dell’occupato esclusivamente a beneficio dei propri cittadini. La seconda parte del rapporto mette invece a fuoco il coinvolgimento di società israeliane ed internazionali nella progettazione e nella costruzione della ferrovia, aziende che forniranno esperti speciali per fornire consulenza economica ed ingegneristica, apparecchiature per la costruzione di tunnel ed il lavoro stesso di costruzione delle gallerie.
La Coalizione di Donne per la Pace ha dato avvio ad una mobilitazione della società civile israeliana, a cui stanno già rispondendo anche diversi gruppi europei che appoggiano e sostengono la campagna BDS ( boicottaggio, disinvestimento e sanzioni).
Dal sito FREEPALESTINE
E’ morto Pietro Mirabelli, sul lavoro.
Sono Pietro Mirabelli, operaio della TAV e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Da dodici anni sono presente sul cantiere del Cavet (Consorzio Alta Velocità Emilia e Toscana) l’impresa che ha vinto l’appalto per la realizzazione del tratto che permetterà di collegare Bologna a Firenze. In questi anni ho visto decine e decine di operai infortunarsi, diventare invalidi e morire. Manca poco alla fine della realizzazione. Molti uomini e donne saliranno sui treni e non immagineranno quanto sangue è stato versato, quante madri hanno pianto per i loro figli e quante mogli sono rimaste sole. L’attenzione sugli infortuni sul lavoro è forte quando ci sono incidenti nei luoghi di lavoro, se ne parla una settimana, e poi tutto viene messo nel conservatorio della dimenticanza. Ma ogni giorno muoiono lavoratori in aziende sconosciute, nell’edilizia, nell’agricoltura. Poi, quando accadono ad esempio stragi come quella di Torino, allora qualcuno se ne occupa. In uno dei tanti incidenti avvenuto nella realtà dove lavoro, ci fu un infortunio mortale nel tratto emiliano. Sull’articolo di giornale non ne è stato riportato nemmeno il nome. Il problema principale non lo affronta nessuno. Sulle procedure di sicurezze presenti sui piani operativi di sicurezza (POS) c’è scritto ciò che si può fare e ciò che non si può fare. Un lavoratore consapevole del rischio che va ad affrontare, volendo potrebbe rifiutarsi di eseguire un incarico pericoloso. Ma a pericolo identificato si pensa alla famiglia, non si vuole mettere a rischio il posto di lavoro considerando quanto è difficile oggi trovarne uno. L’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi nella trasmissione di Fazio “Che tempo che fa”, ricordò il collegamento veloce fra Bologna-Firenze sottolineando 17 gallerie. Non un accenno ai lavoratori che hanno lasciato la vita per dare la possibilità a tutti gli italiani di accorciare le distanze. Pasqualino Giordano, 20 anni, è morto al primo giorno di lavoro, vogliamo ricordarlo? Io mi sento parte fondamentale della nostra società. Oggi però, televisione e giornali parlano dell’Isola dei famosi, mentre noi lavoriamo nel sottosuolo, dove il pericolo può arrivare da qualsiasi parte: dall’alto, dal basso, da destra e da sinistra. Ci sono macchine in movimento, esplosione di mine, fango, ecc. Un RLS o un RSU dovrebbe essere presente per ogni squadra. A volte i preposti alla sorveglianza o sono poco formati, o sono parenti dei datori di lavoro. Cosa significa? Se venisse riscontrata una situazione di rischio non si può fermare subito la produzione, si va avanti piano, piano cercando di fare attenzione. Si deve sempre sperare che non succeda niente. Quando ci vengono consegnati gli ordini di servizio,li firmiamo per ricevuta consegna. Poi ci viene data una mascherina antipolvere, un elmetto, guanti e tute ad alta visibilità. Oggi facciamo un corso su come utilizzare quanto ci viene fornito, ma solo dopo pressioni fatte dai RLS e RSU. Mi domando se queste protezioni siano sufficienti. Mio padre era minatore come me, l’ho visto ammalarsi di silicosi, l’ho visto spegnersi giorno dopo giorno all’età di 70 anni, un’agonia lenta. Io sono calabrese, della provincia di Crotone, dalle nostre parti non c’è occupazione. Metà del mio paese lavora nelle galleria. Un lavoro che non vuole fare più nessuno ed è comprensibile. Un lavoro usurante. Nel cantiere non è presente solo la ditta Cavet, alcuni lavori sono stati subappaltati. Ci sono più squadre che lavorano insieme. Io mi sono trovato a fare sopralluoghi per la sicurezza, dove c’erano squadre di piccole aziende subappaltatrici e non venivano rispettate le norme di sicurezza. Inoltre non c’è solo un problema di coordinamento fra squadre di operai che non si conoscono, ma anche di lingua. Perché ci sono molti extracomunitari, secondo me sfruttati perché li ho visti lavorare anche per 12/13 ore per turno.Spesso non conoscono i loro diritti. Io nella mia esperienza di RLS, ho fatto piccole conquiste, ma è presumibile che il pericolo non finisca una volta che il consorzio Cavet riconsegnerà il lavoro terminato. Il Cavet ha capito l’esigenza di fare corsi, anche se di poche ore, sulla sicurezza e sulla formazione. Mi consola l’idea di aver insegnato a qualcuno l’importanza del rispetto delle leggi per la sicurezza di noi operai. Purtroppo l’applicazione delle norme è fondamentale e i sindacati devono impegnarsi. Noi operai non solo siamo dimenticati presto, ma neanche ci viene data giustizia. Nel 2001 l’operaio Pasquale Adamo perse la vita mentre stava perforando il monte Morello con l’ausilio di uno speciale macchinario. Il suo giubbotto si è impigliato nella trivella, lo ha avvolto e stritolato. La condanna per i responsabili è stata una multa. Non si può pagare una multa per una vita umana. Non è possibile che per omicidio colposo il massimo della pena siano 5 anni. Proviamo a pensare che il nostro lavoro non è stato scelto per piacere, ma perché non c’era alternativa. Quando un giovane laureato del mio paese si trova in un cantiere a fare una mansione obbligata da questa società, dove solo i figli dei ministri devono fare i consulenti, possiamo pensare che lavora in uno stato di malessere? L’Italia paga milioni di euro a causa di infortuni sul lavoro. Più sicurezza e denunce rappresenterebbero, non solo un costo inferiore per lo Stato, ma anche un beneficio sulla qualità produttiva.” DAL LIBRO “MORTI BIANCHE”
Troppo doloroso leggere queste righe, immaginare quest’uomo mentre le scrive o le dice e immaginarlo ora,
che proprio sul lavoro è morto.
Un operaio, un minatore, uno che bucava le montagne e aveva sempre avuto il pallino della sicurezza, uno che non è mai stato zitto.
Pietro Mirabelli è morto sotto un masso che si è staccato e l’ha schiacciato: Pietro, che sempre s’è mobilitato per i diritti e la sicurezza sul lavoro, è morto, è stato assassinato proprio mentre lavorava, in Svizzera.
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