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PALESTINA: l’obiettivo deve essere il diritto al ritorno

1 giugno 2011 3 commenti

Nel campo profughi più grande di Betlemme, nel cuore della West Bank, ci si prepara alla commemorazione della Naksa. “Una casa a Deisha è come una tenda in Libano”, dicono i rifugiati del 1948. L’obiettivo è scuotere la leadership palestinese e riportare il diritto al ritorno al centro della lotta.

DI EMMA MANCINI, Nena News

Deisha Camp (Betlemme), 1 giugno 2011, Nena News – “Erano anni che la Nakba non veniva celebrata con un tale movimento di popolo. Il 5 giugno, anniversario dellaNaksa, faremo lo stesso”. L’annuncio di nuove marce e manifestazioni per il diritto al ritorno arriva dalle parole di Mohend, giovane del campo profughi di Deisha, a Betlemme. Nel cuore della Cisgiordania, come in Libano e Siria, i rifugiati palestinesi si preparano ad una nuova mobilitazione.

Se a Nord sono previste marce simili a quelle dello scorso 15 maggio, in West Bank pare tirare la stessa aria. La voce corre tra i 15mila profughi di Deisha, che promettono di fare la loro parte: “Sappiamo che il 5 giugno 2011 non torneremo nelle nostre case – dice Khalil, 23enne nato e cresciuto tra le strade strette di Deisha – ma è l’inizio della nostra lotta. Non libereremo la Palestina con qualche manifestazione, ma potremo ritrovare l’unità perduta. I morti alla frontiera hanno rappresentato tutto questo: la ritrovata voglia di lottare insieme, dentro e fuori la Palestina storica. Si tratta di atti puramente simbolici, ma di una forza estrema: dimostriamo al mondo che i palestinesi che lottano per la liberazione non sono solo quattro milioni e mezzo. Sono quattordici milioni”.

Foto di Valentina Perniciaro _nei dintorni del camp profughi di Dheishe_

Per  domenica si attendono marce verso i confini del 1967 ed oltre, la Linea Verde è l’obiettivo. Da Qalandiya ad Al Walaje, i comitati popolari stanno raccogliendo adesioni via web e durante incontri pubblici. In mancanza di una leadership forte, il popolo si “arrangia” e manda messaggi chiari al governo di Ramallah: il diritto al ritorno è il cuore del conflitto. “I danni peggiori alla causa palestinese sono stati inferti dalla debolezza della nostra leadership – attacca Khalil –. Troppe fazioni, troppa divisione e l’incapacità di capire i bisogni della gente. La maggiorparte dei membri dell’Autorità Palestinese hanno studiato all’estero per anni, alcuni hanno un’altra cittadinanza. Nessuno di loro è un rifugiato. Non ci rappresentano più”.
Difatti, alcune statistiche ufficiose danno al 50% la quota di palestinesi che ormai non si riconosce in alcun partito politico. “Nella Prima Intifada c’erano dei leader locali rispettati e carismatici – riprende Mohend – mentre oggi i leader della PA sono lontanissimi dai sentimenti popolari. E il problema è anche la mancanza di una strategia a lungo termine che includa il diritto al ritorno”.

Il campo profughi di Deisha

Un diritto che pare vivere della stessa speranza sia in Libano, Siria e Giordania che nei campi profughi della West Bank. Un anziano seduto fuori da una minuscola drogheria dice che una casa a Deisha è uguale ad una tenda in Libano, nessuna differenza. Quello che manca è la patria, una patria spesso sognata, immaginata, idealizzata all’estremo e concretizzata nella chiave della vecchia casa in Palestina. II sentimento è tanto forte, ci spiegano, anche perché all’estero è impossibile vivere una vita normale, integrarsi in un’altra società araba. “Qualche tempo fa sono stato in Libano – racconta Moeaed – in un campo profughi palestinese. Assomigliava moltissimo a Deisha, con le sue case ammassate e le strade strettissime. Ma le case sono di legno e alluminio e non c’è alcuna integrazione con la popolazione libanese. I palestinesi non possono sposare donne arabe, non possono uscire con la propria auto dal campo e per legge non possono svolgere 83 professioni, come l’avvocato o l’insegnante. Possono fare solo i muratori, o poco più”.

