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L’esplosione di Porto Marghera non è un incidente!
E’ una notizia che non merita già la prima pagina,
a meno di 24 h dall’esplosione di un serbatoio all’interno di una ditta produttrice di materiali chimici, la 3V Sigma di Porto Marghera, che ha provocato il ferimento gravissimo di due operai, e quello meno grave di altri.
Una tragedia annunciata che coinvolge direttamente la vita dei lavoratori, e anche quella dei cittadini delle aree circostanti, che già nel giorno precedente allo scoppia in migliaia avevano lamentato una puzza chimica pungente, non normale, molto preoccupante.
Non si hanno notizie aggiornate sulla condizione dei due operai rimasti più gravemente feriti: quello che si sa, benissimo, è che questi lavoratori erano scesi in sciopero pochi mesi fa proprio per chiedere, per pretendere, misure di sicurezza adeguate, per denunciare la mancata osservanza dei protocolli di sicurezza, la mancata osservanza delle norme antincendio, quelle che avrebbero potuto salvare la vita di due operai con ustioni gravissime in tutto il corpo, che non è detto usciranno mai dalla terapia intensiva.
Operai costretti a lavorare anche in pieno lockdown, per continuare a produrre solventi e sbiancanti per cementifici.
Un assassinio annunciato, con nomi e cognomi dei mandanti, degli esecutori, di chi ci ha speculato e accumulato capitale sulla pelle degli operai.
Non un incidente, non un incidente.
il 25 aprile e la Italstage
È direttamente Paola, mamma di Matteo Armellini, a prendere parola e mettere nero su bianco il malessere per questa notizia, che per molti apparirà una non notizia.
Matteo ha perso la vita lavorando per questa società che gli si è accartocciata addosso, uccidendolo, società che ora in pompa magna sta allestendo il palco per le celebrazioni ufficiali del 70* esimo anniversario della Liberazione. Liberazione difficile da festeggiare, soprattutto quest’anno che abbiamo visto affogare nei nostri mari decine e decine di Fosse Ardeatine.
Vi lascio con le righe di Paola Armellini…
Cari firmatari,

matteo armellini…
la Società Italstage sta contribuendo all’allestimento in Piazza del Quirinale di una struttura per il palco che servirà per la commemorazione del 70° anniversario della Liberazione. L’Italstage è la stessa società che allestì il palco al PalaCalafiore di Reggio Calabria per il concerto di Laura Pausini, quando perse la vita mio figlio Matteo Armellini.
Per quanto accaduto questa società ha patteggiato una penale di 70 mila euro, ma il suo rappresentante legale, Aumenta Pasquale, è stato rinviato a giudizio insieme ad altri sei.
Mi permetto d’indignarmi per la tanta disattenzione, che mostra una sconcertante mancanza di quella moralità che sarebbe invece necessaria per un evento come quello del 25 aprile, previsto nella Piazza del Quirinale: una cerimonia alla quale partecipano il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e numerose autorità dello Stato.
Questo episodio mette in luce la superficialità e la leggerezza di comportamento che purtroppo si riscontra anche in campo lavorativo e che a volte causa danni irreparabili ai lavoratori e alle loro famiglie.
Spero di non essere considerata con tanta leggerezza e, come già fatto, esprimo ancora una volta l’auspicio che la giustizia possa fare il proprio corso. Vorrei che alle vittime venisse restituita la dignità e che ne fosse onorata la memoria con atti responsabili e degni di professionalità.
Klodian Elezi, morto di Expo.
Solo sul giornle Brescia Today son riuscita a trovare il nome di quest’uomo.
Che poi uomo, quale uomo, aveva 21 anni, un ragazzetto.
Nessuno lo nomina, probabilmente perché albanese.
Però l’11 aprile ha fatto un volo di 5 metri, all’interno del cantiere della Teem, sbattendo la testa e morendo sul colpo, da un ponteggio dove lavorava senza alcuna imbracatura.
Klodian Elezi, questo era il nome di questo giovane ragazzo da anni residente con tutta la famiglia nel bresciano,
che è morto per garantire l’inaugurazione di una una galleria nei pressi del futuro casello di Pessano con Bornago, che va inaugurata per l’Expo, perché sarà la prossima futura tangenziale esterna milanese.
Un morto di Expo, volato giù come una mela senza diritto nemmeno ad avere un nome a quanto pare,
impiegato in un cantiere ora posto sotto sequestro e da cui son subito sbucate molte irregolarità, tra cui in primis l’assenza dell’imbracatura di sicurezza, che avrebbe permesso a Klodian di assaporare questa primavera e tante altre.
Muore folgorato per rubare rame… ma loro pensano a “cercare il complice”.
Poi si muore anche così…
si muore per rubare fili di rame, si muore per provare a campare, si muore perchè a malapena si sopravvive.
Quando leggo queste notizie, che di solito occupano massimo 5 righe di qualche giornale locale, rimango basita:
la rabbia mi assale totalmente.
Perché non si può morire di lavoro: ne’ di quello che ti vede timbrare un cartellino tutti i giorni, in fabbrica o in un ufficio,
ne’ di quello “clandestino”, del grande mondo dell’illegalità per vivere, per campare, perché sì!
Roberto Sechi, disoccupato di 45 anni (papà di due bimbi) è stato trovato morto sul lungomare di Balai a Porto Torres, in provincia di Sassari: il suo corpo è stato segnalato da una telefonata anonima poco prima della mezzanotte e così è stato ritrovato, sulla pista ciclabile.
Pochi metri lontano, sono stati ritrovati 200 kg di rame, ed altri sarebbero stati se Roberto non fosse stato folgorato da una scarica elettrica impressionante, che l’ha ucciso sul colpo.
Ora la stampa parla di altro però: non di un uomo morto perché per campare rubava rame di notte,
ma perché devono trovare il suo “complice”, che ha fatto la chiamata anonima per segnalare la morte del suo amico.
Ci fanno sapere che l’hanno appena preso, come se a noi ce ne fregasse qualcosa.
Noi salutiamo Roberto, morto anche lui sul lavoro, il suo.
Senza dimenticare che nel DDl fatto in fretta e furiacon la scusa dell’emergenza Femminicidio nel 2013, tanto applaudito,
è stato modificato l’articolo 625 del codice penale, con l’introduzione dell’aggravante del reato di furto (articolo 624) la sottrazione di componenti metalliche e altri materiali da infrastrutture energetiche nonché da infrastrutture di comunicazione e di altri servizi pubblici gestiti, anche da privati, in regime di concessione pubblica.
Ed eccoci qua..
Esplode fabbrica di fuochi d’artificio: 4 i morti

Il cielo del pescarese, oggi
I detriti dell’esplosione sono arrivati a più di un km di distanza: anzi, delle tre eplosioni che hanno fatto saltare in aria una fabbrica di fuochi d’artificio Pirotecnica Abruzzese di Mauro Di Giacomo, di Città Sant’Angelo, in provincia di Pescara. Un boato che si è avvertito in un raggio di 20 km con i primi racconti che descrivono “mezza collina rasa al suolo”.
13.50:
SI RIAGGIORNA IL BILANCIO dell’incidente.
Il solo morto accertato è il figlio del proprietario della fabbrica, di soli 22 anni mentre risultano disperse ancora 4 persone facenti parte dello stesso nucleo familiare e dipendenti della fabbrica.
Il vigile del fuoco che le prime agenzie davano per morto in una successiva esplosione è in gravi condizioni ma in vita, così come son state ritrovate alcune delle persone considerate disperse…
L’ennesima strage sul lavoro, l’ennesima morte annunciata come tutte quelle che avvengono nei luoghi di produzione e sfruttamento. La media è di tre morti al giorno, che escono di casa al mattino per un salario di merda e si ritrovano in una bara: la guerra quotidiana in cui non son compresi tutti quelli che di lavoro muoiono lentamente, intossicati dai veleni usati quotidianamente.
Da Il Centro: “L’azienda è collocata su uno spazio di 25 mila metri quadrati con un totale di 18 ambienti lavorativi.Ecco gli spettacoli realizzati: fuochi aerei; acquatici; piromusicali; pirotecnica di piazza; scritte e disegni. Sul sito dell’azienda l’attenzione alla sicurezza viene sottolineata in più occasioni: «Il nostro primo ingrediente è la sicurezza della nostra azienda e del cliente finale».
Seguiranno aggiornamenti.
Articoli nella categoria Lavoro e assassinii: QUI
Le responsabilità delle briciole di Dacca

Tra le macerie di Dacca, il marchio Benetton

“Il Gruppo Benetton intende chiarire che nessuna delle società coinvolte è fornitrice di Benetton Group o uno qualsiasi dei suoi marchi. Oltre a ciò, un ordine è stato completato e spedito da uno dei produttori coinvolti diverse settimane prima dell’incidente. Da allora, questo subappaltatore è stato rimosso dalla nostra lista dei fornitori“: una prima mezza ammissione.
Stiamo solo parlando della morte di “almeno” 381 operai: nell’articolo di Marco Quarantelli, uscito sul Fatto Quotidiano (e che potete leggere qui) c’è una lunga lista di aziende italiane che hanno molto a che fare con lo sbriciolamento di un palazzo di otto piano, in Bangladesh, posto di lavoro di centinaia di persone.
Ovviamente c’è la gara di smentite e mani di padroni che provano a lavarsi il sangue da dosso:
“Riguardo alle tragiche notizie che provengono dal Bangladesh Benetton Group si trova costretta a precisare che (…) i laboratori coinvolti nel crollo del palazzo di Dacca non collaborano in alcun modo con i marchi del gruppo Benetton”. (24 aprile 2013)
Grecia: “Chi sono dopotutto i teppisti?”
Rimetto queste righe, con il cuore pesante ed emozionato.
Perchè sono l’addio di un compagno, che già avevo pubblicato lo scorso anno,
ma che forse vanno rilette.
Spesso.
