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A Giorgio Frau, da Oreste


In morte di Giorgio Frau, di Oreste Scalzone

Succede ormai, sempre più spesso – cadenza accelerata di un addìo dopo l’altro, un mondo che ogni volta finisce, « gli occhî d’un uomo che muore ».
Ogni morte è una fine-di-mondo, fine del mondo in senso proprio, che si consuma per chi muore. E ogni persona morta, è uno squilibrarsi del resto, resto-del-mondo, sbilanciamento del paradigma, mutazione irreversibile dello ‘stato delle cose’, buco di vuoto che si produce, e conseguente effetto-vuoto d’aria, tutto ciò che vi si precipita…
Così come avviene per la pietra lanciata in uno stagno, o il battito d’ali di una farfalla in Amazzonia dei due esempî celebri, l’onda d’urto si propaga come per cerchî che si allargano de-centricamente nell’acqua « fino ai confini dell’universo ». ”Storicamente”.
Materialmente. Realmente.foto

‘Stavolta : eravamo rimasti folgorati Lucia ed io, dalla notizia – data dai telegionali di un mezzogiorno di qualche giorno fa – di una di quelle tragedie che avvengono periodicamente, che si sono ripetute in questi anni e che hanno riguardato come ‘comunità di destino’ questa nostra detta « generazione degli anni di piombo ».
Dove le morti, d’ogni tipo e per cause diverse, vanno cadendo con ritmo assai più accelerato che la statistica ”media sociale” (così come per l’ « aspettativa di vita », o « speranza », talmente censitaria che lì si vede (e si potrebbe sbattere in faccia a tutti i decerebrati e decerebranti pifferaî dello spirito del tempo), cosa vuol dire «classe » e che cos’è, ‘bio/tanato-politicamente’…).

Un primo pomeriggio di qualche giorno fa – stavamo dicendo – dicono dunque ”dalla regìa” che la mattina, a Roma, dopo uno scontro a fuoco avvenuto nel corso di un tentativo di rapina di un furgone di trasporto di fondi, un uomo é rimaso a terra , morto.
Ci risuona nella testa il nome, Giorgio Frau. Lo abbiamo conosciuto, fa parte come tanti e tante della tessitura della nostra vita – se la vita è in gran misura fatta d’altri, in una tessitura continua di una trama comune.
Penso, a caldo, a un « vecchio ragazzo » – e in effetti, ha 56 anni appena, dieci meno di me.
Compagno, « nato » durante gli anni settanta in Lotta continua, proseguitosi poi in gruppi ”dell’ autonomia”, più tardi, dopo ‘avventure’ diverse, fughe, ”esilî”, aderente ad un degli ultimi frammenti delle Brigate Rosse.
E poi, vita dentro o sul limitare della galera, scelte e necessità…
Ne avevamo incrociato il destino trent’anni fa. Nei primi anni ’80, con due altri suoi compagni/amici (potevano dirsi ”ragazzini”, allora…) anche loro inquisiti e braccati dall’apparato penale dello Stato Italiano, come tant’altri uomini e donne era riparato in Francia. Pur non puntando a utilizzare la definizione di « terre d’asile », avevano cercato un momentaneo rifugio, quantomeno per ‘tirare il fiato’.
Arrestati dopo qualche tempo per lievi reati, difesi dai nostri avvocati e sostenuti dalla solidarità di noialtri
della divisa, e ”morale provvisoria”, del « per tutti e ciascuno!», linea di condotta, punto di vista e traccia etica di base, con le correlate ‘pratiche di solidarietà concreta’, dopo qualche mese di detenzione erano usciti e avevano potuto restare, precariamente come tutti, in Francia, in condizione di ”accoglienza”, rifugio e asilo di fatto, presenza ‘tollerata’. A poco a poco erano usciti dal ‘giro’, dalle frequentazioni quotidiane della ”rifugiaterìa”.

