Archivio

Posts Tagged ‘FPLP’

Chokri Belaid: un omaggio dal FPLP ad un compagno ammazzato

6 febbraio 2013 4 commenti

Il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina saluta il compagno Chokri Belaid, assassinato oggi in Tunisia

Prosegue l’incredibile giornata di rabbia in Tunisia,
dalla costa alle principali via della capitale, alle zone delle miniere di fosfati:
è esploso tutto, contro Ennahda, subito dopo che il corpo di Chokri è caduto a terra, pare colpito da 4 colpi, almeno ad ascoltare le testimonianze.
Questo un omaggio giunto ora dalla Palestina, come a migliaia ne arrivano da ogni parte del mondo arabo e non.
Non un “esponente laico” come le nostre televisioni lo stanno descrivendo,
ma un compagno, un avvocato militante delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria tunisina.
Almeno tacessero cristo santo, loro e la loro terminologia che cerca di trattarci da idioti.
CIAO CHOKRI, A PUGNO CHIUSO E CON LA RABBIA NEL CUORE.

Sciacallaggio sui corpi dilaniati nella stazione di Bologna

22 ottobre 2012 1 commento

Sciacallaggio. Non c’è altro termine per definire il tentativo di depistaggio sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 messo in piedi dall’ex carabiniere missino, oggi parlamentare finiano, Enzo Raisi, già membro della commissione Mitrokin.
In questi mesi Raisi insoddisfatto per gli scarsi esiti fino ad oggi forniti dalla “pista palestinese” ha puntato l’indice accusatorio contro una delle vittime della strage.
«Una delle vittime della bomba – ha affermato il deputato postfascista – era un ragazzo di Autonomia operaia. Ho saputo da alcune testimonianze che il giorno dopo, nella sala autopsie, andarono due persone, un giovane mediorientale e una ragazza. Passarono in rassegna i corpi e, quando videro il ragazzo, si guardarono in faccia, si spaventarono e tirarono dritto. Un maresciallo dei carabinieri vide tutto e li chiamò, ma loro uscirono di corsa e sparirono. Chi erano quei due? E perché il ragazzo di Autonomia operaia aveva in tasca un biglietto della metrò di Parigi, città dove all’epoca viveva Carlos?».
Lo scenario a cui allude il parlamentare di Futuro e libertà è più che palese. Al giovane rimasto vittima dell’attentato, che secondo quanto lascia intendere Raisi sarebbe in qualche modo coinvolto nell’esplosione, si attribuisce una identità politica ben precisa, quella di Autonomia operaia. Siccome i depistatori fautori della pista palestinese hanno sempre sostenuto che l’attentato fosse frutto di una rappresaglia del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habash a causa dell’arresto di un suo membro (e dunque della violazione del Lodo Moro), insieme a tre militanti dell’Autonomia romana legati a via dei Volsci e al Collettivo del Policlinico, durante il trasporto di un lanciarazzi che doveva essere imbarcato nel porto di Ortona in direzione Medioriente, con la chiamata in causa del “ragazzo di Autonomia operaia” ritrovato dilaniato sotto le macerie della stazione il cerchio verrebbe a chiudersi.
Ma così non è!
L’inchiesta di Paolo uscita sul manifesto del 18 ottobre smonta, a dire il vero ridicolizza, l’intera impalcatura accusatoria messa in piedi da Raisi che alla fine appare per quello che è: un pataccaro!

Link:
Strage di Bologna, il diario di viaggio di Mauro Di Vittorio
L’ultimo depistaggio, la vera storia di Mauro Di Vittorio. Crolla il castello di menzogne messo in piedi da Enzo Raisi
Vi diciamo noi chi era Mauro Di Vittorio, le parole dei compagni e degli amici su Lotta continua dell’agosto 1980

Strage di Bologna: Pifano smentisce i deliri di Raisi

1 agosto 2012 6 commenti

20120801-195343.jpg

Daniele Pifano risponde ai deliri di Enzo Raisi, che da tempo ormai tenta di gettare ombra sui compagni per quanto riguarda la bomba a Bologna, di cui domani ricorrerà l’anniversario.
Dopo il tentativo di coinvolgere le formazioni combattenti palestinesi,
Ora ci si prova con l’autonomia operaia e con l’infamante metodologia di tirare in ballo, per di più, un ragazzo che in quella stazione saltò in aria…

Qui per info più dettagliate e comprensibili : LEGGI

RISPOSTA AL COMUNICATO STAMPA DI RAISI DEL 30 LUGLIO ‘12

Ancora una volta l’onorevole Enzo Raisi, personaggio assai equivoco già membro della Commissione Mitrokhin ed attuale ” responsabile immagine di FLI”,spara notizie sensazionali, di grande effetto mediatico…..ma di nessuna rispondenza reale!
Questa volta ha tirato fuori che una delle vittime della bomba alla stazione di Bologna, Mauro Di Vittorio faceva parte dell’Autonomia Operaia, quindi la stessa di Daniele Pifano, quello dei missili dei palestinesi, quindi possibile trasportatore della bomba assassina che avrebbe fatto esplodere per sbaglio o volontariamente .Peccato che né il sottoscritto né gli altri responsabili a suo tempo del Collettivo del Policlinico o dei Comitati Autonomi Operai di via dei Volsci lo abbiano mai saputo o o abbiano mai avuto notizia dell’esistenza di un compagno dell’autonomia tra le vittime dell’orribile strage di Bologna!
Ancora una volta questa gente senza scrupoli usa le vittime di quella terribile strage fascista per tentare a tutti i costi di rifarsi una nuova verginità.
Per quanto mi riguarda ho dato mandato ai miei avvocati di sporgere denuncia contro quest’individuo pur sapendo che si farà scudo dell’immunità parlamentare per non rispondere di calunnie come questa!

31 – 07 – ’12
Daniele Pifano

 

Palestina Occupata: Ahmad Sa’adat trasferito in ospedale, mentre Marco vince l’appello contro il reimpatrio ma resta in carcere

30 aprile 2012 3 commenti

E’ di domenica la notizia del trasferimento di Ahmed Sa’adat, leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), dal maledetto carcere di Ramon all’ospedale, per le condizioni in cui si trova dato il prolungato sciopero della fame che sta portando avanti per combattere contro l’isolamento e le condizioni in cui son costretti i prigionieri palestinesi.
Con il corpo già martoriato da un lungo precedente sciopero della fame, tra il settembre e l’ottobre, il leader del Fronte ha ricevuto un’offerta da parte dei suoi carcerieri: la fine dell’isolamento per la conclusione dello sciopero della fame.
La risposta è stata la sola che poteva dare: lo sciopero e la lotta dei prigionieri palestinesi si fermeranno solo quando l’isolamento sarà tolto a tutti, nessun escluso.
In attesa di avere più informazioni sulle sue condizioni di salute, vi giro anche il comunicato del Gruppo italiano di supporto all’International Solidarity Movement palestinese, sull’arresto e gli sviluppi processuali di Marco, giovane attivista italiano arrestato ad Hebron l’11 aprile scorso ed ancora rinchiuso nelle carceri dell’occupante israeliano.

Ancora in carcere l’italiano arrestato a Hebron, Israele si appella alla sentenza
Fonte: italy.palsolidarity.org

È stato vinto l’appello contro il reimpatrio forzato di Marco, l’attivista italiano di 32 anni arrestato ad Hebron (al-Khalil). Ciò nonostante Israele ha deciso di appellarsi alla sentenza e il caso sarà portato davanti alla Corte Suprema domenica 29 aprile o nei giorni immediatamente successivi. Di seguito una breve cronologia dei fatti.