Foto di Valentina Perniciaro _gli sguardi di Dheishe_

Stesso dicasi per la Giordania: i palestinesi, oltre il 60% della popolazione, non possono servire nell’esercito né svolgere incarichi nella pubblica amministrazione. Ma le rivoluzioni del mondo arabo e l’accordo di unità nazionale tra Hamas e Fatah ha ridato qualche speranza alla gente di Deisha: “Se è caduto Mubarak, se è caduto Ben Ali, significa che c’è una possibilità anche per i rifugiati – sorride Samer –. È stato emozionante vederne qualcuno passare la frontiera con il Libano. Un’immagine che ha dato più forza di andare avanti di qualsiasi negoziato o processo di pace. Ma che razza di negoziato può essere quello tra PA e Israele? È una resa e infatti non si parla mai di rifugiati. E intanto, noi a Deisha affrontiamo quotidianamente gli stessi problemi: acqua, elettricità, mancanza di scuole, di spazio per vivere una vita normale, per parcheggiare l’auto o piantare un albero”.
Una leadership lontana anni luce dalla quotidianità della gente come spiega Naji Owdah, direttore del Phoenix Center di Deisha, centro che regala a uomini, donne e bambini del campo progetti teatrali, laboratori di pittura e musica, libri, film, workshop. “Quello che temo di più non è tanto la reazione dell’esercito israeliano – spiega Owdah – quanto il tentativo dell’Autorità Palestinese di bloccare le manifestazioni sul nascere. È successo spesso negli ultimi tempi: i militari palestinesi sono stati mandati a fermare le marce pacifiche dei giovani verso il checkpoint. Sicuramente accadrà ancora”. A guidare la mano della PA è la paura di perdere il poco consenso rimasto o il controllo di simili manifestazioni di volontà popolare. “Il nostro nemico è Israele, non la PA, non Hamas o Fatah – continua Naji – I nostri leader devono capire che il popolo non cerca il conflitto con loro, ma vuole solo sostegno alle proprie battaglie. Ma se la PA continuerà a ostacolare le nostre azioni, arriveremo davvero alla rottura”.

Sarà difficile per i rifugiati che dopo anni sono scesi di nuovo in strada accettare una nuova resa: “Come popolo non abbiamo un’agenda politica – conclude – ma una cosa è certa: la Palestina non accetterà mai la soluzione dei due Stati, perché significherebbe abbandonare la lotta per il ritorno dei rifugiati. Marceremo ancora per fare pressione sulla nostra leadership”.

Ma’an intervista il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina

22 gennaio 2009 Lascia un commento

L’AGENZIA DI STAMPA MA’AN INTERVISTA L’FPLP SULL’AGGRESSIONE ISRAELIANA A GAZA – 18 GENNAIO 2009

http://www.pflp.ps/english/      

Il 17 gennaio 2009 l’agenzia di stampa Ma’an ha realizzato la seguente intervista con un portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Nell’intervista l’FPLP discute sulla centralità della resistenza palestinese e sulla persistente aggressione contro il popolo palestinese, in particolare sull’aggressione contro Gaza cui Israele ha dato inizio il 27 dicembre 2008.  Ma’an: L’FPLP ed il suo braccio armato, le Brigate Abu Ali Mustafa (BAAM), al momento sono impegnate in scontri contro le truppe di terra israeliane nella Striscia di Gaza, mentre continuano a lanciare missili attraverso la Green Line verso Israele.Ma’an ha parlato con un portavoce ufficiale del movimento laico e di sinistra per gettare un po’ di luce sull’attuale lotta contro Israele e sullo stato della politica palestinese, sui rapporti con Hamas e con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)
La seguente intervista è stata realizzata via email:    

1993_

Fotografia di Bar Am _Gaza: 1993_

Ma’an: Qual è la posizione dell’FPLP sulle motivazioni che hanno spinto Israele a lanciare la sua massiccia aggressione contro Gaza?

