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Un urlo di dolore, dalla mia Bosra
“Quando la terra della città
diviene rossa
quando le pareti della città diventano nere
non c’è riposo nè spazio bianco
Foto di Mechaal Al-Adawi
Giocando nel mercato romano, Bosra ash-Sham
nella testa
scrivo il mio dolore
Abdul Hadi al-Miqdad era un giovane uomo della città di Bosra, nella Siria Meridionale. Aveva 24 anni. Lavorava come spazzino per il comune. Era un uomo molto umile. Bravo. Con delle disabilità mentali.
Si era sposato da meno di un mese.
Il 20 ottobre 2012 le truppe dell’esercito regolare sono entrate in città senza incontrare alcun tipo di resistenza.
Tutti i giovani sono scappati dalla città per paura di essere arrestati. Nella città erano rimaste le donne, con i bambini.
Abdul Hadi si è riufiutato di fuggire, perché non potevano accusarlo di nulla. Non era coinvolto in nessuna manifestazione ed era impiegato statale.
L’esercito ha rastrellato ogni casa per poi bruciarne molte (200 case) e per dare alle fiamme i negozi (circa 300 attività).
Poi è arrivato il turno della casa di Abdul Hadi, gli hanno chiesto di uscire fuori, che avrebbero dato alle fiamme la casa.
Lui si è rifiutato di uscire, era un novello sposo. La sua camera da letto (il sogno di una vita intera) era stata comprata nemmeno un mese prima. I soldati dell’esercito l’hanno messo al centro della stanza, lo hanno bruciato vivo insieme ai materassi e alle coperte, per poi chiudere la porta.
Lo spirito di Abdul Hadi al-Miqdad è andato in paradiso col sapore di una grigliata di carne umana”
Su Bosra ci sarebbe tanto…e mai avrei pensato sarebbero state macerie…
Le bombe in casa nostra / 2
Da Gabriele Del Grande…sulla strada verso Aleppo
Da Gabriele Del Grande, penna e mente di FortressEurope, condivido questo aggiornamento di stato di una manciata di minuti fa.
Ti auguro buon viaggio, il viaggio che vorrei fare ora, il solo che potrei fare.
Sulla strada di Aleppo…con la fortuna sotto braccio, e il sole di Siria davanti agli occhi,
che la strada ti sia amica, fino al rientro a casa.
Ieri un contrabbandiere siriano a Yayladagi mi ha fatto vedere sul cellulare il video di due soldati del regime siriano mentre tagliano la testa con una motosega a un attivista. Lui, il contrabbandiere, le armi le ha prese dopo che un cecchino di Bashar ha colpito suo figlio alla testa. Aveva otto mesi e quando hanno sparato dormiva, dentro la carrozzina spinta dalla madre.
Il suo vicino di casa invece, le armi ha deciso di non imbracciarle. Per principio. È un comunista di Homs, tra i primi organizzatori delle manifestazioni contro il regime. Manifestazioni che per sei mesi sono state pacifiche, nonostante migliaia di uccisioni e decine di migliaia di arresti commessi dalle forze del regime e dai suoi sgherri.I primi tre giorni a Hatay si alternano tra questi due sentimenti. L’entusiasmo dei combattenti pronti a morire pur di vendicarsi e mettere fine al bagno di sangue, e la delusione dei militanti non violenti che invece temono che la situazione degeneri e che sono convinti che già troppo sangue sia stato versato, anche a causa delle strategie dei combattenti rivoluzionari.
In mezzo a queste due posizioni ci sono i drammi personali di migliaia di famiglie ancora bloccate al confine tra Siria e Turchia, fuggiti dai bombardamenti aerei inflitti quotidianamente dal regime nelle zone insorte.
La Turchia non gli concede l’asilo politico, ufficialmente sono definiti “ospiti” e vengono accolti in dei campi profughi lungo tutto il confine. Contro di loro poi si è scagliata la sinistra turca, scesa in piazza per chiederne l’espulsione di massa, con slogan razzisti che accusano i profughi siriani di essere terroristi al soldo dell’imperialismo americano e sionista. Grossomodo le stesse frasi fatte che si sentono in certi ambienti della sinistra italiana, più attenti all’ideologia da risiko salottiero che non al racconto della realtà.
Per raccontare la realtà invece, noi stiamo per attraversare la frontiera. Partiamo stanotte con Alessio Genovese, direzione l’inferno. Aleppo. Inviati da nessuno perché “noi siamo concentrati su altro adesso” come mi ha scritto oggi uno dei più importanti settimanali italiani.
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