Un giorno della fine anni 80/inizio 90, il pugno nello nstomaco anche allora a mezzo mass-mediatico della ‘caduta’ di Giorgio in Spagna. Quello che è seguito è noto : gli anni di galera lì, poi ancora la prigione in Italia ; e poi semi-libertà, ri-‘cadute’… ancora anni di galera …, e poi di nuovo semi-libertà (ossia, come per il bicchiere mezzo pieno mezzo vuoto, semi-prigionìa), con i corollarî di lavoro precario, vita difficile, che non sfugge ad una cappa di ulteriore durezza, infelicità a oltranza. Sempre – con tutta evidenza – una silenziosa fedeltà alle passioni, sogni, affetti, necessità e scelte dei suoi anni verdi.
Incontrandolo di recente a una manifestazione – non so più dove…, anzi ora sì, ma non é tanto importante qui data luogo situazione – e abbracciandolo, avevo notato ancora (non voglio toccare corde sentimentali, è che é così) gli occhi tristi
ridenti, occhi ”ossimori” di sorriso e allegrìa tristi. Non spiaccia ad alcuno/o (ma…, siamo ribelli e sovversivi, critici radicali, mica ”cattivisti”, più di quanto non siamo ”buonisti”…) l’immagine che segue : « il gh’aveva deu oecc’ de bun » (si perdoni l’ortografia…), ”aveva due occhî da buono”, come dice « Il purtava ‘i scarp’ de tenis »,la canzone di Jannacci.
Occhî, potrei dire, come tra il sognante, l’estenuato e un fondo di spavento – forse uno legge ciò che proietta lui, ma mi sembrava una specie di sgomento per questo mondo in cui si oscilla tra la prospettiva di « una fine spaventosa », « uno spavento senza fine » o entrambi gli scenarî in sequenza. Mondo, dove l’inerziale risultante delle dinamiche sistemiche, nonché l’insieme di ”quelli che comandano, utilizzano, capitalizzano, hanno potere di vita e di morte, decretano, decidono ‘passati presenti futuri’; quelli che ”vampirizzano” la potenza, « potenza di persistere nel proprio essere », forza-lavoro intelligenza cooperante, energia, « disperata vitalità » ;
quelli che presuppongono e icessantemente riproducono a-nomia, base di eteronomizzazione e a-tomizzazione, inibendo in radice (e comunque confiscandone ogni tentativo) capacità di comunanza, comune autonomia, interazione di singolarità differenti, tessitura di una trama comune di libera convivenza”, riducono schiaccianti maggioranze a pensare più facilmente « la fine del mondo che la fine del capitalismo », della Cosmo-macchina risultante, oggi esistente e in corso d’opera…

Of course, tutta la « sciacallerìa » (dal significato, in metafora, della parola ”sciacallo” nel linguaggio corrente), saremmo indotti a dire, più ancora che degli stessi « inquirenti/inquisitori », della propaganda di guerra per via mass-mediatica, dominata da lettura « conspirazionista » dei fatti e delle cose – della vita intera – , si era gia messa a ”macinare”…
Bisognerà – ancora una volta e forse un’ultima, chee valga come se ‘una volta per tutte–, mettere i piedi nel piatto, contrapporre, rispondere, introdurre dei ragionamenti in rapporto a questa ferocia, a questa, più ancora che « violenza », stolida crudeltà…
Stigmatizzano l’inimicizia (quando essa incarna la parte, il fronte di guerra sociale ”dal basso verso gli alti”, e quello che mettono al posto e chiamano « pace civile » &ccetera &ccetera… mettono, se è per questo, una nuvola di malanimo, risentimento, sprezzo misantropo e altre passioni tristi, invidia [della vita], tutto quanto insomma intesse il paradosso che qualcuno ha detto « della rivolta dei ricchi contro i poveri » (nonché, ovviamente, l’esser rotti ad ogni crimine
nella concorrenza [mimetica] a morte all’interno del ”loro mondo»…).

Ci sarebbe molto da dire (anche a certi Soloni che avvelenano i dibattiti nella rete, prendendosi per detentori della ”verità vera”, dello ‘spirito della Giusta Linea…). Come si usa dire, un po’ consentendosi il sogno, ”dormi, vola, riposa…, che la terra ti sia lieve…”.

