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Al telefono con Anna Frank, ora residente in Siria
Quanti anni avevo quando ho letto il Diario di Anna Frank?
C’è sicuramente scritto dentro, accanto al mio nome, come in ogni libro, nella prima pagina in alto a destra.
Avevo 9 anni mi sembra,

Io…e il mio Hauran amato sotto ai piedi!
toccavo quelle pagine con emozione, me ne sentivo parte,
le ho scritto qualche volta, abbozzi di prime lettere non spedibili.
Quindi la sensazione di “scrivere” ad Anna Frank ancora la ricordo; ero una bambina che sentiva quel dolore e quella segregazione nel sangue, la sentivo sorella, prendevo le sue confidenze come segreti tra noi.
Invece la sensazione di parlarci al telefono, quella no,
quella ha sbaragliato la realtà ieri. Per la prima volta in quasi 31 anni di vita:
SBAAAM, ieri son bastati pochi minuti per perder contatto con la terra, con la ragione,
con la capacità di razionalizzare il dolore.
ieri ho parlato con Anna Frank:
ha la voce di un ragazzo, mio coetaneo, che da 10 anni considero un fratello.
Un trillino sul telefono.
Il prefisso è giordano, cavolo! richiamo immediatamente, sarà sicuramente il mio amico da Bosra.
Di Bosra vi ho parlato tante volte, è la mia casa in Siria,
così vicina al border giordano che chi ancora vi resiste, ha la possibilità (almeno quello) di poter parlare un po’, senza pericolo che le proprie parole possano essere usate come arma contro la propria famiglia,
perché passano su altre antenne, oltre confine.

Foto di Valentina Perniciaro _Il pane di Bosra, che ora non c’è più_
Ho richiamato subito quello sconosciuto numero giordano,
subito e col cuore in gola. Un po’ di tentativi prima di prendere la linea, poi eccola la voce di Z., si sentiva chiara e vicina, decisamente diversa dall’ultima volta che c’eravamo sentiti,
appena una manciata di giorni fa.
“Ciaoooooooo, come stai?”
“Non me lo chiedere, ti prego. La situazione è di molto peggiorata dall’ultima volta che ci siamo sentiti.
Siamo scappati tutti dalla città vecchia, ora siamo a Bosra nuova, in 18 dentro due stanze.
Da 4 giorni non abbiamo nulla da mangiare, nevica e non c’è modo di trovare qualcosa per scaldarsi.
Più della metà della popolazione della città è scappata verso il campo profughi di Zaatari, in Giordania *.
Tuo figlio come sta?”
“Bene, ma che domande fai! Tua figlia come sta?”
“Mi fa strano pensare che i nostri figli hanno la stessa età: lei non cresce da molto tempo, rimane piccola, da quando è iniziata la guerra e da quando la situazione a Bosra è peggiorata la sua crescita è ferma.
Non c’è cibo, è terrorizzata dai continui colpi che sente.
Sai cosa succede qui intorno? Noi siamo tagliati fuori da tutto.”
“So che sotto bombardamenti in quella zona c’è Bosra al-harir e che nelle ultime 48 ore è peggiorata la situazione lungo l’autostrada Daraa-Damasco, ormai zona di guerra.”
“Grazie Vale, io da qui non so nulla, solo il bianco della neve che guardo fuori, la fame e il freddo.
La situazione è drammatica: Bosra la conosci bene, è sempre stata un crogiolo di religioni. Il regime è riuscito a far scoppiare la guerra civile tra noi, l’ha alimentata e c’è riuscito.
Io fino a poche settimane fa non sapevo il credo di nessuno delle persone con cui son cresciuto: è la cosa peggiore che poteva accadere.”
“baciami la tua bambina, tua madre…”
“Eccola mia madre, te la passo, dice che le manca giocar con te sotto al fico”
“Non sai a me Z., non sai quanto mi mancate tutti voi: mi raccomando, proteggete la vostra pelle, stai stretto stretto alla tua bimba: provo ad inviarvi soldi entro la settimana.
Ti voglio bene, ti chiamo presto…e presto i nostri figli giocheranno insieme”
“Lo spero; spero ci saremo ancora tutti quando il telefono squillerà di nuovo, grazie”
Sono circa 24 ore che cerco di riprendermi da questa chiacchierata, circa 24 ore che cerco di riposare,
di permettere al sangue di scorrere senza sentirsi così pesante,
sono 24 ore che cerco di essere forte, di non piangere, almeno di non farlo col singhiozzo
che ieri ha avvolto ogni cosa.
* Zaatari: il campo profughi da giorni è una distesa di fango, con le tende che galleggiano e qualche decina di migliaia di persone prive di tutto, in condizioni umanitarie non descrivibili.
comprendere l’esilio …
“Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque”
con queste parole mi hanno insegnato l’esilio, che ero una bambina; ci hanno provato, almeno.

Così, come una bastonata sui denti…. Bosra ash-sham, mio paradiso casa oasi mondo … in un Siria che probabilmente esisterà solo dentro di noi…
Solo ora capisco che l’empatia totale verso quel dolore, che sentivo così mia, era un’illusione, stolta e infantile.
Non lo conosco ancora l’esilio, perché ho imparato a capire che certe cose si comprendono solo quando aprono la carne,
quando spaccano la pelle come un callo dopo tonnellate di ore, giorni e mesi di ripetitiva fatica,
quando penetrano con violenza, come lama.
Pensavano di insegnarci l’esilio, pensavano di farci credere che Foscolo scrivesse dell’esilio per raccontarci qualcosa,
invece urlava solamente. Urlava, urlava come ora urlano i miei fratelli esuli, senza forse nemmeno il desiderio che qualcuno li ascolti.
Perchè, l’esilio, è un dolore che non si può raccontare, è un dolore che non riesce a costruire parole adatte malgrado milioni di capolavori siano stati scritti intrisi di quel sentimento dall’apparenza letale; malgrado la condizione d’esule è forse quella che più porta la mano a lasciar il segno sulla carta…
Ora che lo vedo, lo leggo, lo sento e lo osservo negli occhi blu di un fratello, e in quelli di sua madre,
mi sembra di conoscerlo meglio questo maledetto esilio.
Al punto che non lo sopporto, che non sopporto la letteratura che ne parla, al punto che pure i sonetti con cui son cresciuta mi sembrano delle minacce vaganti,
pronte a lanciarmi in lacrime nel vuoto, nel silenzio, nell’impossibilità di darmi delle risposte.

Foto di Mechal Al-Adawi Bosra ash-sham, e i suoi mille strati di storia…
Osservo le foto di quella cittadina polverosa e ne sento ogni rumore.
Non mi era mai successo prima. Non mi era mai successo prima di sentir l’odore di una fotografia,
di sentire il sapore scendermi in gola, farmi felice, riempirmi come il più gustoso sesso.
Il dolore di questa nostalgia ha un sapore schizofrenico: scende dolce, riempie il palato e sembra arrivare in testa in un effluvio di sapori di casa e mani sapienti
poi l’amaro prende il sopravvento,
obnubila il tutto, vela il panorama di grigio e di sangue.
L’esilio non conosce giorno e notte, come gli occhi del mio fratello, ormai venati di una stanchezza senza possibilità di ristoro.
Senza tetto, cibo, acqua, sangue, cuore che batte, bocca che ride, mano che stringe e accarezza: l’esilio sembra non riuscire ad aver sembianze di vita.
Per la prima volta forse, dopo una ventina d’anni da quando ho sentito l’urlo di Foscolo e il suo “fato di illacrimata sepoltura” credo di poter pronunciare la parola esilio, proprio ora che non ne ho la forza,
perché si ferma, non esce tutta intera senza tremare, senza affievolirsi tra le labbra, come un ultimo respiro.
Cerco disperatamente immagini attuali di quei vicoli di basalto e trovarle mi getta nella disperazione: mi sento violentata ad ogni scheggia di basalto che vola via,
sento ancora il sorriso di quei bimbi, i tramonti a giocar a nascondino nell’agorà, sottobraccio ai secoli…
proprio quando ho queste nette sensazioni di far ancora parte di quella terra, quando ne sento i rumori e il dialetto nella testa mi domando quanto ci si possa illudere di conoscere l’esilio, il significato reale di questa parola.
Quasi me ne vergogno, mio dolce beduino dagli occhi blu, di usare le parole senza sentirne il peso.
Il dolore, pietra nelle vene.
Beati quelli che credono in un Dio, beati loro che si affidano alle sue assenti cure e ne sentono il conforto,
beati quelli che credendogli possono accusarlo di cotanta distruzione improvvisa e imperdonabile, e poi di nuovo innamorarsene, confidando in un ritorno e in un ristoro, almeno celeste. Almeno non hanno il bisogno di razionalizzare il dolore come provo a far io, fallendo miseramente.
Questa la dedico a te, e alla tua bella mamma…
Leggi:
Al telefono con Anna Frank
Bosra , beduini e innamoramenti
Ciliegie e nostalgia
ma buon anno ddddechè
Ode al dolore
Le bombe in casa nostra
Bombardamento su Yarmouk, campo profughi palestinese
Questo il campo profughi palestinese di Yarmouk poco fa..

Yasser e Lama, fratello e sorella del campo profughi palestinese di Yarmouk, della periferia di Damasco, uccisi durante gli scontri del 13 dicembre
le parole per descrivere queste immagini sono pochissime.
Girate all’ingresso di una moschea stracolma di persone, vista la difficile situazione che si vive nel campo, soprattutto da un paio di settimane a questa parte.
Dopo 12 giorni di intensi scontri nel campo situato nella periferia di Damasco, lo storico leader del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina -Comando Generale- Ahmed Jibril, fedelissimo di Assad, ha lasciato la zona per la lontana Tartous, cittadina costiera siriana.
Poco dopo aver lasciato il campo profughi l’aviazione siriana ha bombardato una moschea del campo: sembrano una ventina i morti immediatamente successivi all’attacco, come si può vedere dalle immagini.
Tutti profughi palestinesi, ovviamente. Che si vanno ad aggiungere ai numerosi di questi ultimi giorni, soprattutto nell’attacco dello scorso giovedì, che ha visto colpire diverse abitazioni causando la morte di molti bambini.
i quasi 40.000 cadaveri abbandonati, a pochi km dalla Palestina
Foto di Mechal Al-adawi…la quotidianità smarrita di Bosra
Un video agghiacciante ha fatto da buongiorno.
Un video dove c’è solo un accumularsi di corpi di bimbi, un accatastarsi di urla di madri private del più grande amore,
strappato via nel sangue e nell’incomprensibilità di un conflitto che ormai è trasceso nella mattanza,
semplice, chiara, palese,
mattanza.
