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Prospero Gallinari, un anno fa

13 gennaio 2014 5 commenti

Prospero ci ha lasciati il 14 gennaio dello scorso anno,

Foto di Valentina Perniciaro : i funerali di Prospero Gallinari, Coviolo 2013

si è accasciato poco dopo esser uscito di casa e se ne è andato, quel rivoluzionario di altri tempi, di altri luoghi, di storie di cui la memoria collettiva sembra scordarsi, se non quando qualche deriva dietrologica o giustizialista li trascina fuori.
Non ci si ricorda della “brigata ospedaliera” che di lui si prese cura, non ci si ricorda di tante cose…

Prospero Gallinari, rivoluzionario, uomo del 900, contadino, uomo più unico che raro,
che come ultimo regalo ci ha donato i suoi funerali, che per ognuno di noi sono stati una grande emozione.
Chiunque ha calpestato quella neve, in quella fredda giornata di un gennaio emiliano, porta dentro di sè un calore raro,
il calore della “generazione più felice e più cara“, che noi abbiamo avuto solo modo di sfiorare,
di aspettar fuori dalle galere, di osservare invecchiare ed ora lentamente morire.
In un oblio che fa tanta rabbia.
Prospero ci ha fatti stare tutti insieme quel giorno, ha permesso un funerale non solo suo, ma anche di tutti gli altri, di tutti quelli che non hanno potuto ricevere lo stesso saluto, di quelli caduti sull’asfalto o lasciatisi morire penzoloni in una cella.
Quel giorno, tra i nostri canti stonati, li abbiamo urlati tutti i nomi di quelli che non avevamo mai potuto seppellire così, tutti insieme, cantando piangendo e ridendo: quel giorno abbiamo seppellito Mara e Walter, quel giorno Annamaria, come Riccardo o Ennio, come tanti e tanti altri sono stati seppelliti nel calore dei loro compagni, della loro storia.

Altri nomi sono stati urlati poi… i nomi degli assenti;
di tutti coloro che ancora scontano quegli anni sulla propria pelle e non possono spostarsi.
I detenuti come gli esuli, quel giorno eravamo tutti insieme.
Chi si è fatto fino all’ultimo giorno di carcere,  chi ha rosicchiato libertà usufruendo della clemenza di Stato: quel giorno per un po’ si è stati tutti insieme, e la neve s’è sciolta d’emozione.
E allora grazie, che mi hai regalato un pezzettino di voi, anche a me, che vengo da un mondo altro.
Che fa pure un po’ schifo.

Un funerale che ha dato fastidio, almeno alla Procura di Bologna, forse a corto di lavoro interessante: ben 4 son le persone indagate per “istigazione a delinquere in concorso” per aver partecipato al funerale.
Un funerale, scambiato per terrorismo … pensa che risata ti sarai fatto.

CIAO GALLO!

Voglio lasciarvi con una carrellata di link, con i racconti di quei giorni, con del materiale su Prospero Gallinari…
tutte cose che ogni tanto fa bene rileggere…

Link
A Prospero Gallinari volato via troppo presto
Ciao Prospero
Fine di UNA storia, LA storia continua
Chi era Prospero Gallinari
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero
In memoria di Prospero Gallinari di Oreste Scalzone
Su Prospero Gallinari di Salvatore Ricciardi
Prospero Gallinari, un uomo del 900
Gallinari è morto in esecuzione pena. Dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale
Gli avvoltoi s’avventano sulla memoria di Prospero Gallinari
Prospero Gallinari quando la brigata ospedalieri lo accudì al san Giovanni
“Eravamo le Brigate rosse”, l’ultima intervista di Prospero Gallinari

Gallinari e Caselli, il confronto tra cattivi maestri e bravi bidelli
Prospero Gallinari chiede la liberazione condizionale e lo Stato si nasconde dietro le parti civili
Scalzone: Gallinari come Prospero di Shakespeare, “la vita è fatta della stessa sostanza dei sogni”

“Volevo dirgli grazie per avermi fatto capire la storia di quegli anni”. Una testimonianza sui funerali di Prospero Gallinari
Perché sono andato ai funerali di Prospero Gallianari by Stecca
Al funerale di Gallinari la generazione più felice e più cara

Prospero Gallinari: quando un funerale diventa “terrorismo” per la procura di Bologna

30 novembre 2013 8 commenti

La cerimonia di saluto
Il funerale che andava fatto!
Tutti a Coviolo per salutare Prospero Gallinari la cerimonia si terrà domani 19 gennaio alle-14-30
Ciao Prospero
In diretta da Coviolo immagini e parole della cerimonia di saluto a Prospero Gallinari/1
In diretta da Coviolo in migliaia per salutare Prospero Gallinari/2
La diretta twitter dai funerali
Ciao Prospero
Gli assenti
Scalzone: Gallinari come Prospero di Shakespeare, “la vita è fatta della stessa sostanza dei sogni”
Fine di UNA storia, LA storia continua
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero

Testimonianze
In memoria di Prospero Gallinari di Oreste Scalzone
Al funerale di Gallinari la generazione più felice e più cara
Su Prospero Gallinari
Gallinari e il funerale che andava fatto anche per gli altri

La storia
Quadruppani – Mort d’un combattant
Bianconi – I parenti delle vittime convocati via posta per perdonare Gallinari
Prospero Gallinari chiede la liberazione condizionale e lo Stato si nasconde dietro le parti civili
“Eravamo le Brigate rosse”, l’ultima intervista di Prospero Gallinari
Prospero Gallinari quando la brigata ospedalieri lo accudì al san Giovanni
Gli avvoltoi s’avventano sulla memoria di Prospero Gallinari
Gallinari è morto in esecuzione pena dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale
Prospero Gallinari un uomo del 900
Chi era Prospero Gallinari?
Gallinari e Caselli, il confronto tra cattivi maestri e bravi bidelli
Gallinari, Gotor e le lettere di Moro
Caselli Prospero Gallinari e i cattivi maestri
In risposta a Caselli su Gallinari

Stavolta i link li metto in apertura, invece che a fine post.
Per far capire alla procura di Bologna che se ha intenzione di andare avanti con questa ridicola pantomima allora da lavorare avrà veramente tanto.
Quel giorno a salutare Prospero Gallinari eravamo un migliaio, sotto la neve fitta, dopo che i treni da tutta la penisola ci avevano fatto ritrovare a Coviolo, in provincia di Reggio Emilia.
Un saluto struggente, non retorico, dolce e combattivo quello che in tanti abbiamo portato ad un uomo che non ha mai scambiato la sua dignità per un po’ di libertà, che non ha aperto un conto di cambiali con lo Stato per riappropriarsi della sua vita come in troppi hanno fatto,
che è morto detenuto, fino all’ultimo battito del cuore.
Un uomo tutto intero, con la sua storia in tasca e nello sguardo: un uomo il cui funerale andava proprio fatto così,
nel calore di tanti, tra i canti e le bandiere, tra i sorrisi e quei bicchieri di vino a farci sentire tutti una cosa sola.
Prospero quel giorno ce ne ha fatti tanti di regali,
Prospero quel giorno ha riso con noi, circondato da quella banda di vecchi amici che l’hanno salutato a pugno chiuso e sorriso sul volto,
così come un rivoluzionario va salutato.

