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Mirafiori e l’antica dialettica del sanpietrino

5 settembre 2010 5 commenti

La Mirafiori di tanto tempo fa, anche se poi non sarebbe mica così tanto.
Non così tanto da legittimare questa rimozione di ciò che eravamo, di ciò che avevamo per le mani.
Noi, gli ultimi.
Noi, i proletari, gli operai, i braccianti, gli analfabeti, i pazzi, i carcerati, i sottoproletari.
Noi cazzarola: NOI!

La sera prima eravamo andati a incollare manifesti per tutta la città per tutti i quartieri. Era un manifesto col pugno chiuso. C’erano su gli obiettivi della nostra giornata di lotta e l’appuntamento: Alle tre davanti al cancello 2 di Mirafiori. Al mattino alle cinque andammo a megafonare davanti a Mirafiori. C’era già alle cinque del mattino moltissima polizia lí davanti. Due trecento almeno fra jeep furgoni cellulari e camion della polizia e dei carabinieri. Ce n’erano due davanti a ogni cancello e almeno una cinquantina davanti alla palazzina degli uffici. Noi andammo a megafonare alle cinque del mattino davanti a ogni cancello per spiegare agli operai del primo turno che non dovevano entrare ma nessun operaio entrava.
Non c’era nessun bisogno di fare i picchetti nemmeno. Che la polizia si aspettava evidentemente che noi facevamo i picchetti per fare delle provocazioni e aggredirci. Ogni tanto infatti la polizia ci disturbava dicendo che non dovevamo megafonare che non ci dovevamo mettere davanti ai cancelli. Noi dicevamo: Noi stiamo megafonando perché è sciopero non li stiamo mica minacciando con le pistole di non entrare. Se vogliono entrare entrano e va bene se non vogliono entrare non entrano. Noi stiamo facendo solo un’agitazione politica. Ci furono non piú di quattro o cinque crumiri che tentarono di entrare e la polizia si precipitò per impedire che fossero fermati. Ma dalla porta i gli operai del turno di notte che stavano uscendo li ributtarono fuori.
Non entrò nessuno proprio nessuno. Erano venuti tutti ma stavano dall’altro lato della strada gli operai. A controllare se qualcuno entrava. Ma nessuno entrava e dopo un po’ tutti se ne tornarono a casa. Al pomeriggio andammo ancora a megafonare davanti ai cancelli per il secondo turno. C’era l’appuntamento alle tre davanti al cancello 2. Si arrivò lí alla spicciolata c’erano già molti operai che aspettavano. Oltre agli operai del secondo turno che non erano entrati c’erano anche molti operai del primo turno che erano tornati lí a Mirafiori per fare sto corteo.
Alle tre c’erano già tremila operai davanti a Mirafiori. La polizia presidiava completamente tutte le vie di accesso a Mirafiori nonché tutti i cancelli la palazzina eccetera. Erano arrivati anche altri rinforzi. Alla manifestazione sindacale del mattino non era successo nessun incidente. I sindacati avevano fatto il loro comizio sulla casa con gli operai delle piccole e medie fabbriche dove loro erano forti mentre alla Fiat erano quasi inesistenti. C’erano là davanti al cancello 2 molte bandiere rosse cartelli e striscioni. Mentre si stava cosí aspettando che partisse il corteo cominciarono le provocazioni della polizia.