I bimbi di questo video si chiamavano, e per le loro madri continueranno a chiamarsi, Shahd, Muhammed, Adnan Fateba, Zainab, Iman, Ounoud e Mamdouh.
Un paese che era gelsomino e pane caldo, ora è un mattatoio, una tonnara,
un qualcosa di indescrivibile.
Ed ora non voglio parlare di quest’abominio,
non voglio dirvi quel che penso dei missili, dei coltelli che sgozzano, dell’areonautica che lavora bombardando senza sosta dell’esercito di Assad,
non voglio dirvi quel che penso delle truppe mercenarie che si son appropriate di una rivolta reale che finalmente muoveva mani piedi e voci contro anni di silenzio forzato, di tortura e carcere.
Ora come ora parlare di Siria vuol dire vomitare un odio e un disprezzo infinito per buona parte delle forze in campo: anche se consapevole di quanta mia Siria è lì a resistere alle truppe di Assad come ai proclami islamici dei ribelli arrivati da chissà dove,
consapevole di quanto popolo siriano ci sia e ci sia stato nelle strade che urlavano IRHAL, via via da qui, al regime del partito Baath.
Insomma nessun articolo di racconti di guerra, nessun articolo di sterile geopolitica incapace di parlare del dramma umano.
Quel che voglio chiedermi in queste righe è PERCHE’,
perché a meno di 400 km dalla Palestina si accumulano nei furgoncini corpi di bimbi come fossero sacchi di farina,
perché le urla di quelle mamme non arrivano alle vostre orecchie,
non vengono pubblicate sulle vostre bacheche facebook che fino a pochi giorni fa erano invase solo da Gaza.
Giuro, non riesco a capirlo,
Sarà che ho giocato con i bimbi di Palestina nelle stradine dei loro campi profughi,
ma che per anni ho diviso giochi e pasti con le famiglie siriane,
nella loro terra fertile e profumata,
ho amato le loro case, i loro vassoi sempre pieni, la loro dolce solidarietà costante ai fratelli palestinesi.
Sarà che per me la Siria rimane casa, ma non riesco a capire questo silenzio,
non riesco a capire come fino a ieri urlavate e vi strappavate i capelli cercando di bloccare la bastarda guerra sionista su Gaza,
e davanti a questo invece,
semplicemente,
vi girate dall’altra parte.
Non riesco a capire, ma credo sia meglio così.
e vi lascio le dolci e dolorose righe di quel che era il mio fratello siriano, e che ora è diventato il mio poeta esule fratello siriano.
Rimango a distanza,
osservando la mia tristezza,
abbracciato alla nebbia
di questa triste mattina,
di quest’esilio forzato,
guardando lacrime di dolore
lavare il volto del mattino
…..
Ogni giorno mi alzo prima del sole
lo guardo
oggi ci porterai della speranza?
Ma il sole rimane nel suo letto,
sbadiglia,
forse si vergogna di sorgere,
se il sole
non sorgerà nella terra che ho dentro di me
sorgerà mai sulla mia terra, laggiù?
………
In esilio il dolore è più pesante,
la tristezza più profonda
l’esilio è un surgelatore,
portiamo con forza
tutta la nostra memoria
vicina e lontana,
alla ricerca di un po’ di calore
ma è tutto futile quel che cerchiamo
…….
Cerchiamo tra le macerie,
rimasugli di una terra natale,
per la speranza, comunque misera,
di attendere un nulla,
che ci dia speranza,
che ci lasci vivere
almeno per una notte,
ma è tutto futile quel che cerchiamo
………..
Rimango a distanza,
assediato dal mio dolore
stringendo forte al petto il mio dolore
è un dolore che annega in ogni direzione,
cerco la mia terra,
ma brucia come una candela,
evapora come acqua
la mia terra è cambiata,
un cimitero di fratelli seppelliti sui fratelli.
………
Nonostante tutti i miei vestiti invernali
mi sembra di camminare nudo
per le strade di Roma,
mi vergogno
della compassione negli sguardi della gente,
un povero vagabondo senza patria,
E così anche l’abbraccio di mia figlia Benedetta,
di mia sorella Valentina,
la calda accoglienza degli amici
Leonardo e Riccardo,
La vispa Claudia,
così come la gentilezza di Giulia e Margherita,
tutti loro mi han donato del calore,
ma è stato come un anestetico locale,
perché il mio gelo è così profondo
e i duri colpi del freddo hanno attraversato il mio corpo
tutti i vestiti del mondo
non daranno calore alla mia anima lacerata.
……..
Le lacrime di dolore
non mi scaldano nel freddo dell’esilio,
non splende sole sulla mia terra,
non brilla la patria che ho dentro di me.
Alla terra più amata
Ode a dolore, alla nostalgia, a Bosra
Un urlo da Bosra: la storia di Abdul Hadi
A Tamer
Sobborghi e campi palestinesi
Le bombe in casa NOSTRA
A Tamer al-Awam, compagno di risate, bevute e canti di lotta…
Ho un sacco di regali tuoi,
un fazzoletto rosso con una piccola falce e martello e il nome in arabo di un’organizzazione comunista degli anni ’70,
e poi quel foglietto, dove piano piano e cercando di usare un arabo scritto a me comprensibile mi hai scritto tutta “Fischia il vento”, orgogliosissimo, per poi cantarla sul punto più alto del terrazzino della “nostra” casa damascena.
Tanto, dicevi, la galera di Assad da comunista la conoscevi bene. Se pure ti riarrestavano saresti stato almeno orgoglioso di sapere che una piccola fanciulla italiana aveva imparato quella canzone anche nella tua lingua bella.
Oggi, solo oggi, con un tremendo ritardo, mi cade per sbaglio l’occhio sul tuo viso, in rete.
Oddio ma quello è Tamer..eh si, è proprio Tamer, Tamer al-awam,
quello che mi insegnava gli slogan dei compagni, quello che ballava allegro fino al mattino dicendo sempre che prima o poi avrebbe assaggiato la libertà.
Tu che avevi conosciuto la galera che non avevi nemmeno vent’anni, e che per tutta risposta non hai mai smesso di esser quello che eri. Anzi, eri diventato quel che ormai tanti anni fa dicevi di esser destinato a diventare…
un regista, un poeta, un uomo incapace di non comunicare sè stesso, il proprio amore per l’uguaglianza e la libertà.
E quindi, dopo due detenzioni sei fuggito via, in Germania,
per dar voce al tuo desiderio d’arte e fuga, per sentirti libero.
Mi dicono che hai fatto un film molto bello, tu, caro spilungone di Sweida, un’altra cittadina di basalto e terra rossa;
tu che tutti i giorni venivi coi tuoi microbus da Jaramana, sobborgo damasceno dove ci invitavi sempre,
per qualche cena di ceci e cammello per quelle strade polverose.
Ed oggi cado in un video dove tentano disperatamente di rianimarti, tu che avevi da pochi giorni rivarcato il confine siriano per seguire gli scontri ad Aleppo, telecamera alla mano… dopo le carceri di Assad padre e poi figlio, ora una bomba,
solo una bomba e il Tamer dal sorriso dirompente e dalle orecchie a sventola,
il Tamer che s’addormentava ovunque col suo corpo lungo lungo e fino…
a te non riesco a scriverlo un addio,
sento la tua risata tra i tetti di Damasco e sento una nostalgia di quelle serate che sarebbe in grado di squarciare il suolo.
Ciao Tamer, il tuo “fischia il vento” non lo dimenticherò mai,
quel foglietto è sempre con me…
Ora più che mai.
Da Gabriele Del Grande…sulla strada verso Aleppo
Da Gabriele Del Grande, penna e mente di FortressEurope, condivido questo aggiornamento di stato di una manciata di minuti fa.
Ti auguro buon viaggio, il viaggio che vorrei fare ora, il solo che potrei fare.
Sulla strada di Aleppo…con la fortuna sotto braccio, e il sole di Siria davanti agli occhi,
che la strada ti sia amica, fino al rientro a casa.
Ieri un contrabbandiere siriano a Yayladagi mi ha fatto vedere sul cellulare il video di due soldati del regime siriano mentre tagliano la testa con una motosega a un attivista. Lui, il contrabbandiere, le armi le ha prese dopo che un cecchino di Bashar ha colpito suo figlio alla testa. Aveva otto mesi e quando hanno sparato dormiva, dentro la carrozzina spinta dalla madre.
Il suo vicino di casa invece, le armi ha deciso di non imbracciarle. Per principio. È un comunista di Homs, tra i primi organizzatori delle manifestazioni contro il regime. Manifestazioni che per sei mesi sono state pacifiche, nonostante migliaia di uccisioni e decine di migliaia di arresti commessi dalle forze del regime e dai suoi sgherri.I primi tre giorni a Hatay si alternano tra questi due sentimenti. L’entusiasmo dei combattenti pronti a morire pur di vendicarsi e mettere fine al bagno di sangue, e la delusione dei militanti non violenti che invece temono che la situazione degeneri e che sono convinti che già troppo sangue sia stato versato, anche a causa delle strategie dei combattenti rivoluzionari.
In mezzo a queste due posizioni ci sono i drammi personali di migliaia di famiglie ancora bloccate al confine tra Siria e Turchia, fuggiti dai bombardamenti aerei inflitti quotidianamente dal regime nelle zone insorte.
La Turchia non gli concede l’asilo politico, ufficialmente sono definiti “ospiti” e vengono accolti in dei campi profughi lungo tutto il confine. Contro di loro poi si è scagliata la sinistra turca, scesa in piazza per chiederne l’espulsione di massa, con slogan razzisti che accusano i profughi siriani di essere terroristi al soldo dell’imperialismo americano e sionista. Grossomodo le stesse frasi fatte che si sentono in certi ambienti della sinistra italiana, più attenti all’ideologia da risiko salottiero che non al racconto della realtà.
Per raccontare la realtà invece, noi stiamo per attraversare la frontiera. Partiamo stanotte con Alessio Genovese, direzione l’inferno. Aleppo. Inviati da nessuno perché “noi siamo concentrati su altro adesso” come mi ha scritto oggi uno dei più importanti settimanali italiani.
Damasco,sobborghi e campi profughi: di massacro in massacro..
Al-Kadam è uno dei quartieri della periferia meridionale di Damasco,
il suo cimitero coincide con il confine di Yarmouk, il più grande dei campi profughi palestinesi all’interno della cinta periferica della capitale siriana. Una zona povera e polverosa, solo poco più vicina al centro rispetto a Daraya,
ultimamente diventata famosa per il più grosso dei massacri da quando questo conflitto è inziato.
