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Ancora dalle carceri d’Abruzzo, “come topi in gabbia”
Fondato l’allarme delle prime ore di agenti e detenuti del carcere di L’Aquila. Tensione anche a Sulmona: i reclusi dormono fuori dalla celle «In trappola come topi», era vero .
Evacuato in piena notte il carcere
Paolo Persichetti Liberazione 9 aprile 2009
«I reclusi erano in preda a tensioni comprensibili e si sentivano dei topi in trappola», con queste parole il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha spiegato le ragioni che hanno portato all’evacuazione del carcere di L’Aquila. I toni rassicuranti apparsi nel primo comunicato diffuso dal ministero della Giustizia dopo la scossa devastante che domenica notte ha squassato l’Aquila e i paesini circostanti erano soltanto uno schermo. Che fosse un tentativo di prendere tempo per organizzare lo sfollamento del carcere, mantenendo la riservatezza per ovvie ragioni di sicurezza, dopo che il sisma aveva reso inagibile la caserma del corpo di custodia, distrutto le abitazioni di una trentina di agenti della polizia penitenziaria e danneggiato le celle dove erano ubicati i detenuti, anche se non in modo strutturale come più volte ribadito dall’amministrazione, si era capito subito. Diversi agenti erano stati inviati dalle carceri del nord per rimpiazzare i locali. Voci allarmate provenienti dallo stesso personale di custodia descrivevano una realtà molto diversa da quella dipinta nei comunicati ufficiali. Insomma la gestione del carcere, una struttura ritenuta particolarmente “sensibile” nella mappatura degli istituti di pena italiani per la presenza di un importante reparto di massima sicurezza e di un’area riservata nella quale erano rinchiuse due prigioniere politiche, tra cui Nadia Lioce, era diventata problematica. L’ininterrotto sciame sismico (354 scosse registrate, 182 soltanto nella giornata di martedì, e una sessantina di magnitudo superiore al 3 della scala Richter) ha accresciuto col passar dei giorni le tensioni. Detenuti e personale di custodia e non tolleravano più la loro presenza sul posto. D’altronde se la popolazione della città era stata evacuata dalle zone a rischio, non v’era nessuna altra ragione che giustificasse la permanenza all’interno dell’Istituto penitenziario dei reclusi, obbligando gli stessi agenti di custodia a correre dei rischi notevoli. I sindacati di polizia penitenziaria hanno sicuramente fatto la voce grossa. Così dopo l’ultima violenta scossa di martedì sera è partito nella notte il piano di evacuazione. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha avviato le procedure subito dopo la mezzanotte. I primi mezzi hanno lasciato il carcere delle Costarelle verso le due. Ovviamente un piano del genere non s’improvvisa. Dal Dap con una nota ufficiale hanno fatto sapere che si è trattato della «più grande operazione di traduzione di detenuti che si ricordi», dopo quella – aggiungiamo noi – che diede avvio al “circuito dei camosci”, la rete di carceri speciali voluta dal generale Dalla Chiesa. Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1977, in grande segretezza e con ampio spiegamento di forze e mezzi dell’Arma dei carabinieri, facendo anche largo uso di elicotteri birotore Chinook, alcune centinaia di detenuti politici furono trasferiti nelle prime carceri di massima sicurezza appena allestite, tra cui la famigerata sezione Fornelli nell’isola dell’Asinara. Per il trasferimento dei detenuti ristretti nel carcere aquilano sono stati impiegati, secondo le cifre fornite dal ministero della Giustizia, 200 uomini, molti dei quali appartenenti al Gom (il reparto speciale della polizia penitenziaria impiegato per la custodia dei reparti di massima sicurezza e per le operazioni speciali, noto per il famigerato comportamento tenuto contro i manifestanti nella caserma di Bolzaneto, nel 2001) per un totale di 70 mezzi, di cui 40 furgoni blindati e 40 autovetture della polizia penitenziaria. Le due donne rinchiuse nell’area riservata sono state tradotte nel carcere femminile di Rebibbia a Roma; gli 81 ristretti nella sezione 41 bis sono finiti nel reparto di massima sicurezza della casa di reclusione di Spoleto, mentre i detenuti assegnati al circuito della media sicurezza sono stati inviati nella casa circondariale di Pescara. L’intera operazione, sottolinea ancora il comunicato del ministero, «è avvenuta senza incidenti». Tensione c’è anche nel carcere di Sulmona, dove i 464 detenuti presenti (292 nella reclusione e 172 internati nella casa lavoro) si sono rifiutati di dormire in cella e hanno trascorso la notte nei passeggi e nelle sezioni. Anche se l’istituto penitenziario non ha subito danni, tra i detenuti circola un comprensibile stato di ansia. Per questa ragione la direzione ha rafforzato i turni di sorveglianza esterna al carcere e sospeso i riposi degli agenti penitenziari in servizio. Il terremoto ha fermato anche l’udienza del maxiprocesso alla mafia tirrenica. Un imputato, detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Avezzano, durante il collegamento in videoconferenza ha avuto un attacco di panico a causa delle scosse d’assestamento.
La situazione delle carceri abruzzesi e l’evacuazione di quello di L’Aquila
di Paolo Persichetti , Liberazione 8 aprile 2009
«Dopo aver effettuato un’approfondita verifica, possiamo affermare che le carceri delle zone interessate dal terremoto hanno complessivamente tenuto», è stato questo il messaggio rassicurante reso noto subito dopo il sisma dal ministro della Giustizia Alfano. Ma quella tipica precauzione semantica che si cela dietro l’avverbio complessivamente accende più di un dubbio. Infatti accanto alle case crollate col passar delle ore sono emerse anche le prime crepe nella versione ufficiale diffusa dal ministero di via Arenula.