Ora … non so che paura possano farvi…
non so come facciate ad aver paura di una generazione ormai anziana, che avete martoriato con ergastoli, isolamento e tortura…
ma che non avete completamente piegato, anzi.
Di che avete paura? Del fatto che ancora siamo vivi, che ancora cantiamo, che il fischio che scaldava le piazze e poi le celle, e poi i tavolacci delle torture, ancora scalda i cuori e scioglie la neve?
Se avete paura di questo allora inquisiteci tutti, questa “istigazione a delinquere in concorso” non è solo per Sante, Tonino, Salvatore (che oltretutto non ha preso parola) e Davide… eravamo mille.
Tutti e mille ci abbiamo messo cuore e faccia… che la procura di Bologna bussi pure,
se ha paura dei morti e del ricordo che portiamo dentro, faccia pure….

Per ricordare Prospero Gallinari, un’iniziativa a Roma

25 marzo 2013 13 commenti

Il 14 gennaio, a Reggio Emilia, moriva Prospero Gallinari. La sua scomparsa ha suscitato profonda
impressione nella sinistra antagonista, perché la coerenza etica e la trasparenza politica
della sua vicenda umana erano note a tutti, e avevano conquistato il rispetto delle vecchie e
delle nuove generazioni. Ciononostante, l’imbarazzo delle classi dominanti verso questa ondata
spontanea di cordoglio, si è presto mutato in aperto fastidio. Le polemiche seguite al funerale
di Coviolo hanno parso confermare che in Italia non solo la riflessione sulla storia, ma
nemmeno i sentimenti collettivi possono esprimersi in libertà.
Per questi motivi, abbiamo pensato di costruire una nuova occasione di ricordo per Prospero
Gallinari. Abbiamo pensato che presentare il suo libro, ascoltare le sue parole, ragionare sulla
sua vita, possa costituire non solo un contributo alla memoria delle classi subalterne, ma anche,
e semplicemente, un atto politico di libertà.
Si tratta di dire basta all’appetito insaziabile della storia dei vincitori. E di riconsegnare a ciascuno
di noi l’autonomia dei giudizi, contro i ricatti che comprimono i ricordi e le speranze,
inquinando le immagini e i pensieri.
Pasquale Abatangelo, Renato Arreni, Paolo Cassetta, Geraldina Colotti, Natalia Ligas, Maurizio
Locusta, Remo Pancelli, Bruno Seghetti

Foto di Valentina Perniciaro _Il funerale di Prospero_

Mercoledì 27 marzo alle 17:30
il Festival di Storia del Nuovo Cinema Palazzo
presenta il libro di Prospero Gallinari:
Un contadino nella metropoli.
Ricordi di un militante delle Brigate Rosse (Bompiani 2006).

Fotografia di Stefano Montesi

Letture, proiezione di inediti, ricordi e riflessioni
________________________________________
Partiamo dall’analisi dell’autobiografia di Prospero Gallinari per cominciare a ragionare sull’autobiografia come fonte. Una serie di analisi condotte sui testi autobiografici di persone che, a vario titolo, hanno caratterizzato il Novecento: storici, scrittori, politici e militanti in organizzazioni armate, Brigate rosse in particolare. Questa breve carrellata, rende già evidenti le differenze sottese a ciascuna autobiografia, specchio di diverse esperienze di vita. Un primo elemento di analisi applicabile a tutti i testi e, attinente in realtà al genere autobiografico in generale, è il problema della memoria.
________________________________________

«Un’origine, un percorso, una storia: quelli della mia vita. Superati i cinquant’anni, un viaggio nel proprio passato è anche un attraversamento di ricordi. Ricordi personali che però si intrecciano, si mischiano e spesso si confondono con fatti e avvenimenti che hanno avuto un peso nella vita collettiva. Di qui un problema? Usare il senno di poi? Raccontare attingendo a critiche, autocritiche, scomuniche, valutazioni o giudizi maturati a posteriori? Ho scelto un’altra strada».

«Ricordi personali – scrive Gallinari analizzando i contenuti della propria autobiografia – che però si intrecciano, si mischiano e spesso si confondono con fatti e avvenimenti che hanno avuto un peso nella vita collettiva. «Di qui un problema? Usare il senno di poi? Raccontare attingendo a critiche,
autocritiche, scomuniche, valutazioni o giudizi maturati a posteriori? Ho scelto un’altra strada. Quella di far riemergere il filo dei pensieri e degli atti compiuti nel modo in cui, effettivamente questi hanno attraversato e poi portato ad agire di conseguenza».

Intervengono:
– Marco Clementi, storico;
– Erri De Luca, scrittore;
– Valerio Evangelisti, scrittore;
– Sante Notarnicola, scrittore;
– Caterina Calia, avvocato.

UN PO’ DI LINK:

La cerimonia di saluto
Il funerale che andava fatto!
Tutti a Coviolo per salutare Prospero Gallinari la cerimonia si terrà domani 19 gennaio alle-14-30
Ciao Prospero
In diretta da Coviolo immagini e parole della cerimonia di saluto a Prospero Gallinari/1
In diretta da Coviolo in migliaia per salutare Prospero Gallinari/2
La diretta twitter dai funerali
Ciao Prospero
Gli assenti
Scalzone: Gallinari come Prospero di Shakespeare, “la vita è fatta della stessa sostanza dei sogni”
Fine di UNA storia, LA storia continua
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero

Testimonianze
In memoria di Prospero Gallinari di Oreste Scalzone
Al funerale di Gallinari la generazione più felice e più cara
Su Prospero Gallinari
Gallinari e il funerale che andava fatto anche per gli altri

La storia
Quadruppani – Mort d’un combattant
Bianconi – I parenti delle vittime convocati via posta per perdonare Gallinari
Prospero Gallinari chiede la liberazione condizionale e lo Stato si nasconde dietro le parti civili
“Eravamo le Brigate rosse”, l’ultima intervista di Prospero Gallinari
Prospero Gallinari quando la brigata ospedalieri lo accudì al san Giovanni
Gli avvoltoi s’avventano sulla memoria di Prospero Gallinari
Gallinari è morto in esecuzione pena dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale
Prospero Gallinari un uomo del 900
Chi era Prospero Gallinari?
Gallinari e Caselli, il confronto tra cattivi maestri e bravi bidelli
Gallinari, Gotor e le lettere di Moro
Caselli Prospero Gallinari e i cattivi maestri
In risposta a Caselli su Gallinari

I funerali di Prospero, una testimonianza

26 gennaio 2013 13 commenti

Il testo che leggerete qui sotto mi è stato inviato come commento ad una delle pagine che ho dedicato a Prospero Gallinari, e ai suoi funerali nel piccolo comune emiliano di Coviolo, dove mi son recata per salutarlo insieme ad un migliaio di persone, di compagni.
Una delle tante testimonianze di quella giornata particolare, tanto maleficamente e ridicolamente discussa sui giornali e nelle sedi di partito,
così incredibilmente calda e importanti per ognuno di noi, che ha calpestato quella soffice neve, tutti insieme, come fossimo un unico passo.
Questa testimonianza è bella perché racconta una piccola storia personale, un percorso affascinante di chi, cresciuto nel mondo, nel lessico, nella storia e nella letteratura dei vincitori, FUNERALI DEL BRIGATISTA PROSPERO GALLINARI
si accorge di aver anche qualcos’altro da scoprire,
da scoprire appunto, perchè era stato ben nascosto.
Grazie Davide, queste righe son straordinarie.