Una zona particolare della città, come particolare è la compagine di Yarmouk, zone da sempre pullulanti di comitati di quartiere, di organizzazioni laiche, di donne,
dove le anime più progressiste riuscivano ad emergere dai meccanismi della dittatura militare baathista,
costruendo un minimo di tessuto sociale che non fosse “Allah, Suriya, Assad wa Bass” (Allah, Syria, Assad e basta),
il “Dio, Patria, Famiglia” slogan numero uno della società siriana per decenni
ed ora di chi la difende, anche qui.
Sono infatti le zone che la stanno pagando più cara, a Damasco.
Il campo palestinese di Yarmouk da subito è sceso in piazza contro il regime e già dal 15 maggio (anniversario della Nakba palestinese) dello scorso anno ha chiaramente fatto capire che non si sarebbe sottomesso allo sporco gioco di strumentalizzazione portato avanti dalle truppe di Assad.

maggio 2012, un funerale a Daraya
Dopo troppi funerali e sventramenti, ha accolto le truppe dell’esercito libero con le braccia aperte, per trovarsi poi a combattere qualche ducetto salafita, non certo ben visto tra i vicoli polverosi di Yarmouk.
E non si respira un’aria che possa definirsi respirabile.
Daraya, tutto il quartiere di Daraya, è sceso in piazza dal primo istante e non ha mai smesso di farlo:
Si è sempre distinto, fino all’ultimo suo respiro, per dei cortei fitti fitti, stracolmi di tutti gli abitanti di quelle strade,
cortei autorganizzati e liberi, mossi dai comitati di quartiere, mossi dai giovanissimi e da tante donne.
Daraya non s’è sottomesso alla militarizzazione del conflitto, ha sempre scelto di muoversi senza armi,
testa alta e coraggio da vendere,
ed ora non resta che un lago di sangue.
L’elenco dei morti, che non ricordo se si aggira tra i trecento e i quattrocento, è facilmente reperibile in rete…
si accavallano nomi e cognomi, luoghi e date di nascita,
di un eccidio che lascia un amaro in bocca difficile da mandar giù.
L’orrore, l’orrore quello inimmaginabile, è stato tirato contro chi ha sempre scelto da che parte stare,
contro chi ha cercato di dimostrare dal primo istante la genuinità di questa ribellione,
poi facilmente svenduta alla militarizzazione e ai giochi internazionali.
Da che parte stare però appare chiaro,

Il campo profughi Al-zatary in territorio giordano…
nel nulla totale
perché son centinaia di migliaia i siriani che vogliono abbattere la dittatura militare che li ha piegati e resi muti fino ad ora,
senza passare per quella religiosa,
sono in migliaia a non voler scambiare una regime per un altro,
è proprio la sinistra siriana, la sinistra palestinese prigioniera dei campi,
chi ha sempre provato ad autorganizzarsi..
sono loro a passare il momento più buio, loro ad aver il cappio intorno al collo più stretto di altri.
Mi piacerebbe pensare che non siano abbandonati a loro stessi,
accusati anche di esser servi di giochi geopolitici che vi stanno mangiando la materia grigia.
C’è molto da leggere sul massacro di Daraya,
gli stessi comitati cittadini, quel poco di loro che è rimasto dopo quella strage fatta porta per porta,
hanno risposto all’articolo di Robert Fisk apparso pochi giorni fa e che in pochi secondi ha fatto il giro del mondo…
uno scivolone commentato da molti, che poteva risparmiarsi visto che poi scrive di suo pugno che non può muoversi senza “militari alle calcagna”…
sui commenti al suo articolo è facile reperire tonnellate di carta,
mentre vi allego integralmente la risposta dei comitati cittadini (QUI IN ARABO) :
On Wednesday 29 August 2012, Mr. Robert Fisk of The Independent wrote a report on the Daraya Massacre that was perpetrated only 4 days earlier. Mr. Fisk is a world-famous journalist known for his balanced opinion pieces and ground-breaking reports especially from the Middle East. The people of Syria especially remember Fisk for being the first foreign reporter to enter the city of Hama after the 1982 massacre and relate to the world the horrors he saw there. Thus, we were absolutely astonished by the above-mentioned report and would like to make sure that certain points in it are not left uncorrected. We do this out of respect to the fallen heroes and to make sure the voice of the victims is heard.
Daraya
Anyone who watched the infamous and insolent report made by the state-favored Addounia TV, would notice the obvious similarities between the two reports.
One major concern that would invalidate any statement taken from the victims is the presence of army personnel as admitted by Mr. Fisk himself. Anyone with the slightest knowledge of the Syrian regime would know the degree of intimidation this would incur in the hearts and minds of witnesses. The army does not need to spoon-feed the statements to the witnesses as fear is more than enough to make them repeat the narrative propagated by the government about armed militias and radical Islamists.Moreover, the article is headlined and predicated on the government’s unbelievable prisoner-swap story. The question that begs to be asked is the following: Even if there was a prisoner exchange and it failed, does the Assad regime have any grounds at all for this level of retaliation? Were there similar failed rounds of negotiation before the massacres of Muaddamiya, Saqba etc. In fact, what has been happening in the towns of the Damascus Countryside Governorate, and indeed all of Syria, follows a similar scenario that begins with shelling and ends with massacres of civilians.
A seemingly strong point in Mr. Fisk’s report is his mentioning of real names of people telling their real stories. However, the Coordination Committee of Daraya has been in touch with some of these people and the following corrections need to be made.1- The story of Hamdi Khreitem’s parents. The witness must have been too intimidated to identify his parents’ killers. Our reliable sources from the field hospital of Daraya confirm that both of them were targeted by a sniper (from the Assad army of course).
2- The story of Khaled Yahya Zukari. The witness was actually in a car with his brother and their wives and children. They were shot at by government forces and his wife and daughter (Leen) were hit. The baby girl’s head was almost split in half and a bullet penetrated the mother’s chest. The mother became hysterical as a result of the shock. Later she died as the field hospital had to be evacuated prior to an army raid. The Assad army told the people that the FSA raped and killed the woman.
The fear and intimidation of witnesses is reflected sometimes in their refusal to name a guilty side. Moreover, Mr. Fisk should know better than reporting conjecture such as this: ‘Another man said that, although he had not seen the dead in the graveyard, he believed that most were related to the government’s army and included several off-duty conscripts.’ The implicit accusation is of course directed against the FSA and this method of reporting resembles Syrian state propaganda par excellence, something that we wish Mr. Fisk had not done.
The revolution committee would finally like to stress also that Mr. Fisk did not meet any member of the opposition in Daraya and that he merely depended on the narrative of his ‘tour guides’ in reporting on such a horrific massacre, the ugliest Syria has seen in the 17 months of the revolution.
E vi lascio con il volto di Wissam Ali, nato e cresciuto non molto lontano da lì, nel quartiere di KafrBatna.
Lui è stato ucciso sulla porta di casa, giustiziato davanti alla sua famiglia.
Sul suo volto è chiara la scritta ASSAD E NESSUN ALTRO.
Basta questo penso…
Dalla Siria per la Siria
Ho smesso da tempo di scrivere e parlare di Siria.
Perché fa male al cuore in un modo dolorosissimo, perché ho pezzi di vita sotto ai cingoli di quei carri armati,
perché non ce la faccio, psicologicamente, ad affrontare la marmaglia rossobruna e i suoi continui attacchi.
Quando qualche giorno fa mi ha chiamato Radio BlackOut chiedendomi una chiacchierata sulla situazione attuale nel paese che da un decennio chiamo “la terra più amata“, mi si è fermato il cuore,
perché so di essere “impopolare” in quel che penso di quella terra, perché so di non aver la lucidità per parlarne razionalmente,
senza che le emozioni prendano il sopravvento,
senza che la rabbia obnubili la ragione.
Perché continuo a non capire come si possa difendere quel regime,
come ci si possa dividere tra difensori di un orrore che ha diversi decenni,
e democratici merdosi interventisti, bombaroli da salotto in attesa della prossima devastante guerra.
Un territorio ormai completamente balcanizzato.
Sia il regime, sia chi in quel territorio gioca le carte più sporche, son riusciti ad ottenere il più ambito dei risultati :
spezzare l’unità di quel paese in tante piccole millet armate e guerreggianti,
spazzar via il ribelle desiderio di cambiamento e libertà con un livello di militarizzazione del conflitto impressionante.
Alla luce di tutto ciò scriverne è faticoso,
soprattutto se poi sei costretto ad aver a che fare co’ sti finti rivoluzionari che si sentono pro-palestina
senza accorgersi che difendendo il regime baathista non fanno altro che difendere chi sulla palestina ha sempre lucrato,
chi i palestinesi l’ha sempre tenuti in gabbia,
chi ha creato un meccanismo di protezione/controllo/repressione sui profughi palestinesi che non ha molto da invidiare al sionismo.
Il regime baathista ha fondato la sua storia sul sangue palestinese, e sulle possibili strumentalizzazioni di cui quel sangue tanto caro è pieno.
Stiamo messi male, se questo è il pensiero della sinistra sul medioriente,
per quello forse è meglio tacere.
Però vi mando queste righe, che provengono dalla Siria che mi ha cresciuta, coccolata, nutrita.
Viene dalle famiglie che mi hanno offerto la loro uva, dalle famiglie che mi hanno insegnato ad essiccare il grano sul basalto,
da coloro che mi hanno aperto i loro cortili fioriti accogliendomi con un sorriso
che non solo non posso dimenticare,
ma che voglio poter rivedere sui loro volti.
E’ un appello proveniente da Bosra, quella che io per anni ho chiamato l’ “oasi millenaria di pace” …e che ora, come tutto il resto del paese,
è un lago di sangue.
APPELLO URGENTE PER RISPONDERE AI BISOGNI UMANITARI DELLA POPOLAZIONE SIRIANA
Cari amici,
sicuramente, come me, state seguendo gli aggiornamenti internazionali riguardo la tragedia che colpisce la Siria ormai da 15 mesi.
Tuttavia, una parte di questa tragedia non viene raccontata da nessuna testata giornalistica: mi riferisco alla vita quotidiana delle persone, alla miseria a cui sono costretti, cosa difficile anche per me descrivere a parole.
I dominanti interessi politici, l’insicurezza generale ed il crollo delle attività economiche hanno privato centinaia di migliaia di famiglie dei loro già limitati mezzi di sostentamento e come se non bastasse il quadruplicarsi del prezzo dei beni di prima necessità come pane, zucchero, riso e olio va a sommarsi alla difficile situazione interna. L’aumento dei prezzi ha purtroppo travolto anche il sistema medico sanitario e le medicine.
Inoltre sono molto poche le famiglie che sono riuscite ad abbandonare il paese, senza trovare, il più delle volte, condizioni di vita migliori.