mirafiori occupata _1973_

Ma la cosa che non avevano proprio pensato i poliziotti che non avevo pensato il questore che non aveva pensato il ministro degli interni che non aveva pensato Agnelli era che quel giorno non si trattava del solito corteo di studenti del cosí detto corteo di estremisti. Cioè come dicevano i giornali borghesi i soliti figli di papà che si divertono a giocare alla rivoluzione.
Gli operai che si trovavano davanti al cancello 2 di Mirafiori erano quelli che avevano fatto le lotte Fiat per tutte quelle settimane. Erano operai che avevano fatto delle lotte dure delle lotte vittoriose. Mentre si stava preparando la partenza del corteo la polizia cominciò a fare le sue manovre. Misero da una parte un doppio cordone di carabinieri che si tenevano sotto braccio e spingevano indietro i dimostranti. Altri plotoni di carabinieri si erano messi in fila per quattro e avanzavano lentamente in mezzo ai dimostranti.
Mentre il vicequestore Voria dava questi ordini facendo muovere i carabinieri nei due sensi per chiuderci aveva detto a un operaio di spostarsi da lí dove stava vicino a lui. Questo operaio invece gli sferrò un cazzotto e lo stese a terra. Intanto quei plotoni di carabinieri che facevano la manovra si mettono al piccolo trotto quasi a correre come i bersaglieri in mezzo ai dimostranti. E impugnano il moschetto come un manganello come una clava. Improvvisamente suona la carica naturalmente chi cazzo la sentiva.
E cominciarono a arrivare i lacrimogeni una pioggia fittissima di lacrimogeni per cui istintivamente tutti cominciarono a scappare. Tutti scappavano e i carabinieri cominciarono a tirare botte col calcio dei moschetti a tutti. Ci spingevano contro il cordone di carabinieri che stavano lí fermi per circondarci. Io ero proprio vicino a quel cordone tenevano il viso pallido bianco verde dalla paura. Perché si trovavano cosí a contatto con noi faccia a faccia. Anzi poco prima ne avevo sfottuto uno gli avevo detto: Vuoi vedere che ti porto via la pistola e ti sparo. Lui non mi aveva detto niente.
Poi avevano acchiappato un compagno e lo volevano portare via ma non c’erano riusciti perché noi glielo avevamo strappato dalle mani e li avevamo minacciati. Intanto con questa pioggia improvvisa di lacrimogeni ci disperdono da davanti a Mirafiori. Scappiamo via tutti da davanti a Mirafiori e pure quei carabinieri che stavano facendo il cordone impugnano come una clava il moschetto, che c’avevano a tracolla e c’inseguono. E fu un piccolo massacro col calcio dei fucili tiravano botte da orbi su tutti quanti all’impazzata. E ne arrestarono una decina di compagni allora. Perché stavamo tutti cosí senza bastoni senza pietre. Mentre corro capito su un mucchio di dieci carabinieri che stavano picchiando a sangue un compagno steso per terra. Gli grido a uno: Che cazzo lo volete uccidere?
Questo qua mi guarda storto poi si gira di spalle e se ne va insieme agli altri tirandosi dietro sto compagno. Poi mentre ero così vedo a tre quattro metri di distanza un compagno uno studente che scappava inseguito da quattro o cinque carabinieri. Uno lo raggiunge e gli tira il moschetto in testa gli spacca la testa. Io e gli altri ci mettiamo a correre verso lí i carabinieri scappano via. Prendiamo questo compagno che stava per terra svenuto e lo portiamo via. Lo lasciamo a delle donne che stavano sotto un portone. Perché ormai dalle case lí intorno erano scesi tutti o stavano sui balconi donne ragazzi e bambini per vedere cosa succedeva.
Erano insomma riusciti a disperderci ma non avevano fatto i conti con la volontà di scontro degli operai. Diecimila persone si riuniscono tra corso Agnelli e corso Unione Sovietica. Lí c’erano le rotaie del tram coi sassi in mezzo. Cominciano a volare contro polizia e carabinieri. E cosí cominciarono a prenderle anche loro. Riusciamo a ricomporre il corteo che c’avevano disperso all’inizio. Era stato disarmato un poliziotto gli era stato portato via lo scudo e l’elmo che venivano alzati come trofei. C’erano anche gli striscioni con su scritto: Tutto il potere agli operai. E: La lotta continua. Improvvisamente una autoambulanza della polizia si butta velocissima in mezzo al corteo. Si butta in mezzo al corteo suonando la sirena che non c’era nessuna ragione. Perché poi se ne andò dall’altra parte tranquillamente. Era un’altra provocazione della polizia. Ma il corteo parte e poi svolta per corso Traiano.
Corso Traiano sta proprio dirimpetto alla palazzina degli uffici Fiat. Corso Traiano c’ha due corsie e una corsia centrale dove ci sono le rotaie del tram e i sassi. Noi scendevamo giú camminando sulla destra e in senso inverso dall’altra parte venivano avanti i poliziotti. Che poi si fermano e aspettano bloccando il traffico. Ci volevano tagliare la strada non ci volevano fare muovere di lí. Cioè la lotta la volevano isolare alla Fiat e intorno alla Fiat ma non doveva uscire fuori nella città. Credevano che noi volevamo andare in centro e in effetti questa era la nostra idea.

La gente ci guardava dalle finestre di corso Traiano mentre il corteo avanzava. Si affacciavano ai balconi scendevano giú e sentivano quello che dicevamo. Erano d’accordo perché erano tutti operai quelli che abitavano lí. Poi improvvisamente dai poliziotti schierati davanti a noi partono le scariche di lacrimogeni. Ma un numero pazzesco incredibile questa volta sparati anche addosso alla gente e che finivano dappertutto. Che andavano a finire sui balconi delle case al primo piano poi il gas investiva tutte le abitazioni perché era estate e c’erano tutte le finestre aperte. Altre granate andavano a finire sulle auto parcheggiate rompendole bruciandole. E tutto questo faceva incazzare molto la gente che abitava li.
Su corso Traiano intanto era sbucato un camion carico di Fiat di 500 una portaerei come si chiamavano. Tirammo sassi nella cabina e l’autista scese. Cominciammo a fracassare tutte le macchine coi sassi poi mettemmo una pezza nel serbatoio della nafta. La incendiammo per fare esplodere il camion ma la nafta non si accese. Allora cercammo di spingerlo in folle verso il corso e lo lasciammo lí di traverso, Chiamarono i pompieri e come arrivarono i pompieri si presero le sassate anche loro. Non gli lasciammo spostare il camion il camion restò lí.
Erano le quattro e quello fu l’inizio della battaglia che sarebbe durata piú di dodici ore. I poliziotti avanzavano con caroselli e cariche e dall’altra parte avanzavano i carabinieri per chiuderci in una tenaglia. Noi non ci disperdiamo e subito cominciamo a rispondere coi sassi che raccogliamo un po’ dappertutto. La maggior parte ci spostiamo nel prato a fianco di corso Traiano dove c’era anche un cantiere edile. Ci riforniamo di legni di bastoni di materiale per fare le barricate. E c’era lí anche una grande scorta di pietre.
Ci mettemmo in questo prato arrivarono i poliziotti coi loro furgoni e i carabinieri coi loro camion. I carabinieri si presero un sacco di sassate in faccia perché stavano allo scoperto e cosí li si poteva colpire facilmente. Arrivammo fin sotto ai camion per menarli coi bastoni quelli ci minacciarono coi mitra di sparare allora ci fermammo. E loro intanto se ne scapparono via. I poliziotti intanto nei loro furgoni blindati sentivano questo rumore continuo l’enorme pioggia di sassi che cadeva sui loro furgoni e non ne volevano sapere di scendere. Noi avevamo circondato tutti i mezzi ci correvamo tutto intorno gettando le pietre. Appena scendevano li avremmo massacrati di legnate. Alcuni furgoni tentammo anche di rovesciarli. Questi qua terrorizzati dentro dicevano all’autista di partire e infatti scapparono via tutti quanti.
Un quarto d’ora dopo ci riprovarono scendettero a piedi nel prato. Con gli scudi gli elmi e i manganelli i fucili con le granate lacrimogene. Noi li aspettavamo sul prato. Arrivarono a una distanza di quindici venti metri. Cominciammo a sfotterli a dire: Perché non provate a menarci adesso come avete fatto davanti al cancello 2? Qui vi facciamo un culo cosí. Solo uno di loro rispondeva: Vieni avanti tu da solo facciamo da uomo a uomo ti faccio un culo cosí io a te eccetera. Però di li non si muovevano e avevano paura.