Le farei rileggere poi, tipo mantra, a chi ha parlato di sfasciacarrozze (eh no, non me va giù)
[leggi: Grecia, se vi pare normale tutto ciò]
Chi sono dopotutto i teppisti?
Violenza è lavorare per 40 anni per delle briciole e chiedersi se si riuscirà a smettere
Violenza sono i titoli finanziari, i fondi assicurativi saccheggiati, la truffa in borsa.
Violenza è essere costretti a stipulare un mutuo per una casa che si finisce per pagare come se fosse fatta d’oro.
Violenza è il diritto del tuo capo di licenziare in qualsiasi momento voglia farlo.
Violenza è la disoccupazione, la precarietà, sono i 700 euro al mese con o senza contributi previdenziali.
Violenza sono gli “incidenti” sul lavoro, perché il padrone riduce i costi di gestione a scapito della sicurezza dei lavoratori.
Violenza è prendere psicofarmaci e vitamine per far fronte agli orari di lavoro
Violenza è essere una donna migrante , è vivere con la paura di essere cacciato dal paese in qualsiasi momento e vivere in una costante insicurezza.
Violenza è l’essere casalinga, lavoratrice e madre allo stesso tempo.
Violenza è quando ti prendono per il culo al lavoro dicendo: ‘dannazione, sorridi, è chiedere troppo?’Quello che abbiamo vissuto io lo chiamo rivolta.
E proprio come ogni rivolta appare come una prova generale della Guerra Civile, ma puzza di fumo, gas lacrimogeni e sangue.
Non può essere facilmente sfruttata o controllato. Accende le coscienze, si rivela e polarizza le contraddizioni, e promette, almeno, momenti di condivisione e di solidarietà. E traccia i percorsi verso l’emancipazione sociale.
Signore e signori, benvenuti alle metropoli del caos! Installate porte sicure e sistemi di allarme alle vostre case, accendete il televisore e godetevi lo spettacolo. La prossima rivolta sarà ancora più agguerrita, mentre il marciume di questa società si approfondisce … Oppure, potete prendere le strade al fianco dei vostri figli, potete scioperare, potete osare di rivendicare la vita che vi stanno derubando, potete ricordarvi che una volta eravate giovani e volevate cambiare il mondo.Savas Metoikidis*
*Savas si è suicidato il 21 aprile dello scorso anno.
Qui il posto che ne parlava: LEGGI

Ciao Savas
La vita di Matteo: 1936,80 €
Riapro questo blog dopo diversi giorni.
Una settimana di nulla, di azzurro a tutto tondo, di castelli di sabbia e coccole…
quella immediatamente successiva ad una delle più dolorose, con la sentenza di Cassazione per il processo su Devastazione e Saccheggio, che ha visto confermare praticamente tutto l’impianto accusatorio,
ed ha già visto entrare in carcere due compagni,
di cui uno, Fagiolino, pezzo de’ core e de’ radio,
una mamma ristretta ai domiciliari e due che invece hanno preso la montagna, il mare o non so,
scappando alle grinfie arrugginite dello Stato (buona fortuna)
Insomma…giornate intense.
Poi torni a casa, ti catapulti sulla posta per vedere se dal carcere arriva una voce,
apri il computer e…
vedi un altro volto amico comparire su troppe bacheche, ancora una volta.
Ancora una volta Matteo, Matteo Armellini, morto ammazzato dallo sbriciolarsi del palcoscenico che stava contribuendo a costruire, pochi mesi fa.
Di lui abbiamo parlato tante volte su questo blog, perché la morte sul lavoro m’ha sempre lasciato attonita, figuriamoci quella di chi condivideva i corridoi e le ricreazioni, il cortile e i sogni d’adolescenza.
Matteo era un ragno da palcoscenico, un ragazzo esperto e innamorato del suo lavoro, che non ha avuto il minimo scampo,
in quel turno di notte a Reggio Calabria, in preparazione dello show di Laura Pausini.
Matteo è di nuovo sulle bacheche dei social network, perché la sua mamma ha appena ricevuto dall’Inail un assegno, che come dicitura riporta “pratica di infortunio o malattia professionale”…
e la somma è di 1936,80 €.
“E pensare che proprio i cantanti raccontano la vita della gente comune e invece alla fine non sanno neanche tutto ciò che ruota dietro lo showbiz live, l’unica certezza fino ad adesso è che la vita di mio figlio non vale neanche duemila euro”,
ha detto sua madre.
CHE NESSUNO SI SENTA ASSOLTO DA QUESTE MORTI,
NESSUN CANTANTE, NESSUN ARTISTA, NESSUN ORGANIZZATORE DI EVENTI, NESSUN PADRONCINO…
Seguite il blog del Coordinamento autorganizzato dei lavoratori dello spettacolo di Roma.
LEGGI:
Omicidio premeditato
Una lettera aperta a Laura Pausini
The show must go off
Il manifesto del Coordinamento
ASCOLTA: una trx su RadioOndaRossa
The show must go off: un manifesto dal Collettivo Autorganizzato Operai dello Spettacolo di Roma
Inizia giugno, inizia l’estate,
Inizia la carrellata di grandi eventi, concerti, festival e quant’altro : malgrado i tagli, malgrado sia diventato difficile anche pagarsi una corsa in metropolitana vista la situazione economica e gli aumenti che stiamo affrontando in queste settimane,
l’industria siliconata dello spettacolo sta per aprire la sua stagione più fortunata.
La stagione che vede triplicare lo sfruttamento di tutti coloro che, con il loro lavoro, rendono possibile la realizzazione degli eventi: facchini, montatori, giovani ragni da palcoscenico che girano l’Italia a ritmi vertiginosi per rendere possibili le nottate del divertimento, del costosissimo divertimento.
Dopo la morte di Matteo Armellini (morto schiacciato dal crollo del palco di Laura Pausini a Reggio Calabria) , successiva a quella di Francesco Pinna (che costruiva il palco di Jovanotti a Trieste),
il Collettivo Autorganizzato dei Lavoratori dello Spettacolo di Roma è stato protagonista di diverse mobilitazioni comunicative e anche di alcuni, ovviamente inascoltati, appelli ai musicisti e agli artisti.
Queste righe per condividere con voi il manifesto che da qualche ora stanno facendo circolare attraverso il loro blog, e che andrà a riempire i muri delle città di questo paese dove si muore quotidianamente sul lavoro, dove ci si reca a lavorare in luoghi non sicuri, non controllati, anche a pochi giorni da un pesante terremoto, come è successo con i capannoni di Mirandola tre giorni fa.
E come giustamente urla questo manifesto,
CHE NESSUNO SI SENTA ASSOLTO.
SIETE TUTTI COINVOLTI nella strage quotidiana che avviene.
Una lettera agli artisti del 1*Maggio, da chi monta il loro palco
Dopo l’interessantissimo convegno dello scorso sabato alla Città dell’Altra Economia, organizzato dal Collettivo Autorganizzato Operai dello Spettacolo Live di Roma pubblico con piacere la lettera degli amici di Matteo, che potete trovare sul loro blog,
scritta e rivolta ai musicisti e agli artisti che si esibiranno sul grande palco-vetrina del 1° Maggio di Roma.
Scriviamo questa lettera a chi tra una settimana salirà sul palco del 1° Maggio. Sappiamo che non siete i soli a cui dovremmo scrivere, ma ci sembra giusto rivolgerci per prima cosa a voi che avete scelto di partecipare alla festa dei lavoratori.
Specialmente in un momento come questo è molto facile rassegnarsi alla propria impotenza; le decisioni sembrano prese tutte in contesti inavvicinabili, guidate da criteri irragionevoli e interessi meschini. Il timore che dopo gli incidenti di Trieste e Reggio Calabria nulla cambi, ci spinge però a forzare questo senso di impotenza e a chiamare in causa chi invece ha la possibilità concreta di intervenire. Gli artisti.
Suonare al concerto del 1° Maggio dovrebbe rappresentare qualcosa di più di una semplice esibizione tra le tante. Significa riconoscere la dignità di ogni lavoratore, celebrarne le conquiste e implicitamente considerarne le fragilità, specialmente in questo momento in cui va sbriciolandosi ogni diritto, ogni tutela, ogni certezza.
Durante la vostra esibizione centinaia di migliaia di persone guarderanno verso il palco senza vedere ciò che è “dietro” lo spettacolo.
Ci piacerebbe ricordare che anche questo palco voluto dai sindacati, sia frutto, come tutti gli altri, del lavoro invisibile di molte decine di persone alle quali questo sistema produttivo non riconosce, nella realtà dei fatti, diritti ormai considerati fondamentali. Non è la sede per entrare nello specifico, ma vogliamo comunque sottolineare che figure professionali quali rigger, scaffolder e facchini che rendono possibile ogni volta il funzionamento del gigantesco macchinario dello spettacolo, lavorano senza neppure un contratto specifico per la mansione che svolgono, senza un sistema di regole relative a turni e orari di lavoro e in condizioni di sicurezza spesso esistenti solo sulla carta. Sono molti gli aspetti che necessiterebbero di un serio intervento di riforma. Basti pensare che la formazione professionale in molti casi rimane a carico del lavoratore, così come la copertura assicurativa e l’attrezzatura di sicurezza. A questo si aggiunge la poca chiarezza nell’intreccio di responsabilità e competenze tra società di produzione, promoter, service e cooperative nella gestione di tour e spettacoli live.
E’ in questo scenario che chiediamo a voi artisti, vertice della piramide e in ultima analisi committenti di tutto questo macchinario spettacolare, di non sentirvi estranei.
Riteniamo che non si possa più far finta di nulla, pensando che gli incidenti siano casuali e non avvengano al contrario a causa di scelte finalizzate alla massimizzazione del profitto. Vi chiediamo espressamente di usare il potere che forse non sapete di avere: il potere di riappropriarvi della possibilità di una scelta etica, cambiando modello di business, selezionando con cura e in base a precise garanzie le aziende e le strutture a cui affidarvi, vigilando e tutelando le parti più deboli di questo processo. In particolare vi invitiamo a fermare la megalomania faraonica delle produzioni, garantendo ritmi lavorativi e turni più umani.