Se è vero che la gran parte degli istituti penitenziari abruzzesi non hanno subito danni alle strutture, molto diverso invece è stato l’impatto delle scosse sulle carceri aquilane. L’istituto penale minorile è stato evacuato. I tredici ragazzi presenti sul posto sono stati trasferiti in altre sedi. Sei di loro nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, gli altri sette nei minorili di Potenza, Bari e Firenze. È quanto reso noto dall’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio.
Nonostante il tentativo di minimizzare la situazione, importanti sarebbero i danni inferti dal sisma alla casa di reclusione di L’Aquila. Un istituto penitenziario particolarmente sensibile perché ospita un’intera sezione di massima sicurezza, dove sono rinchiusi i detenuti sottoposti al regime del 41 bis (massime restrizioni e isolamento) e un’area riservata, cioè un regime detentivo ancora più aspro e nel quale l’isolamento, anche sensoriale, è praticamente assoluto. Non a caso poche ore dopo il sisma, il capo del Dap Franco Ionta ha inviato sul posto il direttore del Gruppo operativo mobile (il reparto speciale della polizia penitenziaria che gestisce i reparti di massima sicurezza), generale Alfonso Mattiello. Lo stesso Ionta è arrivato a L’Aquila nella serata di lunedì. In un comunicato ufficiale, emesso ieri, si dice che nella caserma del carcere sono state rilevate «solo lievi lesioni»; ma la versione che viene dall’interno dell’istituto aquilano è un po’ diversa. Secondo la testimonianza rilasciata a Irene Testa, segretaria dell’associazione “Il detenuto ignoto”, da un agente di servizio la notte del terremoto, l’edificio sarebbe inagibile, parte degli appartamenti della polizia penitenziaria sarebbero crollati mentre nel resto della struttura e nelle celle vi sarebbero danni «non rilevanti». Nel frattempo sei detenuti, di cui quattro in regime di 41 bis, più un ex collaboratore di giustizia e un “comune”, tutti bisognosi di cure cliniche, sono stati trasferiti, alcuni a Roma. Il crollo dell’ospedale aquilano non permetteva più di fornire loro l’assistenza medica adeguata. Altre tre traduzioni sarebbero in attesa. Sembra invece che il protocollo d’emergenza previsto in questi casi abbia funzionato bene. Almeno è quanto rivelano
fonti dell’amministrazione penitenziaria. Dopo la scossa anche i detenuti della massima sicurezza sarebbero stati raccolti per gruppi e portati nei cortili del passeggio, dove forniti di coperte hanno trascorso la notte. Anche a Sulmona è stato seguito un protocollo analogo. Solo un detenuto è stato colto da malore a causa di una crisi d’ansia. Nelle situazioni d’emergenza (terremoti, incendi, alluvioni) ogni carcere segue un suo specifico protocollo dettato dalle caratteristiche dell’istituto: tipologia architettonica e requisiti di sicurezza.
Ma intanto la terra continua a tremare per questo c’è chi chiede l’evacuazione completa dell’istituto di pena.
UN’AGENZIA DI QUESTA MATTINA RACCONTA LE TRADUZIONI NOTTURNI. TUTTO IL CARCERE DI L’AQUILA E’ STATO EVACUATO
Il video che inchioda Scotland Yard
Questo il video, esclusiva del Guardian, sulla morte di Ian Tomlinson, morto a Londra durante le manifestazioni contro il G-20.
Si vede chiaramente Ian camminare tranquillo, con le mani in tasca. Aggredito a freddo, alle spalle, dalla polizia anti-sommossa, cade a terra sbattendo la testa sul marciapiede. Morirà 15 minuti dopo, accasciandosi a terra per strada.
Secondo Scotland Yard è morto per “cause naturali”.
25 anni a Fujimori per crimini contro l’umanità
L’ex presidente dittatore del Perù, Alberto Fujimori, è stato condannato a 25 anni di carcere per crimini contro l’umanità dalla sezione penale della Corte suprema di giustizia. Sentenza storica ed unica nel panorama sud-americano. Aveva un mandato di cattura sulla testa dal 2000, ma fu impossibile arrestarlo perchè si rifugiò in Giappone (aveva illegalmente -per le leggi peruviane- mantenuto la cittadinanza giapponese)e lì restò fino a quando decise di rientrare passando per il Cile e contando sul potere che aveva nel paese : gli andò male e fu arrestato e poi estradato nel 2007.
Ieri, finalmente, la condanna è arrivata al termine di un processo durato 15 mesi (tutto in diretta televisiva), 160 udienze e circa 80 testimoni.
RESPONSABILE “OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO” di molti omicidi commessi dalle carovane della morte (il gruppo Colina )nel periodo della sua presidenza (1990-2000): contro la sovversione di Sendero Luminoso e l’ M.R.T.A. (il movimento dei Tupac Amaru).
Responsabile, quindi, del massacro nel Barrios Alto del 1991 dove ci sono statai 15 morti e il massacro dentro l’università La Cantuta di Lima del 1992.
Lui è stato condannato ma ci sono ancora 13 fujimoristi che siedono nel parlamento peruviano (alleati del presidente Garcia). Tra questi Keiko, figlia di Alberto Fujimori, che ha già dichiarato di volersi candidare a presidente nel 2001.
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