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Punk, capitale,complotti e nausea…
Faticoso ogni volta ribadire come gestisco questo blog,
faticoso tentare di tenere alla larga gli arroganti, violenti, pure sessisti, ignoranti, ridicoli complottisti…faticoso anche comprendere come non abbiano nulla da fare che invadere pensieri e testi altrui, senza mai metterci la faccia,
senza mai pubblicare qualcosa di proprio, ma magari traducendo deliri da siti complottisti statunitensi, come se quello sia la rivoluzione pura, l’anticapitalismo per eccellenza.
E invece mi pare che la bandiera che con tanta arroganza sventolate, rossobruni e sinistrorsi smarriti, è proprio quella del capitalismo,
quella del peggior capitalismo, siete parte integrante del potere, felici di esserlo, partigiani armati del capitalismo, del sopruso patriarcale e “geopolitico”.
Mamma mia che noia, mi son stufata di perder tempo dietro a tutto ciò, è un blog con la nausea, che vorrebbe meno stalker e più confronti,
ma pazienza.
[Leggi: Dalle PussyRiot alla Siria, passando per un coglione]
Vi allego qui sotto l’articolo di Paolo sulle PussyRiot,
un’altra voce da leggere, dopo le tante che hanno parlato.
Per il resto, domani ci sarà la sentenza…se verranno condannate probabilmente tutti questi rivoluzionari da tastiera gioiranno,
si stringeranno al nuovo zar e ai suoi pretazzi,
invocheranno l’ordine e la disciplina.
Fuori la fica dagli altari e dalle chiese: dentro carriarmati, manette e carcerieri…
(qui altro articolo a riguardo: LEGGI)
Ribadisco, ARIAAAAA SCIOOOOO’
PUSSYRIOT: IL FEMMINISMO PUNK E L’ETICA ULTRAORTODOSSA DEL CAPITALISMO RUSSO
di Paolo Persichetti
A poco meno di 48 ore dal verdetto previsto contro le tre artiste-militanti del gruppo punk Pussy Riot, arrestate nel marzo scorso dopo una performance musicale anti-Putin messa in scena con un fulmineo blitz sull’altare della più importante cattedrale di Mosca, cresce l’attenzione internazionale sulla vicenda.
Il processo condotto davanti al tribunale di Mosca è andato avanti per alcune settimane e si è concluso lo scorso 7 agosto con una richiesta di condanna a tre anni di carcere da scontare in un circuito di minima sicurezza. L’accusa: aver commesso, con l’aggravante del gruppo organizzato, atti di vandalismo che avrebbero profondamente offeso i sentimenti religiosi della chiesa cristiano ortodossa.
Le tre ragazze, due delle quali madri di bimbi piccoli, subito dopo l’azione politico-musicale (che filmata e piazzata sul web ha fato il giro del mondo) erano riuscite ad andar via nonostante l’intervento per nulla ecumenico dei responsabili della cattedrale. Nadejda Tolokonnikova, 22 anni, Ekaterina Samoutsevitch, 29, e Maria Alekhina, 24, non erano certo alla loro prima incursione al ritmo di chitarre elettriche e pugni levati. Il collettivo femminista-ecologista aveva moltiplicato negli ultimi tempi le sue azioni anti-Putin. Il gruppo, che conta circa una decina di componenti, rivendica in pieno il carattere politico delle proprie iniziative contro la società patriarcale simbolizzata dal blocco di potere su cui poggia il dominio ininterrotto di Vladimir Putin. Nell’ottobre del 2011 avevano realizzato una serie d’azioni all’interno della metropolitana e sui tetti dei mezzi pubblici di Mosca per denunciare il maschilismo della società russa. A dicembre avevano condotto un’altra performance sul tetto di un edificio situato nelle vicinanze del commissariato nel quale era trattenuto il blogger dissidente Alexeï Navalny. Infine, il 20 gennaio otto di loro avevano intonato sulla piazza Rossa una canzone intitolata «Putin se l’è fatta addosso». Si riferivano alle grosse mobilitazioni dell’opposizione scesa in piazza contro la ricandidatura presidenziale dell’autocrate russo.