E’ necessario che alle dichiarazioni pubbliche seguano i fatti, ancor di più ora che con l’estate il numero degli eventi live raggiunge il suo apice. La nostra non è un’accusa, è solo un invito a liberarvi da una complicità morale che comunque si riflette sulla vostra immagine.
Dopo i fatti di Reggio Calabria e Trieste non si abbassi la guardia, non si può più fare finta di niente e aspettare un’altra morte.
La crisi ci priva di un altro compagno in Grecia, che sceglie il suicidio. Ciao Savas
La Grecia prende apprende di un nuovo suicidio, avvenuto ieri 21 aprile.
Un suicidio di un compagno, di un militante, di un uomo di 45 anni, insegnante da sempre impegnato politicamente.
Si chiamava Savas Metoikidis.
Si è impiccato come risposta finale alle imposizioni della troika, si è impiccato lasciandoci un lungo manoscritto in cui spiega le ragioni del suo gesto e che verrà probabilmente pubblicato tra poco, nella sua città natale, Stravroupoli, nel nord del paese.
Sono più di mille i suicidi avvenuti in Grecia dall’inizio della devastazione della società per mezzo del piano di austerità,
ma dopo quello di Dimitris Christoulas, questo è il secondo compagno che sceglie di farlo,
e di renderlo atto pubblico, il primo scegliendo un luogo simbolo come Syntagma -piazza del parlamento greco-,
il secondo lasciando un inequivocabile testo per spiegare il suo gesto.
Quello che pubblico qui sotto invece, che ho preso sempre da OccupiedLondon, è un testo che Savas aveva scritto allo scoppio della rivolta del dicembre 2008, seguita immediatamente dopo la morte del giovane Alexis Grigoropoulous per mano della polizia, senza alcuna ragione.
Una rivolta che ha cambiato molto il profilo delle piazze greche, e che io provai a raccontare da quelle strade, innamorandomene
Chi sono dopotutto i teppisti?
Violenza è lavorare per 40 anni per delle briciole e chiedersi se si riuscirà a smettere
Violenza sono i titoli finanziari, i fondi assicurativi saccheggiati, la truffa in borsa.
Violenza è essere costretti a stipulare un mutuo per una casa che si finisce per pagare come se fosse fatta d’oro.
Violenza è il diritto del tuo capo di licenziare in qualsiasi momento voglia farlo.
Violenza è la disoccupazione, la precarietà, sono i 700 euro al mese con o senza contributi previdenziali.
Violenza sono gli “incidenti” sul lavoro, perché il padrone riduce i costi di gestione a scapito della sicurezza dei lavoratori.
Violenza è prendere psicofarmaci e vitamine per far fronte agli orari di lavoro
Violenza è essere una donna migrante , è vivere con la paura di essere cacciato dal paese in qualsiasi momento e vivere in una costante insicurezza.
Violenza è l’essere casalinga, lavoratrice e madre allo stesso tempo.
Violenza è quando ti prendono per il culo al lavoro dicendo: ‘dannazione, sorridi, è chiedere troppo?’Quello che abbiamo vissuto io lo chiamo rivolta.
E proprio come ogni rivolta appare come una prova generale della Guerra Civile, ma puzza di fumo, gas lacrimogeni e sangue.
Non può essere facilmente sfruttata o controllato. Accende le coscienze, si rivela e polarizza le contraddizioni, e promette, almeno, momenti di condivisione e di solidarietà. E traccia i percorsi verso l’emancipazione sociale.
Signore e signori, benvenuti alle metropoli del caos! Installate porte sicure e sistemi di allarme alle vostre case, accendete il televisore e godetevi lo spettacolo. La prossima rivolta sarà ancora più agguerrita, mentre il marciume di questa società si approfondisce … Oppure, potete prendere le strade al fianco dei vostri figli, potete scioperare, potete osare di rivendicare la vita che vi stanno derubando, potete ricordarvi che una volta eravate giovani e volevate cambiare il mondo.Savas Metoikidis
Un dibattito con i lavoratori dello spettacolo, sugli assassini sul lavoro
Sarebbe bello che partecipassero tutti coloro che sono abituati a ballare e cantare sotto i palchi, dentro gli stadi o nelle piazze.
Sarebbe utile per capire come prende forma quel ferro, come si trasforma da materiale depositato a terra da grandi camion a torri piene di luci, di decibel e colori.
Mostri di ferro che si alzano in poche ore, per poi sparire prima che le luci dell’alba vadano a svegliare la città: mostri che spesso uccidono quei giovani ragni che li mettono in piedi.
Matteo Armellini conosceva bene quel ferro, conosceva quei ritmi che poi gli si sono sbriciolati sulla testa … Matteo era un sorriso familiare, ma come lui sono tanti quelli che a casa non tornanoo non torneranno.
E allora domani partecipiamo tutti a questo dibattito, andiamole a conoscere quelle braccia sudate che costruiscono rapidamente il nostro divertimento…andiamo a capire, per fare in modo che tornino tutti a casa dal lavoro.
Perché morire di lavoro è inaccettabile e lo sembra ancor di più quando sono le luci festose di un palcoscenico ad uccidere un sorriso.
Proiezione di 3,87 di Valerio Mastranedea e a seguire dibattito con i lavoratori dello spettacolo.
Sabato 21 Aprile, ore 19.
Città dell’altra economia, ex mattatoio di testaccio, largo Dino Frisullo, Roma.
;
Il blog dei lavoratori dello spettacolo : http://bieffegi.wordpress.com/
Un’intervista con i lavoratori dello spettacolo, ricordando Matteo
L’articolo che segue, di cui trovate il link che rimanda ad un sito Rai, è un’intervista ai compagni di lavoro e vita di Matteo Armellini, che è stato ucciso dal suo stesso lavoro, ucciso dai ritmi e le condizioni in cui procede l’industria dello spettacolo.
Con molte iniziative, volantinaggi, comunicati e striscioni, i compagni di Matteo, lavoratori precari dello spettacolo, hanno portato in piazza e davanti ai cancelli dei concerti il racconto della loro quotidianità lavorativa e la rabbia infinita per la perdita di Matteo,
come di ogni morto sul lavoro.
Che sono tutti evitabili.
Che sono tutti omicidi.
LEGGI:
Una lettera aperta a Laura Pausini
The show must go off
ASCOLTA: una trx su RadioOndaRossa
The Show must go off
Due morti in tre mesi: il mondo dei concerti ha richiamato l’attenzione dei media per gli incidenti mortali a due giovani operai. Di reclutamento, lavoro e organizzazione, retribuzioni, sicurezza e struttura del settore ci hanno parlato tre lavoratori esperti
di Massimiliano Piacentini,
http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=12035
Il mondo dei concerti ha richiamato l’attenzione dei media per i recenti “incidenti” in cui sono rimasti uccisi due lavoratori: Francesco Pinna, morto a 20 anni nel collasso del palco allestito per l’esibizione di Jovanotti, a Trieste, e Matteo Armellini, morto a 31 anni a Reggio Calabria mentre lavorava al montaggio del palcoscenico di Laura Pausini. Di reclutamento, lavoro e organizzazione, retribuzioni, sicurezza e struttura dell’industria dei concerti ci hanno parlato tre lavoratori esperti. Il presidente della Cooperativa “Insieme”, di cui Armellini era socio lavoratore, non ha voluto invece rilasciare “alcun tipo di dichiarazione”, considerata l’inchiesta in corso.
Parlano i compagni di Matteo
Nel primo semestre 2011 il volume d’affari per i concerti di musica pop è stato pari a 102 milioni di euro, (+16,92% rispetto allo stesso periodo del 2010). Quale è la vostra realtà lavorativa?
Mauro: “Ho lavorato nel mondo dei concerti dal 2001 al 2010, inizialmente come facchino, poi come scaffolder. E’ un sistema di scatole cinesi: il lavoratore non è assunto dal service per cui lavora, ma fattura attraverso una cooperativa. Ciò determina massima flessibilità, discontinuità di reddito e ricattabilità. Il tutto, poi, senza una copertura assicurativa specifica per l’elevato rischio del lavoro. Immagina una organizzazione piramidale con al vertice l’artista, a cui va più dell’80% dei ricavi totali. Dal punto di vista formale, una società di produzione affitta da un’altra società palco e materiali e affida la realizzazione a un service. Questo, a sua volta, affitta le varie figure di lavoratori di cui ha bisogno da diverse cooperative. E’ così che i service dispongono di lavoratori senza doverli assumere e con ciò risparmiano molto sul costo del lavoro vivo. Quindi non esiste un tipo di contratto specifico per una o più giornate lavorative. Semplicemente, una cooperativa emette fattura al service che richiede la prestazione lavorativa”.
Quali sono le figure che materialmente realizzano un palco?
Davide: “Alla base della piramide di cui parla Mauro c’è il facchino, che svolge un lavoro manuale a terra per una paga oraria di 6 euro. Poi c’è il climber, altra figura di manovale (9 euro l’ora) che, ad esempio sui palchi Layher, passa in colonna i ferri per farli arrivare in alto, fino allo scaffolder. In alto opera anche il rigger. Sono due figure tecniche pagate a giornata: 110 euro circa lo scaff, anche 300 euro al giorno il rigger. Poi ci sono i tecnici audio e luci, pagati tra i 100 e i 200 euro al giorno. Questa la situazione a Roma e Trieste.
Quanto dura una giornata di lavoro?
Luca: “Faccio parte di una cooperativa di servizi che si occupa prevalentemente di facchinaggio, ma ho fatto il corso di operatore su funi (rigger). Secondo la mia esperienza, una giornata di lavoro dura 12 ore o anche di più. Per esempio, lavorare a un concerto all’Olimpico significa iniziare alle 8 del mattino per finire, se tutto va bene, alle 20. La cooperativa vende facchini, ma se la produzione lo richiede noi diventiamo climber, rigger, tecnici luci, allestitori”.
Come si formano i lavoratori e di cosa si occupano lo scaffolder e il rigger?