[sotto l’articolo “rubo” l’eccellente carrellata di link di racconti, analisi e testimonianze su Prospero e sulla giornata di Coviolo fatta da Paolo sul suo blog]

Anche se ovviamente non gliene frega giustamente niente a nessuno, vorrei dare un ulteriore “spaccato” di quel funerale, dicendo perchè sabato ho deciso di andare a Coviolo.
Da tempo avrei voluto incontrare Prospero Gallinari ma per mia colpa e pigrizia (avrei potuto chiedere aiuto al mio collega Burani, persona straordinaria che ho conosciuto nel corso di un processo che facemmo insieme anni fa) o anche “sbattermi” in qualche modo, ma non l’ho fatto, peccato.
E perchè avrei voluto incontare Gallinari, uno si chiede ?
Per ringraziarlo perchè gli dovevo qualcosa, e un qualcosa secondo me di importantissimo, gli dovevo l’avermi fatto capire LUI quello che era successo nel mio paese quando ero troppo giovane per comprenderne appieno la portata storica e soprattutto sociale, e che per decenni mi era stato raccontato ed insegnato solo da chi aveva vinto e nel modo in cui voleva chi aveva vinto.
E come avvenne ciò ? Me lo ricordo benissimo perchè non risale a molto tempo fa, stavo girovagando su youtube in cerca di materiale sul caso Moro per un mio personale approfondmento quando mi imbattei sulla sua lunga intervista del video del 2006 “una storia del 900”, ho cliccato, manco lo avrei riconosciuto visto che le solite foto d’epoca ce lo mostravano tutto diverso, e quel suo modo di raccontare e di raccontarsi mi ha colpito e molto positivamente, me lo immaginavo tutto diverso da quello che avevo letto (ovviamente scritto da quei vincitori), e così iniziai ad ascoltare il suo racconto, lungo, più di 1 ora, ma interrotto, una sorta di monologo, era il racconto della sua storia e di quella storia. Era la prima volta che qualcuno me la raccontava così, sembrerà strano ma è proprio così, fino a pochissimi anni fa ero uno dei tanti “indottrinati” dalla storia dei vincitori. Poi ovviamente dopo quella intervista ho letto tutto quello che ha scritto LUI e cercato di recuperare anche le sue altre inteviste, l’ultima delle quali (straordinaria) nel recente documentario francese. Gallinari mi ha fatto capire chi era LUi attraverso la spiegazione paziente, sofferta, precisa, meditata, genuina, vera, dolorosa ed esaltante etc. di quella sua storia e di quella nostra storia che mi era stata sempre taciuta e negata.
Siccome mi pareva di avere capito, ma magari sbagliavo, che lui ci tenesse molto a che venisse saputa e capita anche da chi allora non c’era (non credo si rivolgesse ai suoi compagni che qualla storia con lui l’avevano vissuta…) avrei voluto dirglielo e ringraziarlo e ho pensato di farlo andando a Coviolo in mezzo alla sua gente e nella sua terra, un pò per dirgli “c’è chi ha capito la tua storia ascoltando le tue parole e leggendo i tuoi libri”. Per questo sono andato ai SUOI funerali, non sarei andato al funerale di un altro che non conoscevo, sono andato al SUO.  E’ vero che sapevo che avrei incontrato alcuni amici ai quali sono molto legato, ma quel giorno mi sentivo lì proprio e solo per Prospero Gallinari, un uomo che non avevo mai incontrato.
Davide Steccanella

La cerimonia di saluto
Tutti a Coviolo per salutare Prospero Gallinari la cerimonia si terrà domani 19 gennaio alle-14-30
Ciao Prospero
In diretta da Coviolo immagini e parole della cerimonia di saluto a Prospero Gallinari/1
In diretta da Coviolo in migliaia per salutare Prospero Gallinari/2
La diretta twitter dai funerali
Ciao Prospero
Gli assenti
Scalzone: Gallinari come Prospero di Shakespeare, “la vita è fatta della stessa sostanza dei sogni”
Fine di UNA storia, LA storia continua
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero

Testimonianze
In memoria di Prospero Gallinari di Oreste Scalzone
Al funerale di Gallinari la generazione più felice e più cara
Su Prospero Gallinari
Gallinari e il funerale che andava fatto anche per gli altri

La storia
Quadruppani – Mort d’un combattant
Bianconi – I parenti delle vittime convocati via posta per perdonare Gallinari
Prospero Gallinari chiede la liberazione condizionale e lo Stato si nasconde dietro le parti civili
“Eravamo le Brigate rosse”, l’ultima intervista di Prospero Gallinari
Prospero Gallinari quando la brigata ospedalieri lo accudì al san Giovanni
Gli avvoltoi s’avventano sulla memoria di Prospero Gallinari
Gallinari è morto in esecuzione pena dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale
Prospero Gallinari un uomo del 900
Chi era Prospero Gallinari?
Gallinari e Caselli, il confronto tra cattivi maestri e bravi bidelli
Gallinari, Gotor e le lettere di Moro
Caselli Prospero Gallinari e i cattivi maestri
In risposta a Caselli su Gallinari

Gallinari e il funerale che andava fatto, anche per gli altri

23 gennaio 2013 8 commenti

30 novembre 2013: DOVEROSO AGGIORNAMENTO.. 4 indagati per i funerale, LEGGI QUI

“Due razze di uomini. L’una uccide e paga, anche con la vita. L’altra giustifica migliaia di crimini ed accetta di ricavarne onori”  (- Albert Camus –)

Dal blog di FrancoSenia la citazione che tra le tante mi ha più lasciato sulla pelle il calore di sabato scorso,
quel calore immenso che ci avvolgeva sotto la neve di Coviolo, in quel panorama piatto e soffice, che accarezzava lo sguardo mentre salutavamo Prospero.
Un viaggio di due giorni che lascerà il segno dentro di me, che ha scavato nel profondo in ogni suo abbraccio, in ogni mano a cui mi son aggrappata o che ho sentito attaccarsi a me, improvvisamente.

Foto di valentina perniciaro _coviolo_

Foto di valentina perniciaro _coviolo_

mai dimenticherò la mano di Sante che mi ha stretto nella folla quando Oreste ha iniziato il suo fischio coinvolgente… una mano tremante, che cercava alla cieca un calore da stringere, per poter iniziare un canto collettivo.
Poi Renato, il cui sguardo e le cui mani mi hanno colpito più di tutti gli altri e forse non conosco parole adeguate per descriverne il motivo, son quelle cose che viaggiano sulle vibrazioni nell’aria,
che si poggiano sulla pelle e lì scaldano il resto del corpo. Il suo sguardo carezzava quella bara e conteneva un mondo intero, forte, dignitoso, pulitissimo.

