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Genova 2001: contribuiamo alle spese

15 ottobre 2012 2 commenti

Alla fine di luglio scorso avevamo dichiarato di voler continuare la campagna 10×100.

FAGIOLINO LIBERO!
MARINA LIBERA!
LIBERTA’ PER TUTTE e TUTTI

Non solo perché i processi non sono finiti ma anche perché siamo convinte e convinti che solo così potremo mantenere viva la nostra memoria sulle giornate di Genova e imparare da oggi in poi a fare fronte alle vicende giudiziare con la solidarietà e la forza che attraverso il web ci avete dimostrato.

Se un compagno e una compagna sono oggi in carcere, presto riprenderà il processo per i cinque che dovranno tornare in appello, un altro capitolo della storia giudiziaria di Genova che sta per riaprirsi.

Le spese totali dei processi ad oggi ammontano a circa 80 mila euro, cifra destinata a crescere con l’imminente ripresa dell’appello. Una cifra insostenibile per chiunque di noi, che eravamo lì nel 2001.

Insostenibile perché mette una ipoteca sulla vita delle persone, che si aggiunge alle misure detentive.

Pensiamo che sia importante far sentire la forza dei 300 mila che erano a Genova sostenendo le spese legali delle e degli imputati, per questo invitiamo tutte e tutti a sottoscrivere attraverso il sito di supporto legale www.supportolegale.org, o direttamente qui http://www.buonacausa.org/genovag8,
per far sentire a tutte e tutti la nostra solidarietà.

Se riusciamo a versare tutti anche un simbolico euro, riusciremo a coprire le spese che gli imputati si trovano a sostenere da soli.
Altrimenti no.

Vorremmo poi, che la campagna diventasse uno strumento per ragionare su quanto accade nelle piazze e sul reato di “devastazione e saccheggio”, su cosa significhi per lo Stato e i suoi apparati il termine “ordine pubblico”, quello stesso ordine pubblico che i 10 imputati per Genova 2001 avrebbero turbato.

E’ tempo, pensiamo, di capire da che parte stare..
se dalla parte di chi ruba nei supermercati o rompe i bancomat delle banche o dalla parte di chi le costruisce.

La campagna 10×100

www.10×100.it
info@10×100.it

Per scrivere ad Alberto :Alberto Funaro, Casa Circondariale Capanne, Via Pievaiola 252, 06132 Perugia
Per scrivere a Marina : Marina Cugnaschi c/o Seconda Casa Di Reclusione Di Milano – Bollate, Via Cristina Belgioioso 120,  20157 Milano (MI)

Dal Messico, per i prigionieri
Gli ostaggi iniziano ad entrare in cella
Le ragioni di una campagna
A poche ore dalla sentenza Diaz e “devastazione e saccheggio”

Dal Messico, per Alberto e tutti i prigioneri

10 ottobre 2012 1 commento

Ho un amico che si chiama Alberto che sta in galera
Ho un amico che si chiama Alberto che sta in galera
Alberto l’hanno rinchiuso perchè s’è ribellato a un ordine ingiusto e cieco
Alberto sta pagando un caro prezzo per difendere la potenza dei nostri sogni
Alberto ha gli occhi scuri e profondi e una scintilla s’accende veloce quando parliamo di resistenza
Alberto ha sempre odiato il carcere, giorno dopo giorno
Alberto quando l’hanno arrestato l’hanno torturato, l’hanno umiliato…

…l’hanno braccato decine di agenti e l’hanno costretto a camminare solo verso la cella

Il potere, per accanirsi contro Alberto, ha montato un processo farsa e l’ha condannato a marcire in galera per troppi, troppi anni…
Una sentenza spropositata per un capro espiatorio, una infame vendetta di Stato
Fanno pagare ad Alberto le lotte di tutti e tutte…
…vogliono così intimorire la gente, farla rassegnare al presente perpetuo del capitalismo.
Alberto è uno, nessuno, è trecentomila.
Alberto è uno, nessuno, è trecentomila.
Alberto è un indigeno tzotzil del Chiapas
Alberto è un libertario romano