Davide: “Lo scaffolder monta strutture come il ponteggio multidirezionale e, insieme al rigger, costruisce ad esempio i ground support, quelli che sono caduti a Trieste e a Reggio Calabria. Inoltre, il rigger si occupa nello specifico degli appendimenti, cioè dei carichi sospesi. Sono figure che svolgono incarichi importanti, pericolosi e difficili, oggi riconosciute tramite corsi che i lavoratori sostengono a proprie spese. Vi sono i brevetti in montaggio-smontaggio e modifica dei ponteggi e l’abilitazione al lavoro in quota e posizionamento tramite funi rilasciata dalle guide alpine del Cai. Ma la realtà lavorativa è molto diversa dalla teoria e posso dire che questi lavoratori si sono formati in gran parte sul campo e con lo studio personale. Per il rigger, ad esempio, esistono solo alcuni corsi recenti tenuti da riggers più esperti.
Lo scorso 5 marzo, Matteo Armellini, vostro amico e compagno di lavoro, è morto a 31 anni mentre costruiva il palco per il concerto della Pausini al palazzetto dello sport di Reggio Calabria e altri due operai sono rimasti gravemente feriti. Tre mesi prima, a Trieste, moriva nel crollo del palco del concerto di Jovanotti, Francesco Pinna, 20 anni, e altri 6 lavoratori sono rimasti feriti in modo grave. Cos’è che rende il lavoro così rischioso?
Luca: “Matteo era un rigger, un tecnico altamente specializzato. Una delle cause degli incidenti, che non avvengono affatto raramente, è la velocità richiesta per la realizzazione. L’affitto dei palazzetti, degli stadi o anche delle piazze pubbliche è salato e le produzioni, che vogliono massimizzare i profitti e abbassare i costi risparmiando su tutto, impongono ritmi veloci. Per un concerto di Ligabue, ad esempio, il montaggio avviene in 3-4 giorni, mentre lo smontaggio si fa immediatamente dopo l’evento e in meno di 24 ore, cioè in un monte orario ristrettissimo. E’ assurdo, così come è assurdo che i dispositivi per la sicurezza individuale (Dpi) siano completamente a carico dei lavoratori.
Mauro: “In questo lavoro il rischio ha molte facce. Per fare un esempio concreto prendiamo il montaggio di una struttura a moduli autoportante come il Layher. Essa viene montata in velocità attraverso una colonna formata da climbers, che si passano i pezzi via via sempre più in alto per farli arrivare allo scaffolder. E’ una pratica illegale e pericolosa poiché i pezzi, come insegnano ai corsi, dovrebbero essere imbracati. Immagina un pezzo di ferro di 10 kg che cade da oltre 10 mt di altezza!”.
Davide: “Il tour di Jovanotti ha vinto il premio Best tour 2011 e a dicembre è crollato il palco. La tourné della Pausini avrebbe dovuto superare quanto a spettacolarità quella di Jovanotti e abbiamo visto come è andata a finire. Il fatto è che oggi la grandezza di un artista non è più rappresentata dal numero di dischi venduti, ma da quanto è grande il palco su cui si esibisce. Per entrare nel Palacalafiore, il palco della Pausini è stato ridotto rispetto al disegno originario: in realtà non poteva entrare in nessun palazzetto d’Europa. Quindi c’è anche un problema di adeguatezza degli spazi ed è un problema che riguarda tutta l’Italia, non solo il Sud come sostiene Eros Ramazzotti. Inadeguatezza delle strutture, tempi ristretti per il montaggio-smontaggio dei palchi e numero esiguo di lavoratori sono tutti fattori di rischio”.
Mauro: “Poi c’è il problema delle verifiche sui materiali: sono effettuate realmente o solo sulla carta? Secondo una legge recente si dovrebbe sapere con certezza quanto e dove sono stati utilizzati i materiali, a quali stress sono stati sottoposti, se e quante volte sono stati revisionati. Poi occorrono le radiografie, perché una microlesione può causare il collasso di una struttura. Voglio chiedere a quegli artisti che si dispiacciono candidamente della morte dei lavoratori: ma non vedete quante date fate in un mese? Non sarebbe il caso di farne magari qualcuna in meno per consentire di lavorare meglio e più in sicurezza? Come si fa a stare in cima alla piramide e a dichiararsi non responsabili di ciò che avviene sotto? Lo scorso dicembre, nella trasmissione “Che tempo che fa”, Laura Pausini si vantava di quanto fosse grande e luminescente il suo palco! Servono meno megalomania, tempi più umani e maggiore serietà nelle certificazioni (penso a quelle degli ingegneri per i materiali e a quelle dei sindaci per l’agibilità di certi luoghi).
Cosa pensate degli incidenti di Trieste e Reggio Calabria?
Davide: “Sono diversi e sono avvenuti in fasi di lavoro diverse. A Trieste è collassata la struttura quando tutto era già stato appeso. Ciò può essere accaduto per inadeguata revisione dei materiali o per una modifica del disegno originale. Quello di Reggio, invece, non mi sembra un cedimento strutturale, ma del pavimento. In questo caso era stata appena montata una struttura di 35 tonnellate, che con gli appendimenti sarebbe arrivata a 50-60 t. Si tratta di un palco 20 per 30 metri, con 6 piloni alti 16 metri e larghi 50X50 centimetri. Secondo me, il parquet, sotto cui sembra vi fosse anche un intercapedine di 5-6 centimetri, non poteva sopportare un simile peso. Inoltre, mi risulta non fossero state fornite le lastre di metallo (peraltro previste dal progetto) che dovevano essere posizionate sotto i piloni del palco per distribuirne il peso. Al loro posto pare siano state messe tavole di legno, rivelatesi probabilmente insufficienti. In ogni caso, penso che quel palco non doveva essere montato in quel posto.
E il lavoro nero? Pochi giorni fa la Gdf avrebbe trovato 16 operai in nero che lavoravano al montaggio del palco della Pausini, a Caserta, e altri 930 che venivano utilizzati all’aeroporto di Malpensa e nel montaggio dei palchi per i grandi eventi a Milano. Quale è il vostro rapporto con i sindacati?
Mauro: “Io, come la maggior parte di quelli che conosco, ho iniziato a lavorare in nero come facchino, senza sapere nulla sul tipo di lavoro che dovevo svolgere, né sull’orario: la questione dell’orario in questo mondo è tabù. Avevo 20 anni. La mia sfiducia nel sindacato è dovuta a esperienze oggettive. Prima di tutto, i sindacati, compresa la Fiom, per realizzare i loro eventi utilizzano lo stesso sistema di cui stiamo parlando. In secondo luogo, mi sono trovato a lavorare al concerto del primo maggio, a piazza San Giovanni, appeso a 15 metri di altezza con l’imbrago che mi ero comprato da solo per piazzare un cartellone che invocava sicurezza sul lavoro e condannava il lavoro nero. Definire ipocrita tutto ciò è ancora troppo poco. Come possiamo avere fiducia in simili organizzazioni?”.
Un convegno che parla dei quotidiani assassinii sul lavoro
Proprio ora che di lavoro non voglio sentir parlare per una manciata di giorni,
vi segnalo quest’iniziativa che alcuni lavoratori mi hanno chiesto di pubblicizzare.
Non potrò esserci per ovvi motivi geografici, ma non c’è iniziativa che parla dei quotidiani assassinii sul lavoro
che non ha il mio sostegno, totale.
E gli assassinii sul lavoro hanno diverse forme.
Perché c’è chi esce la mattina di casa e non torna più, morendo come una mosca schiacciata, come se ne sono andati Antonio e Matteo…
C’è chi invece a casa torna tutte le sere, convinto che quella tosse sia solo colpa del freddo…e poi vola via, ucciso da una malattia che poteva tranquillamente non prendere, ucciso da ciò che per anni ha respirato, lavorato, imballato, trasportato.
Nessuna di queste morti è bianca, proprio nessuna.
Perché chi muore sul lavoro muore assassinato: assassinato dal profitto, dallo sfruttamento, dai meccanismi del capitale.
Perché chi muore sul lavoro non sembra aver diritto nemmeno alla memoria, a meno che non abbia una divisa addosso.
E allora, proprio nel giorno in cui me ne vado un po’ in ferie, a staccare da questa merda di vita che si fa per 1000 euro al mese,
vi lascio con questo invito a partecipare ad un dibattito con lavoratori, tra lavoratori.
Che dovrebbero uscir di casa per un salario, e spesso lo fanno rischiando la loro vita e perdendola.
CONVEGNO MORTI SUL LAVORO!
SABATO 7 APRILE 2012 ORE 15.00
(SCHIO – Cinema Pasubio- via Maraschin, 77)SARANO PRESENTI I LAVORATORI:
GRETA ALTO VICENTINO AMBIENTE (SCHIO), TRICOM GALVANICA PM (TEZZE SUL BRENTA), ETRA (BASSANO), ARSENALE F.S (VICENZA), BREDA (SESTO SAN GIOVANI), MARLANE MARZOTTO (PRAIA A MARE), THYSSEN KRUPP (TORINO), MEDICINA DEMOCRATICA
°ASSEMBLEA DEI LAVORATORI PER RICORDARE NOSTRI CADUTI SUL LAVORO, MA ANCHE PER IMPEDIRE CHE TALE IGNOMINIE SI RIPETANO, PARTECIPIAMO TUTTI-E PER CONTRASTARE LE MORTI SUL LAVORO.
°INIZIAMO UNA CAMPAGNA PERMANENTE CONTRO LE MORTI SUL LAVORO E… DA LAVORO, GLI INFORTUNI SUI LUOGHI DI LAVORO, LE MALATTIE PROFESSIONALI E INVALIDANTI, I DISASTRI AMBIENTALI E LE LAVORAZIONI NOCIVE E PERICOLOSE, SIA PER CHI LAVORA SIA PER LA SALUTE DELLA CITTADINANZA.