  FPLP: L’inizio dei massacri e dei crimini di guerra israeliani contro il nostro popolo è in linea con un obiettivo storico – il tentativo di eliminare la resistenza palestinese, in particolare a Gaza. Come già ha provato a fare nel 2006 in Libano, Israele ha tentato di separare la resistenza dal popolo perseguendo l’eliminazione della prima e l’indebolimento della causa palestinese e dei diritti della nostra gente.I piani israeliani contro il nostro popolo ed i nostri diritti possono essere realizzati – malgrado la complicità degli Sati Uniti, dei regimi arabi e di parte della “leadership” palestinese – solo con l’eliminazione della resistenza palestinese.Ora Israele sta imparando che, parimenti a quanto accaduto in Libano nel 2006, malgrado la sua brutalità e l’assoluta criminalità, la nostra gente è il cuore, la culla e la forza della nostra resistenza, e che i loro attacchi non sconfiggeranno mai il nostro popolo né la nostra determinazione nella difesa dei nostri diritti al ritorno, all’autodeterminazione e alla sovranità. 

 Ma’an: Le incursioni aeree, marine e di terra di Israele sono realmente dirette contro Hamas ed i razzi?

  FPLP: I razzi sono una rappresentazione allo stesso tempo pratica e simbolica della nostra resistenza all’occupante. Sono un promemoria costante che ricorda che l’occupante è tale, e che, per quanto possa impegnarsi in assedi, massacri, nel chiuderci in prigioni a cielo aperto, nel negarci il soddisfacimento dei bisogni umani primari, noi continueremo a resistere e ci aggrapperemo fermamente ai nostri diritti fondamentali, non permettendo che siano distrutti. Finché un razzo sarà lanciato contro l’occupante, il nostro popolo, la nostra resistenza e la nostra causa saranno vivi.Questo è il motivo per cui individuano come obiettivo i razzi: rendono l’occupante insicuro, poiché ognuno di essi è un simbolo ed un atto fisico del nostro rifiuto della loro occupazione, dei loro massacri, dei loro crimini e dei loro continui attacchi contro il nostro popolo. Ogni razzo dice che non acconsentiremo alle loro cosiddette “soluzioni”, basate sulla cancellazione e sulla negazione dei nostri diritti.  

Beit Lahiya  _luglio 2007_

Beit Lahiya _luglio 2007_

 Ma’an: Cosa dite a proposito delle prossime elezioni parlamentari israeliane? Hanno giocato un qualche ruolo nella decisione di attaccare Gaza?   

FPLP: Certamente l’attacco è legato alle elezioni israeliane – serve a sostenere l’immagine del partito Kadima ed in particolare di Livni e Barak, sulle spalle e col sangue di più di 1000 morti palestinesi. Che questo sia un fattore dirimente e positivo in queste elezioni la dice lunga sulla natura di Israele e del Sionismo    

Ma’an: Quanti combattenti dell’FPLP e delle BAAM sono stati uccisi durante l’invasione israeliana e/o I bombardamenti aerei?     

FPLP: Al momento non rilasciamo statistiche o informazioni di questo genere poiché sarebbero solo un aiuto all’aggressione militare del nemico contro il nostro popolo. Comunque, possiamo dire che membri delle BAAM sono stati fortemente attivi in tutte le forme di resistenza contro gli invasori e gli occupanti.  

Ma’an: Le BAAM sono state attive nella resistenza contro l’esercito invasore?    

 FPLP: Le BAAM hanno lanciato più razzi al giorno, si sono distinte particolarmente per l’utilizzo di bombe sulle strade, di autobombe e di altri congegni esplosivi che hanno procurato seri danni e distrutto carri armati ed altri veicoli militari dell’occupazione. I combattenti delle BAAM hanno partecipato a tutte le battaglie a tutti i livelli. Stanno inoltre lavorando strettamente e in coordinamento con tutte le altre forze della resistenza in una lotta unitaria per opporsi al nemico ed unificare la nostra resistenza di fronte ai crimini e ai massacri di Israele.fplp_corteo

Ma’an: In quale situazione l’FPLP potrebbe firmare un ‘cessate il fuoco’ con Israele?   