– L ’11 aprile Marco si trova a Hebron per partecipare alla conferenza internazionale sulla resistenza popolare nonviolenta. Sta facendo ritorno alla conferenza dopo la pausa pranzo quando la polizia israeliana con l’aiuto dell’esercito arresta lui ed altre 13 persone con l’accusa di partecipare ad una manifestazione non autorizzata. Come mostrano i video non c’è stata violenza da parte degli attivisti e non era in corso alcuna manifestazione.

– Quattro di queste tredici persone, due palestinesi e due italiani, rimangono in carcere. Ai due italiani, Marco e Giorgio, viene dato il reimpatrio forzato senza alcun processo, la qual cosa è una brutta novità anche per il sistema giudiziario israeliano. Nel frattempo vengono entrambi spostati in un centro di detenzione per migranti in attesa di espulsione.

– Marco decide di resistere all’espulsione affrontando la detenzione per potersi appellare contro il fatto che gli sia stato assegnato reimpatrio forzato e carcere senza un regolare processo. Martedì 17, dopo quasi una settimana di carcere (comunque senza alcun processo o formale accusa), Giorgio viene reimpatriato.

– L’appello contro il reimpatrio di Marco ha luogo lunedì 23. Il giudice si riserva di decidere l’indomani, nel frattempo Marco viene trasferito nel carcere per i detenuti comuni di Givon. Martedì 24 il giudice non si presenta, e mercoledì 25 la sentenza afferma che l’appello è stato vinto da Marco. In tutto questo tempo, l’attivista per i diritti umani resta in carcere.
Nonostante sia stato vinto l’appello, le forze di occupazione si contro-appellano chiedendo l’intervento della corte suprema. Questo secondo processo dovrebbe avere luogo domenica 29 o nei giorni immediatamente successivi. Nel frattempo Marco resterà in carcere, pur non esistendo ancora alcuna accusa formale nei suoi confronti.

L’arresto e la tentata espulsione ai danni di Marco si inseriscono all’interno di un escalation ai danni degli attivisti in difesa dei diritti umani che si recano o manifestano l’intenzione di recarsi nei territori occupati palestinesi.

Il 15 aprile a 1200 attivisti internazionali dei 1500 della flytilla “Welcome to Palestine” è stato impedito di raggiungere la Cisgiordania.

Il 17 aprile nella Valle del Giordano un attivista danese è stato colpito al volto da un soldato israeliano con il fucile d’ordinanza, la mitraglietta M-13. L’attivista partecipava ad una manifestazione nonviolenta che consisteva in un tour in bicicletta.

La violazione dei diritti fondamentali e l’incarcerazione senza motivo dei palestinesi resta invece tragicamente costante. Martedì 17 aprile 1200 palestinesi, detenuti nelle carceri israeliane sono entrati in sciopero della fame, il nome che hanno dato alla loro protesta è “we will live in dignity”, vivremo dignitosamente. Sono infatti più di 4700 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Tra questi nove donne e 190 minori (alcuni hanno 12 anni). Circa 322 prigionieri sono in detenzione amministrativa questo vuol dire che non è stato formalizzata contro di loro alcuna accusa. I prigionieri sono oggetto di tortura e non hanno diritto a ricevere visite dai familiari.

Per maggiori informazioni potete chiamare Johnny (parla italiano), al numero:+972 592364644

Accordo su Shalit tra Hamas e Israele: ma in quanti torneranno a casa propria?

14 ottobre 2011 1 commento

Forse gli unici ad uscirne vittoriosi, da quest’accordo così poco eccezionale tra Hamas e Netanyahu, saranno proprio i vertici dell’organizzazione islamica palestinese che detiene il potere sulla Striscia di Gaza da qualche anno. Una bella batosta per Abu Mazen, a poche settimane dal discorso alle Nazioni Unite, e per tutta l’Autorità Palestinese.

L'elenco dei prigionieri

Un bel colpo per Khaled Meshaal, leader di Hamas, rifugiato chissà ancora per quanto in quel di Damasco (ma si mormora da mesi un trasloco dell’organizzazione in Egitto, forse immediatamente dopo la fine di quest’accordo).

Ma parliamo di fatti, di numeri, di quante persone torneranno veramente a casa.
Sicuramente Gilad Shalit, catturato 5 anni fa durante una delle migliaia di illegali incursioni israeliane all’interno dei confini di Gaza e da quel momento scomparso nel nulla, nelle mani di Hamas. Cinque lunghi anni per lui, non lo mettiamo in dubbio. Un incubo per lui e la sua famiglia che probabilmente terminerà tra mercoledì e giovedì della prossima settimana.
Ma ci interessa poco.
Mi interessa poco la vita e la libertà di UNA persona, chiunque sia, se sull’altro piatto della bilancia ci son diecimila prigionieri, una guerra di 33 giorni per cercarlo che ha fatto 1500 morti e ha inquinato con armi chimiche e fosforo bianco i corpi e la terra della Striscia di Gaza, se c’è l’assedio, gli assassinii indiscriminati, la chiusura dei valichi, la morte e ancora la morte per un popolo intero.
Uno contro un regime di Apartheid è ridicolo, fastidioso, irritante, indisponente.

Intanto in tutta la Palestina è una grande festa: nessuno sembra esser stato dimenticato nell’accordo, dalla Striscia di Gaza, alla Cisgiordania, a Gerusalemme Est, ai profughi del ’48 … un po’ tutti rientrano in quest’accordo.
Ma non tutti torneranno a casa propria, e questa è la cosa che fa più male.
Del primo blocco di 400 persone che dovrebbero esser rilasciate a giorni, già si parla di 203 che andranno in esilio in Paesi ancora da definire del mondo arabo circostante, tra cui anche le 27 donne che rientrano nell’accordo.
Liberi, ma profughi per l’ennesima volta.
Nulla cambia in regime di Apartheid, nulla si può accordare con i propri carcerieri: tutto rimarrà intriso di dolore e repressione, di esilio e lontananza.
Fino alla liberazione

NEL FRATTEMPO RICORDIAMOCI DELLE DECINE E CENTINAIA DI PRIGIONIERI POLITICI PALESTINESI E DELLA LORO LOTTA INIZIATA TRE SETTIMANE FA PER RICHIEDERE CONDIZIONI MIGLIORI, LA FINE DELL’ISOLAMENTO E LA FINE DEGLI ABUSI SUI FAMILIARI E GLI AVVOCATI CHE TENTATO DI ACCEDERE AI COLLOQUI.
UNO SCIOPERO DELLA FAME PER LA FINE DELL’ISOLAMENTO DI AHMED SAADAT, LEADER DEL FPLP.
QUI INFO A RIGUARDO: LEGGI 12

Aggiornamenti dalle carceri israeliane: DIFFONDIAMOLI

7 ottobre 2011 3 commenti

Il 27 settembre è iniziato uno sciopero della fame dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, per chiedere la fine delle condizioni di detenzione che in migliaia vivono, per chiedere la fine dell’isolamento per Ahmad Sa’adat e la fine delle politiche repressive nei confronti dei familiari e dei visitatori dei prigionieri, costretti a subire costanti vessazioni che spesso rendono impossibile anche solo un’ora di colloquio al mese con i propri cari in regime di detenzione, nelle carceri di un paese occupante.
Chiedono la fine degli abusi durante le traduzioni da un carcere all’altro e molto altro, oltre che la solidarietà internazionale e la diffusione delle notizie sulla lotta che stanno portando avanti, sul proprio corpo, l’unica cosa a loro disposizione.