Foto da Contropiano

Mai dimenticherò un treno pieno di ergastolani che tagliava l’Italia in due (abbiamo provato a contare il numero degli anni di carcere scontati in quelle carrozze in corsa ma ad un certo punto il conto si è perso)
mai dimenticherò quella neve soffice, l’abbraccio con mille compagni che ognuno strappava la carne e il sorriso.
E’ stato un funerale felice,
ha ragione Sante,
Prospero, che preferisco chiamare Gallo almeno su queste pagine, ha regalato a noi compagni quel che ancora ci mancava, quel che mancava a tutti coloro di quella generazione presenti in quel piccolo cimitero emiliano.

Con Prospero siamo riusciti a seppellire Mara, i fratelli Mantini, Annamaria, Martino, Antonio, Luca, Wilma
cantando quello stonatissimo coro d’Internazionale, abbiamo per la prima volta salutato e seppellito tutti insieme tutti quei compagni uccisi e rimossi dalla memoria collettiva, spesso anche del movimento stesso.
Più che spesso. E cavolo che bene che ci ha fatto, che esplosione straordinaria d’amore che c’è stata.
Perché con noi c’era anche chi non poteva esserci,
perché chi è detenuto ha mandato un figlio, un bacio, un sorriso, un foglietto,
perché gli esuli, lontani da decenni dalla terra e lingua di casa c’erano tutti,
i loro nomi son stati urlati uno ad uno.
Non c’è stata una lacrima di tristezza Prospero, malgrado la tua mancanza sia pesante,
ci son state lacrime di un’emozione che in me ha mutato tante cose,
che in me ha riaperto quella bella capacità di credere di far parte di qualcosa di straordinario,
che sono i compagni.
Quei compagni, di ogni età, che sabato ho stretto forte forte a me.

Grazie Gallo!

LEGGI:
La mia diretta twitter dai funerali
Ciao Prospero
Fine di UNA storia, LA storia continua
In risposta a Caselli su Gallinari
Mai alcuna confessione di innocenza, Prospero

Tunisia: un paese in assemblea permanente. Che invidia.

5 Maggio 2011 2 commenti

Tunisia, il tappo del regime è saltato

La Tunisia è in assemblea permanente. L’effervescenza partecipativa e la rivendicazione continua non riguardano solo la capitale: in ogni località ci si imbatte in presidii e cortei spontanei. I giovani discutono sulle sorti della rivolta e sui tentativi di normalizzarla.
di Annamaria Rivera, da il manifestoBasta passeggiare in avenue Bourghiba, a Tunisi, per rendersi conto dell’euforica passione per la libertà che ha preso i tunisini e le tunisine. A ogni ora della giornata, i tavolini all’aperto dei caffè sono affollati d’ogni genere di avventori: giovani abbigliati nei modi più diversi, ragazze «velate» accanto ad altre che ostentano piercing e capelli cortissimi, coppie con bambini, gruppetti di donne mature, da sole, il capo coperto da un hijab nero. Vi sono anche, soprattutto, militanti e dirigenti dei numerosi partiti di sinistra, che discutono di politica e delle sorti della rivoluzione del 14 gennaio, come viene detta ufficialmente. Se li si vuole incontrare basta sedersi, a partire dal primo pomeriggio, davanti al caffè L’Univers che sta a metà dell’avenue.
Nei pressi del caffè, lo slargo sul marciapiede di fronte è divenuto una sorta di Speakers’ Corner: malgrado la lunga barriera di filo spinato e i carri armati dell’esercito a protezione permanente del Ministero dell’Interno, capannelli densi e numerosi si formano incessantemente, dal mattino alla sera e tutti i giorni, non solo la domenica come a Hyde Park. Anche lì si discute di politica, più che altro a partire da fatti quotidiani: un’ingiustizia subita, un sopruso poliziesco, lo scandalo di certe assunzioni pubbliche in cambio di cospicue tangenti, l’ennesima prova della permanenza o dell’infiltrazione del Rcd, il partito di Ben Ali, in istituzioni locali, amministrazioni pubbliche, imprese private bastano ad agglutinare le piccole folle contigue. Poco lontano, la scalinata del Teatro Municipale è occupata ogni giorno da manifestazioni spontanee, soprattutto di giovani che hanno partecipato alla rivoluzione e che protestano contro i tentativi di confiscarla al popolo. Può succedere perfino, come abbiamo constatato, che da un sit-in si stacchi un corteo non autorizzato che si dirige temerariamente verso il Ministero dell’Interno.
L’effervescenza partecipativa e la rivendicazione permanente non riguardano solo la capitale: in qualsiasi località si arrivi, ci si può imbattere in presidii o cortei spontanei.
Per dirne una, a Grombalia, lungo la strada da Tunisi a Nabeul, abbiamo visto un gruppo di giovani, donne e uomini, che esibendo cartelli scritti a mano, protestavano davanti al Municipio contro la chiusura di un ipermercato e il licenziamento in tronco di ottanta dipendenti.

È come se, saltato il tappo del regime, l’ebollizione della società, contenuta a forza di repressione feroce, dominio del terrore, spionaggio e delazione capillari, fosse scoppiata in forma di geiser caldi, potenti, continui. Per farsi un’idea di quel che fosse il regime cleptomane e poliziesco di Ben Ali e della sua banda, basta parlare con qualche dirigente o semplice militante di uno dei numerosi partiti di sinistra, a quel tempo fuori legge. Essi raccontano dell’attività politica clandestina durante il regime svolta sotto falso nome e in località lontane centinaia di chilometri dal luogo di residenza: perfino tra compagni di partito i veri nomi erano reciprocamente ignorati, anche i parenti più stretti erano tenuti all’oscuro del loro impegno.

A demonstrators faces police during clashes in Tunis, Friday, Jan. 14, 2011. Tunisia’s president declared a state of emergency and announced that he would fire his government as violent protests escalated Friday, with gunfire echoing in the North African country’s usually calm capital and police lobbing tear gas at protesters. (AP Photo/Christophe Ena)

L’esperienza della clandestinità è la forza – determinazione e spirito militante non mancano – ma anche la debolezza, ci sembra, dei partiti e movimenti di sinistra, che ancora esitano a mettere al primo posto il lavoro sociale. Ed è questa una delle tante ragioni del successo di Ennahda, il partito islamista, che invece, anche grazie alle ingenti risorse materiali di cui dispone, riesce a essere presente ovunque, soprattutto nelle regioni più povere, fra le classi popolari e i diseredati. E non solo: in uno dei tanti villaggi della frontiera fra la Tunisia e la Libia, che ha accolto ben tremila rifugiati, Ennahda, insieme ad altri gruppi islamisti venuti dalla Francia, svolge un’attività molto efficiente, ci hanno riferito, degna delle massime organizzazioni umanitarie.
La frantumazione del panorama politico tunisino (finora sono almeno 65 i partiti legalizzati) e soprattutto della sinistra, condurrebbe di sicuro alla vittoria degli islamisti nelle prossime elezioni di luglio dell’Assemblea costituente se l’«Istanza superiore per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione» non avesse adottato il sistema proporzionale con i resti, che favorirà la rappresentatività di buona parte dei partiti che presenteranno liste elettorali. L’Istanza superiore ha anche deciso che le liste debbano essere costituite per la metà da donne.