°MAI PIU’ MORTI SUL LAVORO IN NOME DEL PROFITTO A OGNI COSTO
°PERCHE’ SI MUORE ANCORA DI INDIFFERENZA, DI NOCIVITÀ’ E DI PRECARIETÀ’.°IMPARIAMO A DIRE “NO” AL RICATTO DEI PADRONI CHE CI FANNO LAVORARE IN CONDIZIONI DI GRAVE INSICUREZZA, FORTI DELLA DILAGANTE DISOCCUPAZIONE.
Unione Sindacale di Base
Una lettera aperta a Laura Pausini
Signora Pausini,
apprendiamo dai giornali del “dramma” che l’ha colpita e della sua intenzione di dedicare a Matteo i suoi prossimi concerti.
Ognuno ha diritto ad esprimere il proprio lutto nelle forme che ritiene più opportune, ma aver letto le sue dichiarazioni, riportate persino sui giornali di gossip, non può non farci pensare che Lei, Matteo, non sapeva chi fosse. Certamente non è così che chi l’ha veramente conosciuto avrebbe scelto di ricordarlo.
Ci rendiamo conto che i meccanismi dello show business, di fronte ad una tragedia di questo genere, impongono di assumere un contegno simile di fronte ai media. Ma è proprio a causa dell’ambiguità di questo cordoglio che sarebbe opportuno che Lei evitasse di farsi portavoce di un dolore che non le appartiene.
Forse dovremmo arrenderci ai meccanismi pubblicitari e lasciare che la strumentalizzazione mediatica ci scivoli addosso.
Ma non possiamo farlo, non possiamo perché vogliamo e dobbiamo rispettare il nostro dolore e quella che sarebbe stata la volontà del nostro amico.
Le chiediamo pertanto pubblicamente di astenersi dal dedicare a Matteo i suoi concerti, di non nominarlo, di lasciare il dolore a una dimensione privata.
Al di là degli aspetti penali, che competono alla magistratura, ciò che non emerge di questa tragedia è il grave problema che riguarda il lavoro. Lo show business, per massimizzare il profitto a ogni costo, impone ritmi frenetici e condizioni di lavoro aberranti a una categoria già di per sé frazionata e debole, il tutto per garantire sempre allo spettacolo di andare avanti.
Lei scrive nella sua lettera che si sente impotente, che non può fare niente per cambiare le cose; allo stesso tempo, Jovanotti invita a una riflessione su come migliorare il livello di sicurezza, senza che però alle parole seguano dei fatti concreti.
Noi al contrario riteniamo che Lei, come tutte le Star dello spettacolo, abbiate il potere e il dovere morale di cambiare qualcosa, per far sì che tutto quello che è accaduto non si ripeta. Gli artisti sono gli unici che possono permettersi di dire no.
Questo sarebbe un aiuto concreto e una dimostrazione di sostegno per quella che Lei chiama “famiglia in tour”, ed eliminerebbe il dubbio che da questa tragedia derivi solo pubblicità per il suo personaggio.
E’ il rispetto del silenzio che chiediamo.
il blog da cui è tratta questa lettera: bieffegi.wordpress.com
A Matteo Armellini: THE SHOW MUST GO OFF
COMUNICATO STAMPA
DOPO ANNI DI INCIDENTI E MORTI MENO TRISTEMENTE NOTE DI QUELLE DI TRIESTE E REGGIO CALABRIA, SULLA SCIA DEGLI ULTIMI TRAGICI EVENTI, I TECNICI E LAVORATORI DELLO
SPETTACOLO DENUNCIANO CHE :
L’INCIDENTE E’ STATO CAUSATO UNICAMENTE DALL’INADEGUATEZZA DELLA PAVIMENTAZIONE, NON IDONEA A SOSTENERE IL PESO DEL PALCO.
INFRASTRUTTURE INADEGUATE ED ILLEGALI, NON CONCEPITE PER EVENTI LIVE, DA ANNI OSPITANO GRANDI SPETTACOLI, A RISCHIO E PERICOLO DI LAVORATORI E PUBBLICO.
LA SITUAZIONE E’ INACETTABILE, I LAVORATORI SI RIBELLANO.
SPERIAMO CHE LA GIUSTIZIA RIESCA AD ESSERE TALE QUESTA VOLTA.
I LAVORATORI DELLO SPETTACOLO-ROMA
THE SHOW MUST GO OFF
Dopo il crollo del palco di Trieste, è avvenuta un’altra intollerabile tragedia a Reggio Calabria in cui un nostro amico e compagno di lavoro ha perso la vita e altri sono rimasti feriti.
La crescita esponenziale delle dimensioni dei palchi e della spettacolarità degli show si scontra con l’inadeguatezza delle location dove tali eventi vengono messi in piedi.
I palazzetti dello sport e gli stadi non sono a norma nemmeno per il motivo per cui sono stati costruiti, ma ogni volta vengono concessi in deroga da sindaci o prefetti di turno.
La responsabilità diretta del crollo del palco del tour della Pausini è di chi ha dato l’autorizzazione a costruire una struttura così pesante su un pavimento che ha ceduto quando ancora non erano stati appesi nemmeno il 10% dei materiali di audio, luci, video e scenografia.
E SE IL PALCO CROLLASSE DURANTE IL CONCERTO?
Solo il caso ha voluto che queste tragedie siano avvenute durante l’allestimento dei palchi e non mentre era in atto lo show con il pubblico presente.
E’ importante che tutti sappiano cosa avviene per dare vita a questi mega-eventi che arricchiscono gli artisti e le produzioni.
Noi operai non facciamo parte della loro famiglia, come dicono nelle loro ipocrite ed infami dichiarazioni: le paghe non sono adeguate alle mansioni svolte, arrivano dopo mesi, i turni superano ampiamente le dodici ore, c’è una pianificazione scellerata degli eventi che risparmia sulla sicurezza dei lavoratori e del pubblico.
Non esistiamo come categoria di lavoratori perciò non abbiamo nessun diritto.
Vogliamo la dignità e il rispetto che ci spettano.
operaispettacololiveroma@gmail.com OPERAI DELLO SPETTACOLO ROMA
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qui un audio dai microfoni di Radio Onda Rossa,
dalla voce dei suoi amici e compagni.
CIAO MATTEO
a pugno chiuso
Sulla morte di Francesco Pinna, da chi vive sospeso in aria
Come è noto a tutti, il 12 dicembre 2011 Francesco Pinna è morto a Trieste durante il montaggio del palco di Jovanotti.
Innanzitutto vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà e vicinanza alla sua famiglia e a tutti coloro che sono rimasti feriti o comunque coinvolti in questa tragedia. Un errore umano non può giustificare del tutto la morte di una persona, gli uomini possono sbagliare per stanchezza, per fretta , per pressioni varie. Nel nostro mondo il tempo è denaro e il denaro a volte conta più della sicurezza.
Nonostante negli ultimi anni siano avvenuti dei miglioramenti riguardo l’attenzione alla sicurezza nei concerti, spesso alcune norme di carattere economico la fanno ancora da padrone mentre alcune norme sulla sicurezza rimangono ancora solo scritte su carta. Le produzioni, per massimizzare i profitti, richiedono la costruzione e l’allestimento dei palchi e delle aree dove vengono svolti gli eventi live, nel minor tempo e con meno personale retribuito possibile, anche perché le location hanno costi giornalieri esorbitanti così come gli affitti e gli spostamenti dei materiali.
Questo comporta la fretta costante nel lavoro e lo sfinimento dei lavoratori, con turni nei quali lo straordinario è la regola e senza che siano intervallati dal tempo di riposo necessario.
Questo tipo di lavoro però è fisicamente molto usurante e in molti casi espone a diversi tipi di pericolo. I materiali e le strutture utilizzati sono ancora più usurati dei lavoratori, non vengono sottoposti a controlli di revisione adeguati, vengono riutilizzati anche se danneggiati e questo mina già in partenza il discorso sulla sicurezza.
E’ evidente che lavorare in queste condizioni comporti sempre un enorme fattore di rischio.
Ci teniamo a precisare che è inaccettabile morire al lavoro in qualsiasi caso, non solo se si lavora per pochi euro l’ora. Il fatto che la manovalanza indispensabile venga retribuita in modo così inadeguato è dovuto al sistema di subappalto dei servizi che prevede troppi passaggi tra i reali committenti e i materiali realizzatori del lavoro proposto facendo si che, ad esempio, un facchino che a monte costa, non meno di 14 euro l’ora, percepisca realmente meno della metà.
Anche quando il lavoro è più o meno ben pagato, come nel caso dei tecnici specializzati, le condizioni di vita che ne derivano non sono comunque delle migliori. Ci viene richiesta sempre la massima disponibilità, si va al lavoro senza sapere quando si stacca, non si ha la sicurezza della continuità del reddito, non si può programmare il lavoro a lungo termine, si hanno pochi margini di trattativa e ognuno sembra dover pensare solo per se stesso, non vengono fatte valere le più elementari regole del diritto del lavoro (si pensi alla giornata di otto ore), il livello di ricattabilità è molto alto, i dispositivi di protezione sono a carico del lavoratore, i lavori vengono pagati tra i trenta e i novanta giorni, non esistono permessi, malattie, ferie, tredicesime, le coperture enpals e inail sono solo di facciata, così come gran parte dei contratti, quando esistono, sono fittizi.
Il lavoro a chiamata e più che subordinato viene mascherato da libera impresa individuale o collettiva, nel caso delle cooperative.
La morte di un ragazzo ha puntato i riflettori per un breve periodo su un mondo del lavoro che finora è stato più che sommerso. Seppure dal 2008 il testo unico sulla sicurezza ha spinto molti datori di lavoro a trovare escamotage contrattuali, garantiti dalla legge Biagi, si continua a lavorare in nero, soprattutto nelle migliaia di piccoli eventi che vengono quotidianamente prodotti.
I corsi di formazione, imposti sempre dal testo unico, sono di fatto molto spesso a carico dei lavoratori e si rivelano, vista la loro qualità, pure formalità che garantiscono un ulteriore business ad aziende ed enti, che per organizzarli vengono finanziati da Stato, Regioni, Province e UE.