Ovviamente le autorità israeliane e i funzionari del dipartimento che gestisce le carceri nel paese dell’Apartheid hanno risposto aumentando la violenza psicologica e le condizioni dei detenuti: dal carcere di Nafha i detenuti politici palestinesi raccontano delle minaccie subite sulla negazione dei colloqui con i familiari. Per ogni giorno di partecipazione allo sciopero della fame ci sarà un mese di divieto di incontro con i propri cari. In molti sono stati trasferiti in altri carceri, di cui ancora non si riesce a conoscere il nome.
I membri del F.P.L.P hanno subito tutti il trasferimento in celle di isolamento e la confisca di tutti i loro beni personali, compresi i propri vestiti.
Durante una visita con le famiglia le autorità delle prigioni dell’occupante israeliano hanno sequestrato i documenti di identità di tutti i loro familiari dando come motivazione proprio la partecipazione allo sciopero della fame, che li precluderà per mesi a qualunque incontro, compreso quello con il proprio avvocato.
Nella prigione di Asqelan infatti è stato vietato l’accesso ad un’avvocato che doveva visitare i prigionieri Ahed Abu Ghoulmeh, Allam Al-Kaabi e Shadi Sharafa: gli è stato comunicato che in quanto partecipanti all aprotesta, non potranno incontrare i loro avvocati, non si sa fino a quando.

Oltre ai prigionieri militanti del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, che hanno iniziato questa mobilitazione in nome del loro rappresentante Ahmad Sa’adat (detenuto a Gerico) si stanno unendo molti altri prigionieri, come alcuni componenti di Fatah, tra cui quelli che hanno il triste primato di essere da più tempo in regime di detenzione: Fakhri Barghouti entrato nelle carceri israeliane 34 anni fa, ed Akram Mansour,malato di cancro, detenuto da 33 anni.
Anche molte donne prigioniere stanno partecipando alla lotta: Sumoud Kharajeh, Linan Abu Ghoulmeh, Duaa Jayyousi e Wuroud Kassem sono state trasferite in isolamento totale mentre Linan Abu Ghoulmeh è stata messa in regime di detenzione amministrativa in modo totalmente arbitrario.

PER SEGUIRE GLI AGGIORNAMENTI: The Campaign to Free Ahmad Sa’adat

DIFFONDIAMO QUESTA NOTIZIA, CREIAMO SOLIDARIETA’ ANCHE PER I PRIGIONIERI PALESTINESI, PROPRIO ALLA LUCE DELLE DISCUSSIONI SULLO STATO PALESTINESE.
NON PUO’ ESSERCI STATO SENZA LA LIBERAZIONE DI TUTTI I PRIGIONERI,
SENZA IL DIRITTO AL RITORNO DI TUTTI I PROFUGHI,
SENZA LA FINE TOTALE E DEFINITIVA DEL REGIME DI APARTHEID,
SENZA LA CANCELLAZIONE DELL’OCCUPAZIONE MILITARE E L’ABBATTIMENTO DEL MURO DI SEPARAZIONE E DEGLI INSEDIAMENTI.
PALESTINA LIBERA.

I prigionieri palestinesi in sciopero della fame chiedono solidarietà

26 settembre 2011 2 commenti

SOLIDARIETA’ AI PRIGIONIERI PALESTINESI IN SCIOPERO DELLA FAME

Domani, marted’ 27 settembre 2011 inizierà uno sciopero della fame dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, per chiedere la fine del regime di isolamento per Ahmad Sa’adat, la fine dell’isolamento per tutti i prigionieri politici palestinesi, la fine delle politiche di repressione e umiliazione nei confronti dei parenti e dei visitatori dei prigionieri, incluso la fine del blocco ai colloqui con i familiari, cercata ed impedita già ai checkpoint israeliani.
I prigionieri chiedono anche la fine degli abusi e delle umiliazioni ai prigionieri durante le traduzioni tra carceri.
La campagna per la liberazione di Ahmed Sa’adat è solidale con tutti i prigionieri palestinesi in sciopero della fame e chiede alle persone di tutto il mondo di partecipare a questa campagna per i prigionieri.
Sotto il flyer che racconta la situazione dei prigioneri e poi quella specifica di Sa’adat.

Ahmed Sa’adat, il detenuto segretario generale del Fronte popolare di liberazione della Palestina , è stato catturato dalle forze d’occupazione israeliane il 13 marzo del 2006 e dall’attacco israeliano alla Striscia di Gaza dell’inverno del 2009, quando chiamò alla resistenza popolare, vive in regime di isolamento. Ha una condanna a 30 anni.
Ma è solamente uno dei circa 10.000 prigionieri politici nelle mani di Israele, tra cui ci sono molti minorenni, donne e leader delle organizzazioni politiche.

IL SITO DELLA CAMPAGNA PER LA LIBERAZIONE DI SA’ADAT

Intervista ad un militante del FPLP, detenuto per 18 anni in Israele

17 gennaio 2011 Lascia un commento

Intervista a Khaled Shahrour, militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, detenuto per 18 anni nelle carceri sioniste
tratto da rebelión.org
traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

Ci puoi raccontare le cause della tua detenzione, le accuse in base alle quali ti incarcerarono?
In realtà le accuse furono tre. In primo luogo mi accusarono di cercare di infiltrarmi armato all’interno dello stato di Israele; in secondo luogo, di eliminare collaborazionisti e la terza accusa fu di appartenere, in Giordania, ad un gruppo illegale, l’FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina).

Ci sono tre tipi diversi di detenzione in Israele. C’è quella amministrativa, quella per precauzione o preventiva e una terza, dovuta alla appartenenza ad un gruppo terrorista. Noi fummo detenuti in base a questo terzo tipo di accusa.
Era la prima tappa della lotta palestinese nel 1967, la guerra dei 6 giorni: nella mia unità eravamo 19 persone capeggiate da Abu Ali Mustafa, che più tardi sarebbe diventato segretario generale dell’FPLP per essere poi assassinato nel 2002. Tutti gli appartenenti al nostro gruppo morirono; rimanemmo in quattro e fummo arrestati mentre cercavamo di dirigerci verso la Giordania. Eravamo in una fase di preparazione e immagazzinamento di munizioni. Torniamo al tema in questione. Fummo detenuti in quanto legati ad un gruppo terrorista, per cui fummo interrogati e sottoposti ad una tortura che assunse mille forme diverse. Sono torture che hanno l’obiettivo di estorcere un riconoscimento di colpevolezza, cercano di strapparti dichiarazioni che permetta loro di accusarti e farti condannare dai tribunali israeliani in maniera quasi automatica. Ci torturano fisicamente e psicologicamente in diversi momenti per estorcerci le confessioni che gli servivano. Una volta ottenuto ciò che è sufficiente per poterti accusare, anche se non hai fatto nulla di ciò che dichiari, ti accusano e danno per scontata la tua colpevolezza.

– Avevate qualche tipo di consulenza legale? Qualche tipi di garanzia? In che condizioni avvenne il processo?
In quei momenti la situazione era molto particolare. Ci sottoposero ad un tribunale militare e nominarono un avvocato d’ufficio. Rifiutammo l’avvocato: se lo avessimo accettato avremmo riconosciuto implicitamente il tribunale che ci giudicava. Obbligarono un avvocato arabo ad assumere la nostra difesa ma noi ci rifiutammo di farci difendere, gli dicemmo che eravamo combattenti per la libertà contro le forze d’occupazione e che quindi non riconoscevamo un tribunale delle forze dell’occupazione, né gli avvocati che avrebbero nominato. Noi, gli dicemmo, non ci pentivamo di nulla e avremmo continuato a lottare se ci avessero rimesso in libertà.
Israele ritiene importanti due criteri: la sicurezza, dalla sua ottica, e gli effetti politici. Quando c’è un picco nella lotta dei palestinesi, moltiplicano gli arresti e aumentano le condanne per dissuadere e demoralizzare. Quando invece la situazione è più calma, allora ci sono meno arresti e lo stesso vale per le condanne.
Rimasi in carcere per 18 anni, dall’8 dicembre del 1967 all’8 maggio del 1985.