Noi c’avevamo tutte le pietre in mano e a terra davanti a noi altre pietre e i bastoni le mazze. Stanno lí un po’ poi gli danno l’ordine di sparare i lacrimogeni e di fare la carica. Ma non avevano calcolato che stavamo in un prato in uno spazio aperto. Cioè sti lacrimogeni si vedevano quando, arrivavano. E noi li prendevamo e glieli lanciavamo indietro con le mani cosí che stavamo nel fumo sia loro che noi. Noi tiravamo le pietre e loro correndo non erano protetti e ne colpivamo un sacco. Quando si accorsero che non ce la facevano presero a scappare via come le lepri e noi li inseguivamo coi bastoni.
Intanto la gente di corso Traiano si era rotta le scatole per tutti questi lacrimogeni che andavano a finire sui balconi e nelle finestre e per il fumo che entrava nelle case. I poliziotti menavano tutti quelli che trovavano sotto i portoni. Donne vecchi bambini chiunque trovavano. Menavano specialmente i ragazzini anche di dieci undici anni. Si erano messi tutti a combattere con gli operai. I giovani a tirare i sassi le donne distribuivano fazzoletti bagnati contro i gas. I compagni inseguiti dai poliziotti trovavano riparo nelle case. Tutti buttavano giú cose dalle finestre e dai balconi addosso ai poliziotti.
La polizia ci inseguiva da tutte le parti e ci aveva dispersi e divisi in tanti piccoli gruppi. Anche nelle trasversali non si respirava piú dal fumo. Sto con alcuni studenti che decidono di andare alla facoltà di Architettura occupata per fare una assemblea e per riunirsi coi gruppi dispersi. Come cominciamo a muoverci per ritirarci sbuca fuori con le sirene una colonna di furgoni blindati. E ci dividono in due gruppi uno che va a Architettura e uno che resta a combattere.
Mentre la gente stava arrivando a Architettura e si era appena messa la bandiera rossa fuori sul pennone arrivano lí i carabinieri. Cominciano a caricare a sparare lacrimogeni e arrestano una decina di compagni. Noi ci difendiamo rispondiamo a sassate. Comunque nell’università non riescono a entrare. Sparano lacrimogeni dentro le finestre ma un gruppo di nostri la difende a sassate e non li lascia entrare mentre noi dentro ci riuniamo. Arrivano dei compagni e ci dicono che gli scontri a corso Traiano si erano allargati e proseguivano piú grossi. E che c’erano grossi scontri anche a Nichelino.
Anche a Borgo San Pietro anche a Moncalieri e in altri comuni di Torino sud dicevano le notizie c’erano scontri. In tutti i quartieri proletari si lottava. Fuori dall’università intanto aumentava la violenza delle cariche e della sassaiola. Lo scontro si estendeva nel viale nelle trasversali nei portoni. Granate sassi corpo a corpo fermi. Si decide di dividerci in diverse squadre d’intervento e di dirigerci verso i diversi quartieri della città in lotta. Per controllare anche fino a che punto gli scontri si erano generalizzati. Io sto con una squadra di compagni che andiamo a Nichelino. Per andare a Nichelino dovevamo passare per corso Traiano.
A corso Traiano c’arriviamo di nuovo verso le sei e mezza e vediamo un campo di battaglia incredibile. Era successo che stavano cominciando a tornare a casa gli edili e gli altri operai che abitavano nella zona. Che non avevano fatto lo sciopero che non sapevano un cazzo. Tornavano a casa e videro tutto sto fumo tutta sta polizia sta via piena di pietre di cose. Allora si unirono subito ai compagni e cominciarono a buttare materiale edile in mezzo alla strada a costruire barricate. Perché c’erano molti cantieri edili lí intorno e c’erano mattoni legna carriole quelle botti di ferro che c’è l’acqua dentro le impastatrici.
Tutto in mezzo alla strada mettevano e facevano le barricate con le automobili e poi incendiavano tutto. La polizia se ne stava lontana in fondo a corso Traiano verso corso Agnelli. Ogni tanto partivano per dei caroselli delle cariche. Sgombravano le barricate mentre la gente li riempiva di sassate e poi scappava via nei prati di fianco. Poi tornavano quando la polizia se ne era andata. Riportavano il materiale sulla strada e costruivano di nuovo le barricate con le tavole di legno e con tutto. Ci buttavano sopra la benzina e quando la polizia avanzava un’altra volta ci davano fuoco. E davano fuoco anche a dei copertoni che facevano rotolare infiammati contro la polizia. Si cominciavano a vedere sempre piú molotov.
Sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto: Che cosa vogliamo? tutto. Continuava a arrivare gente da tutte le parti. Si sentiva un rumore cupo continuo il tam tam dei sassi che si battevano ritmicamente sui tralicci della corrente elettrica. Facevano quel rumore cupo impressionante continuo. La polizia non riusciva a circondare e a setacciare l’intera zona piena di cantieri officine case popolari e prati. La gente continuava a attaccare era tutta la popolazione che combatteva. I gruppi si riorganizzavano attaccavano in un punto si disperdevano tornavano all’attacco in un altro punto. Ma adesso la cosa che li faceva muovere piú che la rabbia era la gioia. La gioia di essere finalmente forti. Di scoprire che ste esigenze che avevano sta lotta che facevano erano le esigenze di tutti era la lotta di tutti.
Sentivano la loro forza sentivano che in tutta la città c’era una esplosione popolare. Sentivano questa unità questa forza realmente. Per cui ogni sasso che si scagliava contro la polizia era gioia neanche piú rabbia. Perché eravamo tutti forti insomma. E sentivamo che questo era l’unico modo per vincere contro il nostro nemico colpendolo direttamente coi sassi coi bastoni. Si scassavano le insegne luminose di pubblicità i cartelloni. Si scassavano e si tiravano giú attraverso la strada i semafori e tutti i pali che c’erano. Si cercava di fare barricate dappertutto con qualunque cosa. Un rullo compressore rovesciato gruppi elettrogeni bruciati. Mentre cominciava a fare buio e si vedevano dappertutto i fuochi in mezzo al fumo dei gas i lanci delle molotov e le fiammate.
Io non riuscivo ad avvicinarmi al centro della mischia dove si combatteva coi poliziotti. Già moltissimi compagni mi avevano preceduto arrivando da ogni parte. Non ci si vedeva per il fumo e c’era un grande rumore e confusione. Presto i poliziotti furono respinti verso il fondo di corso Traiano e molti dei nostri li inseguivano. I nostri e i poliziotti si fronteggiavano e lottavano all’inizio del prato. C’era un poliziotto per terra che si muoveva ogni tanto. Molti dei nostri inseguivano i poliziotti attraverso i binari del tram e c’era una grande nube di fumo nero che saliva dalle automobili che bruciavano. I nostri ci turbinavano intorno li si vedeva entrare nel fumo e uscirne e si sentivano molti scoppi.
C’era una grande confusione e di là. Quando arrivammo verso la fine del corso era già da un pezzo che si stavano scontrando anche lí a quanto sembrava. Ci imbattemmo in un compagno coi sangue che gli usciva dalla bocca e gli colava sulla spalla. Piú avanti ci imbattemmo in un altro compagno sanguinava e non si reggeva in piedi. Si rialzava e poi cadeva di nuovo a terra. Quando arrivammo quasi in fondo riuscii a vedere i poliziotti. Erano scesi dai furgoni e stavano tutti in gruppo con gli elmi e gli scudi.
Ci aspettavano e sparavano lacrimogeni. Ormai i nostri li avevano circondati da ogni parte. Sentivo che alcuni dei nostri gridavano: Se ne vanno. E vidi che molti poliziotti avevano preso paura e scappavano via. Dappertutto i nostri si misero a gridare: Ho Ci Min. Avanti avanti. Correvano avanti e l’aria si rabbuiava di polvere e di fumo. Vedevo i corpi che si muovevano intorno a me come ombre e il rumore di tutti quegli scoppi e delle sirene e delle urla era fortissimo. A un tratto vidi un poliziotto proprio davanti a me mi chinai e lo colpii col bastone. Il poliziotto cadde e andò a finire tra le gambe di quelli che correvano.
Alla fine tornammo giú per il viale e anche lí c’erano molti feriti. I poliziotti li avevamo spazzati via tutti. Eravamo tutti come pazzi di gioia. Rimanemmo ancora un po’ lí a aspettare e a un tratto vedemmo una fila di camion che arrivavano da una trasversale. Tutti si misero a gridare: Avanti avanti. E partimmo a dare la caccia ai poliziotti che ritornarono di corsa dove erano prima. Uno rimase colpito e noi lo inseguimmo colpendolo ancora. Poi ricacciammo i poliziotti in fondo alla trasversale da dove erano venuti.
Intanto continuano a sparare lacrimogeni dappertutto l’aria è sempre piú irrespirabile e ci dobbiamo ritirare. La polizia riconquista lentamente corso Traiano ma vengono continuamente erette barricate una dietro l’altra. La gente che viene presa è pestata a sangue e caricata sui cellulari. Molti poliziotti vengono picchiati. Intanto arrivano altri rinforzi alla polizia. Arrivano da Alessandria da Asti da Genova. Il battaglione Padova che era arrivato già dal mattino non era bastato. Ma lo scontro si estende sempre di piú. Si combatte con piú violenza di fronte alla palazzina Fiat in corso Traiano in corso Agnelli in tutte le trasversali. A piazza Bengasi dove la polizia fa cariche bestiali assurde di insensata violenza. Ma viene attaccata da due parti e sfugge per un pelo all’accerchiamento. Quasi viene catturato il vicequestore Voria. I compagni che ascoltano le radio della polizia dicono che hanno chiesto l’autorizzazione a sparare.