Nonostante questo la regola fondamentale del settore è “THE SHOW MUST GO ON”, ci chiediamo dunque quanto potrà durare il dibattito suscitato dalla tragedia se non saremo noi lavoratori in prima persona a pretendere di lavorare in condizioni umane ed in sicurezza giorno per giorno.
Questo documento nasce dalla volontà di alcuni operai e tecnici dello show business di affrontare insieme le problematiche inerenti al nostro mondo lavorativo che il tragico evento di Trieste ha portato alla luce.
operaispettacololiveroma@gmail.com
Antonio Salerno Piccinino… cinque anni fa
Cinque anni che sei volato via.
Nel cuore mio sei sempre qui, sempre allo stesso posto.
Ciao Anto’, occhi belli!
Qui invece, un ricordo di un po’ di tempo fa, un po’ di scatti, un’intervista a Franca
per Mohammed Bannour, morto sul lavoro, dentro l’università
IL 28 DICEMBRE DALLE 17 ALL’UNIVERSITA’ DI ROMA LA SAPIENZA PRESSO il CANTIERE nella FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
ci sarà un’ INIZIATIVA DEL COMITATO 5 APRILE PER RICORDARE L’ENNESIMO MORTO SUL LAVORO, IN UN CANTIERE DELL’UNIVERSITA’ PIU’ GRANDE D’ITALIA…IN FASE DI RISTRUTTURAZIONE.
MOHAMMED BANNOUR, 35 ANNI TUNISINO, E’ MORTO SUL COLPO A CAUSA DEL RIBALTAMENTO DI UN MACCHINARIO CHE
LO HA SCHIACCIATO CONTRO UN MURO. LASCIA LA MOGLIE E TRE FIGLI, UCCISO SUL LAVORO IL 22 DICEMBRE 2010, MENTRE
NELLA CITTA’ DI ROMA SI ESPRIMEVA IL DISSENSO DI STUDENTI E STUDENTESSE ALLA RIFORMA GELMINI.
SI INVITANO COLORO CHE HANNO INTERESSE A MANTENERE VIVA L’ATTENZIONE SUL CASO SPECIFICO E SULLE STRAGI SUL
LAVORO, A PARTECIPARE A QUESTO APPUNTAMENTO.
SI STA ORGANIZZANDO UNA INIZIATIVA CON IL MOVIMENTO STUDENTESCO PER IL 22 GENNAIO 2011, A UN MESE DALLA MORTE
DEL LAVORATORE, ANCHE PER AVERE RISCONTRI SUGLI ESITI DELL’INDAGINE E PER SAPERE SE IN QUEL CANTIERE SONO STATE RISPETTATE TUTTE LE NORME DI SICUREZZA E SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO.
COMITATO 5 APRILE – snodo romano della RETE NAZIONALE SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
bastamortesullavoro@gmail.com
E’ morto Pietro Mirabelli, sul lavoro.
Sono Pietro Mirabelli, operaio della TAV e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Da dodici anni sono presente sul cantiere del Cavet (Consorzio Alta Velocità Emilia e Toscana) l’impresa che ha vinto l’appalto per la realizzazione del tratto che permetterà di collegare Bologna a Firenze. In questi anni ho visto decine e decine di operai infortunarsi, diventare invalidi e morire. Manca poco alla fine della realizzazione. Molti uomini e donne saliranno sui treni e non immagineranno quanto sangue è stato versato, quante madri hanno pianto per i loro figli e quante mogli sono rimaste sole. L’attenzione sugli infortuni sul lavoro è forte quando ci sono incidenti nei luoghi di lavoro, se ne parla una settimana, e poi tutto viene messo nel conservatorio della dimenticanza. Ma ogni giorno muoiono lavoratori in aziende sconosciute, nell’edilizia, nell’agricoltura. Poi, quando accadono ad esempio stragi come quella di Torino, allora qualcuno se ne occupa. In uno dei tanti incidenti avvenuto nella realtà dove lavoro, ci fu un infortunio mortale nel tratto emiliano. Sull’articolo di giornale non ne è stato riportato nemmeno il nome. Il problema principale non lo affronta nessuno. Sulle procedure di sicurezze presenti sui piani operativi di sicurezza (POS) c’è scritto ciò che si può fare e ciò che non si può fare. Un lavoratore consapevole del rischio che va ad affrontare, volendo potrebbe rifiutarsi di eseguire un incarico pericoloso. Ma a pericolo identificato si pensa alla famiglia, non si vuole mettere a rischio il posto di lavoro considerando quanto è difficile oggi trovarne uno. L’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi nella trasmissione di Fazio “Che tempo che fa”, ricordò il collegamento veloce fra Bologna-Firenze sottolineando 17 gallerie. Non un accenno ai lavoratori che hanno lasciato la vita per dare la possibilità a tutti gli italiani di accorciare le distanze. Pasqualino Giordano, 20 anni, è morto al primo giorno di lavoro, vogliamo ricordarlo? Io mi sento parte fondamentale della nostra società. Oggi però, televisione e giornali parlano dell’Isola dei famosi, mentre noi lavoriamo nel sottosuolo, dove il pericolo può arrivare da qualsiasi parte: dall’alto, dal basso, da destra e da sinistra. Ci sono macchine in movimento, esplosione di mine, fango, ecc. Un RLS o un RSU dovrebbe essere presente per ogni squadra. A volte i preposti alla sorveglianza o sono poco formati, o sono parenti dei datori di lavoro. Cosa significa? Se venisse riscontrata una situazione di rischio non si può fermare subito la produzione, si va avanti piano, piano cercando di fare attenzione. Si deve sempre sperare che non succeda niente. Quando ci vengono consegnati gli ordini di servizio,li firmiamo per ricevuta consegna. Poi ci viene data una mascherina antipolvere, un elmetto, guanti e tute ad alta visibilità. Oggi facciamo un corso su come utilizzare quanto ci viene fornito, ma solo dopo pressioni fatte dai RLS e RSU. Mi domando se queste protezioni siano sufficienti. Mio padre era minatore come me, l’ho visto ammalarsi di silicosi, l’ho visto spegnersi giorno dopo giorno all’età di 70 anni, un’agonia lenta. Io sono calabrese, della provincia di Crotone, dalle nostre parti non c’è occupazione. Metà del mio paese lavora nelle galleria. Un lavoro che non vuole fare più nessuno ed è comprensibile. Un lavoro usurante. Nel cantiere non è presente solo la ditta Cavet, alcuni lavori sono stati subappaltati. Ci sono più squadre che lavorano insieme. Io mi sono trovato a fare sopralluoghi per la sicurezza, dove c’erano squadre di piccole aziende subappaltatrici e non venivano rispettate le norme di sicurezza. Inoltre non c’è solo un problema di coordinamento fra squadre di operai che non si conoscono, ma anche di lingua. Perché ci sono molti extracomunitari, secondo me sfruttati perché li ho visti lavorare anche per 12/13 ore per turno.Spesso non conoscono i loro diritti. Io nella mia esperienza di RLS, ho fatto piccole conquiste, ma è presumibile che il pericolo non finisca una volta che il consorzio Cavet riconsegnerà il lavoro terminato. Il Cavet ha capito l’esigenza di fare corsi, anche se di poche ore, sulla sicurezza e sulla formazione. Mi consola l’idea di aver insegnato a qualcuno l’importanza del rispetto delle leggi per la sicurezza di noi operai. Purtroppo l’applicazione delle norme è fondamentale e i sindacati devono impegnarsi. Noi operai non solo siamo dimenticati presto, ma neanche ci viene data giustizia. Nel 2001 l’operaio Pasquale Adamo perse la vita mentre stava perforando il monte Morello con l’ausilio di uno speciale macchinario. Il suo giubbotto si è impigliato nella trivella, lo ha avvolto e stritolato. La condanna per i responsabili è stata una multa. Non si può pagare una multa per una vita umana. Non è possibile che per omicidio colposo il massimo della pena siano 5 anni. Proviamo a pensare che il nostro lavoro non è stato scelto per piacere, ma perché non c’era alternativa. Quando un giovane laureato del mio paese si trova in un cantiere a fare una mansione obbligata da questa società, dove solo i figli dei ministri devono fare i consulenti, possiamo pensare che lavora in uno stato di malessere? L’Italia paga milioni di euro a causa di infortuni sul lavoro. Più sicurezza e denunce rappresenterebbero, non solo un costo inferiore per lo Stato, ma anche un beneficio sulla qualità produttiva.” DAL LIBRO “MORTI BIANCHE”
Troppo doloroso leggere queste righe, immaginare quest’uomo mentre le scrive o le dice e immaginarlo ora,
che proprio sul lavoro è morto.
Un operaio, un minatore, uno che bucava le montagne e aveva sempre avuto il pallino della sicurezza, uno che non è mai stato zitto.
Pietro Mirabelli è morto sotto un masso che si è staccato e l’ha schiacciato: Pietro, che sempre s’è mobilitato per i diritti e la sicurezza sul lavoro, è morto, è stato assassinato proprio mentre lavorava, in Svizzera.
Fumogeni ed esalazioni tossiche
La meccanica dei fluidi è un ramo della fisica che studia le proprietà dei liquidi, dei vapori e dei gas. C’entra forse qualcosa con la politica? La risposta è si. Il fumo, per esempio.