La preghiera anti-Putin
Il 21 febbraio scorso cinque componenti del collettivo sono penetrate nella cattedrale moscovita del Cristo salvatore, uno dei luoghi di culto più importanti della chiesa ortodossa, per inscenare sull’altare un Te deum, rivisitato e corretto al ritmo punk, nel quale hanno pregato la Vergine Maria di scacciare il presidente russo da poco rieletto.
Nonostante i cappucci colorati calati sul volto, i collant e i costumi sgargianti, i nomignoli impiegati per preservare l’anonimato, la polizia le ha tratte rapidamente in arresto insieme ad altre appartenenti al gruppo. Le tre donne sono state sottoposte a custodia cautelare in attesa del processo e le ripetute richieste di liberazione avanzate nel fratempo tutte respinte.
Nadejda, Ekaterina e Maria sono figure conosciute nel panorama dell’attivismo militante russo: Nadjeda è impegnata nel movimento Lgbt e fa parte insieme a Ekaterina del collettivo di artisti Voïna, mentre Maria è un’attivista ecologista. I tre anni richiesti dall’accusa sembrano aver scongiurato lo scenario peggiore, ovvero i sette anni di prigione previsti come pena massima per il reato contestato e già erogati in altri processi. Nonostante ciò tre anni di carcere per un’azione simbolica restano una pena molto pesante.
L’etica ultarortodossa del capitalismo iperliberale grande russo
La vicenda ha creato notevole scalpore in Russia suscitando per la prima volta un dibattito importante sui legami tra chiesta e potere politico postsovietico, denunciato proprio nel testo della preghiera punk cantata dentro la cattedrale («Il patriarca Goundiaïev crede in Putin/ sarebbe meglio se credesse in Dio»). Finita l’esperienza sovietica la chiesa ortodossa ha rialzato la testa ed oggi partecipa, insieme agli squali dell’accumulazione originaria che hanno preso il posto degli anziani aparachikni più scaltri sopravvissuti al cambio di sistema sociopolitico, alla grande razzia delle risorse della Russia oltre ad aver riconquistato grande influenza sul potere temporale come ai tempi del regime zarista.
Il caso ha scatenato aspre dispute sulla libertà di parola e sulla stretta relazione tra la Chiesa ortodossa russa e il Cremlino
Se è vero che la stragrande maggioranza della chiesa russa ha reagito indignata, gridando al sacrilegio e alla blasfemia, esigendo per questo una condanna esemplare contro le “tre streghe indemoniate”, è anche vero che dal suo interno altre voci hanno chiamato alla clemenza e al perdono, giudicando la pena richiesta eccessiva rispetto ai fatti commessi, privi di qualsiasi violenza o distruzione. Ciò non ha impedito che le tre ragazze fossero rappresentate in un reportage mandato in onda dalla televisione di Stato come delle streghe che hanno agito con voluta premeditazione contro i sentimenti religiosi al fine di destabilizzare la società. Alludendo, né più né meno, ad una sorta di attentato terrorista al culto.
Il problema è che le Pussy Riot con le loro provocazioni hanno messo a nudo il nervo scoperto della religione di Stato in Russia. In una lettera inviata dalla prigione numero 6, Nadejda Tolokonnikova ha scritto, ispirandosi al messianismo cristiano-pacifista della grande tradizione letteraria russa: «Non siamo delle nuove profete. Ma forse le Pussy-Riot rappresentano un segno dell’imminenza di tempi nuovi». Nel corso delle udienze le imputate hanno spiegato di aver agito con la speranza che la loro azione producesse mutamenti politici, contestando di aver voluto offendere o esprimere odio contro la religione, come invece ha sostenuto l’accusa. Sottolineando di aver voluto solo censurare l’aperto sostegno fornito dal capo della chiesa ortodossa, il Patriarca Kirill, a Putin che prima delle elezioni presidenziali del 4 marzo aveva definito i 12 anni al potere del “piccolo zar” come «un miracolo divino». Per questo motivo il legale della difesa ha chiesto la convocazione del patriarca in aula nella spreanza di spostare il processo sulla questione politica sollevata dalla denuncia delle Pussy Riot, ma il giudice che presiedeva la corte si è opposto. La magistratura non vuole mettere il naso in una questione cosi scottante.