Riscritto (potuto riscrivere, forse fuori tempo massimo,nella ‘dannazione’, anche, dell’ intempestivo)
oggi, 8 marzo 2013, a Parigi,
da Oreste (Scalzone)

LINK:
A GIORGIO FRAU, ucciso ieri
L’ultimo saluto a Giorgio

  1. alfredo simone
    8 marzo 2013 alle 16:23

    Giorgio Frau è uno dei tanti compagni che non ho conosciuto e di cui non conosco il percorso conclusosi drammaticamente sull’asfalto di una strada romana. Istintivamente ,è scattato in me un moto di solidarietà e mi è riaffiorata alla mente una canzone di Alessio Lega, “Tolleranza zero”, libera versione di un brano del cantautore francese Renaud, “Les charognards”. Sempre e comunque dalla parte di chi lotta per un mondo liberato dalla schiavitù capitalista. Alfredo

    Le tre del pomeriggio, Monte Napoleone
    ho troppo gente intorno per esser solo un uomo
    ho un buco nella pancia e un altro nel polmone
    son vissuto a Lambrate e crepo in piazza Duomo

    Vedo l’Italia intera che viene a far cordone
    mentre il mio sangue gela e già cala il sipario
    ho solo sguardi ostili come estrema unzione
    e l’idiozia comune come unico sudario

    Sei solo un farabutto te lo sei meritato
    non porteremo il lutto, sei solo un disperato

    Il bottegaio in fondo ha mollato il bancone
    per vomitar sentenze sul mio sangue gelato
    “Io non sono razzista” dice “ma quest’emigrazione
    dove ci son stranieri ci sta sempre un reato”

    “Signori, io son stato sul fronte d’Albania”
    sbraita un vecchio stronzo che è arrivato adesso
    “Parlare coi selvaggi è solo una pazzia
    bisogna sparar prima e poi buttarli nel cesso”

    Son solo farabutti, se lo son meritato
    c’è da spararli tutti, non da sprecare il fiato

    Ci son due punkabbestia che rischiano il linciaggio
    continuando a dire la polizia assassina
    che siamo esseri umani, che lo Stato è il selvaggio
    che è una condanna a morte questa carneficina

    “E se fosse tua madre ad esser derubata?”
    dice un impiegato, buon padre di famiglia,
    “E se fosse tuo figlio sdraiato sul selciato
    se a essere sparata ci fosse lì tua figlia?”

    Non solo farabutti, non solo disgraziati
    possiamo essere tutti, per strada, lì, sparati

    E il signor mangiapolenta sta ancora lì a sbroccare
    dicendo che la morte che ho avuto è troppo poco
    che sono fortunato di stare lì a crepare
    se all’inferno lo incontro gli insegnerò un bel gioco

    Non son certo un eroe e non mi piango addosso
    se penso al mio compagno che lui è solo ferito
    io quasi preferisco il mio futuro fosso
    ai giorni tutti uguali di chi sta incarcerato

    Ma è solo un farabutto, se lo è pur meritato
    se si è giocato tutto è proprio un disperato

    Avrà diciassette anni questa ragazza in pianti
    che vede steso a terra soltanto un uomo morto
    e che sia degli sbirri o che sia dei briganti
    come se qualche pianto mi desse riconforto

    Le tre del pomeriggio, Monte Napoleone
    il sangue scorre a fiumi e intanto io mi gelo
    qui giace il mio bisogno di aver qualche milione
    ho milioni di stelle in fondo a questo cielo.

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  2. Fiamma Schiavi
    11 marzo 2013 alle 13:00

    Ciao Giorgio. Ho sgranato il mio rosario. Ogni grano porta il nome di un compagno morto ed un’imprecazione Al posto della croce ho messo una promessa: non cederò alla disperazione come loro vogliono:MAI!

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  1. 8 marzo 2013 alle 18:56

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