Si tratta di una dispersione di particelle solide all’interno di un gas. Può essere tossico e velenoso, tuttavia non tutte le emissioni fumogene sono nocive. Molto dipende dalla natura e dalla densità delle particelle che lo compongono. Ad esempio, ci sono fumi che fanno soltanto polemica e fumi che uccidono. I primi sono emessi da fumogeni. In genere avvolgono le curve degli stadi all’inizio delle partite senza creare molto scalpore, al massimo qualche annoiata protesta. Se però vengono tirati durante un dibattito in risposta ad un lancio di sedie metalliche sulla testa dei contestatori, cosa che notoriamente fa molto male, come è accaduto alla festa del Pd di Torino mentre parlava il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, suscitano furore e isteria repressiva. Eppure questo tipo di utilizzo ha un effetto esattamente contrario a quello delle cortine fumogene. Elucida un contesto piuttosto che annebbiarlo. Insomma aiuta a far chiarezza nella testa dei lavoratori e non solo. Poi ci sono i fumi che uccidono. Esalazioni velenose come i gas sprigionati ieri dalla cisterna che ha ucciso tre operai a Capua. Le statistiche dicono che in media ci sono tre morti al giorno per lavoro. Ieri ce ne sono state quattro, di cui tre tutte in una volta. Un vero strike, come i birilli del bowling. Il quarto è morto a Pescia, in provincia di Pistoia, risucchiato dalla pressa di una fabbrica, la 3f ecologia, che si occupa del riciclo della carta. La vittima è un operaio di 36 anni, Marius Birt, di nazionalità romena. Al contrario dei fumogeni queste morti non sono percepite dall’establishment come un pericolo per l’ordine pubblico.
Bonanni e Marchionne possono dormire sonni tranquilli. Dormiranno male, invece, i familiari di Giuseppe Cecere, 50 anni, capuano, sposato e padre di tre figli e quelli di Antonio Di Matteo, 63 anni, di Macerata della Campania e Vincenzo Musso, 43 anni, di Casoria, che ieri si disperavano davanti alla Dsm, stabilimento con 80 dipendenti. Una multinazionale farmaceutica olandese con 200 siti distribuiti in 49 Paesi, che da quanto emerge dai primi accertamenti avrebbe dato in appalto ad una ditta edile di Afragola, la Errichiello, i lavori di pulizia del silos killer. Severo il primo giudizio sostituto procuratore di Santa maria Capua Vetere, Donato Ceglie, chiamato a svolgere l’inchiesta e che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo: «Da quanto sta emergendo mi sembra che non ci fosse sufficiente sicurezza e protezione». Killer dunque non sarebbe stato il silos ma le condizioni di lavoro, il che rinvia all’intera filiera delle ditte appaltatrici chiamate a svolgere questo genere di lavoro. L’abbattimento dei costi spinge a ricorrere a lavoro dequalificato con turni che si dilungano molto oltre l’orario normale, senza adeguata formazione, protezione, dotazione tecnica e sicurezza. Colpevoli sono quei rapporti sociali che disprezzano la vita di chi lavora. Sembra accertato che i tre stessero lavorando in ore di straordinario per terminare la bonifica della cisterna e che siano stati investiti da un improvviso processo di fermentazione dei residui presenti nel fondo del locale mentre smontavano i ponteggi. Uno dei tre sarebbe intervenuto per portare soccorso agli altri due, finendo anche lui privo di sensi. Le morti durante operazioni di pulizia e manutenzione delle cisterne sono diventate negli ultimi tempi una delle cause maggiori di decesso sui posti di lavoro.
L’ultimo episodio è accaduto il 25 agosto scorso in Puglia, anche lì vennero coinvolti tre lavoratori ma alla fine due si salvarono. Un altro episodio ci fu all’inizio dell’anno, in un paesino alla periferia di Alessandria, due operai scesi in un deposito di un distributore in disuso morirono investiti da un flusso di gas. Dal 2006 si contano almeno altri sette episodi di particolare gravità che portano il numero dei lavoratori avvelenati a 26. Terribile l’incidente accaduto a Mineo, in Sicilia, nel giugno 2008, che provocò la morte di sei operai che pulivano la vasca di un depuratore comunale. Non le misure di sicurezza e un diverso valore attribuito alla manodopera hanno ridotto il numero dei morti sul lavoro registrato dall’Istat nell’ultimo anno, ma solo il calo dell’occupazione e della produzione dovuto alla crisi. Lo prova il contemporaneo incremento delle malattie professionali. Si lavora in pochi, male e troppo.
Tre morti, tutti insieme: la media del giorno in un colpo solo! ASSASSINI!
Stanno ancora lavorando per recuperare il terzo corpo.
I primi due sono tornati alla luce da poco, grazie al lavoro dei Vigili del Fuoco.
I soliti a morire, quelli che non piange nessuno: tre operai morti. Quelli che solitamente sono la media giornaliera nazionale: oggi son morti tutti insieme, probabilmente aiutandosi a vicenda, dentro l’ennesima maledetta cisterna. Una mesata fa diedero una notizia identica da Bari: tre morti, e invece fortunatamente in quel caso la cisterna ce ne ha restituiti due ancora vivi.
Oggi è accaduto a Capua, mentre i tre operai, ancora degli sconosciuti senza nome per le agenzie stampa, bonificavano una cisterna della Dsm, ex Pierrel, una ditta farmaceutica che conta un’ottantina di dipendenti.
Altri tre uccisi dal lavoro!
E ancora che parliamo del fumogeno a Bonanni!
3 morti sul lavoro in mezza giornata
Inizio a scrivere questa pagina alle 12.06 e mi chiedo a che ora sarà iniziata la loro giornata lavorativa.
Tre morti al giorno dicevano fosse la media nazionale, ma se dopo poche ore dall’inizio della giornata siamo già a cifra piena, bhè, non credo che arriveremo alla mezzanotte senza altri caduti.
Come in guerra. Caduti per nulla.
Per un muro, per un balcone, per una ruspa, per un cavo elettrico, per un volo di decine di metri, per un padrone.
Morire per un padrone, più triste ancora di morire per la “patria”…morire per portare due lire a casa.
Morire per il padrone a lavoro, morire per il padrone di casa a cui dare l’affitto, morire per un’economia che sfrutta,
morire per un capitalismo che mastica corpi di lavoratori come fossero bruscolini.
Ed oggi altri tre bruscolini morti in pochissime ore: è inaccettabile.
– Guido Rossi è morto vicino a Sondrio, folgorato da una scarica elettrica mentre tagliava un albero. Nel bosco di Cepina, frazione di Valdisotto, Guido stava tagliano un albero: è precipitato su un cavo dell’alta tensione da 22.000 volts, che trasporta energia dalla Svizzera alla Toscana.
C’è stata un’interruzione di corrente, mentre lui lavorava. Quando la linea è stata ripristinata una violenta e improvvisa scarica lo ha fulminato.
–Giovanni Conenna invece è morto nella contrada Del Monte a Coversano, schiacciato da una pala meccanica. Stava spostando materiale di risulta e probabilmente a casa del terreno ricco di zolle (o per un blocco meccanico) il mezzo, come troppo spesso accade, si è ribaltato sul corpo di Giovanni. 55 anni, se ne è andato con una pala meccanica spalmata sul corpo.
–Antonio Salierno poi, 51 anni, è mporto sempre stamattina, mentre lavorava nelle campagne foggiane di Ortanova. Era alla guida del suo escavatore, per eseguire dei lavori che gli erano stati commissionati: c’erano dei cavi d’altra tensione interrati ed è morto folgorato.
BASTA!
Quando muore un operaio…
Ogni morte sul lavoro è un assassinio.
Ogni assassinio sul lavoro è una morte ingiusta e terrificante.
La media al giorno di questo paese fa capire che parliamo di una vera e propria guerra, dove -alla spicciolata- mandiamo a morire uomini e donne, figlie e figli.
Oggi, il primo a far notizia è stato Sebastiano Storti, un operaio di 40 anni impiegato presso lo stabilimento chimico del gruppo Zambon, in una località della provincia di Vicenza.
E’ morto in un modo ancora da accertare: di certo è che la sua morte è stata orribile. E’ morto congelato dopo esser caduto in una vasca di liquido refrigerante mantenuto a 20 gradi sotto zero. La dinamica non è ancora chiara perchè nessuno ha assistito all’incidente: Sebastiano è stato trovato già morto da alcuni suoi colleghi che non riuscivano a trovarlo all’interno dell’azienda.
Era riverso all’interno di una vasca contenente 80 cm di liquido refrigerante.
Era un esperto addetto alla manutenzione, da sei anni dipendente dell’azienda.
Aveva tre bambini.
Lo stabilimento chimico è stato bloccato per l’intera giornata dallo sciopero di tutti i dipendenti.
Quando è precipitato il Tupolev con tutto il parlamento, i militari, vescovi e papponi vari del governo polacco ho scritto qualche sarcastica riga di giubilo: un “simpatico” lettore mi ha immediatamente scritto, altamente indignato, per chiedermi se quello era il mio modo di insegnare il valore della vita a mio figlio. Certamente!
Mio figlio imparerà che la vita dei padroni ha un valore decisamente diverso rispetto a quella degli sfruttati…e tu che mi scrivevi così velocemente per difendere quattro padroni nazisti (per una volta un po’ di più … ‘na volta tanto…!!) e una carrellata di divise e medagliette, vorrei tanto sapere se ti indigni anche per Sebastiano, morto congelato.
Se ti indigni per un rumeno che cade da un ponteggio, o un fanciullo massacrato dalla polizia…
24 Aprile staffetta Civitavecchia-Montalto di Castro: NO MORTI LAVORO, NO NUCLEARE, NO CARBONE!
NELL’ANNIVERSARIO DI CERNOBYL STAFFETTA DA CIVITAVECCHIA A MONTALTO
BASTA ENERGIA PADRONA, MORTI SUL LAVORO E NUCLEARE,MAI PIU’
Da oggi e per almeno 15gg. il “ cantiere della morte” di Torvaldaliga sarà fermo per l’ordinanza di chiusura emessa dal sindaco di Civitavecchia.
Da ieri sono iscritti nel registro degli indagati “per omicidio colposo” 11 persone : 3 responsabili della ditta Guerrucci ( da cui dipendeva Sergio Capitani), 1 della ditta General Montaggi( che aveva da poco controllato “l’impianto ammoniaca”), ben 7 dell’Enel , dal capo centrale a dirigenti e tecnici della centrale di Torvaldaliga Nord.
Da stamani , ha preso il via l’ispezione dell’ISPELS con l’incarico di verificare le inadempienze della sicurezza sul lavoro.