L’asimmetria di mezzi e di consenso popolare, forse anche una certa vaghezza, finora, dei loro programmi politici, spinge i partiti di sinistra a definirsi spesso per opposizione a Ennahda, che talvolta è oggetto di una sorta di demonizzazione, più di quanto meriti: certo, tende alla doppiezza politica, è talvolta compiacente verso il Rcd, ma in fondo può essere considerata anche un argine contro il rischio dell’estremismo islamista violento. Ma la definizione di sé per opposizione a un avversario concepito quasi come un nemico assoluto non va fino al rifiuto di conservare nella nuova costituzione l’articolo che definisce la Tunisia come un paese arabo-musulmano. Su questo punto alcuni militanti di sinistra con i quali abbiamo parlato sono molto cauti. Sostengono, infatti, che «le masse» non comprenderebbero il loro rifiuto, che in fondo conservare quell’articolo è solo fotografare la società tunisina. E quando obiettiamo che della società tunisina sono parte integrante le minoranze linguistiche, culturali, religiose e non-religiose – berberofoni, francofoni, italofoni, ebrei, cristiani, agnostici, atei… – replicano che queste saranno oggetto di protezione e che la libertà di culto sarà garantita. Fra l’altro sottovalutano, ci sembra, lo spirito laico e pluralista, se non cosmopolita, che cova fra tanti giovani che hanno acceso le rivolte e partecipato alla rivoluzione.

A Tunisian woman waves the national flag in front of the interior ministry during clashes between demonstrators and security forces in Tunis on January 14, 2011. Thousands of Tunisians demanded the departure of President Zine El Abidine Ben Ali in marches in the capital and other towns, a day after he pledged to not seek another term to end growing unrest. AFP PHOTO / FETHI BELAID (Photo credit should read FETHI BELAID/AFP/Getty Images)

Ben più legato «alle masse» sembra l’Ugtt (Unione generale tunisina del lavoro), la principale e storica centrale sindacale. Da aver avuto leadership asservite al regime, perfino corrotte, ha finito, grazie alla pressione della base, per sostenere e partecipare al movimento di rivolta contribuendo decisamente al suo successo. Sempre per pressione della base, la sua dirigenza, dopo aver accettato di partecipare al governo di unità nazionale di Mohamed Ghannouchi, è stata costretta subito a dimettersene. Oggi il l’Ugtt è trasformato nella forza propulsiva della rivoluzione più diffusa e organizzata. Lo scorso 23 aprile, all’incontro promosso dal sindacato locale a Ben Arous, cittadina a sud della capitale, della sessantina di partecipanti un buon terzo è costituito da donne; a presiederlo ci sono tre donne, una delle quali nera, tre uomini e due giovani maschi. L’incontro si è concluso col concerto di un gruppo ugualmente misto, che ha eseguito canzoni rivoluzionarie su musica tradizionale. Come da manuale, l’ultimo pezzo proposto è stato L’Internazionale, cantata in più lingue insieme al pubblico, che si è levato in piedi entusiasta e commosso.

Nessuna donna, al contrario, al tavolo della presidenza del Comitato per la salvaguardia della rivoluzione di Medina El Jedida, un altro sobborgo di Tunisi, riunito quello stesso giorno. Per la verità i sette uomini che presiedevano l’incontro, dedicato a riferire (lo fa un giurista accademico) e a discutere le decisioni dell’Istanza superiore, di tutto hanno l’aria tranne che di rivoluzionari: formali, impettiti, vestiti col tipico gessato scuro, sembrano piuttosto dei funzionari del vecchio regime. Ma, si sa, lo stile non è tutto: può darsi che la rigidità apparente nasconda cuori ribelli…
Densa di cuori palesemente ribelli è invece la grande assemblea – circa tremila partecipanti- che il 24 aprile, nel Palazzo dei Congressi di Tunisi, ha sancito l’unificazione fra due formazioni che si definiscono marxiste-leniniste: l’Mpd (Movimento dei patrioti democratici) e il Ptpdt (Partito del lavoro, patriottico e democratico). Nella dichiarazione finale denunciano «le manovre orchestrate da ambienti imperialisti » per confiscare al popolo e far fallire la rivoluzione tunisina e le altre del mondo arabo. Il pubblico – tanto folto da straripare nella hall, nei corridoi, nelle altre sale del Palazzo

Mohamed Ghannouchi

– non potrebbe essere più eterogeneo: donne e uomini, proletari e piccolo-borghesi, giovani e anziani, numerose coppie con figli. Per i quali sono stati organizzati giochi di animazione nel piazzale davanti al Palazzo. Mentre all’interno si discute delle manovre imperialiste, fuori un dj e due clown (una ragazza e un ragazzo) fanno ballare i bambini a suon di rap. L’atmosfera è calda, euforica, amichevole. Qui, come in qualsiasi incontro cui abbiamo partecipato, siamo accolti a braccia aperte come compagni.
Uno dei segni della potenza della rivoluzione ma anche dei tentativi di normalizzarla è che essa sia divenuta una sorta di logo. I suoi slogan, i suoi elementi iconografici principali – la bandiera nazionale, i ritratti di Mohamed Bouazizi e di Che Guevara – campeggiano ovunque, anche dove meno te lo aspetti. Perfino La Gazelle, la rivista patinata della Tunis Air distribuita gratuitamente sugli aerei, dedica il titolo e la foto di copertina del numero del primo trimestre 2011 alla «révolution du jasmin» (detta così a uso dei turisti). All’interno un articolo esalta la rivoluzione come fosse una delle tante attrattive turistiche del Paese.

La migliore libreria di Tunisi, in Avenue Bourghiba, ha una vetrina dedicata solo a libri e poster sulle malefatte del regime e sulla rivoluzione. In bella mostra c’è la riedizione di un libro pubblicato nel 1999 da La Découverte, Notre ami Ben Ali: l’envers du miracle tunisien, dei giornalisti Nicolas Beau et Jean-Pierre Tuquoi. All’epoca il volume scomparve dal mercato dei paesi francofoni in pochi giorni: i servizi consolari tunisini avevano ricevuto l’ordine di comprarne il maggior numero possibile di copie. All’interno della libreria campeggiano due ritratti del Che e una caricatura di Ben Ali con svastica, baffetti e postura alla Hitler.