compagni rispondono alle cariche con continue barricate tra il fumo e gli incendi. Piccoli gruppi assalgono la polizia lanciano le molotov poi scappano nei prati al buio. Sempre risuona cupo il tam tam sui tralicci. Carcasse di auto sono in fiamme. Tutte le strade sono disselciate e una enorme quantità di pietre sono sparse un po’ ovunque. Sempre piú bestiale si fa man mano che passa il tempo il comportamento della polizia. Si sparano i lacrimogeni addosso alla gente e direttamente nelle case per impedire alla gente di uscire e di affacciarsi. E’ stato visto il vicequestore Voria che imbracciando il fucile lanciagranate intimava alla gente di ritirarsi dalle finestre. Poi arrivati altri rinforzi la polizia comincia a presidiare la zona. Piú tardi comincia a entrare nelle case proprio dentro le case nelle abitazioni a arrestare la gente a fare centinaia di arresti. Anche una vecchia che dà dello stronzo ai poliziotti è arrestata.
A piazza Bengasi continuavano gli attacchi e le sassaiole. La polizia ha ricevuto i rinforzi adesso non deve piú limitarsi a controllare solo Mirafiori come faceva prima facendo delle cariche di tanto in tanto per alleggerire la pressione. Adesso poteva controllare tutta la zona. Circondano piazza Bengasi entrano nei portoni rastrellano la gente fin dentro gli appartamenti. A mezzanotte gli scontri continuano sempre. Attorno a corso Traiano si sente gridare: Schifosi porci nazisti ai poliziotti che trascinano via la gente dalle case. Dalle finestre gridano: E’ come i rastrellamenti nazisti carogne.
Allora noi ci decidiamo di andare a Nichelino dove la battaglia continua anche lí da tutto il pomeriggio. Non era facile arrivare a Nichelino nel senso che non si poteva arrivare per la strada normale che era bloccata da una barricata di automobili incendiate. Cosí era bloccato il ponte di accesso al quartiere. Noi arriviamo per un’altra strada secondaria fin dentro il quartiere. Tutti quegli emigranti quelle migliaia di proletari che abitavano a Nichelino avevano costruito barricate dappertutto usando tubi di cemento. Avevano piegato i semafori li avevano buttati giú tutti in mezzo alla strada. Una enorme quantità di materiale dei cantieri edili stava messa in mezzo alla strada per fare le barricate che poi venivano incendiate.
Via Sestriere la strada che attraversa Nichelino è bloccata da piú di dieci barricate fatte con auto e rimorchi che bruciano con segnali stradali sassi legname. Nella notte bruciano grandi falò di gomme e di legname. Col legname di una casa in costruzione si fa un grande fuoco. Tutto il cantiere è in fiamme. I lampioni delle strade sono spenti a sassate e nel buio si vedono solo le fiamme. La polizia cerca di temporeggiare cioè cercava di farci stare per cazzi nostri non attaccava. Infatti attaccarono verso le quattro del mattino quando arrivarono i rinforzi. Quasi tutti gli operai erano stanchissimi era da piú di dodici ore che lottavano. Mentre quelli i poliziotti si davano il cambio.
Erano stati lí a aspettare davanti alle barricate a aspettare il mattino che arrivassero gli altri freschi a dargli il cambio. Noi eravamo tornati indietro a difendere coi sassi il ponte bloccato dalle macchine incendiate da dove i rinforzi dovevano passare. Ma eravamo rimasti in pochi a difendere il ponte eravamo rimasti una ventina. Poi le jeep e i camion dei rinforzi passarono per la strada secondaria dove eravamo passati noi arrivando e noi per non essere circondati dovemmo scappare via tutti. Da un camion erano scesi i carabinieri e ci inseguivano sparandoci addosso i lacrimogeni.
Fuggivamo tutti inseguiti dai carabinieri. A un tratto vediamo una fila di jeep che ci veniva incontro proprio davanti a noi. Non so come avevano fatto per arrivare li forse ritornavano da un giro d’ispezione. Le cose si mettevano male per noi. Allora tutti urlando ci lanciamo di corsa sui poliziotti lanciando le pietre e colpendoli sulle jeep finché non scapparono. Poi vediamo che i carabinieri ci stavano dietro e cosí ci voltiamo e partiamo all’attacco contro di loro. Ma dietro ai carabinieri arrivavano molti poliziotti. Perciò fummo costretti a scappare perché eravamo in pochi.
Ormai ero stanchissimo e scappavo come un disperato. Arrivai in un prato inciampai in un sasso e quasi persi una scarpa. Quando mi fermai per dare un’occhiata alla scarpa apparve un carabiniere che mi inseguiva da solo. Allora vidi che un compagno che scappava con me saltava addosso al carabiniere. Lottarono corpo a corpo e il carabiniere cadde a terra. A un tratto vidi un fumo in cima a una strada. Arrivammo in cima alla strada e di là si vedeva un largo viale e lo scontro che continuava. Non si riusciva a sapere chi vinceva. Tutto era cosí confuso. Io volevo solo fermarmi un attimo da qualche parte per cacare non ce la facevo piú.
Alcuni carabinieri ci attaccarono e io non riuscii mai a raggiungere il centro dello scontro dove ci si batteva piú duramente. Proprio in quel momento udimmo uno che gridava: Arrivano arrivano. Vedevo alzarsi una grossa nube di fumo in mezzo al viale e tutti correvano di qua e di là urlando. Allora tra il fumo apparvero i poliziotti sui loro furgoni blindati coi fari che illuminavano tutto intorno. Sembravano grossi e forti e sparavano tutti i lacrimogeni. C’era un cantiere di fianco al viale e lí un gruppo dei nostri si stava radunando. E compagno che era con me si avviò verso quel cantiere e io lo seguii.
Molti scappavano tutti insieme giú per il viale. Guardai indietro e vidi che tutti correvano e si sparpagliavano nelle trasversali. Quando raggiungemmo il cantiere c’erano già parecchi dei nostri. I poliziotti sparavano i lacrimogeni sopra le nostre teste e facevano cadere pezzi di legno e mattoni. Non potevamo piú vedere che cosa succedeva giú per il viale. Tutto era fumo e grida e scoppi. Il viale era oscurato dal fumo e dalla polvere e c’erano soltanto ombre e un grande rumore di grida e di sirene e di scoppi. Alla mia sinistra sentivo il rombo e le sirene dei furgoni dei poliziotti che risalivano il viale. Due molotov scoppiarono in mezzo alla strada.
C’era fumo e gas dappertutto e non si respirava. Poi i poliziotti scesero dai furgoni e corsero verso dove eravamo noi. Correvano in mezzo al fumo con le maschere e gli scudi. Mi trovai tra molti dei nostri che correvano di qua e di là e si sparpagliavano per le trasversali. I poliziotti ci inseguivano correndo e eravamo tutti lí mischiati nella penombra illuminata dagli incendi e nel grande rumore. Non riuscii a vedere molto ma una volta vidi uno dei nostri lanciarsi col bastone contro un poliziotto che era rimasto isolato e colpirlo piú volte.
Vedemmo dei poliziotti che venivano di corsa da una trasversale alla nostra sinistra. Noi tutti alzammo i bastoni e ci lanciammo di corsa addosso a loro nella penombra che ci aveva avvolto. Io mi imbattei in un poliziotto col casco e lo colpii. Quello gridò e cadde per terra con la testa in avanti. Dopo ritornammo tutti verso il viale. Dall’altra, parte del viale vedemmo un gruppo di nostri che si lanciava contro i poliziotti che tornavano verso i furgoni. I poliziotti scapparono subito e tutti li inseguimmo ricacciandoli in cima al viale dove avevano lasciato i loro furgoni coi motori accesi e coi fari che illuminavano la strada. C’era un poliziotto che alzava le braccia e gemeva. Vidi alcuni dei nostri che aiutavano un ragazzo a alzarsi. Vidi che era ferito e sanguinava dalla testa.
Con l’aiuto di altri rinforzi la polizia conquistava lentamente il terreno. Cominciava il rastrellamento casa per casa con metodi spietati brutali. Ma la gente non se ne andava. Operai e gente del quartiere si davano il cambio tutti erano ormai abituati ai gas lacrimogeni e continuavano a costruire barricate. Io con altri quattro o cinque inseguiti da una ventina di carabinieri arriviamo nel portone di una casa lo chiudiamo. Io mi arrampico sul muretto che c’era nel cortile e capito in un’officina. In questa officina c’era una scala. La salgo e capito sul tetto di questa officina. Tiro su la scala. Vedo gli altri compagni che stavano sul tetto di una casa di fianco a quella dove eravamo entrati.