Qualcosa si è smosso , ma al caro prezzo di vite umane e disastri ripetuti !
Le colpe e le responsabilità – oltre quelle primarie dell’Enel che gestisce 2/3 della produzione nazionale( di quella di molti altri paesi UE, anche nucleare) e che controlla centinaia di ditte in appalto e subappalto che lavorano per lei – sono dei partiti e del Parlamento, che hanno svuotato e reso mano mano inservibile la “legge sulla sicurezza del lavoro”, sostitutiva della 626/94 .
In particolare scaricando su altri sottoposti le “responsabilità primarie del datore di lavoro “ che non è più il “ responsabile della sicurezza”. Dove, “ il piano dei rischi” non è fatto sulla specifica tipologia dell’impianto, bensì su un fac simile generico. Dove, agli addetti pubblici al controllo della sicurezza è permesso di fare i consulenti per i gestori privati. Dove le sanzioni sono diventate ridicole e/o inesistenti.
OVVERO, A FRONTE DI MORTI E DISASTRI RIPETUTI, PARTITI E PARLAMENTO HANNO DELIBERATO L’ IMPUNITA’ ZERO !
Seguiremo passo passo questa vicenda, affinché non si chiuda con un nulla di fatto.
Siamo altrettanto preoccupati per la famelicità dell’Enel, dei partiti e degli imprenditori nazionali/locali, che pur di realizzare impianti inutili e dannosi – di muovere ingenti somme e relative mazzette – non esiterebbero a candidare il territorio che va da Civitavecchia a Montalto di Castro quali località per le centrali nucleari, con tutto il carico di morti , di disgrazie e di tumorati al presente e per le future generazioni.
VANNO SMASCHERATI SUBITO; GLI VA IMPEDITO DI NUOCERE ANCORA !!
A breve , il 26 aprile, ricorre il 24° anniversario del disastro nucleare di Cernobyl – che ha causato decine di migliaia di morti in Ucraina-Russia-Bielorussia…..Polonia-Cekia-Slovacchia,Bulgaria, Romania,…… Austria, Slovenia, Germania,Italia – sarà l’occasione per tornare a Montalto il 24 aprile , con una staffetta da Civitavecchia a Montalto per gridare “ basta con l’energia padrona , morti sul lavoro e nucleare, mai più”
Roma 7 aprile 2010
Cobas Energia/ Cobas Lavoro Privato – Coordinamento Antinucleare “ salute,ambiente,energia”
Ancora assassinii nella centrale di Civitavecchia
Mentre prepariamo coratelle e carciofi, mentre si “brodetta” l’abbacchio e bollono le uova…
ci sono passata proprio l’altro ieri. Guidavo e ho rallentato, come sempre, nel passarle accanto. Venendo da Nord già raccontavo al mio cucciolo di Montalto, spiegavamo ai suoi occhietti curiosi e allegri quale mostro poteva diventare quel mostro che aveva davanti.
Dopo un po’ di km ecco altre ciminiere, le strisce in cielo: il sole era già tramontato.
La centrale di Civitavecchia fa più paura di notte, con tutte quelle luci a delineare il suo scheletro spaventoso.
Nemmeno poche ore dopo eccoci ancora a parlare di assassinii sul lavoro, ancora una volta al di là di quei cancelli…l’impianto Enelgreenpower del Gruppo Enel.
Una fuga d’ammoniaca, per quel poco che si sa ora, che ha causato la morte istantanea di un operaio e il ferimento di altri tre.
Aveva 33 anni, per ora non sappiamo altro, se non che era dipendente di una ditta esterna. Tanto per cambiare.
Una storia sentita già troppe volte…
é successo meno di 3 ore fa…proverò ad aggiornare.
Altro che anni di piombo, sono stati “anni d’amianto”
Eternit, una storia di profitto sanguinario e nocività sociale del capitalismo: 3 mila vittime sino ad ora accertate. Solo la punta dell’iceberg. 2200 decedute. 700 malati terminali. Oltre 5 mila le parti lese. La strage del capitalismo che obbliga a riscrivere la storia del dopoguerra
di Paolo Persichetti, Liberazione 11 dicembre 2009
L’amianto è stata la più aggressiva sostanza cancerogena del ‘900. Non hanno dubbi gli esperti quando si riferiscono a questo minerale a struttura fibrosa. In natura ne esistono circa una trentina, ricavati da particolari trattamenti cui vengono sottoposte alcune rocce madri presenti nel sottosuolo italiano. Le miniere europee più importanti si trovano, infatti, in Grecia e in Italia. Se respirate le polveri d’asbesto (altra denominazione chimica dell’amianto, dal greco amiantos: incorruttibile) possono provocare malattie irreversibili e tumori all’apparato respiratorio. A questa sostanza si devono oltre la metà dei tumori per cause di lavoro. Le conseguenze possono manifestarsi anche a distanza di 30-40 anni dalla esposizione. Soltanto oggi sta emergendo il numero reale dei lavoratori contaminati direttamente nelle manifatture e nei cantieri navali nel corso degli anni ’60 e ’70, o degli abitanti di zone limitrofe alle fabbriche che producevano questa sostanza. Messo fuori legge soltanto nel 1992, in Italia l’amianto è stato impiegato fino a tutti gli anni ’80 per produrre un composto miscelato al cemento, brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Haatschek, e denominato commercialmente Eternit, dal latino aeternitas. Utilizzato per coibentare edifici, tetti, navi, treni, impiegato nell’edilizia e come componente ignifuga in tute, vernici, parti meccaniche delle auto e altro, l’Eternit è ancora oggi presente. Oltre ad aver contaminato l’ambiente ha devastato la vita dei lavoratori delle quattro aziende italiane in cui era prodotto: Casale Monferrato e Cavagnolo in Piemonte; Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli. Attorno alla ex Saca di Cavagnolo, l’erba ancora oggi appare striata di bianco. Il «disastro doloso» dell’Eternit non si è per nulla prescritto.
Una imponente pubblicistica ci ha abituato definire quell’epoca «anni di piombo», in ragione dello scontro sociale giunto fino alle armi che traversò le strade e le piazze italiane. In realtà molto più cupi e drammatici furono gli effetti degli anni d’amianto. Emblema della nocività sul lavoro, della cinica logica del profitto che muove (come accadde con la diossina fuoriuscita a Seveso e ancora oggi con la Thyssenkrupp) chi sta ai vertici delle aziende, e già allora «sapeva ed era consapevole dei rischi. Ma non ha mai fatto niente, non ha mai speso nulla per evitare gli incidenti e le stragi» (parole del procuratore Raffaele Guariniello). Nella sola zona di Alessandria si parla di almeno 1600 morti. In realtà la cifra complessiva fino ad ora accertata su tutti i siti interessati raggiunge quasi 2200 decessi, a cui devono aggiungersi 700 malati terminali. Nel processo ai vertici degli stabilimenti, il miliardario svizzero Stephan Schmideiny, 61 anni, titolare dell’azienda dal ’73 all’86, che oggi sostiene di essersi convertito nell’ambientalismo, e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, 88 anni, le parti lese citate nei capi d’accusa (inosservanza volontaria delle norme di sicurezza sul lavoro e disastro ambientale) sono quasi 2900, ma potrebbero arrivare fino a 5700. 700 le parti civili già costituite. Il dibattimento ha preso avvio ieri a Torino davanti a delegazioni d’avvocati (almeno 150 tra titolari e collaboratori) e 110 giornalisti accreditati provenienti da mezza Europa, associazioni, sindacati, ed enti. Per accogliere l’enorme numero di partecipanti sono state messe a disposizione diverse maxi aule collegate tra loro in video conferenza. Al vaglio della udienza essenzialmente questioni tecniche e preliminari, come la dichiarazione di contumacia degli imputati, o l’esame delle parti civili. Anche se assente in aula, il magnate della Eternit, Stephan Schmideiny, è difeso da una squadra di 26 legali: il professor Astolfo Di Amato del foro di Roma e il milanese Guido Carlo Alleva in aula, tutti gli altri nelle retrovie. L’offerta di risarcimento avanzata in precedenza è stata rifiutata dalle parti lese. Il risarcimento riguardava soltanto una parte di queste: chi tra gli ex dipendenti (60 mila euro a testa), e i cittadini di Casale Monferrato (30 mila a testa), avesse contratto un’invalidità permanente superiore al 30%, derivante da asbestosi, escludendo con ciò altre patologie broncopolmonari derivate sempre da contaminazione con amianto.
All’esterno del tribunale sono confluiti i partecipanti al corteo indetto dalla Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, mobilitati anche per la concomitanza con il secondo anniversario del rogo della Thyssenkrupp. Presenti delegazioni di lavoratori della Eternit di Svizzera, Francia e Belgio. Su uno striscione dei minatori francesi si poteva leggere, «Un solo essere umano vale più di tutto l’amianto e il profitto del mondo».
Diego Bianchina, 31 anni, operaio: ucciso sul lavoro
TERNI 2 DICEMBRE ’09, ORE 16,30 DA VIALE BRIN Un altro morto alla Thyssenkrupp: Diego Bianchina, 31 anni, operaio. Ieri 1° dicembre a quasi due anni dal tragico anniversario della strage alla Thyssenkrupp di Torino è morto a Terni un giovane operaio di 31 anni, intossicato dalle esalazioni di acido cloridrico. Per questo l’assemblea spontanea e autorganizzata degli operai propone un corteo che parta nel pomeriggio di oggi, alle ore 16:30, dai cancelli della fabbrica in viale Brin ed attraversi il centro cittadino. Ø Chiediamo ai lavoratori, ai cittadini, agli studenti, alle forze sociali, politiche e sindacali, alle associazioni di partecipare attivamente alla riuscita della manifestazione. INVITIAMO TUTTI A TROVARSI DAVANTI ALLA FABBRICA ALLE 16:30 PERCHE’ NON AVVENGA ANCORA L’Assemblea spontanea ed autorganizzata degli operai della TK-AST |
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