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Il 18 ottobre a L’Aquila: perché CI RIGUARDA TUTTE
Sullo stupro di Pizzoli leggi QUI sul rientro in servizio dei complici; QUI con un comunicato del 3e32 e QUI sulla merdosa richiesta delle donne del PD di L’Aquila.
CI RIGUARDA TUTTE
Il 12 febbraio 2012, in una discoteca di Pizzoli (L’Aquila), una giovane donna di 20 anni è stata stuprata e ridotta in fin di vita. Accusato di questa aggressione e tentato omicidio è Francesco Tuccia, un militare in servizio all’Aquila per l’operazione “Aquila sicura” partita dopo il terremoto.
La ragazza è stata ridotta in fin di vita e le sono state procurate lesioni gravissime e permanenti. Il 18 ottobre all’Aquila si terrà la prima udienza del processo.
Quel giorno GIOVEDI’ 18 OTTOBRE alle ore 08.30 noi saremo lì sotto il Tribunale de L’Aquila (Zona Industriale di Bazzano) a dire che:
CI RIGUARDA TUTTE l’animalità, l’efferatezza e la viltà degli uomini che in una notte di febbraio hanno massacrato il corpo e la vita di una donna lasciata sul selciato a morire.
CI RIGUARDA TUTTE il massacro del corpo e dei desideri di ogni donna, di ogni età condizione e luogo, che viene disprezzata, usata, maltrattata, percossa, uccisa, stuprata.
CI RIGUARDA TUTTE l’uso che si fa dei nostri corpi in nome di una sicurezza che non ci tutela ma, anzi, ci usa per emettere leggi razziste e repressive. Non ci stancheremo mai di dire che la violenza di certi uomini sulle donne non dipende dalla nazionalità/cultura/religione, né dalla classe sociale di appartenenza.
CI RIGUARDA TUTTE perché non vogliamo più doverci difendere da padri, fidanzati, amici, vicini di casa, datori di lavoro, fratelli, zii, medici, maestri, militari….
Saremo lì ad affermare la voglia e il diritto di autodeterminare le nostre vite.
GIOVEDI’ 18 OTTOBRE Ore 8:30 Tribunale de L’Aquila Zona Industriale di Bazzano
Centro Antiviolenza per le Donne – L’Aquila e Martedì Autogestito da Femministe e Lesbiche di Roma –
Martedì Autogestito da Femministe e Lesbiche tutti i martedì dalle 17.oo alle 23.oo su Radio Onda Rossa (87.9 fm) http://mfla.noblogs.org/
Dal Messico, per Alberto e tutti i prigioneri
Ho un amico che si chiama Alberto che sta in galera
Ho un amico che si chiama Alberto che sta in galera
Alberto l’hanno rinchiuso perchè s’è ribellato a un ordine ingiusto e cieco
Alberto sta pagando un caro prezzo per difendere la potenza dei nostri sogni
Alberto ha gli occhi scuri e profondi e una scintilla s’accende veloce quando parliamo di resistenza
Alberto ha sempre odiato il carcere, giorno dopo giorno
Alberto quando l’hanno arrestato l’hanno torturato, l’hanno umiliato…
…l’hanno braccato decine di agenti e l’hanno costretto a camminare solo verso la cella
Il potere, per accanirsi contro Alberto, ha montato un processo farsa e l’ha condannato a marcire in galera per troppi, troppi anni…
Una sentenza spropositata per un capro espiatorio, una infame vendetta di Stato
Fanno pagare ad Alberto le lotte di tutti e tutte…
…vogliono così intimorire la gente, farla rassegnare al presente perpetuo del capitalismo.
Alberto è uno, nessuno, è trecentomila.
Alberto è uno, nessuno, è trecentomila.