Fotocopie sbiadite di caricature di Gheddafi, Mubarak e Ben Ali sono in vendita per un dinaro anche su un modesto banchetto ambulante che vende i quotidiani tunisini mainstream: un tempo asserviti al regime, oggi, cambiata la casacca, hanno conservato un certo conformismo e la tendenza a censurare tutto quel che sa di «disordine» e di sinistra. Ed è questa, finora, un’altra delle debolezze della rivoluzione: non disporre di organi d’informazione che la rappresentino e la raccontino degnamente e fedelmente.
Finora la rivoluzione ha appena scalfito – ma non potrebbe essere diversamente – tratti strutturali del regime come il sistema di corruzione, capillare e diffuso, e la tendenza a usare il potere, grande o minimo che sia, in modo arrogante o violento contro coloro che stanno più in basso.
Seduti con amici tunisini a prendere un caffè nella grande sala dell’hotel El Hana International ci è capitato di assistere a una scena esemplare. D’un tratto due agenti privati al servizio dell’albergo, alti e corpulenti, fanno irruzione nella hall trascinando un omino dall’aria dimessa che si agita disperato. Lo strattonano e lo schiaffeggiano senza vergogna davanti alla cinquantina di avventori, in gran parte tunisois di classe media, mentre lui protesta e cerca di liberarsi. I due bruti lo afferrano ancor più strettamente per le ascelle e quasi sollevandolo lo trascinano per la sala verso il corridoio di servizio che conduce all’aperto. Eccetto tre di noi – cerchiamo d’intervenire finché le guardie non ficcano lo sventurato in un gabbiotto esterno -, nessuno nella sala reagisce, anzi quasi tutti fingono di non vedere.

Le stesse gerarchie sociali, di classe e di potere, sembrano scarsamente intaccate dal processo rivoluzionario, anche a causa della crisi economica, aggravata dal crollo del settore turistico e del suo vasto indotto informale. Certo, la solidarietà popolare diffusa, la tendenza a soccorrere chi ha bisogno, la socialità densa, le relazioni faccia a faccia valgono a compensare le spietate disuguaglianze sociali.
Sono proprio questi tratti che hanno contribuito a far sì che atti individuali – il suicidio col fuoco di Mohamed Bouazizi e di altri – suscitassero, nelle regioni più povere del Paese, l’indignazione collettiva, che questa si trasformasse in rivolta, che la rivolta dilagasse ovunque diventando rivoluzione. E che questa determinasse l’incredibile accelerazione della storia alla quale la sorte ci permette oggi di assistere. Speriamo che il destino ma soprattutto l’opera degli umani siano generosi nei riguardi della rivoluzione del 14 gennaio e la conducano verso il traguardo che merita.

(5 maggio 2011)

ANNIVERSARIO DELL’ASSASSINIO DI RACHEL CORRIE. NESSUN PERDONO, NESSUNA PACE

16 marzo 2009 3 commenti

Rachel Corrie, 23 anni, attivista statunitense, è stata assassinata il 16 marzo 2003, schiacciata da una ruspa israeliana. Rachel tentava di evitare che la ruspa demolisse l’abitazione di un medico palestinese nella Striscia di Gaza. 
Nelle sue ultime lettere racconta ai familiari la Palestina che ha conosciuto partecipando alle azioni dell’International Solidarity Movement.

towell_gazaperrachelCiao amici e famiglia e tutti gli altri,

sono in Palestina da due settimane e un’ora e non ho ancora parole per descrivere ciò che vedo. È difficilissimo per me pensare a cosa sta succedendo qui quando mi siedo per scrivere alle persone care negli Stati Uniti. È come aprire una porta virtuale verso il lusso. Non so se molti bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei proiettili dei carri armati sui muri delle case e le torri di un esercito che occupa la città che li sorveglia costantemente da vicino. Penso, sebbene non ne sia del tutto sicura, che anche il più piccolo di questi bambini capisca che la vita non è così in ogni angolo del mondo. Un bambino di otto anni è stato colpito e ucciso da un carro armato israeliano due giorni prima che arrivassi qui e molti bambini mi sussurrano il suo nome – Alì – o indicano i manifesti che lo ritraggono sui muri.

I bambini amano anche farmi esercitare le poche conoscenze che ho di arabo chiedendomi “Kaif Sharon?” “Kaif Bush?” e ridono quando dico, “Bush Majnoon”, “Sharon Majnoon” nel poco arabo che conosco. (Come sta Sharon? Come sta Bush? Bush è pazzo. Sharon è pazzo.). Certo, questo non è esattamente quello che credo e alcuni degli adulti che sanno l’inglese mi correggono: “Bush mish Majnoon” … Bush è un uomo d’affari. Oggi ho tentato di imparare a dire “Bush è uno strumento” (Bush is a tool), ma non penso che si traduca facilmente. In ogni caso qui si trovano dei ragazzi di otto anni molto più consapevoli del funzionamento della struttura globale del potere di quanto lo fossi io solo pochi anni fa.y1p_hclsueimo1uzhqg4swvqogy9o08dclnulkosrm98_w7dqpmxeutucuijfbrcxd-o5lykumaxtk

Tuttavia, nessuna lettura, conferenza, documentario o passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione che ho trovato qui. Non si può immaginare a meno di vederlo, e anche allora si è sempre più consapevoli che l’esperienza stessa non corrisponde affatto alla realtà: pensate alle difficoltà che dovrebbe affrontare l’esercito israeliano se sparasse a un cittadino statunitense disarmato, o al fatto che io ho il denaro per acquistare l’acqua mentre l’esercito distrugge i pozzi e naturalmente al fatto che io posso scegliere di andarmene. Nessuno nella mia famiglia è stato colpito, mentre andava in macchina, da un missile sparato da una torre alla fine di una delle strade principali della mia città. Io ho una casa. Posso andare a vedere l’oceano. Quando vado a scuola o al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato, pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud Bay e il centro di Olympia a un checkpoint, con il potere di decidere se posso andarmene per i fatti miei e se posso tornare a casa quando ho finito.

Dopo tutto questo peregrinare, mi trovo a Rafah: una città di circa 140.000 persone, il 60% di questi sono profughi, molti di loro due o tre volte profughi. Oggi, mentre camminavo sulle macerie, dove una volta sorgevano delle case, alcuni soldati egiziani mi hanno rivolto la parola dall’altro lato del confine. “Vai! Vai!” mi hanno gridato, perché si avvicinava un carro armato. E poi mi hanno salutata e mi hanno chiesto “come ti chiami?”. C’è qualcosa di preoccupante in questa curiosità amichevole. Mi ha fatto venire in mente in che misura noi, in qualche modo, siamo tutti bambini curiosi di altri bambini. Bambini egiziani che urlano a donne straniere che si avventurano sul percorso dei carri armati. Bambini palestinesi colpiti dai carri armati quando si sporgono dai muri per vedere cosa sta accadendo. Bambini di tutte le nazioni che stanno in piedi davanti ai carri armati con degli striscioni. Bambini israeliani che stanno in modo anonimo sui carri armati, di tanto in tanto urlano e a volte salutano con la mano, molti di loro costretti a stare qui, molti semplicemente aggressivi, sparano sulle case mentre noi ci allontaniamo.
Ho avuto difficoltà a trovare informazioni sul resto del mondo qui, ma sento dire che un’escalation nella guerra contro l’Iraq è inevitabile. Qui sono molto preoccupati della “rioccupazione di Gaza”. Gaza viene rioccupata ogni giorno in vari modi ma credo che la paura sia quella che i carri armati entrino in tutte le strade e rimangano qui invece di entrare in alcune delle strade e ritirarsi dopo alcune ore o dopo qualche giorno a osservare e sparare dai confini delle comunità. Se la gente non sta già pensando alle conseguenze di questa guerra per i popoli dell’intera regione, spero che almeno lo iniziate a fare voi.