Dal punto di vista politico la situaizone degenera ogni giorno di più, ed il peggio a mio avviso deve ancora arrivare. Dobbiamo aspettarci che gli scontri oltrepassino i confini siriani, perchè la Siria oggi non è che il primo campo di battaglia di quella che sarà purtroppo una guerra molto più grande, fomentata da diversi paesi che non vogliono altro che vedere raggiunti i propri obiettivi e interessi. La cosa peggiore è che a pagarne le conseguenze è la popolazione civile, impotente e inascoltata.
La popolazione siriana oggi non è altro che la benzina per alimentare gli scontri.
Ormai tutti i distretti sono coinvolti ed ogni città sta soffrendo. Ed io non posso che essere preoccupato per la mia città natale, Borsa, e ogni suo abitante, per cui la vita è diventata insopportabile. E per questo vi scrivo. Un gruppo di volontari locali si sta attivando per rispondere internamente ai bisogni della popolazione. Abbiamo deciso di raccogliere fondi per sostenerli nelle loro attività e voglio chiedervi di supportare con me a questa iniziativa e contribuire attivamente alle attività di soccorso.
Puoi fare una donazione atua discrezione tramite questo IBAN
n°.AE290450000001902002049(Account Number 1902002049) UNION NATIONAL BANK UAE..
I soldi ricevuti verranno utilizzati dai volontari locali solo ed esclusivamente per distribuire cibo e medicinali alle famiglie più povere di Bosra.
A nome mio e dei ragazzi che hanno scelto di attivarsi,
il più sincero ringraziamento per l’importante contributo!
Mechal, Zakarya, Musa, Ahmad. Mustafa
Il massacro di Hama, 30 anni fa.
Non ho un bel rapporto con l’anno della mia nascita.
Il 1982 nella terra dove sono nata è stato l’anno cileno delle torture, del waterboarding, degli elettrodi sui genitali di uomini e donne.
Il 1982 è stato l’anno del massacro sionista di Sabra e Chatila. L’anno dell’avanzata israeliana in Libano e della mattanza più fastidiosa insopportabile e selvaggia che sia stata compiuta in Medioriente, negli ultimi decenni: un massacro senza fine per 72 ore, che ha lasciato al suolo più di 2000 corpi, di tutte le età, di una sola provenienza, quella palestinese.
Ma il 1982 è l’anno di un massacro che quasi nessuno ricorda.
Che quest’anno vede molta più luce riflessa sopra, non per la cifra tonda, ma perché per quelle stesse strade i massacri si stanno accavallando, giorno dopo giorno, cecchinata su cecchinata. Sto parlando di Hama, una città che dovrebbe esser famosa solo per il suo sistema di canalizzazione dell’acqua, per le sue belle “norie” senza tempo.
E invece Hama oggi celebra una mattanza, celebra l’esser stata rasa al suolo, sventrata in ogni sua abitazione e vita.
Il 2 febbraio 1982 il presidente siriano, a capo del partito Baath, Hafez al-Assad ordina l’attacco e così la città viene circondata dai carri armati e poi bombardata dai jet militari: doveva muover guerra alla fratellanza musulmana, ad un gruppo armato che si stimava essere di circa 500 persone. Il numero preciso dei morti dopo 27 giorni di campagna militare, non si è mai saputo, ma si aggira intorno alle 40.000 persone: ogni famiglia della città ha almeno un morto, ucciso in quelle giornate, o torturato a morte successivamente nelle prigioni di stato. La città rasa al suolo non è mai tornata come prima.
Son passati 30 anni: i figli di chi è stato ucciso son quelli che ora cadono sotto i colpi dei cecchini, dei carri armati e degli aerei militari. Sono passati 30 anni, il nome del presidente è variato di poco, il suo viso ringiovanito, i suoi metodi forse peggiori di quelli paterni.
Siria: le poesie dal carcere di Faraj Bayraqdar
(di Elena Chiti) da www.sirialibano.com
Torna di attualità Faraj Bayraqdar. Non che abbia mai fatto le prime pagine dei giornali. Certo non in Siria. Ma questo poeta originario di Homs e attualmente residente in Svezia ha fatto parlare di sé. O almeno storcere la bocca alle autorità siriane, che nel periodo della sua detenzione – di fronte alle voci di protesta che, soprattutto dall’estero, reclamavano la liberazione del poeta – sono arrivate a negare la sua stessa esistenza.
Faraj Bayraqdar, accusato di affiliazione al partito comunista, ha scontato quasi quindici anni (dal marzo 1987 al novembre 2000), visto che gli ultimi 14 mesi gli sono stati graziosamente abbonati dal regime, in cambio di una sua rinuncia a qualsiasi forma di militanza politica.
Ma non è bastato. Nel 2003, quando Bayraqdar – da uomo libero – si è rivolto all’Unione degli Scrittori siriani (Ittihâd al-Kuttâb al-Suriyyîn) perché gli pubblicassero Anqâd (“Rovine”), raccolta di poesie scritta negli anni vissuti da carcerato, si è sentito rispondere che, malgrado l’intrinseca qualità dei versi (espressamente riconosciuta nei rapporti dei due comitati dell’Unione incaricati della lettura), la raccolta era impubblicabile perché contenente molte poesie suscettibili di “nuocere al sentimento nazionale e al senso di appartenenza alla patria” (isâ’a ilâ al-fikr al-qawmî wa’l-intimâ’ ilâ al-watan).
Traduco qui sotto tre delle poesie più nocive, tratte dalla raccolta Anqâd (“Rovine”), con cui l’editore libanese Al-Jadîd apre il suo catalogo del 2012, presentato al Salone del Libro arabo di Beirut.
***
Giro (Titolo originale: Dawarân)
In esilio
sei tu che giri
intorno alla maledizione
in carcere
è la maledizione
che gira
intorno a te.
Carcere di Sednaya, 1995
***
Miseria (Titolo originale: Faqr)
Dio ha
un inferno di cui andare fiero
che miseria!
Non ha niente
di paragonabile al carcere di Tadmor
né di Mazza
o Adra
e nemmeno Sednaya.
Carcere di Sednaya, 1996
***
Matrioska siriana (Titolo originale: Mâtrûshkâ sûriyya)
Se il cielo è un velo
la terra è un velo
il mio paese è un velo
il carcere è un velo
il silenzio è un velo
la poesia è un velo
e io sono un velo
come faccio a vedere Dio
e Dio a vedere me?
Carcere di Sednaya, 1997
La Siria e lo sciopero della dignità
Idrab al-Karamah
Lo sciopero della dignità: hanno deciso di dargli questo nome.
Ieri è stata una giornata importantissima per chi si ribella in Siria: importante perché per la prima volta sono riusciti a convocare un qualcosa che a livello nazionale è riuscito a bloccare tutto.
Per la prima volta si è lasciato da parte lo spontaneismo che fa uscire per le strade con le teste esposte senza alcuna difesa al mirino dei cecchini, con i propri corpi, spesso svegliati nel sonno da retate e quindi da arresti, torture e spesso sparizioni.
Questa ultimamente è stata la fine di molti giovani uomini e donne, uomini con nomi che alle nostre orecchie sembrano tutti uguali: ma che son contadini, pastori, nomadi, mercanti, ma anche professori, docenti, intellettuali e quant’altro.
Ma parliamo di ieri.
Il primo sciopero generale in questi mesi di rivolta, quotidianamente sedata in un bagno di sangue, ma che ogni giorno ricomincia, senza sbocchi che sembran decenti, senza minime vie d’uscita positive, come è stato per Egitto e Tunisia. La sorte peggiore tocca a chi esce a manifestare in Siria, oltretutto abbandonati dalla solidarietà internazionale, perché accusati di esser strumenti dell’imperialismo.
Quante stronzate si leggono e si scrivono: ci si lava le mani parlando di ingerenze, senza pensare a quanto (se pure fossero vere) è la gente comune che sta morendo per le strade e nelle celle..è chi non sostiene più il regime che da decenni priva di ogni forma di libertà.
Ma noi siamo tutti impegnati a fare i grandi esperti di geopolitica mediorientale: sparando stronzate, e abbandonando qualche milione di persone esasperate al punto di non badare nemmeno più a morte e tortura.
Ieri lo sciopero è andato benissimo: ieri lo sciopero ha visto intere città senza alcuna vetrina aperta, senza un solo carretto che vendeva pomodori o melograni: niente.
Tutto chiuso, tutto in silenzio, tutto deserto: lo sciopero della dignità è riuscito.
Tanto che questa è stata la reazione degli scagnozzi del regime: in questo video si vede una strada di Dara’a, città capoluogo dell’Hawran, dove partì la rivolta a marzo…guardate con i vostri occhi quel che fanno ai negozi chiusi…
Se conoscete un po’ di inglese invece, vi consiglio questa pagina, dove è riportata una lettera di una persona che conosco bene e che conosce meglio di me quella dolce terra… Apples and oranges?
SIRIA: solidarietà a PAOLO DALL’OGLIO
Parlate di Siria senza saperne nulla.
Parlate in difesa del rgime dicendo che chi si rivolta son fondamentalisti islamici, manovrati da chissà quale burattinaio occidentale.
Parlate e non prendete mai in considerazione non dico i contadini ammazzati, non dico i pastori o i nomadi di quella terra,
ma tutte le teste illuminate, tutti i rivoluzionari, tutti i docenti universitari (di una certa parte), tutti i vignettisti, i cantanti, gli attori, gli scrittori che vengono presi, massacrati di botte, torturati, uccisi.
Non prendete in considerazione nulla: è tutta finzione.
Anche la carne straziata di chi si conosce è Finzione sionista, per voi improvvisati esperti di Medioriente.
Siete così esperti di quella terra che sicuramente conoscerete Paolo Dall’Oglio,
conoscerete la sua storia, la sua forza, il luogo che ha fatto rinascere, sicuramente lo conoscerete.
Avrete munto qualche capretta ad alta quota, avrete fatto l’incenso con le vostre mani, o ascoltato la prima messa in arabo sotto una tenda..
davanti agli occhi sprizzanti giovinezza e ribellione di quel prete, unico al mondo.
Un prete così unico e raro, così amato da quella terra piena di confessioni, così innamorato dell’Islam e del suo Cristo… che ora è diventato un nemico per quel che regime che tanto difendete!
Va espulso, Paolo Dall’Oglio, dopo trent’anni di costruzione di una comunità straordinaria: religiosa eppur lontanissima da qualunque divisione confessionale. In quel monastero potevate incontrare Maometto sottobraccio a Cristo: in quel monastero, grazie a quest’uomo straordinario, potevate vedere con i vostri occhi qual è il vero Medioriente,
qual è il vero Islam, qual è il vero modo di vivere una terra, di amarla, di rispettarla e di ricostruirla con altri concetti di libertà.