I carabinieri erano intanto riusciti a sfondare il portone e cominciavano a entrare in tutti gli appartamenti. Io dal mio tetto li vedevo che uscivano fuori sui balconi li vedevo nelle rampe delle scale che salivano con gli elmetti e i fucili e li vedevo dopo un po’ che uscivano sui balconi degli altri appartamenti a cercarci. Svegliavano la gente nel letto e controllavano. Noi per un bel po’ rimanemmo lí non potevamo controllare se i carabinieri se ne erano andati o no. Poi delle donne della casa che ci avevano visti ci fecero segno che se ne erano andati ci chiamavano per dirci di scendere. Era quasi l’alba c’era un grande sole rosso bellissimo che stava venendo su. Eravamo stanchissimi sfiniti. Per questa volta bastava. Scendemmo giú e ce ne tornammo a casa.
NANNI BALESTRINI -“VOGLIAMO TUTTO”-

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7 APRILE 1979: processo all’Autonomia

6 aprile 2009 10 commenti

7 aprile 1979.
7aprile_webStampa e tv danno notizia della maxi-retata che da poche ore ha portato in galera il presunto vertice delle Brigate Rosse. Gli arresti, avvenuti su tutto il territorio nazionale, sono stati ordinati dal sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero.
Quasi tutti gli accusati sono intellettuali: docenti universitari, scrittori, giornalisti e leaders dei diversi movimenti post-’68. Tra i più noti vi sono: Antonio “Toni” Negri, docente di Dottrina dello Stato all’università di Padova, indicato come capo e ispiratore di tutta la galassia sovversiva italiana; Nanni Balestrini (latitante), poeta e scrittore, già nel Gruppo 63 e poi autore del romanzo-culto “Vogliamo tutto”; Franco Piperno (latitante), docente di fisica all’università di Cosenza; Oreste Scalzone, insieme a Piperno leader storico del ‘68 romano; Luciano Ferrari Bravo, Guido Bianchini,