Un saluto a tutti. Un saluto alla mia mamma. Un saluto a smooch. Un saluto a fg e a barnhair e a sesamees e alla Lincoln School. Un saluto a Olympia. 
Rachel

20 febbraio 2003

Mamma,

tempoadesso l’esercito israeliano è arrivato al punto di distruggere con le ruspe la strada per Gaza, ed entrambi i checkpoint principali sono chiusi. Significa che se un palestinese vuole andare ad iscriversi all’università per il prossimo quadrimestre non può farlo. La gente non può andare al lavoro, mentre chi è rimasto intrappolato dall’altra parte non può tornare a casa; e gli internazionali, che domani dovrebbero essere ad una riunione delle loro organizzazioni in Cisgiordania, non potranno arrivarci in tempo. Probabilmente ce la faremmo a passare se facessimo davvero pesare il nostro privilegio di internazionali dalla pelle bianca, ma correremmo comunque un certo rischio di essere arrestati e deportati, anche se nessuno di noi ha fatto niente di illegale.

La striscia di Gaza è ora divisa in tre parti. C’è chi parla della “rioccupazione di Gaza”, ma dubito seriamente che stia per succedere questo, perché credo che in questo momento sarebbe una mossa geopoliticamente stupida da parte di Israele. Credo che dobbiamo aspettarci piuttosto un aumento delle piccole incursioni al di sotto del livello di attenzione dell’opinione pubblica internazionale, e forse il paventato “trasferimento di popolazione”. Per il momento non mi muovo da Rafah, non penso di partire per il nord. Mi sento ancora relativamente al sicuro e nell’eventualità di un’incursione più massiccia credo che, per quanto mi riguarda, il rischio più probabile sia l’arresto. Un’azione militare per rioccupare Gaza scatenerebbe una reazione molto più forte di quanto non facciano le strategie di Sharon basate sugli omicidi che interrompono i negoziati di pace e sull’arraffamento delle terre, strategie che al momento stanno servendo benissimo allo scopo di fondare colonie dappertutto, eliminando lentamente ma inesorabilmente ogni vera possibilità di autodeterminazione palestinese.

Sappi che un mucchio di palestinesi molto simpatici si sta prendendo cura di me. Mi sono presa una lieve influenza e per curarmi mi hanno dato dei image005beveroni al limone buonissimi. E poi la signora che ha le chiavi del pozzo dove ancora dormiamo mi chiede continuamente di te. Non sa una parola d’inglese ma riesce a chiedermi molto spesso della mia mamma – vuole essere sicura che ti chiami.

Un abbraccio a te, a papà, a Sara, a Chris e a tutti. 
Rachel

27 febbraio 2003 
(alla madre)

Vi voglio bene. Mi mancate davvero. Ho degli incubi terribili, sogno i carri armati e i bulldozer fuori dalla nostra casa, con me e voi dentro. A volte, l’adrenalina funge da anestetico per settimane di seguito, poi improvvisamente la sera o la notte la cosa mi colpisce di nuovo: un po’ della realtà della situazione.

Ho proprio paura per la gente qui. Ieri ho visto un padre che portava fuori i suoi bambini piccoli, tenendoli per mano, alla vista dei carri armati e di una torre di cecchini e di bulldozer e di jeep, perché pensava che stessero per fargli saltare in aria la casa. In realtà, l’esercito israeliano in quel momento faceva detonare un esplosivo nel terreno vicino, un esplosivo piantato, a quanto pare, dalla resistenza palestinese. Questo è nella stessa zona in cui circa 150 uomini furono rastrellati la scorsa domenica e confinati fuori dall’insediamento mentre si sparava sopra le loro teste e attorno a loro, e mentre i carri armati e i bulldozer distruggevano 25 serre, che davano da vivere a 300 persone. L’esplosivo era proprio davanti alle serre, proprio nel punto in cui i carri armati sarebbero entrati, se fossero ritornati. Mi spaventava pensare che per quest’uomo, era meno rischioso camminare in piena vista dei carri armati rachelcorrie3id0che restare in casa. Avevo proprio paura che li avrebbero fucilati tutti, e ho cercato di mettermi in mezzo, tra loro e il carro armato. Questo succede tutti i giorni, ma proprio questo papà con i suoi due bambini così tristi, proprio lui ha colto la mia attenzione in quel particolare momento, forse perché pensavo che si fosse allontanato a causa dei nostri problemi di traduzione.

Ho pensato tanto a quello mi avete detto per telefono, di come la violenza dei palestinesi non migliora la situazione. Due anni fa, sessantamila operai di Rafah lavoravano in Israele. Oggi, appena 600 possono entrare in Israele per motivi di lavoro. Di questi 600, molti hanno cambiato casa, perché i tre checkpoint che ci sono tra qui e Ashkelon (la città israeliana più vicina) hanno trasformato quello che una volta era un viaggio di 40 minuti in macchina in un viaggio di almeno 12 ore, quando non impossibile. Inoltre, quelle che nel 1999 erano le potenziali fonti di crescita economica per Rafah sono oggi completamente distrutte: l’aeroporto internazionale di Gaza (le piste demolite, tutto chiuso); il confine per il commercio con l’Egitto (oggi con una gigantesca torre per cecchini israeliani al centro del punto di attraversamento); l’accesso al mare (tagliato completamento durante gli ultimi due anni da un checkpoint e dalla colonia di Gush Katif). Dall’inizio di questa intifada, sono state distrutte circa 600 case a Rafah, in gran parte di persone che non avevano alcun rapporto con la resistenza, ma vivevano lungo il confine.

Credo che Rafah oggi sia ufficialmente il posto più povero del mondo. Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono anche che le spedizioni dei fiori da Gaza verso l’Europa venivano, a volte, ritardate per due settimane al valico di Erez per ispezioni di sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di fiori tagliati due settimane prima sul mercato europeo, quindi il mercato si è chiuso. 11_fotop6E poi sono arrivati i bulldozer, che distruggono gli orti e i giardini della gente. Cosa rimane per la gente da fare? Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. Io non ci riesco. Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fossero completamente soffocati, se vivessimo con i nostri bambini in un posto che ogni giorno diventa più piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer ci possono attaccare in qualunque momento e distruggere tutte le serre che abbiamo coltivato da tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di noi vengono picchiati e tenuti prigionieri assieme a 149 altri per ore: non pensate che forse cercheremmo di usare dei mezzi un po’ violenti per proteggere i frammenti che ci restano? Ci penso soprattutto quando vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi da frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e a quanto tempo ci vuole per far crescere le cose e quanta fatica e quanto amore ci vuole. Penso che in una simile situazione, la maggior parte della gente cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo farebbe lo zio Craig. Probabilmente la nonna la farebbe. E penso che lo farei anch’io.