FPLP: Ci siamo opposti alla cosiddetta “tregua” o “cessate il fuoco” (in vigore tra il 19 giugno ed il 19 dicembre 2008) perché la consideravamo pericolosa per il nostro popolo e crediamo sia oggi dimostrato che la nostra analisi fosse corretta.Israele ha costretto ad una fine della “tregua” con i suoi attacchi ed omicidi – e poi l’ha usata come una scusa per attaccare i palestinesi (per esempio, il 4 novembre, bombardamenti aerei hanno ucciso cinque militanti ed un civile); un obiettivo che ha avuto da sempre, e ha usato un piano d’aggressione preparato precedentemente, durante la cosiddetta “tregua”.La resistenza, in maniera unificata, può sempre decidere che tattiche usare in ogni tempo. Noi chiediamo la fine dei massacri, il ritiro delle truppe d’occupazione dalla nostra terra, la piena, immediata ed incondizionata apertura di tutti i confini – in particolare del valico di Rafah – e la fine dell’assedio contro il nostro popolo. Ma non abbandoneremo mai i nostri diritti fondamentali – a resistere, a difendere il nostro popolo, al ritorno, all’autodeterminazione ed alla sovranità – in nome di una cosiddetta “tregua”, che è esattamente ciò che Israele desidera.  

Ma’an: Quali sono oggi le relazioni tra Hamas e l’FPLP?  FPLP:

Al momento le relazioni tra Hamas e l’FPLP sono determinate dalla resistenza.  

Ma’an: Ma l’FPLP è un movimento laico.
Ciò non crea difficoltà nel lavoro con Hamas, che invece crede in una società ed in un governo islamico?    
 

FPLP: Sia Hamas che l’FPLP militano nel campo della resistenza, della difesa del nostro popolo, della nostra causa e dei nostri diritti fondamentali. Entrambi rifiutano i cosiddetti “negoziati”, la cooperazione con l’occupante e qualsiasi cosiddetta soluzione politica basata sulla negazione e sull’abrogazione dei diritti della nostra gente; entrambi combattono uniti nella resistenza contro i massacri ed il genocidio perpetrati contro i palestinesi. Questa è l’unità ed è la relazione che ci interessa al momento: unità nella lotta, per il nostro popolo, la nostra causa ed i nostri diritti.    

Ma’an: Tornando alla politica, qual è la posizione dell’FPLP sulla legittimità di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il cui mandato è terminato ufficialmente il 9 gennaio?    

  FPLP: La sola legittimità palestinese che ci interessa al momento è la legittimità della resistenza. Questa è la definizione della nostra unità nazionale: lotta all’occupante e ai suoi crimini, difesa del nostro popolo e dei nostri diritti. La legittimità ora non è quella dell’ANP; essa deriva dallo stare con la resistenza, con la fermezza del nostro popolo, contro i crimini dell’occupante.      

Ma’an: L’FPLP crede che, date le circostanze, i palestinesi dovrebbero concentrarsi sulla Striscia di Gaza e meno sulla politica interna? O il ruolo della politica palestinese è più importante che mai?   

 

pal_nazistsFPLP: Questo è un momento fondamentale per il movimento nazionale palestinese e per la sua causa, di fronte ad un nemico dedito alla distruzione. La domanda per tutti è: stare con la resistenza o in disparte e permettere così che l’aggressione continui? Ogni briciolo di legittimità politica al momento dipende dalla risposta a questa domanda.  

 Ma’an: Qual è la situazione dell’FPLP e delle altre organizzazioni della resistenza nella West Bank?   

FPLP: Anche la West Bank è sotto assedio, solo di tipo diverso: l’assedio dell’occupazione, degli 11.000 prigionieri politici, della costante confisca della terra, della costruzione delle colonie, dell’innalzamento del muro d’annessione e degli altri crimini continui contro il nostro popolo. Infatti Israele sta approfittando che gli occhi del mondo si siano spostati dalla West Bank a causa dei massacri a Gaza, per procedere ad un numero ancor più grande di confische di terre e di attacchi in Cisgiordania.Noi non permetteremo che il nostro popolo sia diviso, risieda esso nella West Bank o a Gaza, nei territori palestinesi occupati nel 1948 (i palestinesi all’interno di Israele) o in esilio.     

Ma’an: L’FPLP si aspetta che i palestinesi fuori dalla Striscia si solleveranno contro l’occupazione, specialmente alla luce delle recenti atrocità israeliane a Gaza?    

FPLP: Noi siamo un’unica nazione, un unico popolo ed un’unica causa, e tutti i piani del nemico per spezzare quest’unità sono destinati a fallire. La nostra determinazione a resistere e a difendere i nostri diritti nazionali al ritorno, all’autodeterminazione, alla libertà e alla liberazione, alla sovranità, ci assicurerà la vittoria e l’unità del nostro popolo, della nostra terra e della nostra causa.    

Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napo

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