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Al nostro piccolo Ginseng, che ci ha lasciato con un gran vuoto

24 febbraio 2015 3 commenti

La prima volta che sono entrata in quella stanza il cuore mi batteva forte.
Tiravano mio figlio fuori da un’incubatrice da trasporto dove appariva enorme rispetto alla prima volta che ci era entrato, quasi sei mesi prima.
Iniziava un viaggio nuovo che non sapevo come affrontare: da un reparto intensivo dove potevo vederlo solo qualche ora al giorno ad una grande stanza divisa tra tre famiglie, che sarebbe stata la mia cuccia per un lungo e rivoluzionario semestre, notte e giorno. Entrando in stanza notai subito lui (che chiamerò Cheng).

Cheng sembrava guardarmi, io avevo paura a guardare lui.
Avevo visto solo scriccioli, minuscoli scriccioli delle terapie intensive neonatali, che anche nelle situazioni peggiori sembrano sani e perfetti: approdavo in un reparto dove basta uno sguardo distratto e da lontano per capire quanto la natura sia strana, diversa, infame. Ancora ero inesperta, ancora non sapevo, ancora il mio sguardo faceva fatica a poggiare su una disabilità così manifesta, deformante, totale.

Cheng sembrava guardarmi, sembrava infastidito dal trambusto degli ambulanzieri che salutavano riportandosi via quella cosa orrenda che è un’incubatrice da trasporto, sembrava infastidito da noi, nuova famiglia ad occupare un letto che era stato liberato poche ore prima.
Finalmente.
Cheng era un bimbo strano: un bimbo con una patologia genetica mai capita veramente. Come il mio bambino respirava attraverso una tracheostomia e mangiava con la gastrostomia. Aveva un visetto tondo e grande, un mix dei suoi lineamenti asiatici e delle strane ignote malformazioni che lo avevano colpito dal momento del suo concepimento.
Cheng non aveva una mamma accanto a lui: era un bimbo abbandonato come se ne incontrano diversi.
Un bambino abbandonato ma mai solo: intorno a lui c’era sempre qualcuno, sempre coccole, sempre regali, sempre bagni profumati e cambi soffici, terapiste e piccole passeggiate con i volontari.
Cheng era un po’ il nostro cucciolo, Cheng per me è stato un grande amico.

Cheng mi ha insegnato quali sono i rumori della notte per una mamma di un bimbo trachestomizzato,
Cheng mi ha insegnato che si può essere sordi e ciechi ma vedere e sentire tutto,
Cheng mi ha insegnato che non si deve smettere di parlare con i sordi,
Cheng mi ha insegnato che anche da ciechi si può avere una mira incredibile (che gran campione di sputi sei stato!)
Cheng mi ha insegnato che sì, la faccia può rimanere imbronciata anche per sempre.

Buon volo, piccolo calabrone adorato. Secondo alcuni autorevoli testi di tecnica aeronautica, il calabrone non può volare a causa della forma e del peso del proprio corpo, in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare. Igor Ivanovič Sikorskij

Cheng aveva trovato una nuova mamma,
malgrado le malformazioni, malgrado la genetica, malgrado la ormai quasi costante ventilazion meccanica.
Cheng ha preso un aereo, ha conosciuto una casa e un’isola che l’ha accolto,
Cheng è riuscito ad uscire da lì e non da solo.

E mi mancherà.
Sapere che non c’è più mi lascia il vuoto, anche se la sua era una vita che è difficile definir vita.
Io gli sono grata per tante cose, e sempre ti porterò nel cuore piccolo Ginseng della neuro.
Quando sei partito con la tua nuova famiglia io era abbracciata a quella vecchia,il reparto di neuroriabilitazione che per molto è stato casa tua e anche madre. Tra le lacrime di chi ti salutava emozionato c’ero anche io… Sapere che non ci sei più mi spacca il cuore in due.

Nel tuo nuovo viaggio non ci saranno tracheostomie ne solitudine, non sentirai quel cazzo di rumore quando ti staccavi il ventilatore, nessuno rischierà uno dei tuoi sputazzi straordinari. Ti ho voluto un gran bene piccolo grande combattente imbronciato e te ne vorrò sempre.
Mi hai insegnato tante cose che mi permettono ogni giorno di lottare. Lasci il vuoto dentro a tante che ti han fatto da mamma al posto della tua… Ora impara a respirare bene eh. Mi raccomando….