Ora il caro Paolo ha un mandato d’espulsione sul groppone e in sua difesa si stanno muovendo tutte le componenti rivoluzionarie che si muovono nel territorio siriano in questi ultimi mesi, praticamente tutte islamiche.
Questo dovrebbe far capire, anche agli stolti che si riempiono la bocca da soli con l’antimperialismo sterile e reazionario, che chi sta morendo ammazzato per le strade polverose della mia Siria, non è per forza un salafita, non è per forza un fondamentalista, non è per forza qualcuno che vuol portare la divisione confessionale e la guerra civile: ma che queste sono strumenti del regime per farci chiacchierare…
Tutti stanno scrivendo, urlando e manifestando in difesa di Paolo Dall’Oglio, gesuita per caso, rivoluzionario da sempre.
TUTTA LA MIA SOLIDARIETA’ AL SOLO PRETE AL MONDO CHE M’HA FATTO ASCOLTARE UNA MESSA DALL’INIZIO ALLA FINE, CHE M’HA APERTO LA SUA CASA, CHE M’HA INSEGNATO COSE CHE MAI DIMENTICHERO’.
UN UOMO CHE NON PENSAVO ESISTESSE, E CHE ORA HA BISOGNO DI TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETA’!
FOTTUTO BASHAR AL-ASSAD, ASSASSINO, MACELLAIO.
Siria e l’esercito di italiani che sostengono la repressione
Non posso non girare quest’articolo, perché è una boccata d’aria.
Grazie di cuore, veramente
mentre a quelli che nei forum rivoluzionari mi danno della refardita perché ho pubblicato quest’articolo argomentando che siccome Trombetta scrive sulla Stampa sia per forza un venduto..ehehe, teneteve diliberto, la repressione, i cecchini e i carri armati, altro che le scintille rosse.
la sola cosa sana che ho letto in quelle righe è che è proprio dura star nel movimento: vero, è durissimo se voi siete la compagnia!
Siria, un esercito di Italiani sostiene la repressione
di Lorenzo Trombetta, Europa Quotidiano)
Preti, monaci, diplomatici, lettori di arabo nelle università, accademici, presidi di facoltà, giornalisti, segretari di partito, deputati. In Italia un vero esercito di insospettabili sostiene a spada tratta la tesi del Complotto ai danni del regime di Damasco, finendo colpevolmente a sostenere la repressione in atto in Siria da oltre otto mesi e che ha causato finora l’uccisione documentatadi oltre 4.000 persone.
La loro tesi è che la Siria in rivolta non esiste. Esiste un popolo in ostaggio di uno scenario reale (il regime degli al-Asad in piedi da 41 anni) e di due potenziali minacce: l’invasione della Nato e la conseguente occupazione americano-sionista o l’avvento di un emirato salafita oscurantista anti-tutto.
Il compito di questa legione di sostenitori italiani di al-Asad – tra cui spiccano numerosi esponenti più o meno noti del fronte antagonista trasversale tra destra e sinistra – è delegittimare la rivolta in corso. Descriverla come una montatura delle due principali tv satellitari arabe (al-Jazira e al-Arabiya), parte di un complotto americano per contrastare l’ipotetico fronte irano-russo-cinese, simbolo per loro della Resistenza al Male.
Questi lealisti italiani diventano improvvisamente esperti di linguaggi mediatici, arabisti provetti, studiosi di Islam, professori di storia del Medio Oriente. Altri ammettono più candidamente la loro ignoranza, affermando di voler raccontare la Verità dopo un breve soggiorno nelle tranquille vie di Damasco, visitata per la prima volta senza conoscere una qaf di arabo.
Ciascuno per la propria parrocchia: dai Musolino e i Diliberto dei Comunisti italiani fino a quelli di Progetto Eurasia, passando per tanti altri con cui ho avuto in questi mesi occasione di confrontarmi direttamente o indirettamente, o di cui ho letto in Rete le loro riflessioni.
Accomunati dall’antagonismo all’imperialismo americano e dalla ricerca di visibilità, parlano moltissimo di Stati Uniti, di Israele, di al-Jazira e di salafiti, e pochissimo invece degli oltre 22 milioni di esseri umani che abitano la Siria. E visto che sulla questione siriana, i grandi gruppi editoriali italiani oscillano tra l’indifferenza e il sostegno alla tesi della rivolta di popolo contro il regime, per gli anatagonisti “esser contro” oggi significa anche esser contro i rivoltosi siriani. Che mentre si fanno ammazzare come mosche, sono a loro insaputa difesi dai grandi media del sistema. Agli occhi di questi professori, giornalisti, intellettuali e docenti, la morte dei civili siriani uccisi dalle forze di al-Asad non vale, ad esempio, come quella dei civili di Gaza uccisi da Israele. Semplicemente perché la questione palestinese serve la provinciale causa antagonista italiana. Mentre quella siriana li costringerebbe a mettere in discussione il loro credo ideologico.
Si negano così le uccisioni, gli arresti, le torture. Pratiche non certo nuove nel panorama siriano dell’ultimo mezzo secolo (dall’avvento del Baath, di fatto il partito unico, nel 1963), ma inedite per la vastità delle aree del Paese in cui vengono compiute e per la sistematicità ormai giornaliera con cui vengono commesse. Una realtà negata affermando che le decine di migliaia di testimonianze video non sono autentiche. Da otto mesi ho potuto visionare centinaia degli oltre 73.000 filmati amatoriali postati sui vari canali Youtube della rivolta. Non sono artefatti negli studi televisivi di Doha o Dubai, come molti antagonisti sostengono. Non sono registrati a Tripoli in Libano o a Falluja in Iraq negli anni passati come i lealisti affermano. Si riconoscono le strade delle principali località siriane. Si ascoltano i vari accenti locali. Si leggono targhe delle auto e le prime pagine dei giornali del giorno. Si vede con chiarezza il sangue schizzare dal foro della pallottola sotto la nuca di un bambino o sullo sterno di un giovane. Sono filmati autentici e sono un prodotto dei civili siriani in rivolta.
Gli analisti del Complotto e i paladini della Verità non sanno cosa rispondere alla domanda sul perché siamo costretti a basare gran parte dei resoconti su quanto avviene negli epicentri della repressione sui filmati amatoriali di Youtube. Né sanno rispondere alla questione sul perché in Siria non esista una stampa non controllata dal regime, sul perché numerosi giornalisti siriani non sono liberi di circolare e lavorare liberamente nel loro Paese. Sul perché è molto raro che un giornalista straniero – arabo o non arabo – possa documentare, anche e soprattutto visivamente, cosa sta accadendo a Idlib, Homs, Daraa, Hama.
Mazen Darwish, direttore del Centro siriano per la libertà giornalistica e di espressione, da anni impegnato nella lotta contro le violazioni contro gli operatori dell’informazione, ha documentato dal 15 marzo al 9 novembre, 117 casi di arresto e maltrattamento di giornalisti in Siria
Lo ha fatto presentando una lista completa di nomi, cognomi, affiliazione professionale, date e – ove possibile – luoghi di detenzione, tipo di maltrattamento e procedura giudiziaria seguita nei confronti di giornalisti siriani, e arabi e non arabi.
La realtà viene negata anche sostenendo che sono false o gonfiate tutte le testimonianze raccolte finora da noi reporter che non possiamo andare in Siria. Si tratta di racconti ascoltati e registrati dai profughi fuggiti in Libano, in Giordania e in Turchia.
Sommando il numero di siriani fuggiti in questi tre Paesi otteniamo la cifra approssimativa di 20.000 persone, per lo più civili. Sono tutti agenti del Complotto? Sono tutti sul libro paga dei sauditi, per conto degli americani e dei sionisti? E noi giornalisti siamo tutti prezzolati e in malafede oppure grandi ingenui pronti a riportare ogni parola senza verificare?
Altri analisti lealisti italiani affermano che l’Osservatorio per i diritti umani in Siria (Ondus), una delle principali fonti di informazioni sulle violazioni giornaliere commesse nel Paese, diffonde ogni giorno menzogne e che riceve soldi dall’estero, perché il suo presidente trasmette le notizie da Londra.
E’ vero: Rami Abdel Rahman è ora basato nella capitale britannica ma nessuno si chiede perché non possa lavorare e vivere nella sua Siria? L’Ondus è comunque attiva e opera in Siria con una rete in loco di attivisti e ricercatori nel campo della difesa dei diritti umani – ora anonimi per ovvie ragioni di sicurezza – da almeno dieci anni. Di loro davo notizie ben prima che i vari analisti e turisti per caso si scoprissero difensori degli al-Asad.
Che dire poi del pestaggio subito dal vignettista Ali Farzat a Damasco? Dello sgozzamento del poeta Ibrahim Qashush a Hama? Dell’uccisione del fotoreporter Farzat Jarban a Qseir, vicino Homs? A Farzat hanno spezzato le dita con cui disegnava le caricature contro il regime. A Qashush hanno tagliato le corde vocali con cui aveva cantato la canzone “della rivoluzione”. A Jarban hanno cavato gli occhi. Gli abitanti di Qseir lo hanno trovato morto domenica 20 novembre fuori città dopo appena 24 ore dal suo arresto.
Chi è responsabile di questi crimini? Gli antagonisti sono pronti a dire che le bande di terroristi armati sono dietro il pestaggio di Farzat, lo sgozzamento di Qashush e la barbara uccisione di Jarban. Per dare la colpa – affermano – al governo di Damasco.
Domanda: perché avventurarsi in una simile e improbabile acrobazia logica, inventando entità (“bande armate di terroristi”) di cui nessuno ha ancora mai dimostrato l’esistenza pur di salvare un regime, i cui crimini sono invece noti da decenni e sono così simili a quelli commessi dal 15 marzo ad oggi?
Chi si ostina a voler credere alla retorica del regime, deve però avere la coerenza di andare fino in fondo. Qualche esempio: il presidente Bashar al-Asad continua a ripetere che sì, sono stati commessi “alcuni errori” dalle forze dell’ordine, ma che di questi “errori” terrà conto la Commissione d’inchiesta incaricata di far luce sugli “eventi in corso”. Sin da metà aprile, a circa un mese dall’inizio delle proteste e della repressione a Daraa, le autorità – Bashar in testa – hanno annunciato la creazione di una commissione d’inchiesta, che non aveva però la possibilità di lavorare se non sotto lo stretto controllo del regime. Da mesi non si ha più notizia dei risultati, seppur parziali, del suo lavoro. Perché?
Analogamente, a metà maggio, le autorità siriane annunciavano la creazione di una commissione d’inchiesta sul ritrovamento di una fossa comune a Daraa, contenente i corpi di almeno cinque persone, tutte membri della famiglia Abazid. Da allora, più nessuna notizia. Perché?