Nelle ultime udienze, le tre imputate avevano denunciato le condizioni inaccettabili che hanno minano il loro diritto di difesa. Tenute per intere giornate senza mangiare e senza bere durante le udienze, una di loro è svenuta.
Di fronte all’ampio eco che la vicenda ha raccolto sulla stampa internazionale, molto spazio è stato dedicato al caso dal Guardian che ha pubblicato anche un’intervista esclusiva alle tre artiste-militanti, il primo ministro russo Medvedev aveva già esortato a non drammatizzare eccessivamente l’affare. Sulla stessa scia è intervenuto da Londra il presidente Putin, preoccupato per l’eccessivo clamore interno e internazionale (molti osservatori stranieri hanno seguito le udienze) di un processo che si voleva all’inizio esemplare. Pur stigmatizzando il comportamento delle ragazze, «anche se non c’è nulla di buono in quello che hanno fatto – ha detto Putin – non devono essere giudicate troppo severamente».
Madonna e Sting, lo showbiz all’inseguimento
Approfittando dei loro tour musicali in Russia sono intervenuti sulla vicenda prima Sting e poi Madonna esprimendo solidarietà e denunciando il trattamento riservato alle tre artiste detenute. Parole che hanno moltiplicato l’eco internazionale del processo e per questo indispettito Dmitri Rogozin, vice premier russo, ex inviato Onu nonchè capo della commissione militare-industriale e inviato presidenziale per la difesa antimissile e l’interazione con la Nato, che ha pensato di liquidare la signora Ciccone con un twit che le dava della «vecchia puttana in procinto di dare lezioni di morale al mondo», per poi rincarare la dose invitandola a sciogliere uno dei grandi dilemmi shakespeariani che da millenni interrogano un bel pezzo di umanità: «togliersi il crocefisso o rimettersi le mutande»? Come a dire che alla fine una delle più grandi questioni affrontate dalla filosofia e dalla teoria politica non si riduce ad altro che “una questione di peli”, come già cantava un blousmen italiano.
“L’ingerenza” – come è stata percepita dai settori più nazionalisti e ultraortodossi russi – ha scatenato momenti d’isteria collettiva con gruppi religiosi che hanno organizzato roghi delle foto della cantante originaria della Ciociaria mentre il consigliere comunale di San Pietroburgo, Vitaly Mironov, invocava una multa per violazione della legge che proibisce le dichiarazioni pubbliche pro gay – che nel frattempo Madonna aveva rilanciato dal palco di un suo concerto.
Ad alcuni non piacciono le Pussy… La sindrome del complotto
Non c’è solo la chiesa ortodossa a detestare le Pussy Riot. Anche in Europa molti hanno storto il naso gridando al complotto contro santa madre Russia, sottolineando come la rilevanza mediatica internazionale raggiunta dalla vicenda faccia parte di una guerra geopolitica giocata con armi “non convenzionali” (conflitto simbolico che, in realtà, raggiunse vette altissime nel decennio 80 del secolo scorso, quando il reaganismo cavalcò dispiegando il massimo di strumentalità il tema dei diritti umani). Insomma sotto non ci sarebbe una contraddizione che traversa l’attuale società russa ma soltanto il solito scontro Est-Ovest (come se la caduta del muro di Berlino non avesse drasticamente cambiato le carte in tavola).
Che a farlo siano i settori tradizionalemente più reazionari, legati a visioni legittimistiche e passatiste proprie della destra più tradizionaista, è un fatto ovvio ma che a riempire le fila dei malpancisti, allineati su posizioni che ricordano le tesi reazionarie di Aleksandr Solženicyn, ci siano anche pezzi di culture provenienti da ciò che resta della sinistra antimperialista è molto meno scontato, anche se la cosa non sorprende più da diverso tempo.