LEGGI:
Il cuore di un bimbo di 2kg, dimesso troppo presto
Il monitor
Il pianto neurologico
La mozzarella che portò via il sorriso
Gianicolo e desideri
La caduta degli angeli
Verso il ritorno
Calabroni in neuroriabilitazione
Imparare a contare
Lettera di un papà ad un bimbo nato due volte

Il morso che portò via il sorriso e i colori…

26 giugno 2014 4 commenti

Amo la mozzarella, la mangio socchiudendo gli occhi come fosse un piccolo orgasmo ad ogni suo sfiorare le mie papille gustative:
è una delle poche cose che nei mesi all’estero mi mancava di casa. Le sue varie consistenze, il gioco di sapori, la goccia che cerchi di non far scappare…
poi nella vita ho incontrato due mozzarelle che han cambiato tutto.

Ora la mangio lo stesso, ma ogni volta che il mio occhio si sta per socchiudere godurioso penso a Giulio e Patrizia e l’orgasmo si blocca prima di partire,
godo del sapore in modo un po’ più gelido, il mio corpo non vibra come aveva sempre fatto al sol pensiero di quel latte.
Ora nell’assaggio sento il pianto di Giulio, ora nell’assaggio vedo Patrizia che arriva sul suo passeggino posturale e la sua lingua sempre fuori e rigida, portata da una delle sue sorelle…
Giulio e Patrizia erano due bimbi sani di un po’ meno di due anni, entrambi, (vi ho già detto che nei reparti di neuroriabilitazione pediatrica incontri quasi sempre bimbi che eran nati sani, che fino ad un qualcosa accaduto, erano bimbi sorrisi corse manine baci parole suoni gioia) … Giulio e Patrizia erano semplicemente in vacanza, con le loro famiglie, lontani da casa, la scorsa estate.
Giulio e Patrizia avranno provato quella mia stessa goduria nell’assaggiar quella mozzarella forse, magari si saranno messi il ditino sulla guancia per dire quanto era buona, avranno fatto uscire qualche consonante confusa per tentare di averne ancora.

Peccato che lo scorso anno in puglia c’è stata un’epidemia di Escherichiacoli (LEGGI) ,
peccato che quel morso di mozzarella qualche giorno dopo avrebbe cambiato la vita di tutti,
avrebbe tolto a loro la possibilità di muovere il loro corpo, di parlare e riconoscere la propria mamma.
Un morso e niente più voci, niente più sorrisi, niente più gambe che iniziano a correre: vi descrivo quel che si perde, quel che han “acquistato” ve lo risparmio…
Quel maledetto batterio ha attaccato i loro reni e poi è salito fin dove ha potuto.
E ancora se ci penso parole non ne ho per dirvi quel che si prova a sentire questi racconti, a viverci accanto, a vederli crescere vicino a te, che se sei lì vuol dire che qualche altra incudine dal cielo ti si è sfranta in testa (in quella di tuo figlio, che è peggio)…
quando mangio la mozzarella penso che è riuscita anche a mangiarsi un nervo ottico, che ha tolto i colori,
che non ha tolto la vita per un soffio ma l’ha lasciata amputata e dolorante, che ha storto tendini muscoli vita

E allora odio tutto,
odio quel batterio maledetto,
odio chi mi ha dato un figlio di 2 kg, senza la minima coscenza,
odio quella macchina che ha preso in pieno Rudy,
odio la morte che ogni tanto si scorda che potrebbe essere un favore,
odio la vita che quando vuole sa essere proprio infame,
odio il vostro Dio perchè è cattivo,
perchè loro dovevano continuare a sorridere, perché la voce di mio figlio era bellissima e mi manca.
Perchè mi mancano tutte le mamme che ho incontrato e le vorrei stringere tutte. Ora.

La disabilità è una montagna impervia tutta da scalare,
con un predatore che ti insegue affamato: quindi va scalata per forza.
Gambe in spalla, bava sempre presente, continuo a scalare e vi porto tutti dentro,
in un amore infinito.

Maledetta mozzarella maledetta.
Maledetta fretta di dimissioni. Siete tanti ad esser maledetti.

(i nomi son tutti inventati)

Pillole nosocomiali:
Il monitor
Il pianto neurologico
La caduta degli angeli
Gianicolo e desideri
Verso il ritorno
Calabroni in neuroriabilitazione

Diario haitiano: la prima puntata

9 dicembre 2010 2 commenti

Qua e là scriverà il caro Michele, ma io aggiornerò questo blog ogni volta che mi invierà pezzi del suo “diario di bordo”.
Sì dai, proviamo a chiamarlo così, perchè quando si “naviga” per la prima volta in “mari” come quello che può esser in questo periodo l’universo Haiti le giornate fuggono veloci ed emozionanti, i brividi rendono spezzettata la capacità di ordinare i racconti, la voglia di non perdersi nulla rende la quotidianità affannosa e stancante (so’ invidiosa, è palese!)
Magari ci proverò io al posto suo a tenere ordinate le pagine di un racconto, che per qualche settimana ci parlerà di Haiti dopo un anno dal terremoto, Haiti dopo la devastante alluvione, Haiti con l’epidemia di colera, Haiti e i suoi scontri -iniziati solo ieri- del post elezioni.
A Port-au-Prince e ovunque metterai piede, con te!