Un’altra commissione d’inchiesta è ufficialmente a lavoro, sempre da maggio, per alcuni “errori” commessi dalle “forze dell’ordine” a Banyas, sulla costa. Nessun’autorità siriana o media ufficiale ne parla più. Perché?
Su più larga scala, non si ha notizia alcuna dei processi a cui dovrebbero esser sottoposti le centinaia di terroristi che ogni giorno, sugli schermi della tv di Stato e sulle pagine del sito Internet dell’agenzia ufficiale Sana, vengono mostrati come rei confessi di aver compiuto ogni tipo di barbarie contro i civili e “le forze dell’ordine”. Perché?
Si tratta sempre di siriani (per la prima volta il 22 novembre si è appreso che un saudita di madre siriana è stato ucciso a Homs. Un po’ poco per denunciare orde di sauditi salafiti in Siria), molto spesso con la barba (“fondamentalisti”…) e originari delle zone rurali (“arretrati”…). Ma non si capisce perché mai da otto mesi siano in attesa di giudizio. Non è stato forse abolito lo stato d’emergenza? O forse i processi sono già iniziati, o addirittura le condanne sono state emesse, senza che la stampa “libera” di Damasco ne abbia dato conto?
A proposito dei fermati dal 15 marzo ad oggi: il 20 novembre gli attivisti fornivano una lista di oltre 14.000 persone ancora in stato di arresto, moltissimi in luoghi di detenzione sconosciuti ai parenti dei fermati. Il regime non ne dà conto. Perché?
Eppure, tra il 5 e il 15 novembre scorsi, le autorità hanno liberato – dandone notizia sulla Sana e sulla tv di Stato – circa 1.800 “fermati che non si sono macchiati di crimini di sangue”. Su che basi li hanno liberati?
Se fosse così – oh antagonisti e lealisti – non è forse questa una violazione della sovranità della Siria di fronte alle ingerenze esterne? Rimaniamo all’interno della logica del regime: anche se non hanno commesso crimini di sangue, quei 1.800 saranno pure stati fermati con un motivo valido, perché sospettati di aver commesso qualche crimine. Perché rilasciarli? Non sono più “terroristi”? Non sono più “agenti del Complotto”? Non sono più un pericolo alla sicurezza pubblica?
E ancora: la sera del 15 novembre, la tv di Stato ha trasmesso le immagini di alcuni di questi fortunati “terroristi” tornati in libertà: ripresi in quella che sembra essere un’aula scolastica, sono apparsi i volti di queste decine di ragazzi e uomini, quasi tutti con la barba, e nessuno con segni di percosse o tortura sul volto, tutti con l’aria di provenire da sobborghi degradati o dalle campagne.
Tra loro, si è appreso l’indomani, c’erano anche il medico Kamal Labwani, prigioniero politico di lunga data, e Rafah Nashed, psicanalista siriana arrestata ad agosto. Perché il fermo di questi due siriani non era mai stato ammesso dalle autorità.
La Nashed, che dopo un mese dall’inizio delle proteste e della repressione aveva avviato a Damasco un laboratorio di terapia di gruppo ”per sconfiggere la paura”, era stata accusata di incitamento al sovvertimento del sistema politico e violazione dell’ordine pubblico, e rischiava una pena di circa sette anni di detenzione. Né la Sana né la tv di Stato hanno mostrato le immagini della Nashed e di Labwani rimessi in libertà. Forse perché non avevano la barba? (Pubblicato su Europa Quotidiano il 25 novembre 2011).
Area Spa: aiutiamo il presidente siriano Assad a rastrellare e uccidere!
Mentre gli aerei per e dalla Siria son sempre più vuoti di chi la ama, la abita o la visita, si riempiono di quei mercenari di ogni genere che guadagnano e investono sulla repressione e i sistemi di sicurezza usati dai regimi per sedare qualsiasi tentativo di rivolta.
Questa volta parliamo di una società che ha sede a pochi chilometri da Varese (nel comune di Vizzola Ticino), oggi nominata da Bloomberg in un lungo articolo che racconta come sta lavorando, da marzo, per il regime siriano, impegnata proprio nell’istallazione di un sofisticato sistema per intercettare e catalogare tutti messaggi telematici che attraversano la Siria.

Foto di Valentina Perniciaro _Siria: quante delle porte che m'hanno accolto saranno state buttate giù dagli anfibi della repressione di Assad?_
Si chiama “Asfador” e ci dicono che ancora non è stato ultimato, ma che sarà in grado di monitorare in tempo reale un po’ tutto: email, social network e chat, in un archivio che abbia una capillarità tale da archiviare utente per utente.
Pare che in ballo, tra il governo siriano (attraverso la compagnia Syrian Telecomunication Establishment) e la società italiana ci sia un accordo di ben 13 milioni di euro, sulla pelle di più di 3000 morti in sei mesi, di tortura e repressione (AH! In Italia ha messo in mobilità 41 dipendenti da marzo per la grossa crisi che ha colpito la società). Calcolando come vengono effettuati i rastrellamenti, calcolando le migliaia di persone finite in carcere, non oso immaginare quanto enorme sia la responsabilità degli arresti casa per casa, famiglia per famiglia, della società del varesotto.
La compagnia delle telecomunicazioni siriana riesce a controllare una piccola percentuale del traffico internet, ma con il programma che la Area SPA sta ultimando, grazie all’utilizzo di attrezzature di compagnie americane per quanto riguarda hardware e software ( Net App Inc, californiana) ed europee per la decriptazione dei social network (la francese Qosmos) e la connessione delle linee telefoniche ai pc impiegati per il monitoraggio (la tedesca Utimaco).
Nessuna di queste società si è impelagata con contratti ed accordi con il macellaio presidente siriano Bashar al-Assad: l’hanno fatto con la compagnia italiana, che è tranquillamente volata a Damasco.
Anzi Bloomberg ci descrive anche la stanza affittata dai tecnici italiani, in un quartiere residenziale vicino allo stadio, probabilmente dietro Baramke: meglio che non ci penso, che mi sento male.
Non solo al servizio delle procure nello schedare gli italiani, ora al servizio dei rastrellamenti: CHE SCHIFO!
Questo il loro sito e qui il numero di telefono, se volete dirgli qualcosa.
Nel frattempo il governo siriano prende in giro il mondo.
Nemmeno a 3 ore dall’accordo con la Lega Araba per il ritiro dell’esercito da tutte le città e i villaggi e il rilascio delle migliaia di persone detenute in questi mesi solo ad Homs si erano registrati 18 morti e stamattina i mezzi cingolati si son presentati anche a Lattakia, Hama, in alcuni villaggi dell’Hauran e a Zabadani, vicino Damasco.
Pensa se non arrivavano all’accordo, maledetto macellaio
Homs e la puzza di uova marce
La prima volta che ho sentito parlare di “puzza di uova marce” ero nel paesino abruzzese di Bomba, a parlare con una popolazione che si sta ribellando all’estrazione di gas da parte di una compagnia americana, proprio a pochi passi da un’enorme e quindi già preoccupante diga di terra.
Raccontavano di come in piena notte venivano svegliati da questa assurda e vomitevole puzza di uova marce, che avvolgeva la valle e quindi i centri abitati inerpicati sulle colline vicine: era il segno che la Forrest stava estraendo gas, stava cercando di capire quanto fosse e se era il caso di partire con le estrazioni.
Da Bomba allora arriviamo ad Homs, città siriana che da 7 mesi lotta è parte integrante della rivoluzione siriana, e una delle città che sta pagando il prezzo più alto, con incursioni ripetute da parte delle forze di sicurezza siriane, rastrellamenti e decine di morti e scomparsi.
Dal 3 ottobre è il quartiere di Rastan ad essere il più colpito, con più di 2000 arresti e cento morti oltre che la distruzione di decine di macchine, di botteghe e di abitazioni private: la macchina da guerra guidata da Bashar al-Assad e da suo fratello Maher calpesta con ogni mezzo e con una violenza tremendo la popolazione che però non desiste e non smette di scendere in piazza, contro cecchini, mortai e mezzi cingolati.
I video parlano chiaro,
ma son privi di olfatto.
Così, mentre ieri sera tutto il mondo era con gli occhi puntati al Maspero, la sede della televisione di stato egiziana al Cairo, dove l’esercito ha sparato sul corteo dei copti uccidendo decine di persone, con l’aiuto della

Vignetta di Ali Ferzat: la libertà d'espressione prima e dopo la cancellazione delle leggi speciali in Siria
Baltagheyya e cercando di far passare gli eventi per dei “tragici scontri inter-religiosi”, le truppe di Assad bombardavano e cannoneggiavano Homs.
E poco dopo, migliaia sono stati i messaggi su twitter provenienti da Homs, da Rastan, da Talbiseh, da Bab Sbaa, da Karm Zaitoon raccontavano la stessa cosa: una puzza mai sentita prima di uova marce che ha iniziato a terrorizzare la popolazione e che ha me ha fatto subito venire in mente i giacimenti di gas della Forrest e le signori abituate alla lavanda che si svegliano in piena notte con la sensazione di nuotare tra le uova marce.
Cosa vuol dire? Cosa stanno tirando sulla popolazione, qualcosa contenente acido solfidrico?
Non so certo rispondere, come non sanno rispondere tutti quelli che descrivono in rete questa puzza che sembra avvolgere l’intera città, che da ieri vive in una situazione di guerra totale, con decine di carri armati, continui cannoneggiamenti e scoppi di granate, cecchini e quant’altro.
Fortunatamente hanno la solidarietà della popolazione egiziana e tunisina, o quella del Bahrain e yemenita, perché qui alcune componenti anche della sinistra antagonista sembrano continuare a vivere vomitando complotti e alimentando l’appoggio ad un regime merdoso e assassino solo perchè abboccano ad una stantia e ridicola propaganda antisionista.
Con la popolazione di Homs, di Hama, di Dara’a, di Qamishli e di tutta la Siria…
anche dovessi esser la sola !
SIRIA: il massacro avanza. La storia di alcune donne, mamme, figlie …
Da Qamishli (pieno kurdistan) al sud druso, passando soprattutto per la zona centrale delle città di Hama e Homs, che stanno pagando il prezzo più caro in questi mesi di ribellione contro il regime del partito Baath e del presidente Bashar al-Assad, che sta vincendo il premio da macellaio , tra tutti i suoi colleghi mediorientali.
La repressiona avanza drammaticamente nelle città e nei villaggi siriani: la violenza e l’accanimento delle forze di sicurezza si sta rivelando ogni giorno più macabra ed insostenibile.