Mi avete chiesto della resistenza non violenta. Quando l’esplosivo è saltato ieri, ha rotto tutte le finestre nella casa della famiglia. Mi stavano servendo del tè, mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata sempre con tanta dolcezza da persone che vanno incontro alla catastrofe. So che visto dagli Stati Uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente, la grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi segni di deliberata distruzione delle loro vite, mi fa sembrare tutto così irreale. Non riesco a credere che qualcosa di questo genere possa succedere nel mondo senza che ci siano più proteste. Mi colpisce davvero, di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere come possiamo far diventare così orribile questo mondo. Dopo aver parlato con voi, mi sembrava che forse non riuscivate a credere completamente a quello che vi dicevo. fotop8Penso che sia meglio così, perché credo soprattutto all’importanza del pensiero critico e indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo con voi, tendo a controllare le fonti di tutte le mie affermazioni in maniera molto meno precisa. In gran parte questo è perché so che fate anche le vostre ricerche.

Ma sono preoccupata per il lavoro che svolgo. Tutta la situazione che ho descritto, assieme a tante altre cose, costituisce un’eliminazione, a volte graduale, spesso mascherata, ma comunque massiccia, e una distruzione, delle possibilità di sopravvivenza di un particolare gruppo di persone. Ecco quello che vedo qui. Gli assassini, gli attacchi con i razzi e le fucilazioni dei bambini sono atrocità, ma ho tanta paura che se mi concentro su questi, finirò per perdere il contesto. La grande maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla loro terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene. Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene rinchiusa in un ovile – Gaza – da cui non può uscire, e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si possa qualificare come genocidio. corrie_afterAnche se potessero uscire, credo che si potrebbe sempre qualificare come genocidio. Forse potreste cercare una definizione di genocidio secondo il diritto internazionale. Non me la ricordo in questo momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere meglio questi concetti. Non mi piace usare questi termini così carichi. Credo che mi conoscete sotto questo punto di vista: io do veramente molto valore alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni e di permettere alle persone di tirare le proprie conclusioni. Comunque, mi sto perdendo in chiacchiere. Voglio solo scrivere alla mamma per dirle che sono testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e che ho davvero paura, comincio a mettere in discussione la mia fede fondamentale nella bontà della natura umana.

Bisogna che finisca. Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa da estremisti. Voglio davvero andare a ballare al suono di Pat Benatar e avere dei ragazzi e disegnare fumetti per quelli che lavorano con me. Ma voglio anche che questo finisca. Quello che provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo mondo. Non era questo che la gente qui chiedeva quando è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu e papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso di farmi nascere. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago Capital e dicevo, “questo è il vasto mondo e sto arrivando!” Non intendevo dire che stavo arrivando in un mondo in cui potevo vivere una vita comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa incoscienza della mia partecipazione a un genocidio.

Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da qualche parte. Quando tornerò dalla Palestina, probabilmente soffrirò di incubi e mi sentirò in colpa per il fatto di non essere qui, ma posso incanalare tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi, se sembro impazzita, o se l’esercito israeliano dovesse porre fine alla loro tradizione razzista di non far male ai bianchi, attribuite il motivo semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un genocidio che io anch’io sostengo in maniera indiretta, e del quale il mio governo è in larga misura responsabile. 
Voglio bene a te e a papà. Scusatemi il lungo papiro. OK, uno sconosciuto vicino a me mi ha appena dato dei piselli, devo mangiarli e ringraziarli. 
Rachel

28 febbraio 2003 
(alla madre)

Grazie, mamma, per la tua risposta alla mia e-mail. Mi aiuta davvero ricevere le tue parole, e quelle di altri che mi vogliono bene.

Dopo averti scritto ho perso i contatti con il mio gruppo per circa dieci ore: le ho passate in compagnia di una famiglia che vive in prima linea a Hi Salam. carlorachelMi hanno offerto la cena, e hanno pure la televisione via cavo. Nella loro casa le due stanze che danno sulla facciata sono inutilizzabili perché i muri sono crivellati da colpi di arma da fuoco, perciò tutta la famiglia – padre, madre e tre bambini-dorme nella stanza dei genitori. Io ho dormito sul pavimento, accanto a Iman, la bimba più piccola, e tutti eravamo sotto le stesse coperte. Ho aiutato un po’ il figlio maschio con i compiti d’inglese e abbiamo guardato tutti insieme Pet Semetery, che è un film davvero terrificante. Penso che per loro sia stato un gran divertimento vedere come quasi non riuscivo a guardarlo. Da queste parti il giorno festivo è venerdì, e quando mi sono svegliata stavano guardando i Gummy Bears doppiati in arabo. Così ho fatto colazione con loro, e sono rimasta un po’ lì seduta così, a godermi la sensazione di stare in mezzo a quel groviglio di coperte, insieme alla famiglia che guardava quello che a me faceva l’effetto dei cartoni della domenica mattina.

Poi ho fatto un pezzo di strada a piedi fino a B’razil, che è dove vivono Nidal, Mansur, la Nonna, Rafat e tutto il resto della grande famiglia che mi ha letteralmente adottata a cuore aperto. (A proposito, l’altro giorno, la Nonna mi ha fatto una predica mimata in arabo: era tutto un gran soffiare e additare lo scialle nero. Sono riuscita a farle dire da Nidal che mia madre sarebbe stata contentissima di sapere che qui c’è qualcuno che mi fa le prediche sul fumo che annerisce i polmoni). Ho conosciuto una loro cognata, che è venuta a trovarli dal campo profughi di Nusserat, e ho giocato con il suo bebè.

L’inglese di Nidal migliora di giorno in giorno. È lui a chiamarmi “sorella”. Ha anche cominciato ad insegnare alla Nonna a dire “Hello. How are you?” in inglese. Si sente costantemente il rumore dei carri armati e dei bulldozer che passano, eppure tutte queste persone riescono a mantenere un sincero buon umore, sia tra loro che nei rapporti con me. Quando sono in compagnia di amici palestinesi mi sento un po’ meno orripilata di quando cerco di impersonare il ruolo di osservatrice sui diritti umani o di raccoglitrice di testimonianze, o di quando partecipo ad azioni di resistenza diretta. Danno un ottimo esempio del modo giusto di vivere in mezzo a tutto questo nel lungo periodo. So che la situazione in realtà li colpisce – e potrebbe alla fine schiacciarli – in un’infinità di modi, e tuttavia mi lascia stupefatta la forza che dimostrano riuscendo a difendere in così grande misura la loro umanità – le risate, la generosità, il tempo per la famiglia – contro l’incredibile orrore che irrompe nelle loro vite e contro la presenza costante della morte. Dopo stamattina mi sono sentita molto meglio.

In passato ho scritto tanto sulla delusione di scoprire, in qualche misura direttamente, di quanta malignità siamo ancora capaci. Ma è giusto aggiungere, almeno di sfuggita, che sto anche scoprendo una forza straordinaria e una straordinaria capacità elementare dell’essere umano di mantenersi umano anche nelle circostanze più terribili – anche di questo non avevo mai fatto esperienza in modo così forte. Credo che la parola giusta sia dignità. Come vorrei che tu potessi incontrare questa gente. Chissà, forse un giorno succederà, speriamo. 
Rachel

Traduzioni di Miguel Martinez, Lucia De Rocco, Silvia Lanfranchini, Nora Tigges Mazzone, Andrea Spila