– Come fu la liberazione? Perché ti scarcerarono? Intervennero organismi internazionali?
Fui parte di uno scambio tra Israele e l’FPLP – Comando Generale per liberare prigionieri israeliani detenuti dalla suddetta organizzazione, in cambio di prigionieri palestinesi.

– Ma questo in realtà non è un riconoscimento di uno stato di guerra, non di terrorismo, come dicono gli israeliani?
Sì, Israele non lo riconosce ufficialmente ma implicitamente riconosce di essere in uno stato di guerra. Solo dinanzi alla forza si vedono costretti a scambiare prigionieri e riconoscono in maniera indiretta l’occupazione. Invece, quando negozi con loro in una situazione di pace, non sono capaci di riconoscere nulla né di metterti in libertà.

Qual è stata la tua attività da quando ti rimisero in libertà?
Ora sono impegnato in una lotta su diversi fronti. Da una parte, come militante dell’FPLP, sono giornalista e scrittore. Sono anche presidente della commissione dei prigionieri nelle carceri israeliane e sono membro del comitato disciplinare dell’FPLP. Sono attivo anche come padre, a casa, con i miei figli.

– Quali sono i problemi più importanti dei prigionieri palestinesi in questo momento?
Israele ha due obiettivi in relazione ai prigionieri. Come essere umano, vuole trasformarti in un problema per la tua famiglia, per la società, vale a dire, renderti invalido fisicamente e psicologicamente. Noi in carcere vogliamo superare questa situazione cerchiamo di formarci, di trasformarci in una scuola di costruzione e coscientizzazione e di far fallire così questa strategia. Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare la ragione per la quale veniamo incarcerati: mettere fine alla causa di liberazione della Palestina; per cui il nostro scopo è continuare questa lotta dovunque ci troviamo.
Però dovresti chiedermi del nostro apprendistato in carcere, le cose che abbiamo imparato e che ci aiutano a sopravvivere e a mantenere viva la causa.

– Va bene, allora parlami di questo apprendistato…
Uno degli strumenti della lotta che abbiamo sviluppato nelle carceri e che si è dimostrato molto efficace è lo sciopero per il miglioramento delle condizioni di vita, dato che consente di contrastare gli effetti dell’isolamento e della tortura. Lottare per il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche dei prigionieri è una delle armi più pericolose per preservare la nostra mente e il nostro corpo, per poter continuare la nostra lotta in futuro. Israele vuole trasformarci in cadaveri, vivi ma cadaveri; vuole annichilirci in vita, affinché non possiamo servire né alle nostre famiglie né alla nostra società, per renderci un peso per loro e per la nostra stessa causa.
– Che tipo di attività svolgi con i prigionieri che continuano ad essere in carcere?
Lo sciopero come forma di lotta ha diverse varianti. Una strada è rifiutarci di prestare servizi come la rasatura; un’altra è non accettare colloqui con la direzione delle carceri, rifiutare le mediazioni delle persone giuridiche che vogliono offrirsi come mediatori. C’è anche lo sciopero della fame, ed anche la ribellione contro i carcerieri. A volte abbiamo perso compagni perché l’esercito ha lanciato elicotteri contro le carceri. La lotta dei prigionieri è coordinata e ha un appoggio logistico dall’esterno per poter influenzare l’amministrazione e per poter negoziare, per obbligare gli uffici penitenziari a negoziare. Si tratta di una lotta che dipende da noi perché tutto ciò che facciamo qui parte dalla coscienza dei prigionieri, se non lo facciamo in questo modo non serve a nulla. Ciò che facciamo fuori per quelli che sono dentro deve essere il riflesso di quello che fanno loro.

– Che importanza dai a questo Forum arabo in appoggio ai prigionieri?
È una cerimonia, come una piccola luce che finirà per spegnersi, non mi pare che sia il metodo ottimale per lottare. Bisogna comprendere bene la fase di lotta in cui ci si trova.
Bisogna tenere in conto che il corpo della resistenza nel suo insieme sono i prigionieri, tanto quelli che stanno dentro come quelli che stanno fuori: sono loro il corpo della resistenza dal 1965. Siamo un tutto, con un’entità propria al margine delle organizzazioni cui apparteniamo e siamo la garanzia della continuità della lotta.
In primo luogo bisogna considerare le diverse tappe che ha attraversato la lotta palestinese. Nella prima la lotta era generica, si trattava di una causa nazionale che era al di sopra di tutto e indipendente dalle organizzazioni; a livello di coscienza superava le differenziazioni tra partiti, per tutti era una lotta di resistenza contro un nemico occupante. Poi c’erano le diverse categorie di prigionieri secondo il carcere in cui erano rinchiusi, poiché il grado di implicazione nella resistenza era differente. Il carcere in cui ero rinchiuso io era emblematico, il carcere di Ascalon. Avevamo le condanne più lunghe perché eravamo guerriglieri, rappresentavamo la lotta armata, l’avanguardia che, in qualche modo, forniva l’esempio agli altri prigionieri delle carceri israeliane. Eravamo in un momento precedente a quello delle militanza politica. Se non si fosse dato questo tipo di resistenza, la lotta dei prigionieri avrebbe finito per fallire.
Questa è la prima tappa, dal 1965 al 1973. La seconda tappa è quella in cui le contraddizioni della militanza politica, quelle relazionate all’età biologica, quelle che derivano dall’appartenenza all’uno o all’altro gruppo, si ripercuotono sui prigionieri. In quel momento Israele moltiplica l’utilizzo di collaborazionisti, offre privilegi agli uni contro gli altri per suscitare scontri all’interno del fronte palestinese. È una tappa molto negativa quella tra il 1973 e il 1976. Ti riassumo molto quello che è successo. La terza tappa è quella in cui cominciamo nuovamente a spostare le contraddizioni nel campo del nemico, contro Israele.
Queste tappe riassumono il nostro apprendistato. Abbiamo imparato nelle carceri a risolvere le differenze interne tramite il dialogo democratico e ad anteporre l’interesse generale dei palestinesi, la causa nazionale, la lotta contro il nemico, alle discrepanze tra di noi. Questo è quello che ha conseguito il movimento dei prigionieri.
A differenza di ciò che accade tra i palestinesi al di fuori, dove prevalgono le differenze, nelle carceri non avviene. La terza tappa di cui ti parlo è quella del superamento delle contraddizioni. Questo non vuol dire che non ci siano state divergenze arrivate dall’esterno: per esempio, gli accordi di Oslo generarono gravi tensioni tra i prigionieri, ma la linea prevalente è stata quella di raggiungere una maggior presa di coscienza politica, un maggior coordinamento e un dialogo democratico per contribuire alla causa. Da lì nacque il documento dei prigionieri che è stato tanto importante per definire la loro posizione e per chiedere l’unità nella lotta. Questo documento fu un’iniziativa dei prigionieri, non delle organizzazioni politiche. Venuto alla luce nel 2005, è conosciuto come il documento dei prigionieri e in esso si fa prevalere l’unità nella lotta contro l’occupazione su qualsiasi divergenza politica.
Oggi, dopo gli accordi di Oslo del 1993, siamo davanti ad una situazione molto difficile: ci sono 350 prigionieri arrestati prima di questi accordi e che non sono stati presi in considerazione. Israele ha separato i prigionieri di Fatah da quelli di Hamas, questi da quelli dell’FPLP, questi da quelli del 1948, gli arabi dai palestinesi…, e questo è un riflesso della realtà esterna, della frammentazione della resistenza. Si è prodotta una profonda ferita nello stato d’animo dei prigionieri. In questo senso, l’unità diventa un’arma fondamentale per poter superare questa situazione, affinché la lotta dei prigionieri continui e affinché non si arrivi ad una depoliticizzazione. Non si può consentire la separazione dei prigionieri della Cisgiordania da quelli di Gaza, di quelli di Fatah da quelli di Hamas e dal resto…