Le notizie di questi ultimi giorni ci raccontano diverse storie assurde e vergognose: l’ultima salita alle cronache, di cui l’ufficialità c’è stata da poche ore, malgrado il volto di questa giovane donna girasse in rete già da un paio di giorni.
Si chiamava Zeinab al-Hosni e la sua storia è raccapricciante: arrestata il 27 luglio, probabilmente per intimorire e portare alla luce il fratello Mohammad Deeb al.Hosni, noto attivista di Homs e sospettato di essere uno degli organizzatori delle proteste.
Alla fine l’hanno convinto, chiamandolo, che consegnandosi avrebbe riscattato la libertà della sorella, diciottenne.
Niente da fare, mentre i familiari erano all’obitorio dell’ospedale militare di Homs per riconoscere il corpo di questo ragazzo, torturato fino alla morte nelle celle di sicurezza, hanno scoperto anche quello della loro figlia.
Violato in modo indecente: stuprato, decapitato, mutilato delle braccia e scuoiato in molti punti del corpo.
La mamma e il papà di Mohammad e Zeinab, hanno dovuto firmare -per poter aver indietro i corpi mutilati dei loro figli- un foglio in cui dichiaravano che erano stati portati via e uccisi da bande armate.
C’è altro da dire?
Volendo c’è anche la storia della famiglia Jandali, sempre di Homs.
Loro non hanno fatto altro che trovarsi dentro casa le forze di sicurezza del macellaio Assad, alla ricerca di loro figlio.
Ecco il trattamento che gli è stato riservato, visto che non hanno trovato il ricercato.
O la storia della signora Aldahik. Lei pochi giorni fa ha perso Ahmad, suo figlio, mentre cercava di girare un video di un rastrellamento: nemmeno 4 secondi è durato il filmato, che è stato cecchinato a morte.
Ieri è morto anche suo fratello, di 24 anni: si chiamava Mahmoud Suleiman Aldahik, sceso in piazza contro il regime e per urlare la rabbia che aveva in corpo per l’assassinio di suo fratello.
Intanto oggi le manifestazioni, che chiedono a gran voce la liberazione di tutti i prigionieri, sono arrivate anche al centro della capitale: pochi minuti fa, alle nostre 14, c’è stato il primo morto in Baghdad Street, quella che prima rimaneva impressa per il gran traffico e le parolacce dei tassisti alla polizia stradale…
Siria: l’obiettivo ora è piegare Homs
Dopo Daraa, Lattakia, ed Hama ora sembra arrivato il turno di Homs, a pochi km dalla città dove è stato compiuto il “massacro del Ramadan” appena un mese fa.
Le forze di sicurezza di Assad ora stanno concentrando la loro potenza di fuoco ad Homs, nel centro del paese, facendoci pervenire notizie ed immagini che confermano quello che da mesi abbiamo davanti agli occhi, anche se facciamo finta di notarlo a malapena.
Il regime di Assad è sempre più isolato: ieri l’Iran, oggi Erdogan hanno preso chiare le distanze dal governo siriano (a proposito di questo c’è un buon articolo di Christian Elia su Peacereporter ) e dalle metodologie repressive che da mesi ormai stanno piegando il paese facendolo precipitare in una latente guerra civile, invece che in un vero e proprio attacco al regime.
Una situazione drammatica, che allontana giorno dopo giorno le speranze che il massacro finisca presto, così come il regime.
Notizie di movimenti di mezzi e uomini che fanno pensare a preparativi di un attacco congiunto su più città contemporaneamente nel tentativo di sedare per sempre qualunque moto di rivolta.
La Lega Araba, da sempre serva di qualunque potere forte di turno e grande devota della dea vigliaccheria, ha rimandato la sua visita ufficiale che aveva il compito di chiedere la fine del bagno di sangue: è bastata una vaga comunicazione di Assad in cui chiedeva di posticipare la visita per “evidenti ragioni”, che il tutto s’è inchiodato. Poco importa, sarebbe stato inutile, come sempre.
Ad Homs gli scenari son di guerra: le comunicazioni sono spesso impossibili e le immagini che arrivano dai cellulari di chi non vuole mollare le strade alla violenza dei carri armati e dei rastrellamenti sono agghiaccianti.
Nei quartieri di Bab al-Dreib e Bab al-Hood, è difficile trovare uomini sotto i 40 anni: si son portati via centinaia di persone.
Diciotto persone sono state portate via dall’ospedale al-Barr, nel centro della città, il 7 settembre: comprese cinque persone prelevate dalla sala operatoria sotto anestesia, ed alcuni medici, come ci racconta anche il sito di Human Rights Watch. Dalle 6.30 del 7 settembre il terrore s’è appropriato delle strade di Homs, con un dispiegamento pesante di mezzi pesanti e con l’uso di artiglieria, come si vede anche in molti video, contro diverse abitazioni.
L’agenzia stampa di stato parla di “intervento contro gruppi terroristici” che a sentir loro avrebbero ucciso anche 8 membri delle forze di sicurezza: molti siti di attivisti ci raccontano altro, parlando anche di quel che è accaduto nel villaggio di Ibleen durante i rastrellamenti. Tra i soldati trovati morti ci sarebbe un ragazzo che proveniva proprio da quel villaggio, che s’era rifiutato di stare a quei maledetti ordini.
Oggi è un altro venerdì, l’ennesimo di guerra per molte delle città del paese.
Assad, nel perdere anche i suoi vecchi sostenitori, rischia di diventare molto più pericoloso di quel che è stato fino ad ora,
è il colpo di coda della bestia ormai ferita a morte, che non si rassegna a lasciare la presa.
Umorismo contro il regime: Ferzat, dal letto d’ospedale, ci regala una grande pagina
Ali Ferzat, la cui storia potete leggere QUI, non si smentisce.
Il suo umorismo da vignettista e caricaturista non si ferma nemmeno quando le sue stesse mani sono spezzate dai manganelli, dai calci, dall’odio e dalla violenza di un regime che lui ha sempre contestato, e deriso.
E così, chissà quanti dolori gli può esser costato, dal letto dell’ospedale dove si trova ora,
s’è fatto un autoritratto, che ci insegna ancora una volta che spesso è proprio una risata ad avere il potere di seppellire il nemico.
Che grande uomo che sei Ali … shukran
Il regime spezza le mani ai vignettisti … un macabro déjà vu
E’ (fortunatamente non dobbiamo parlare al passato) un vignettista molto famoso, un 61enne dotato di mani d’oro e intelligenza fine …
Ali Ferzat, questo il suo nome, è nato nella città di Hama in Siria (che passa alla storia per il massacro del 1982 e poi quello dei primi giorni del Ramadan di quest’anno) ed ha una lunga storia da caricaturista politico, espulso dal partito Baath qualche decennio fa. Una matita che non ha mai smesso di esser arma: il primo periodico indipendente (al-Domari) della storia della siria baathista, da lui fondato, è riuscito a sopravvivere meno di tre anni … chiuso con la forza nel 2003, sotto l’attuale presidente.
Ieri, dalla piazza della Moschea Omayyade di Damasco è stato catturato da alcuni uomini armati.
Oggi, come un Victor Jara mediorientale, è stato ritrovato: il suo corpo pestato a sangue è stato lanciato da una macchina in corsa, sull’autostrada che unisce Damasco al suo aereoporto (una trentina di km d’asfalto che tagliano l’oasi della Ghuta).
Ha il cranio fratturato e le braccia rotto: l’accanimento sulle sue mani e le sue braccia rivela senza troppi giri di parole le intenzioni dei suoi picchiatori.
Almeno è vivo … e presto le sue mani saranno di nuovo in grado di schiaffeggiare il regime.
Questa è la Siria di Bashar, quella che qualcuno crede baluardo antimperialista e antisionista…
Il suo sito continua ad essere oscurato.
_GUARDA LA VIGNETTA di Ferzat poche ore dopo il suo arrivo in ospedale_
Un post rabbioso, alla terra più amata!
Non riesco a fare una vita normale con i carrarmati che cannoneggiano la terra più amata.
Non riesco, malgrado non posso evitare di provarci, a concentrarmi nè a distrarmi.
Non riesco.
Non riesco ad accettare questo silenzio: e quando parlo di silenzio, io, non parlo di Nazioni Unite, non parlo di organismi internazionali né di bombardatori per diletto e professione.
Parlo di noi, dei compagni, di quelli sangue del sangue … di quelli con cui ho sempre pensato che sarebbe stato facile condividere le gioie e le sconfitte,
condividere la rabbia e l’indignazione, condividere la conoscenza e quindi la solidarietà, l’azione collettiva, la coscienza di essere parte di un qualcosa di grande, di enorme, un qualcosa che non abbia frontiere, barriere, etnie o padroni.
E invece?
Invece io mi sento sola, da quando i carri armati del macellaio Bashar al-Assad e di quel boia di suo fratello stanno calpestando una popolazione che conosco più di tante altre, che amo più di tante altre, che rispetto nella sua complessità e che provo con molta umiltà a capire e conoscere.
E invece?
E invece son circondata dallo stesso “sangue del mio sangue” che mistifica una verità che pensavo chiara da decenni, per tutti.
C’è la continua difesa del regime; un continuo domandarsi ” ma questi chi li muove, a chi fa comodo” e bla bla bla bla.
Un po’ quello che il Partito Comunista Italiano faceva nei confronti di tutte le organizzazioni armate che si son mosse su suolo italiano.
Parlavano di Cia, di infiltrazioni, di mani lunghe e straniere che muovevano le fila del tutto.
55.000 anni di carcere alla generazione che ha vissuto gli anni ’70, eppure a sentire il PCI erano tutti infiltrati, tutti dei servizi, tutti venduti “all’ammmericani”…tanto che molti stanno ancora in galera (si sa che gli agenti CIA scontano 30, 32, 35 anni di carcere)
Qui ci sono stati decine di migliaia di arresti, non c’è famiglia siriana che non ha un caro detenuto, o ferito, o sottoterra.
Eppure noi pensiamo solo a blaterare sul “ma perché scendono in piazza? A chi fa comodo?”
Sono sconcertata.
Sconcertata da chi mi aggredisce urlandomi contro che sono una stupida imbambolata davanti a “tagliagole della fratellanza musulmana mossi dalla CIA” e come prova di questo mi parla di Hassan Nasrallah e degli Hezbollah, che l’altra settimana hanno avuto una rivolta popolare contro in un villaggio libanese perché hanno assaltato e incendiato un negozio di alcolici.
Gente che si definisce contro i preti però se parlano Hamas ed Hezbollah è oro colato, mentre migliaia di uccisi e arrestati so’ tutti “servi degli americani e del Mossad”.
Ancora?? Ma perché non apriamo un po’ gli occhi?