Il sostituto procuratore Pietro Calogero

Il sostituto procuratore Pietro Calogero

Sandro Serafini e Alisa del Re, tutti assistenti di Negri all’università di Padova; Giuseppe “Pino” Nicotri, giornalista del “Mattino” di Padova, di “Repubblica” e de “L’Espresso” (in passato si è occupato della controinformazione su Piazza Fontana, e le sue scoperte sugli spostamenti di Franco Freda sono state preziose per le indagini di Calogero); Emilio Vesce, redattore delle riviste “Rosso” e “Controinformazione. L’elenco prosegue con diversi militanti dell’Autonomia Operaia ed ex-membri del gruppo Potere Operaio, scioltosi nel 1973. Secondo gli inquirenti, Potere Operaio non si sarebbe sciolto, piuttosto sarebbe divenuto un’organizzazione clandestina, una vera e propria “cupola” della sovversione. Inoltre, malgrado l’evidenza di insanabili contrasti teorici e politici, Autonomia Operaia e Brigate Rosse sono ritenute la stessa cosa, o meglio: la “illegalità di massa” propugnata dalla prima non sarebbe che il mare magnum in cui sguazza l’avanguardia clandestina rappresentata dalle seconde. Per alcuni degli arrestati vale solo la seconda parte del mandato, cioè l’accusa di associazione sovversiva. Al contrario, su Negri e alcuni altri sta per rovesciarsi una valanga di fantasiosi mandati di cattura per gli episodi più diversi. Nei giorni successivi il processo si estende ai redattori della rivista romana “Metropoli”, su cui scrivevano anche Scalzone e Piperno. I nuovi inquisiti sono Libero Maesano, Lucio Castellano e Paolo Virno. Anche loro apparterrebbero in blocco all’organizzazione eversiva “costituita in più bande armate variamente denominate”, per il semplice motivo di… aver scritto su “Metropoli”. Pleonasmi a non finire. Davvero curiosa questa “guerra civile” combattuta a colpi di saggi, editoriali, recensioni… e anche fumetti: su “Metropoli” è comparsa una drammatizzazione a fumetti del caso Moro. Secondo gli inquirenti, alcune vignette contengono l’esatta riproduzione della “prigione del popolo” in cui era rinchiuso Moro.processo_autonomia Poi si verrà a sapere che l’autore si è ispirato a un fotoromanzo di “Grand Hotel”. Ormai sappiamo tutti che Toni Negri non era il capo delle Brigate Rosse, né il telefonista dei rapitori di Moro, né l’assassino di Carlo Saronio. Eppure un giudice, su basi così palesemente assurde, imbastì nel 1979 il processo simbolo del periodo dell’ “emergenza”, rimasto noto come “il caso 7 aprile”. Vi furono coinvolti prima una ventina di imputati, quasi tutti docenti e ricercatori della facoltà di Scienze Politiche di Padova, poi divenuti oltre un centinaio. Molti furono incarcerati, altri costretti all’esilio, uno (“Pedro”) perse la vita, ucciso dalle forze dell’ordine mentre era armato di un semplice ombrello. Inutile dire che gli assassini di Pedro rimasero impuniti, e che il magistrato che gestì il processo ha tranquillamente fatto carriera. autonomiaL’impianto dell’inchiesta crollò solo grazie alle confessioni di Patrizio Peci, che dimostrarono come Negri, Piperno, Scalzone e gli altri del 7 aprile, con le Brigate Rosse, non avessero nulla a che spartire. Il teorema Calogero è rimasta la più impressionante montatura mediatico-giudiziaria dell’Italia repubblicana.
A trent’anni da quel giorno, martedì 7 aprile 2009 Filorosso organizza un’iniziativa dal titolo “Una storia da ricordare” con alcuni dei protagonisti, loro malgrado di quella vicenda: Franco Piperno, Oreste Scalzone (in collegamento da Parigi) e Francesco Febbraio, che in quel periodo era studente e attivista politico all’Università di Padova.
La discussione si terrà alle ore 17:30 presso il Capannone del Filorosso nell’edificio Polifunzionale dell’Unical di Cosenza. L’iniziativa è rivolta agli studenti universitari che nel ’79 non erano ancora nati e che avranno l’occasione di ascoltare una pagina di storia raccontata dalla voce viva di chi l’ha vissuta sulla sua pelle.

QUI UN BRANO DI FORTINI SUL 7 APRILE

Il lavoro è sfruttamento

26 marzo 2009 1 commento


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“Cioè io avevo fatto tutti i lavori nella mia vita. L’operaio edile nelle carovane di facchini il lavapiatti in un ristorante avevo fatto il bracciante e lo studente che è anche quello un lavoro. Avevo lavorato all’Alemagna, alla Magneti Marelli all’Ideal Standard. E adesso ero stato alla Fiat a questa 1210173228798_14-negri_potere_operaioFiat che era un mito per tutti i soldi che lì si guadagnavano. E io veramente avevo capito una cosa. Che col lavoro uno può soltanto vivere. Ma vivere male da operaio sfruttato. Gli viene portato via il tempo libero della sua giornata tutta la sua energia. Deve mangiare male. Viene costretto a alzarsi a delle ore impossibili secondo in che reparto sta o che lavoro fa. Avevo capito che il lavoro è sfruttamento e basta.
Adesso finiva anche quel mito della Fiat. Cioè avevo visto che il lavoro Fiat era un lavoro come quello edile come il lavapiatti. E avevo scoperto che non c’era nessuna differenza tra l’edile e il metalmeccanico e il facchino tra il facchino e lo studente. Le regole che usavano i professori in quella scuola professionale e le regole usate dai capi reparto in tutte le fabbriche dove ero stato erano la stessa cosa.sanbasilio E allora si poneva un grosso problema per me. Cioè pensavo che faccio adesso. Cosa faccio cosa devo fare.