Che succede con i giovani? Anche i giovani palestinesi incarcerati mantengono quest’impegno?
Ci sono due generazioni in carcere. C’è la generazione della resistenza armata e ci sono i bambini dell’intifada. Mentre la coscienza della prima generazione è nazionalista globale e integrale, quella dei giovani dell’intifada ha una maggiore tendenza verso il particolare, verso il proprio gruppo, verso la propria forma di portare avanti concretamente la lotta. Noi apparteniamo ad una tappa che si vuole eliminare. Il sionismo si è applicato per cercare di aprire questa spaccatura generazionale. Viviamo una situazione simile a quella del Titanic: colui che è sulla nave affonda e colui che si getta in mare muore. È in atto un chiaro tentativo accelerato di liquidare la tappa rivoluzionaria palestinese. Purtroppo le nuove generazioni che sono incluse negli accordi di Dayton non sono coscienti di questa situazione si cerca di separarli dai ‘vecchi’ per evitare che abbiano una visione d’insieme della lotta.
L’altro giorno è accaduto un fatto utile a capire questa situazione. C’era un concentramento contro il processo di negoziazioni dirette e i giovani palestinesi hanno pestato i membri dell’esecutivo dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Quando abbiamo chiesto loro se conoscessero i dirigenti palestinesi che avevano attaccato, se conoscessero i loro nomi, non conoscevano nessuno, lo stesso Arafat sembra un ricordo lontano. Manifestavano contro i negoziati diretti e quando uscirono i membri del comitato esecutivo li hanno picchiati senza conoscerli. Manca la comprensione del significato storico della lotta palestinese.

Quali credi siano i passi da fare, tanto per le organizzazioni che sono fuori quanto per quelle di appoggio ai prigionieri?
Non è facile dire quale sia la tappa in cui ci troviamo e quale debba essere la strategia da seguire. Credo che si debba seguire la massima di Gramsci quando parlava di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà. Ci troviamo in un villaggio globalizzato e tutto è strettamente legato. La lotta non è tanto semplice da poter sapere in anticipo che una strada è migliore di un’altra, ma la cosa certa è che bisognerebbe iniziare ad agire e che questa situazione dovrebbe sboccare nella creazione di una serie di forze che sappiano cogliere il momento storico e tracciare una linea strategica determinata per una via di uscita globale, non solo in relazione alla questione palestinese. Dalla preistoria allo spazio c’è un lungo percorso che non è paino, ma in salita. Io continuo a credere che ci sia una via d’uscita. È come per le navi, bisogna procedere a zig-zag ma senza perdere d’occhio la meta.

– Che pensi di Hezbollah? Credi possa assolvere un ruolo nel processo di unità del mondo arabo e nella causa palestinese?
Gli Stati Uniti continuano ad essere un impero e vogliono farla finita con Hezbollah perché vogliono farla finita con la Siria, il Libano… Gli USA non cesseranno di impegnarsi per colpirli. Ma all’impero rimangono al massimo 25 anni per cercare di distruggere tutte le resistenze. Finché Hezbollah è parte dell’asse costituito dalla resistenza del mondo arabo sarà un alleato fondamentale contro l’occupazione; ha una grande influenza in tutto il mondo arabo ma non possiamo sapere quale sarà la sua evoluzione. L’assenza delle forze della sinistra laica aggrava molto le cose. Siamo intrappolati tra una destra collaborazionista e una sinistra incapace. Abbiamo molti anni di lotta alle spalle e non abbiamo raggiunto obiettivi concreti e questo ha portato al disincanto tra le masse che si sono rifugiate nella religione. Quando fallì la rivoluzione del 1905 molti appartenenti ai settori popolari russi si rifugiarono nella religione, esattamente come accade ora. Dovremmo studiare come superare questa situazione.

Quest’intervista è stata realizzata il 5 dicembre 2010 nel Forum arabo internazionale in sostegno ai prigionieri detenuti nelle carceri dell’occupazione, che si è tenuto ad Algeri.

 

Raid notturni su Gaza

10 agosto 2009 Lascia un commento

MIDEAST-PALESTINIAN-ISRAEL-MIDEAST-CONFLICT-GAZADalle poche notizie che circolano in rete e dalle conferme date dal portavoce dello Tsahal, esercito d’Israele, il raid notturno sulla piccola e martoriata Striscia di Gaza non sembrerebbe aver provocato vittime. Risaliva a meno di due mesi fa, il 14 giugno, l’ultima incursione il cui obiettivo sembrava identico: colpire i tunnel che collegano Rafah con il vicino confine egiziano, tunnel fruiti dalla popolazione per la circolazione di merci e medicine e dalle organizzazioni armate per il contrabbando di armi.  L’IDF ha dichiarato di essersi mosso per rappresaglia, dopo il lancio di tre salve di mortaio verso la zona settentrionale dello stato ebraico, malgrado questi non abbiano arrecato nessun danno. Lanci rivendicati nell’arco della settimana dalla Brigata Abu Ali Mustafa, braccio armato del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina, e dalle Brigate di resistenza nazionale, vicine al Fronte democratico per la Liberazione della Palestina.

La relativa calma di queste ultime settimane è tornata illusione nella martoriata Striscia di Gaza.

Comunicato del Fronte Popolare (F.P.L.P) sul nuovo governo Netanyahu

10 aprile 2009 Lascia un commento

 

Il 1° aprile 2009 il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) ha rilasciato una dichiarazione respingendo il governo Netanyahu come un governo di terrore, guerra e pulizia etnica e ha chiesto alla comunità internazionale di boicottare Israele e il suo governo.
La dichiarazione dell’FPLP ha sottolineato che questo governo, come nel complesso lo stato Sionista di Israele, è basato sull’assoluto rifiuto dei diritti dei Palestinesi all’auto-determinazione, al ritorno e a uno stato Palestinese indipendente. La dichiarazione rimarcava anche che questo governo dovrebbe essere rifiutato da tutti in quanto è incompatibile con i diritti umani e la legge internazionale ed è un governo di cultura del crimine.
pal_sassoLa composizione del governo include come Primo Ministro il noto razzista estremista Netanyahu; Barak, il direttore ufficiale dei crimini di guerra nella Striscia di Gaza coinvolto negli assassini dei leader Palestinesi a Beirut e Tunisi e nell’omicidio dell’eroico combattente Delal Mughrabi; e il Ministro degli Esteri Lieberman, il successore di Kahane, sostenitore del colonialismo e degli insediamenti e fautore dei trasferimenti e della pulizia etnica. Ai fini di rispettare gli standard politici, legali, etici ed umanitari, continuava la dichiarazione, gli stati Arabi e la comunità internazionale nella sua totalità devono boicottare questo governo per una vittoria della giustizia e della pace.
Il compagno Jamil Mizher, membro del Comitato Centrale dell’FPLP, ha affermato che il governo estremista di Netanyahu ha pianificato altre aggressioni contro il popolo Palestinese, incluso l’ebraicizzazione di Gerusalemme, la costruzione di insediamenti ed attacchi costanti. Il compagno Mizher ha sottolineato che è più urgente che mai giungere all’unità nazionale Palestinese per affrontare questa aggressione. Egli ha rimarcato che nessun governo Sionista, nonostante tutti i suoi crimini di guerra e attacchi in 61 anni, è riuscito a soggiogare il popolo Palestinese, e che anche quest’altro fallirà.

Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli
coll.autorg.universitario@gmail.com
http://cau.noblogs.org

L’ F.P.L.P. denuncia le azioni contro il prigioniero Sa’adat

21 marzo 2009 Lascia un commento

Urgente: l’FPLP denuncia le azioni arbitrarie di Israele contro il compagno Sa’adat
Tratto da: http://www.pflp.ps/english
Un portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) ha denunciato le azioni arbitrarie e di ritorsione messe in atto n762789514_986290_1173dalle autorità carcerarie e dalle forze dell’occupazione razzista contro il Segretario Generale dell’FPLP, il compagno leader Ahmed Sa’adat. I continui trasferimenti del compagno Sa’adat da una prigione ad un’altra nelle più dure condizioni, anche alla luce del deterioramento delle sue condizioni di salute, sono un tentativo di isolare Sa’adat e costituiscono un crimine di guerra e la violazione dei suoi diritti. Il compagno Sa’adat viene maltrattato dai sionisti e il peggioramento delle sue condizioni di salute è un risultato diretto delle carceri israeliane, a causa dei quotidiani abusi e delle quotidiane violazioni delle forze d’occupazione, uniche responsabili delle conseguenze di questa situazione. L’FPLP chiede a tutte le istituzioni per i diritti umani ed umanitarie, alla Croce Rossa e all’ONU di intervenire urgentemente per porre dine a queste quotidiane vessazioni israeliane contro il compagno Sa’adat e contro tutti i prigionieri palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane.

Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli coll.autorg.universitario@gmail.com http://cau.noblogs.org

Ma’an intervista il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina

22 gennaio 2009 Lascia un commento

L’AGENZIA DI STAMPA MA’AN INTERVISTA L’FPLP SULL’AGGRESSIONE ISRAELIANA A GAZA – 18 GENNAIO 2009

http://www.pflp.ps/english/      

Il 17 gennaio 2009 l’agenzia di stampa Ma’an ha realizzato la seguente intervista con un portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Nell’intervista l’FPLP discute sulla centralità della resistenza palestinese e sulla persistente aggressione contro il popolo palestinese, in particolare sull’aggressione contro Gaza cui Israele ha dato inizio il 27 dicembre 2008.  Ma’an: L’FPLP ed il suo braccio armato, le Brigate Abu Ali Mustafa (BAAM), al momento sono impegnate in scontri contro le truppe di terra israeliane nella Striscia di Gaza, mentre continuano a lanciare missili attraverso la Green Line verso Israele.Ma’an ha parlato con un portavoce ufficiale del movimento laico e di sinistra per gettare un po’ di luce sull’attuale lotta contro Israele e sullo stato della politica palestinese, sui rapporti con Hamas e con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)
La seguente intervista è stata realizzata via email:    

1993_

Fotografia di Bar Am _Gaza: 1993_

Ma’an: Qual è la posizione dell’FPLP sulle motivazioni che hanno spinto Israele a lanciare la sua massiccia aggressione contro Gaza?

  FPLP: L’inizio dei massacri e dei crimini di guerra israeliani contro il nostro popolo è in linea con un obiettivo storico – il tentativo di eliminare la resistenza palestinese, in particolare a Gaza. Come già ha provato a fare nel 2006 in Libano, Israele ha tentato di separare la resistenza dal popolo perseguendo l’eliminazione della prima e l’indebolimento della causa palestinese e dei diritti della nostra gente.I piani israeliani contro il nostro popolo ed i nostri diritti possono essere realizzati – malgrado la complicità degli Sati Uniti, dei regimi arabi e di parte della “leadership” palestinese – solo con l’eliminazione della resistenza palestinese.Ora Israele sta imparando che, parimenti a quanto accaduto in Libano nel 2006, malgrado la sua brutalità e l’assoluta criminalità, la nostra gente è il cuore, la culla e la forza della nostra resistenza, e che i loro attacchi non sconfiggeranno mai il nostro popolo né la nostra determinazione nella difesa dei nostri diritti al ritorno, all’autodeterminazione e alla sovranità. 

 Ma’an: Le incursioni aeree, marine e di terra di Israele sono realmente dirette contro Hamas ed i razzi?

  FPLP: I razzi sono una rappresentazione allo stesso tempo pratica e simbolica della nostra resistenza all’occupante. Sono un promemoria costante che ricorda che l’occupante è tale, e che, per quanto possa impegnarsi in assedi, massacri, nel chiuderci in prigioni a cielo aperto, nel negarci il soddisfacimento dei bisogni umani primari, noi continueremo a resistere e ci aggrapperemo fermamente ai nostri diritti fondamentali, non permettendo che siano distrutti. Finché un razzo sarà lanciato contro l’occupante, il nostro popolo, la nostra resistenza e la nostra causa saranno vivi.Questo è il motivo per cui individuano come obiettivo i razzi: rendono l’occupante insicuro, poiché ognuno di essi è un simbolo ed un atto fisico del nostro rifiuto della loro occupazione, dei loro massacri, dei loro crimini e dei loro continui attacchi contro il nostro popolo. Ogni razzo dice che non acconsentiremo alle loro cosiddette “soluzioni”, basate sulla cancellazione e sulla negazione dei nostri diritti.  

Beit Lahiya  _luglio 2007_

Beit Lahiya _luglio 2007_

 Ma’an: Cosa dite a proposito delle prossime elezioni parlamentari israeliane? Hanno giocato un qualche ruolo nella decisione di attaccare Gaza?   

FPLP: Certamente l’attacco è legato alle elezioni israeliane – serve a sostenere l’immagine del partito Kadima ed in particolare di Livni e Barak, sulle spalle e col sangue di più di 1000 morti palestinesi. Che questo sia un fattore dirimente e positivo in queste elezioni la dice lunga sulla natura di Israele e del Sionismo    

Ma’an: Quanti combattenti dell’FPLP e delle BAAM sono stati uccisi durante l’invasione israeliana e/o I bombardamenti aerei?     

FPLP: Al momento non rilasciamo statistiche o informazioni di questo genere poiché sarebbero solo un aiuto all’aggressione militare del nemico contro il nostro popolo. Comunque, possiamo dire che membri delle BAAM sono stati fortemente attivi in tutte le forme di resistenza contro gli invasori e gli occupanti.  

Ma’an: Le BAAM sono state attive nella resistenza contro l’esercito invasore?    

 FPLP: Le BAAM hanno lanciato più razzi al giorno, si sono distinte particolarmente per l’utilizzo di bombe sulle strade, di autobombe e di altri congegni esplosivi che hanno procurato seri danni e distrutto carri armati ed altri veicoli militari dell’occupazione. I combattenti delle BAAM hanno partecipato a tutte le battaglie a tutti i livelli. Stanno inoltre lavorando strettamente e in coordinamento con tutte le altre forze della resistenza in una lotta unitaria per opporsi al nemico ed unificare la nostra resistenza di fronte ai crimini e ai massacri di Israele.fplp_corteo

Ma’an: In quale situazione l’FPLP potrebbe firmare un ‘cessate il fuoco’ con Israele?   