Smettiamola di parlare di Libia e Siria perché son due MONDI diversi, son due fronti internazionali completamenti diversi e gli interessi in gioco non si assomigliano lontanamente: smettiamola di buttare tutto in un calderone e giudicare tutte quelle persone delle stupide marionette in mano degli americani ( ma quindi, fateme capì, anche noi eravamo marionette stupide e asservite nel ’43? bha).
Smettiamola di non mettere in conto la rabbia e la frustrazione di chi vive in quel territorio, di chi c’è nato, di chi vorrebbe tutt’altro tipo di accesso alla libertà, ad ogni tipo di libertà.
meglio che non scrivo, meglio che chiudo questa pagina.
Vorrei solo sapere di avere la mia “famiglia”, la mia gente, il mio sangue, schierato A PRIORI contro i tank di un regime,
schierato a priori contro la galera, la tortura, l’assedio e i soprusi del partito Baath.
Vorrei che la si smettesse di pensare che difendere Assad vuol dire esser antimperialisti: perché è la più grande idiozia immaginabile.
Mai la Siria ha usato nemmeno un decimo della violenza di questi giorni contro Israele: è stata in grado di farlo, nella sua storia, solo contro i palestinesi in Libano e contro i siriani, a casa loro…ma a quanto pare in troppi se lo dimenticano costantemente e preferiscono credere ai sermoni di Stato, alla propaganda di un regime che sta lì da decenni, sul sangue dei palestinesi, dei comunisti, dei dissidenti…. e così via…
amo quella terra come non ho mai amato nessun luogo al mondo.
e amo il suo popolo, che tanto m’ha insegnato e che non sta smettendo di farlo
Hama: il massacro del Ramadan. 29 anni dopo, ci risamo
Torno a casa ora…
dopo giornate in cui, lontana da questo blog, non sono riuscita ad esserlo dalle vicende siriane…
Oggi abbiamo superato ogni limite, oggi il macellaio Bashar al-Assad ha sentenziato morte per centinaia di residenti di Hama, città superstite dal più grande massacro della storia contemporanea di quel meraviglioso paese.
Oggi, alla vigilia del Ramadan, i tank siriani sono passati sulla popolazione di Hama che ormai da mesi chiede un cambio di potere, uno spiraglio di libertà, un cambiamento.
Solo sangue è quel che per ora scorre per quelle strade, un sangue indecente soprattutto perché non trova la giusta solidarietà che dovrebbe.
Un sangue di cui son responsabili anche tutti coloro che sostengono il presidente siriano (anche da queste parti) perché lo vedono come un baluardo dell’antimperialismo nonché dell’antisionismo, su suolo mediorientale.
Peccato che non v’ho mai visto passeggiare per quelle strade che credete tanto rivoluzionarie e che ora che alzano la testa davanti al piombo di un regime balordo, abbandonate.
Questa è una pagina scritta da Zeinobia, amica egiziana che non s’è persa un passo della sua rivoluzione in piazza Tahrir, e che oggi ha seguito la giornata siriana.
Leggetela, guardate i video che ha postato…
Syrian Revolution : Hama Massacre 2011 edition “Extremely Graphic”.
questo guardatelo solo se avete un po’ di forza…
Siria: cecchini, tortura, carcere…what else?
Ogni venerdì è una scia di sangue.
Ogni venerdì le immagini che arrivano sono più raccapriccianti.
Ogni venerdì si cambia luogo, ma la scena è sempre la stessa: forze di sicurezza che entrano in massa in villaggi e città, ragazzi cerchianti, gruppi in borghese che corrono armati sparando sul volto di quelli che incontrano.
Ora è Hama la città assediata e senza respiro.
Poi ci sono i racconti dal confine turco, i racconti degli 11.000 che sono saltati al di là del confine e osservano terrorizzati i soldati siriani sulle colline a meno di un chilometro, che pattugliano le zone sfidando i limiti territoriali a caccia di chi scappa.
Poi ci sono i racconti di chi dalle carceri riesce ad uscire: dopo un paio di settimane o mesi di detenzione e soprusi, alcuni riescono a raccontare quello che hanno visto e soprattutto sentito nelle fatiscenti carceri siriane, dove tutto accade.
La storia del giovane Tamer è probabilmente simile a molti altri: ma di lui abbiamo nome e cognome: Tamer Mohammed Al-Sharei, di 15 anni arrestato ad una manifestazione ed uscito morto dal carcere col corpo martoriato.
“Arrestato in un sobborgo di Damasco, è stato massacrato lungo nove eterni interrogatori nei quali il suo corpo è stato brutalizzato in ogni sua parte, dalla testa ai testicoli, con la richiesta di urlare amore e devozione per il presidente Bashar al-Assad.Polso e avambraccio fratturato, denti rotti, il ragazzo ha perso conoscenza ma è arrivato un medico per rianimarlo, gli hanno fatto un’iniezione ed hanno cominciato a picchiarlo di nuovo, per poi lasciarlo per terra come un cane, che non aveva più la forza nemmeno di implorare aiuto ai genitori”, questo racconto è fatto da Jamal Ibrahim al-Jahaman, anche lui arrestato durante una manifestazione a Damasco e rinchiuso in questo centro di detenzione gestito dalla Syria’s Air Force Intelligence, per poi esser rilasciato il 31 maggio dopo circa 5 settimane.
E’ stato lui a riconoscere il corpo del ragazzo in un video che girava in rete: mentre la mamma urlava “questo è mio figlio” davanti a quel che rimaneva del corpo torturato del suo ragazzo, il suo compagno di prigionia l’ha riconosciuto ed ha iniziato a raccontare.
Malgrado la difficoltà di reperire notizie direttamente dalla Siria, quel che circola in rete parla chiaro.
Anche oggi i funerali di alcuni ragazzi sono stati cerchianti: 7 morti, come se niente fosse.
Nel frattempo tiriamo un sospiro di sollievo per un amico che ha riacquistato la libertà, dopo giorni di detenzione…
anche tu ya Bashar, sei destinato a fare una brutta fine.
Lunga vita a chi si ribella, a chi sfida i cecchini, a chi urla libertà!
Da queste immagini si vede bene come si muovono i reparti speciali e le forze di sicurezza…
Daraa, Siria: guardate questo video
Questo video gira da pochi minuti in rete e sta rimbalzando sui social network.
Non ha una data precisa, è stato girato a Daraa, la città siriana dove è iniziata la rivolta e dove la repressione delle forze di sicurezza ha colpito maggiormente, con il reggimento manovrato direttamente dal fratello del presidente.
Questo è quel che accade da un po’. Il video è duro, molto, ma questo è ed altre parole non riesco a trovarne
Siria: l’assedio di Daraa peggiora
Il border Siria-Giordania continua ad essere chiuso ermeticamente.
La popolazione, che in massa ha tentato di raggiungere il Libano tra ieri
e l’altroieri, non può muoversi liberamente verso il meridione mesopotamico.

La prima pagina del sito del governo siriano, hackerato ieri 😉
Oggi ad Al-Ramtha, città giordania situata proprio sul confine, s’è tenuta una massiccia manifestazione di solidarietà nei confronti dei cittadini siriani e soprattutto per gli abitanti della città di Daraa, ormai sotto assedio militare da tempo.
Scontri anche interni all’esercito si sono effettuati in questa città a maggioranza drusa: il quarto reggimento è giunto in tutta rapidità da Damasco per cannoneggiare i “colleghi”del quinto, che in massa s’erano rifiutati di sparare e cannoneggiare contro i manifestanti o le abitazioni.
Una città tagliata fuori dal mondo, priva di cibo e riserve d’acqua, con un coprifuocopermanente e manifestazioni continue attaccate a colpi di cecchino.
Importante da sottolineare è che la gestione del reggimento che sta cannoneggiando la popolazione dell’Hauran è tutta in mano del fratello del presidente Assad. E’ lui in persona a gestire l’attacco.
Le immagini dei cadaveri ammassati nei corridoi della moschea centrale lasciano senza parole.
Ieri i morti dell’ennesimo venerdì di sangue sono stati 27: centinaia le città scese in piazza e più di 10.000 persone vicino alla moschea Omayyade di Damasco (questa si, una novità).
Oggi, venti nuovi tanks hanno fatto il loro ingresso a Daraa…
ORE 11: diversi testimoni raccontano ad Al-Jazeera che l’esercito sta usando armamenti pesanti contro la popolazione nella città vecchia di Daraa. Nel quartiere di Karak sono già quattro le palazzine colpite e rese inagibili
ORE 13.30: I cannoneggiamenti proseguono pesanti a Daraa, soprattutto nei quartieri circostanti alla Moschea di Omar. Truppe sono state “scaricate” anche dagli elicotteri militari. Circa 300 militari si sono uniti alla popolazione in lotta.
La polizia segreta ha fatto irruzione a casa di Sheikh Ahmad al-Sayasneh, imam della moschea, accusato di essere uno dei fomentatori della rivolta: suo figlio, interrogato per ore, non ha dato comunicazione della sua posizione. Infatti poi è stato ucciso
Siria: 23 aprile, in costante aggiornamento
Mentre più di 150 pulmann escono dalla città di Daraa per andare a portare omaggio ai corpi degli uccisi di ieri, mettiamo un resoconto parziale delle vittime pubblicato da Al-Jazeera. Le organizzazioni per i diritti umani del paese parlano di 103 uccisi: tra le vittime di ieri si registrano anche diversi bambini.
Homs: 21 – Bab Amr in Homs: 3 – Teldo in Homs: 1 – Damascus: 3 – Kaboon: 4
Madamia in Rif Dimashq: 9 – Zamalka in Rif Dimashq: 3 – Jobar in Damascus: 2
Darayya in Damascus: 4 – Harasta in Rif Dimashq: 5 – Duma in Rif Dimashq : 5
Al Hajjar Al Aswad in Rif Dimashq: 4 – Ezra in Daraa: 32 – Al Herak in Daraa: 1
Hama: 5 – Latakiya: 1
Qui in continuo aggiornamento i nomi e le età.
Alle nostre 13 arriva la notizia di molte gambizzazioni effettuate da diversi cecchini contro i cortei funebri, soprattutto nel quartiere suburbano di Duma, a pochi passi dalla capitale. Le vittime di questo cecchinaggio sui funerali sono già tre: i cecchini sembrano essere posizionati sui palazzi del partito Baath.
14:00 Quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro il funerale di Duma erano circa 50.000 i manifestanti che avevano davanti. Le ultime notizie mutano il bilancio a 7 morti, tutti come sempre completamente disarmati e colpiti a distanza da cecchini.
14.15: imposto coprifuoco nel sobborgo damasceno di Barze. I reparti dei servizi di sicurezza impediscono alla popolazione di uscire di casa.
Ci aggiorniamo più tardi
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