Nel Chiapas della guerra permanente e dei massacri contro gli indigeni, Alberto Patishtán Gomez, detto el profe, è stato condannato a 60 anni accusato di un’imboscata contro sei poliziotti… Nell’Italietta dell’ipocrisia e della precarietà Alberto Funaro, er fagiolino, viene condannato a dieci anni per resistere nella Genova della guerra di strada, combattuta metro per metro contro 20,000 agenti. Nel Chiapas della rivoluzione zapatista e dei villaggi autonomi in resistenza, Alberto Patishtán è un ostaggio del Potere che non tace, che denuncia, che tesse reti ribelli nelle galere…
Nell’Italia dei territori in resistenza Alberto è dentro per una passione, quella passione che fa anche della cella una trincea, una passione che quando si contagia fa tremare il potere. Quando i governi dispiegano i loro sbirri a difesa di se stessi, si somigliano ancora di più. Ma non c’è oceano, non c’è latitudine, non c’è frontiera… non ci sono argini e dighe che tengano quando le resistenze si conoscono, confluiscono e formano la grande mareggiata che, goccia dopo goccia, li sommergerà.
Abbiamo scelto di parlare di Alberto, dei nostri Alberto, ma avremmo potuto usare migliaia di altri nomi. Non solo per parlare della vendetta di Stato su Genova, che comunque c’ha scosso anche qui in Messico, o per parlare della guerra a bassa intensità che si combatte in Chiapas e miete vittime…

Gli ostaggi in mano del potere sono ovunque e tutti patiscono i rigori di un regime punitivo e insesato chiamato GALERA. Una condizione di costrizione dei corpi e incasellamento delle menti che trova il suo corrispettivo nel disciplinamento globale della società: eserciti che pattugliano per le strade, frontiere chiuse ai migranti di ogniddove, impunità garantita ai corpi di polizia, leggi speciali a difesa dell’accumulazione di capitale.

Per questo salutiamo Alberto Patishtán e Alberto Funaro, ma anche tutti gli altri e le altre compagne schiacciate fra le umide pareti della prigione: salutiamo, fra i tanti, i 5000 prigionieri politici in Palestina, le centinaia di baschi e basche condannate come terroristi per difendere in un lembo di terra a ridosso dei Pirenei, i guerrieri Mapuche che – irriducibili – pagano con sentenze secolari la difesa dei loro boschi, gli anarchici sequestrati da ogni Stato del pianeta, le centianaia di egiziani ed egiziane, fiori strappati alla primavera araba… gli attivisti e le attiviste perseguitati per occupare ed esigere case. Salutiamo inoltre i migranti di qualsiasi terra, cacciati da qualsiasi governo e incarcerati negli infernali CIE costruiti lungo quelle cicatrici che dividono il mondo in Stati…

E in questo spazio di riflessione, di libertà e di memoria ricordiamo chi in galera è morto. Perchè di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva.

E ricordiamo la dignità di una donna, di una compagna, una nostra compagna.
Occhi blu imprigionati per 18 di anni, occhi di una donna che non ha mai smesso di essere quello che era: semplicemente una donna, incredibilmente una donna. Guerriera, compagna, madre, sorella, amica. Franca Salerno è viva nello scontro quotidiano contro la barbarie della galera, pattumiera della società patriarcale, verticale, colonialista, capitalista. Una lotta che è la stessa che suo figlio, con noi, ha animato contro la precarietà, contro le guerre imperialiste, per il diritto all’abitare: Antonio e i suoi occhi blu. Che il mare vi culli, una madre e un figlio. Uniti nella rabbia e nell’amore.

L’ultimo abbraccio – amici, sorelle, compagni e passanti – lo diamo insieme a voi a chi ci ha portato qui: Renato. Ci sono buone ragioni per continuare a lottare, buone ragioni per rischiare anche la galera… sono le stesse che fanno la vita meravigliosa: la solidarietà, la giustizia, l’amore, il calore di un sorriso e di un abbraccio. Le stesse ragioni che hanno fatto di Renato – il nostro Renato – un ricordo vivo, collettivo e indimenticabile.

Con tutto il bene dell’anima, dal Messico

Fazio e Nina