Alberto è un indigeno tzotzil del Chiapas
Alberto è un libertario romano
Nel Chiapas della guerra permanente e dei massacri contro gli indigeni, Alberto Patishtán Gomez, detto el profe, è stato condannato a 60 anni accusato di un’imboscata contro sei poliziotti… Nell’Italietta dell’ipocrisia e della precarietà Alberto Funaro, er fagiolino, viene condannato a dieci anni per resistere nella Genova della guerra di strada, combattuta metro per metro contro 20,000 agenti. Nel Chiapas della rivoluzione zapatista e dei villaggi autonomi in resistenza, Alberto Patishtán è un ostaggio del Potere che non tace, che denuncia, che tesse reti ribelli nelle galere…
Nell’Italia dei territori in resistenza Alberto è dentro per una passione, quella passione che fa anche della cella una trincea, una passione che quando si contagia fa tremare il potere. Quando i governi dispiegano i loro sbirri a difesa di se stessi, si somigliano ancora di più. Ma non c’è oceano, non c’è latitudine, non c’è frontiera… non ci sono argini e dighe che tengano quando le resistenze si conoscono, confluiscono e formano la grande mareggiata che, goccia dopo goccia, li sommergerà.
Abbiamo scelto di parlare di Alberto, dei nostri Alberto, ma avremmo potuto usare migliaia di altri nomi. Non solo per parlare della vendetta di Stato su Genova, che comunque c’ha scosso anche qui in Messico, o per parlare della guerra a bassa intensità che si combatte in Chiapas e miete vittime…
Gli ostaggi in mano del potere sono ovunque e tutti patiscono i rigori di un regime punitivo e insesato chiamato GALERA. Una condizione di costrizione dei corpi e incasellamento delle menti che trova il suo corrispettivo nel disciplinamento globale della società: eserciti che pattugliano per le strade, frontiere chiuse ai migranti di ogniddove, impunità garantita ai corpi di polizia, leggi speciali a difesa dell’accumulazione di capitale.
Per questo salutiamo Alberto Patishtán e Alberto Funaro, ma anche tutti gli altri e le altre compagne schiacciate fra le umide pareti della prigione: salutiamo, fra i tanti, i 5000 prigionieri politici in Palestina, le centinaia di baschi e basche condannate come terroristi per difendere in un lembo di terra a ridosso dei Pirenei, i guerrieri Mapuche che – irriducibili – pagano con sentenze secolari la difesa dei loro boschi, gli anarchici sequestrati da ogni Stato del pianeta, le centianaia di egiziani ed egiziane, fiori strappati alla primavera araba… gli attivisti e le attiviste perseguitati per occupare ed esigere case. Salutiamo inoltre i migranti di qualsiasi terra, cacciati da qualsiasi governo e incarcerati negli infernali CIE costruiti lungo quelle cicatrici che dividono il mondo in Stati…
E in questo spazio di riflessione, di libertà e di memoria ricordiamo chi in galera è morto. Perchè di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva.
E ricordiamo la dignità di una donna, di una compagna, una nostra compagna.
Occhi blu imprigionati per 18 di anni, occhi di una donna che non ha mai smesso di essere quello che era: semplicemente una donna, incredibilmente una donna. Guerriera, compagna, madre, sorella, amica. Franca Salerno è viva nello scontro quotidiano contro la barbarie della galera, pattumiera della società patriarcale, verticale, colonialista, capitalista. Una lotta che è la stessa che suo figlio, con noi, ha animato contro la precarietà, contro le guerre imperialiste, per il diritto all’abitare: Antonio e i suoi occhi blu. Che il mare vi culli, una madre e un figlio. Uniti nella rabbia e nell’amore.
L’ultimo abbraccio – amici, sorelle, compagni e passanti – lo diamo insieme a voi a chi ci ha portato qui: Renato. Ci sono buone ragioni per continuare a lottare, buone ragioni per rischiare anche la galera… sono le stesse che fanno la vita meravigliosa: la solidarietà, la giustizia, l’amore, il calore di un sorriso e di un abbraccio. Le stesse ragioni che hanno fatto di Renato – il nostro Renato – un ricordo vivo, collettivo e indimenticabile.
Con tutto il bene dell’anima, dal Messico
Fazio e Nina
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