Non avevo mai rubato ancora non avevo mai avuto una pistola. Non avevo mai avuto amicizie con gente così detta della malavita. Che almeno avrei avuto uno sbocco da darmi. Da dare sia alla mia incazzatura alla mia insoddisfazione e sia ai miei bisogni alla mia vita materiale. Non ero né un medico né un avvocato o un professionista. Per cui non è che dicevo mo’ mi metto a fare il rapinatore o il professionista. Insomma veramente non ero niente non potevo fare niente.
Eppure c’avevo sta voglia di vivere di fare qualcosa. Perché ero giovane e sto sangue mi pulsava nelle vene. La pressione era abbastanza alta insomma. Volevo fare qualcosa. Ero disposto a fare qualsiasi cosa. Ma è chiaro che qualsiasi cosa per me significava non fare più l’operaio. Questa parola era ormai abbastanza sputtanata per me. Non significava più niente ormai per me. Significava continuare ancora a fare la vita di merda che avevo fatto finora insomma. “

TRATTO DA “VOGLIAMO TUTTO” di Nanni Balestrini
Feltrinelli 1971

 

VOGLIAMO TUTTO (2)

5 luglio 2008 2 commenti

“Arrivai lì e il capo dice Guardi che lei sta rompendo le scatole. Qua si arriva in orario adesso le do mezz’ora di multa. Gli dico Fai che cazzo vuoi tu m’hai rotto le scatole tu e la Fiat. Va’fa’n culo se no ti tiro qualcosa in testa. Fatevele voi queste zozze macchine di merda a me che mi frega.
E tutti gli operai che stavano lì intorno mi guardavano e io gli dicevo Ma siete degli stronzi voi siete degli schiavi. Qua bisogna picchiarli a sti guardioni qua a sti fascisti. Che cazzo sono sti insetti sputiamogli in faccia e facciamo quello che vogliamo qua mi sembra il servizio militare. Fuori dobbiamo pagare se entriamo in un bar dobbiamo pagare nel tram dobbiamo pagare la pensione tutto dobbiamo pagare. E qua dentro ci vogliono comandare. Per quattro soldi che non ci servono a un cazzo per un lavoro che ci fa crepare e basta. Ma siamo impazziti.
Questa è una vita di merda sono più liberi quelli che stanno in galera di noi. Qua incatenati a queste macchine schifose che non ci possiamo mai muovere coi secondini tutti intorno. Ci manca solo che ci frustino anche.   […]

e cominciamo a fare un corteo eravamo un’ottantina di operai. Man mano che il corteo passava tra le linee si ingrandiva di dietro. A un certo punto arriviamo in un posto dove c’erano dei cartoni li strappiamo e col gesso ci scriviamo Compagni uscite dalle linee il vostro posto è con noi. Su un altro scriviamo Potere operaio. Su un altro ancora Ai lecchini il lavoro agli operai le lotte. E andiamo avanti con questi 3 cartelli.

Il corteo cominciò a ingrandirsi e arrivarono i sindacalisti. I sindacalisti era la prima volta che io li vedevo in vita mia dentro la Fiat. Cominciano i sindacalisti Compagni non bisogna lottare adesso. Le lotte le faremo in autunno insieme al resto della classe operaia insieme a tutti gli altri metalmeccanici. Adesso significa indebolire la lotta se ci scontriamo adesso come faremo poi a ottobre. Noi gli diciamo Le lotte bisogna farle adesso perchè è ancora primavera e c’è ancora l’estate davanti. A ottobre ci serviranno i cappotti le scarpe ci servirà il riscaldamento nelle case i libri dei figli per la scuola. Per cui l’operaio non può lottare d’inverno deve lottare d’estate. Perchè d’estate uno può dormire pure all’aria aperta d’inverno no. E poi lo sapete che è in primavera che la Fiat ha più richiesta di produzione se fermiamo adesso freghiamo la Fiat che a ottobre non gliene importa più niente.

TRATTO DA ” VOGLIAMO TUTTO” , Nanni Balestrini

Leggi la PRIMA PARTE

Leggi MIRAFIORI E LA DIALETTICA DEL SANPIETRINO

Scalo San Lorenzo, Padiglioni Manutenzione Locomotori Foto di Valentina Perniciaro, Luglio 2007

VOGLIAMO TUTTO! (1)

5 luglio 2008 2 commenti

“Vi do il benvenuto alla Fiat. Sapete che cos’è la Fiat la Fiat è tutto in Italia. Se avete letto delle cose cattive sulla stampa comunista che parla male della catena di montaggio sono tutte calunnie.
Perchè qua gli unici operai che non stanno bene sono quelli sfaticati. Quelli che non hanno voglia di lavorare. Il resto lavorano tutti e sono contenti di lavorare e stanno anche bene. C’hanno tutti quanti l’automobile e poi la Fiat c’ha le colonie per i bambini dei dipendenti, E poi si hanno gli sconti in certi negozi quando uno è dipendente Fiat.
Tutta una apologia ci faceva.

E questo qua l’ingegnere dice Io sono il vostro colonnello. Voi siete i miei uomini e così ci dobbiamo rispettare gli uni con gli altri. Io i miei operai li ho sempre difesi.  Gli operai Fiat sono i migliori quelli che producono di più e tutte queste cazzate qua.
A me allora mi comincia a andare la mosca al naso e comincio a pensare Qua mi sa che andrà a finire male con questo colonnello. Poi ci spiegò che non bisogna fare sabotaggio alla produzione perchè oltre a essere licenziati immediatamente si poteva anche essere denunciati. Turò fuori un articolo del codice penale che diceva che si può anche essere denunciati. Si mise a fare il terrorista.
E io cominciai a pensare. Questo colonnello qua una bella lezione gli starà proprio bene.”

TRATTO DA “VOGLIAMO TUTTO” , Nanni Balestrini

Leggi la SECONDA PARTE

Leggi: MIRAFIORI E LA DIALETTICA DEL SANPIETRINO

Scalo San Lorenzo, Padiglione Manutenzione Locomotori. Foto di Valentina Perniciaro


								
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