QUI: Seconda e Terza puntata.

La rivolta di Haiti, per i risultati delle elezioni…
di Michele Vollaro, da Port-au-Prince

Photo by Spencer Platt/Getty Images

La rabbia degli haitiani è scoppiata ieri sera, subito dopo l’annuncio dei risultati elettorali. Quello che tutti a Port-au-Prince e nelle altre città di Haiti temevano si è purtroppo concretizzato: Jude Celestin, il candidato del partito del presidente Preval ‘Inite’ (Unità in creolo) è stato ammesso al ballottaggio con il 22% dei voti insieme alla costituzionalista Mirlande Manigat, che avrebbe ottenuto il 31% delle preferenze. Escluso per poco meno di 7000 voti il cantante Michel Martelly, che nei giorni scorsi aveva affermato che non avrebbe mai riconosciuto una vittoria al primo turno di Celestin o di andare al ballottaggio insieme a lui.
Subito dopo l’annuncio della Commissione elettorale provvisoria (Cep), i sostenitori di Martelly hanno cominciato a erigere barricate in tutta la capitale, a cominciare dal quartiere di Petionville dove si trova la sede della Cep.
Per tutta la notte a Port-au-Prince si sono uditi spari, un vociare continuo, rulli di tamburi e le sirene della polizia. Quando è sorto il sole, dai tetti delle case poste più in collina il paesaggio era quello di decine di fumi neri che si innalzavano da più punti della città, i copertoni che bruciano nelle barricate erette nelle strade. Di quando in quando echeggia il rumore di spari e l’odore acre dei copertoni bruciati e dei gas lacrimogeni lanciati dalla polizia si diffonde un po’ in tutta la città. Tutte le attività sono bloccate, mentre è fortemente consigliato restare in casa.
Stamattina la polizia ha prima disperso una manifestazione organizzata a Champs de Mars, intorno al palazzo presidenziale, la costruzione caduta su se stessa durante il terremoto del 12 gennaio e immagine simbolica del potere e dello Stato in questa repubblica. In seguito, i manifestanti si sono recati davanti la sede di ‘Inite’ appiccandovi un fuoco che ha distrutto gli uffici, mentre in tutta la città i cartelli elettorali rappresentanti Jude Celestin sono stati staccati e dati alle fiamme.
Nel primo pomeriggio il presidente Preval ha diffuso attraverso la radio nazionale un messaggio lanciando un appello alla calma.
Tuttavia, sembra che i manifestanti – diretti in un primo tempo di nuovo verso la sede della Cep a Petionville – si stiano dirigendo verso la casa del presidente, in un quartiere fuori dalla città. Voci, tutt’altro che confermate e legate molto probabilmente all’agitazione che regna in città, riferiscono addirittura che il presidente sarebbe pronto per lasciare l’isola.
Nel frattempo, notizie di manifestazioni e scontri in altre città del paese si susseguono. A Cap Haitien, nel nord, una persona sarebbe morta dopo essere stata raggiunta da un colpo di pistola e altre due ferite; a Mirabelais, da dove sarebbe partita l’epidemia di colera e dove si trova accampato il contingente di caschi blu nepalesi, almeno tre persone sarebbero rimaste ferite. Manifestazioni sono in corso anche a Gonaives, nel nord, e a Les Cayes e Jacmel, nel sud.
In una simile situazione, in cui l’ambasciata degli Stati Uniti ha affermato la sua preoccupazione “per risultati elettorali che non rispecchiano la volontà espressa dagli haitiani attraverso il loro voto”, mancano invece dichiarazioni, commenti o appello di uno qualsiasi dei 18 candidati che si sono affrontati alle elezioni presidenziali del 28 novembre.
Ed è ancora più impressionante che a scatenare la rivolta degli haitiani sia stata la comunicazione dei risultati elettorali.
Risultati con ogni probabilità frutto di brogli ed elezioni descritte da quasi tutti gli osservatori come caratterizzate da gravi irregolarità.
Elezioni che gli haitiani hanno inteso come una sorta di referendum sulle attività dell’attuale presidente Preval. Ma a undici mesi dal terremoto, metre quasi un milione e mezzo di persone vive ancora nelle tendopoli sorte un po’ ovunque nella città, in condizioni igieniche e di sicurezza inimmaginabili, costretti a usare l’acqua dei torrenti immondi che attraversano la città per lavarsi e dove la notte diventa teatro di violenze, rapimenti e stupri impuniti e impunibili, è impressionante pensare che la rivolta sia legata a un risultato elettorale, anzichè all’inumanità delle condizioni in cui le persone sono costrette a vivere.

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