Roma: azione in solidarietà con le Pussy Riot
Giro con infinito piacere questo comunicato, da poco in rete.
Un’azione anche a Roma in solidarietà alle componenti del banda punk femminista Pussy Riot, detenute in Russia con l’accusa di cospirazione contro lo Stato (poi dici che uno non odia il sabato lavorativo 😉 ), di cui già avevamo parlato in questo blog
Oggi, alle 11.30 di questa mattina , delle attiviste manifestavano sotto l’ambasciata russa per richiedere l’immediato rilascio delle 3 donne arrestate dal governo Russo, Maria, Nadezhda e Irina accusate di cospirazione contro lo stato e di far parte della band punk femminista Russa Pussy Riot.
La band, i cui testi sono vere e proprie denunce sulla corruzione del governo Putin e della strettta relazione tra stato e chiesa ortodossa, si è esibita più volte nella città di Mosca in solidarietà ai detenuti/e russe, ai popoli arabi in rivolta, e ai movimenti lgbt,
In tutto il mondo si stanno dando azioni di solidarietà con le tre donne, che all’oggi sono ancora in prigione e rischiano 7 anni di carcere.
A Roma mente le attiviste inscenavano un concerto punk in stile pussy riot, maschere e vestiti colorati, sono intervenute le forze dell’ordine. Un’attivista è stata identificata e lo striscione con la scritta “free pussy riot – libere tutte” è stato sequestrato.
Denunciamo il clima di repressione che si vive in tutto il mondo nei confronti di chi oggi rivendica libertà e autodeterminazione, e lanciamo un grido di libertà femminista con cui chiese e governi dovranno fare i conti.
Se il potere è maschile noi saremo Pussyriot.
Solidarietà a Maria, Nadezhda e Irina.
PussyInternationalmovement
Una chiacchierata con San Pietroburgo
Volevo mettervi il link di una corrispondenza radiofonica che abbiamo fatto mercoledì mattina, dai microfoni di Radio Onda Rossa, insieme allo storico Marco Clementi, da San Pietroburgo.
Proprio dalle pagine di questo blog avevamo dato l’allarme del suo arresto, raccontato dai suoi sms inviati da dentro al furgone dove attendeva, insieme a qualche decina di manifestanti, la traduzione in commissariato.
Era il day after della nuova rielezione di Vladimir Putin, giornata in cui migliaia di persone si sono riversate per le strade per manifestare contro quello che sembra essere un ennesimo impero, da abbattere.
Rilasciato, insieme agli altri, senza troppi problemi, ci ha aiutato a capir meglio la situazione attuale nel paese,
la composizione delle piazze, il livello repressivo e le aspettative prossime:
un’interessante chiacchierata che vi consiglio di ascoltare.
ASCOLTA LA TRASMISSIONE: QUI!
Arrestato Marco Clementi a SanPietroburgo, nelle mobilitazioni contro la rielezione di Putin
Mi arriva ora via sms la notizia dell’arresto dell’amico e compagno Marco Clementi, storico molte volte citato in questo blog,
in quel di SanPietroburgo, città dove ha studiato per anni ed è vissuto, ad una manifestazione contro la rielezione di Vladimir Putin, dove stava scattando alcune foto.
Era appena rientrato a SanPietroburgo Dopo mesi di ricerca ad Atene, dove ha più volte raccontato sul suo blog e altrove le rivolte contro la crisi.
Nulla più purtroppo, perché le agenzie stampa italiane lanciano notizie solo di prossime manifestazioni a Mosca, ma non citano disordini nel resto del paese: aggiornerò il blog non appena avrò notizie. [la sua pagina twitter]
Un abbraccio fortissimo amico mio!
17.45: FINALMENTE ARRIVA NOTIZIA DEL SUO RILASCIO. Aspettiamo che sia lui a raccontarci com’è andata!

Una foto di Marco fatta a Syntagma, di Mikis Theodorakis appena colpito dalle cariche della polizia
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