FPLP: Ci siamo opposti alla cosiddetta “tregua” o “cessate il fuoco” (in vigore tra il 19 giugno ed il 19 dicembre 2008) perché la consideravamo pericolosa per il nostro popolo e crediamo sia oggi dimostrato che la nostra analisi fosse corretta.Israele ha costretto ad una fine della “tregua” con i suoi attacchi ed omicidi – e poi l’ha usata come una scusa per attaccare i palestinesi (per esempio, il 4 novembre, bombardamenti aerei hanno ucciso cinque militanti ed un civile); un obiettivo che ha avuto da sempre, e ha usato un piano d’aggressione preparato precedentemente, durante la cosiddetta “tregua”.La resistenza, in maniera unificata, può sempre decidere che tattiche usare in ogni tempo. Noi chiediamo la fine dei massacri, il ritiro delle truppe d’occupazione dalla nostra terra, la piena, immediata ed incondizionata apertura di tutti i confini – in particolare del valico di Rafah – e la fine dell’assedio contro il nostro popolo. Ma non abbandoneremo mai i nostri diritti fondamentali – a resistere, a difendere il nostro popolo, al ritorno, all’autodeterminazione ed alla sovranità – in nome di una cosiddetta “tregua”, che è esattamente ciò che Israele desidera.  

Ma’an: Quali sono oggi le relazioni tra Hamas e l’FPLP?  FPLP:

Al momento le relazioni tra Hamas e l’FPLP sono determinate dalla resistenza.  

Ma’an: Ma l’FPLP è un movimento laico.
Ciò non crea difficoltà nel lavoro con Hamas, che invece crede in una società ed in un governo islamico?    
 

FPLP: Sia Hamas che l’FPLP militano nel campo della resistenza, della difesa del nostro popolo, della nostra causa e dei nostri diritti fondamentali. Entrambi rifiutano i cosiddetti “negoziati”, la cooperazione con l’occupante e qualsiasi cosiddetta soluzione politica basata sulla negazione e sull’abrogazione dei diritti della nostra gente; entrambi combattono uniti nella resistenza contro i massacri ed il genocidio perpetrati contro i palestinesi. Questa è l’unità ed è la relazione che ci interessa al momento: unità nella lotta, per il nostro popolo, la nostra causa ed i nostri diritti.    

Ma’an: Tornando alla politica, qual è la posizione dell’FPLP sulla legittimità di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il cui mandato è terminato ufficialmente il 9 gennaio?    

  FPLP: La sola legittimità palestinese che ci interessa al momento è la legittimità della resistenza. Questa è la definizione della nostra unità nazionale: lotta all’occupante e ai suoi crimini, difesa del nostro popolo e dei nostri diritti. La legittimità ora non è quella dell’ANP; essa deriva dallo stare con la resistenza, con la fermezza del nostro popolo, contro i crimini dell’occupante.      

Ma’an: L’FPLP crede che, date le circostanze, i palestinesi dovrebbero concentrarsi sulla Striscia di Gaza e meno sulla politica interna? O il ruolo della politica palestinese è più importante che mai?   

 

pal_nazistsFPLP: Questo è un momento fondamentale per il movimento nazionale palestinese e per la sua causa, di fronte ad un nemico dedito alla distruzione. La domanda per tutti è: stare con la resistenza o in disparte e permettere così che l’aggressione continui? Ogni briciolo di legittimità politica al momento dipende dalla risposta a questa domanda.  

 Ma’an: Qual è la situazione dell’FPLP e delle altre organizzazioni della resistenza nella West Bank?   

FPLP: Anche la West Bank è sotto assedio, solo di tipo diverso: l’assedio dell’occupazione, degli 11.000 prigionieri politici, della costante confisca della terra, della costruzione delle colonie, dell’innalzamento del muro d’annessione e degli altri crimini continui contro il nostro popolo. Infatti Israele sta approfittando che gli occhi del mondo si siano spostati dalla West Bank a causa dei massacri a Gaza, per procedere ad un numero ancor più grande di confische di terre e di attacchi in Cisgiordania.Noi non permetteremo che il nostro popolo sia diviso, risieda esso nella West Bank o a Gaza, nei territori palestinesi occupati nel 1948 (i palestinesi all’interno di Israele) o in esilio.     

Ma’an: L’FPLP si aspetta che i palestinesi fuori dalla Striscia si solleveranno contro l’occupazione, specialmente alla luce delle recenti atrocità israeliane a Gaza?    

FPLP: Noi siamo un’unica nazione, un unico popolo ed un’unica causa, e tutti i piani del nemico per spezzare quest’unità sono destinati a fallire. La nostra determinazione a resistere e a difendere i nostri diritti nazionali al ritorno, all’autodeterminazione, alla libertà e alla liberazione, alla sovranità, ci assicurerà la vittoria e l’unità del nostro popolo, della nostra terra e della nostra causa.    

Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napo

CON I MIEI DENTI. IO RESTO.

17 gennaio 2009 Lascia un commento

image001Con i miei denti
Proteggerò ogni centimetro della terra della mia patria
Con i miei denti.
Non mi accontenterò di nessun surrogato,
Anche se mi appendono 
Per le arterie.
Io resto
Prigioniero del mio amore.. 
Per la siepe di casa,
per la rugiada.. per i gigli ricurvi.
Io resto
Non mi schiacceranno
Le mie croci
Io resto
Per prendervi.. e prendervi .. e prendervi
A braccia aperte,
con i miei denti.
Proteggerò ogni centimetro della terra della mia patria
Con i miei denti.
                                              (Tawfiq Zayyad – poeta, palestinese)

gaza1

L’O.N.U. e il boicottaggio ad Israele …e Napolitano??

8 dicembre 2008 3 commenti

IL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU INVITA AL BOICOTTAGGIO DEL REGIME ISRAELIANO DELL’APARTHEID.
MA IN ITALIA TUTTO TACE…NON SI PUO’ DIRE, NON SI PUO’ SAPERE!

“Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c’è alcuna virtù nell’essere pazienti con la sofferenza degli altri”.

L’Assemblea generale dell’ONU ha esaminato il 24 e 25 novembre 2008 il rapporto del Segretario generale sulla situazione in Palestina.

Il Presidente dell’Assemblea, Miguel d’Escoto Brockmann (Nicaragua), ha fatto di questo dibattito una questione di principio. Aprendo la seduta, ha dichiarato: « Io invito la comunità internazionale ad alzare la sua voce contro la punizione collettiva della popolazione di Gaza, una politica che non possiamo tollerare. Noi esigiamo la fine delle violazioni di massa dei Diritti dell’uomo e facciamo appello ad Israele, la Potenza occupante, affinché lasci entrare immediatamente gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Questa mattina ho parlato dell’apartheid e di come il comportamento della polizia israeliana nei Territori palestinesi occupati sembri così simile a quello dell’apartheid, ad un’epoca passata, un continente più lontano. Io credo che sia importante che noi, all’ONU, impieghiamo questo termine. Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome. Dopotutto, sono le Nazioni Unite che hanno elaborato la Convenzione internazionale contro il crimine dell’apartheid, esplicitando al mondo intero che tali pratiche di discriminazione istituzionale devono essere bandite ogni volta che siano praticate.

FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA

FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA

Abbiamo ascoltato oggi un rappresentante della società civile sudafricana. Sappiamo che in tutto il mondo organizzazioni della società civile lavorano per difendere i diritti dei Palestinesi e tentano di proteggere la popolazione palestinese che noi, Nazioni Unite, non siamo riusciti a proteggere. Più di 20 anni fa noi, le Nazioni Unite, abbiamo raccolto il testimone della società civile quando abbiamo convenuto che le sanzioni erano necessarie per esercitare una pressione non violenta sul Sud Africa. Oggi, forse, noi, le Nazioni Unite, dobbiamo considerare di seguire l’esempio di una nuova generazione della società civile chef a appello per una analoga campagna di boicottaggio, di disinvestimento e di sanzioni per fare pressione su Israele. Ho assistito a numerose riunioni sui Diritti del popolo palestinese. Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c’è alcuna virtù nell’essere pazienti con la sofferenza degli altri. Noi dobbiamo agire con tutto il nostro cuore per mettere fine alle sofferenze del popolo palestinese (…) Tengo ugualmente a ricordare ai miei fratelli e sorelle israeliani che, anche se hanno lo scudo protettore degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, nessun atto di intimidazione cambierà la Risoluzione 181, adottata 61 anni fa, che invita alla creazione di due Stati. Vergognosamente, oggi non c’è uno Stato palestinese che noi possiamo celebrare e questa prospettiva appare più lontana che mai. Qualunque siano le spiegazioni, questo fatto centrale porta derisione all’ONU e nuoce gravemente alla sua immagine ed al suo prestigio. Come possiamo continuare così?».

L’ambasciatore Miguel d’Escoto Brockmann è un sacerdote cattolico, teologo della liberazione e membro del Comitato politico del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN). Personalità morale riconosciuta, è stato eletto per acclamazione, il 4 giugno 2008, Presidente dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

L’Anti-Defamation League (ADL) è stata la prima organizzazione sionista a reagire, chiedendo al Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon, di mettere fine a questo « circo » così come alla « cosiddetta giornata di solidarietà con il popolo palestinese ». Infine, ha denunciato il carattere a suo dire « antisemita » delle proposte del Presidente Miguel d’Escoto Brockmann che essa ritiene ispirate da un secolare antigiudaismo cattolico.

Foto di Valentina Perniciaro _Betlemme in corteo_

Foto di Valentina Perniciaro _Betlemme in corteo_

SONO PASSATI QUASI DIECI GIORNI DA QUESTE DICHIARAZIONI, MA LA STAMPA ITALIANA, QUELLA “UFFICIALE” E LETTA DA QUESTO MISERO POPOLO CHE SIAMO NE HA CONTINUAMENTE TACIUTO. 

FORSE NAPOLITANO DOPO IL VIAGGIO IN ISRAELE, MOLTO RECENTE, NON HA AVUTO MODO DI REALIZZARE LA DITTATURA MILITARE CHE E’ L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA DEI TERRITORI PALESTINESI.

NON SI PUO’ STARE DALLA VOSTRA PARTE..CHI APPOGGIA ISRAELE HA LE MANI SPORCHE DI SANGUE.
DI SANGUE INNOCENTE, SANGUE DI UN POPOLO STUPRATO DA OLTRE 60 ANNI, SANGUE DI UNA TERRA MASSACRATA.
PALESTINA LIBERA….STOP OCCUPATION
IL MURO CADRA’ SUI VOSTRI CARRIARMATI, SULLE RUSPE, SULLE SEGHE CHE TAGLIANO ULIVI MILLENARI. 

Scrivo per mostrare la mia esistenza

10 agosto 2008 4 commenti

“A 7 anni smisi di giocare e ricordo bene come e perché: in una notte d’estate, quando si usava dormire sui tetti a terrazza delle case, fui improvvisamente svegliato da mia madre e mi trovai a correre con centinaia di contadini in mezzo ai boschi, inseguito dalle pallottole. Non capivo niente, ma dopo un’intera notte di disorientamento e di fughe arrivai con alcuni parenti in un villaggio sconosciuto, abitato da molti bambini. Chiesi ingenuamente: “Dove sono?”  Sentii per la prima volta la parola “Libano”.

Quella notte ho messo fine all mia infanzia. Non chiedevo più nulla, ero diventato improvvisamente adulto. In Libano ho imparato –mai lo dimenticherò- che cosa significa la parola ‘patria’: là, infatti, per la prima volta e senza nessuna precedente preparazione, mi trovai a fare la coda allo scopo di ottenere il mio primo pasto all’UNRWA. Il pasto principale consisteva in una razione di formaggio giallo. Là ho imparato parole nuove che hanno aperto davanti  a me una finestra su un mondo nuovo: guerra, notizie dalla patria, profughi, esercito, confini, TERRA. 
Ho cominciato a studiare , a capire e a conoscere la nuova situazione che mi aveva privato dell’infanzia. 
Dopo più di un anno mi dissero che saremmo tornati. Ricordo che quella notte non chiusi occhio dalla felicità. Tornare a casa significava per me la fine del formaggio giallo, la fine della provocazione continua dei ragazzi libanesi che mi insultavano con l’epiteto umiliante di “profugo”. 
Il viaggio del ritorno avvenne di notte: strisciavamo pancia a terra io, mio zio e la guida. Dopo tanta fatica mi trovai in un certo villaggio. Che delusione! Non era il mio; casa mia non c’era e non c’erano nemmeno i miei compagni. Continuavo a chiedere: “Quando torniamo a casa?” Le risposte erano tante, nessuna convincente. Non capivo nulla. Non capivo come avesse potuto essere distrutto un villaggio intero. Non capivo come fosse accaduto che l’intero mio mondo fosse sparito, né chi fossero quelli che lo avevano annientato.
Nel nuovo villaggio, Deir al-Asad, frequentai la seconda elementare. Il direttore era molto gentile. Ogni volta che l’ispettore veniva a controllare, ricordo, lui mi chiamava e mi nascondeva in uno sgabuzzino  o in un armadio perché le autorità mi consideravano un “infiltrato”. Aggiunsi così una nuova parola al mio vocabolario esistenziale. Anche a casa, ogni tanto, mi dovevano nascondere. Mi era proibito di vivere nel mio proprio paese e per ottenere la carta d’identità israeliana mi imparai a dire che ero vissuto con le tribù beduine del nord del paese, e non in Libano.”


IL LUOGO NON E’ SEMPLICEMENTE UNO SPAZIO, E’ UNO STATO MENTALE; NE’ GLI ALBERI SONO SOLAMENTE ALBERI, MA COSTOLE DELL’INFANZIA.”   

“Vuoi andare in Grecia. Chiedi all’autorità competenti del tuo paese di avere un passaporto e scopri che non sei cittadino, perché tuo padre o uno dei tuoi parenti era scappato portandoti con sé durante la guerra della Palestina.  Eri un bambino, allora.  Scopri che chiunque sia scappato dalla guerra in quel periodo poi, ritornano di nascosto, ha perso il diritto alla cittadinanza. Rinunci al passaporto e chiedi un “Laissez Passer”. Scopri che non sei residente nel tuo paese e quindi non puoi avere un certificato di residenza. Pensi che sia uno scherzo e ne parli al tuo amico avvocato:  “Eccomi qui: non sono cittadino e non sono residente. Allora, dove e chi  sono?” Sorprendentemente vieni a sapere che la legge è dalla loro parte, e tu devi dimostrare che esisti. Ti rivolgi al Ministero degli interni: “Sono o non sono?”
Dammi un filosofo e gli proverò che esisto. Capisci che filosoficamente esisti ma legalmente no.”
SCRIVO PER MOSTRARE LA MIA ESISTENZA, PER VIVERE, PER ESSERE PRESENTE

Ancora un saluto a Mahmoud Darwish, grande poeta della terra e dell’ulivo.
La Palestina ti piange. 
 

Memoria vs. dimenticanza

11 luglio 2008 Lascia un commento

“La lotta contro il potere è la lotta della memoria contro la dimenticanza.”   _Milan Kundera_

Palestina, Betlemme. Manifestazione contro l'imposizione del coprifuoco, poco prima dell'assedio della basilica della natività. Marzo 2002Foto di Valentina Perniciaro

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: