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Posts Tagged ‘seconda guerra mondiale’

La storia, e il bisogno di farla uscire dai tribunali…un post importante de “Il Marconista”…

16 gennaio 2012 1 commento

Del blog che vado a segnalarvi ho parlato spesso, su altre piattaforme, come twitter e fb,
per rendermi poi conto ora di non aver mai riportato suoi articoli.
Forse anche per troppa ignoranza… perché quando si leggono articoli scritti con totale cognizione di causa, inizia quello strano reverente rispetto che non mi permette di aggiungere una sola riga, quindi è spesso più facile condividere silenziosamente,
senza aprire il blog ed aggiungere parole che sarebbero superflue.
Ma il blog di Marco Clementi va letto e seguito, perché insegna molto, e con gli strumenti giusti, corretti, necessari.
E allora vi copio qui sotto il suo ultimo articolo sulle Fosse Ardeatine, sulla storia e su chi pensa di cambiarle nome con facilità per relegarla alle aulee di tribunale o alle carte processuali o peggio ancora, alla dietrologia più antistorica possibile.
All’interno dell’articolo, i link di altro, sempre dal blog  Il Marconista!

La storia è una scienza abbastanza esatta, nonostante i dubbi in proposito che esprimono molti. Storici non ci si improvvisa. Non è come parlare di calcio al bar, dove peraltro ci vuole del carisma, una voce grassa e qualche competenza specifica. E’ studio e ricerca.
Un brillante ricercatore di Berlino, Felix Bohr, ha scoperto nell’Archivio del Ministero degli Esteri della capitale tedesca un carteggio tra diplomatici italiani e tedeschi dell’Ovest risalente al 1959. Ci si accorda affinché il caso “Fosse Ardeatine” venga chiuso per sempre, con la scusa che i responsabili non siano più in vita o reperibili. Nel 1962 giungerà l’archiviazione da parte del tribunale militare di Roma. Tra le motivazioni che portarono il governo italiano a giungere a questa decisione troviamo il timore, espresso chiaramente nei documenti, che se Roma avesse insistito per processare i tedeschi responsabili dell’eccidio, allora anche paesi che da tempo chiedevano l’estradizione di presunti criminali italiani, come la Jugoslavia, l’Eritrea, l’Albania e la Grecia, avrebbero potuto risollevare la questione.
Ebbene, tutto ciò è in aperta contraddizione con quanto affermato da Davide Conti nei suoi libri pubblicati da Odradek e di cui si è parlato già in questo blog. La tesi di Conti, infatti, è che gli italiani scamparono i processi per la Guerra Fredda e la divisione del mondo in due blocchi. Tesi contestata da Marconista ma abbracciata interamente da Odradek. Se fosse vera, perché nel 1959 il governo italiano aveva ancora timore che Atene sollevasse la questione? E ancora, se era stata la Guerra Fredda a decidere per tutti, in quale campo mettiamo Grecia, Albania e Jugoslavia? Nonché l’Eritrea, della quale nel suo libro Conti neanche parla?
La tesi non regge; lo sapevamo, lo abbiamo detto. Felix Bohr, con la sua ricerca, lo conferma in modo chiaro e sostanziale. Altre furono le motivazioni, molto più complesse.
Sulle Fosse Ardeatine, ancora due cose. Proprio oggi in archivio ho trovato un documento inglese del 1944 dove sono riportati 149 eccidi perpetrati in Italia dai tedeschi. E’ accompagnato da un Warning del generale Alexander, comandante in capo delle Forze Alleate in Italia, rivolto agli ufficiali e ai soldati tedeschi dove ripete che tutti quegli episodi sono considerati dalle Nazioni Unite “crimini di guerra”.
Di questo Warning Marconista aveva scritto qualche anno fa sul “manifesto”.

(Si veda il testo riportato dall’Anpi )

Un’ultima cosa, che riguarda “l’armadio della vergogna”, ritrovato dal procuratore militare  Antonio Intelisano nel 1994 e rievocato nei pezzi usciti oggi a commento della scoperta di Bohr. Lo storico non deve attendere la magistratura per ricercare. Non ha bisogno di un avallo politico né di un avallo giudiziario. Non era difficile trovare notizie in archivio sugli eccidi tedeschi.
Marconista, che non si occupa di questo, ne ha trovate casualmente a Mosca ed Atene. Bastava cercare, come dimostra Felix.

Sant’Anna di Stazzema e la Nakba

12 agosto 2010 Lascia un commento

Anna aveva appena 20 giorni, sarà stata un fagottello accaldato, nell’estate rovente del 1944, dove il sole bruciava insieme al piombo di una guerra che sembrava interminabile.

Sant'Anna di Stazzema

Sant'Anna di Stazzema, agosto 1944

Evelina invece quella mattina aveva iniziato a partorire, le doglie del parto contorcevano il suo corpo, corpo che finì straziato insieme ad altri 560. Genny invece, per difendere il suo bambino dalla morte si tolse uno zoccolo e lo tirò in faccia al soldato SS che aveva davanti.

Il sito internet di Sant’Anna di Stazzema ci offre questi volti trucidati per capire cosa fu quella mattinata di 66 anni fa, quando le SS uccisero tutti, trucidarono tutte e tutti per poi fare un gran falò di quei corpi, delle loro case, delle stalle, del raccolto, degli animali, dei ricordi.
Un deserto di cenere su quei corpi senza alcuna colpa.
Solo queste poche righe, per non dimenticarli.

La rabbia mi viene pensando che 4 anni dopo prese inizio la Nakba, e un altro popolo fu trucidato e cacciato. La metà della popolazione palestinese fu cacciata dalla propria terra, espropriata, segregata e trucidata.
Ma quella è una pulizia etnica che non ha diritto all’ “ufficialità” , al riconoscimento internazionale. Quella è una pulizia etnica i cui esecutori sono ancora oggi eroi nazionali …
“SONO FAVOREVOLE AL TRASFERIMENTO FORZATO: NON CI VEDO NULLA DI IMMORALE” _David Ben Gurion, giugno 1938_

Terra di Palestina, maggio 1948

Lei, la Bomba!

6 agosto 2010 1 commento

C’ho provato tutto il giorno a far finta di niente, ma tanto son quelle date che fin da bambina non riuscivano a scorrerti lisce sulla pelle.
Il 6 agosto di solito si sta più che spensierati, a godersi l’estate da qualche parte e in buona compagnia: è sempre così, più o meno.
Ma non riesco a non pensare a lei, Bomb, quella che Gregory Corso nella sua poesia a forma di fungo amava provocatoriamente (lui, poeta beat) per la sua forza distruttrice superiore a tutto. La bomba: oggi è il suo giorno, si.
Il più drammatico.
Lei, la bomba atomica. La maledetta. Quella che gli Stati Uniti hanno lanciato ben due volte su due città ignare.
E così visto che la rete ci dona documenti preziosi pubblico un po’ di straordinarie e drammatiche immagine di quel 6 agosto di 65 anni fa.

Così la si vedeva a bordo dell'Enola Gay ... ancora in vita

Little Boy, prima bomba atomica usata durante un conflitto, ancora doveva esplodere

Esplose a 576 metri di altitudine, con uno scoppio equivalente a 13 chilotoni di TNT, uccidendo sul colpo tra le 70.000 e le 80.000 persone.

La stima dei morti oscilla intorno ai 200.000. La missione statunitense riuscì perfettamente; tutto fu programmato nel minimo dettaglio

La distruzione a 1200 metri dal luogo dell'esplosione...

65 anni fa, le Fosse Ardeatine

24 marzo 2009 2 commenti

65 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine e i suoi 335 uccisi. Evento la cui memoria è necessaria, a maggior ragione in un presente come questo, dove eserciti indossano magliette che deridono centinaia di civili uccisi, dove si mandano avanti guerre contro popolazioni allo stremo, popolazioni in cattività, derubate della loro terra e della loro cultura, del lavoro e del futuro.
Terre dove non si può essere bambini, terre dove marcia un nemico che professa lo sterminio etnico, l’Apartheid, la segregazione con la scusa del diritto alla sicurezza.
SENZA MEMORIA NESSUN FUTURO, SENZA GIUSTIZIA NESSUNA PACE. 
                    OGGI PIU’ DI IERI, ORA E SEMPRE RESISTENZA
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“Cancellate mio nonno dal Memoriale delle vittime ebree dal nazismo”

31 gennaio 2009 Lascia un commento

Cancellate il nome di mio nonno da Yad Vashem
di Mosè Braitberg 

Signor Presidente dello Stato di Israele, vi scrivo perché voi interveniate presso chi di dovere affinchè venga cancellato dal Memoriale di Yad Vashem, dedicato alla memoria delle vittime ebree del nazismo, il nome di mio nonno, Moshe Brajtberg, morto nelle camere a gas di Treblinka nel 1943, come quello di altri membri della mia famiglia deportati e morti nei differenti campi nazisti durante la seconda guerra mondiale. Vi chiedo di acconsentire alla mia richiesta, signor presidente, perché quanto è successo a Gaza, e più in generale, la sorte toccata al popolo arabo della Palestina da sessanta anni in qua, ha screditato ai miei occhi Israele come centro della memoria del male fatto agli ebrei, e dunque all’umanità intera. Vedete, fin dalla mia infanzia, io ho vissuto circondato da sopravissuti ai campi della morte. Ho visto i numeri tatuati sulle loro braccia, ho ascoltato il racconto delle torture, ho conosciuto i lutti indicibili e ho condiviso i loro incubi. Bisognava, cosi mi hanno insegnato, che questi crimini non si ripetessero mai più; perché mai più doveva accadere che uomini, forti della loro appartenenza ad una etnia o ad una religione avessero in disprezzo altri uomini, e si facessero beffe dei loro diritti più elementari come quello di vivere una vita dignitosa in sicurezza, libertà, e con la luce, sia pur lontana di un futuro di serenità e di prosperità. Ma, signor presidente, io devo constatare che nonostante le decine di risoluzioni prese dalla Comunità internazionale, malgrado la palese evidenza dell’ingiustizia perpetrata nei confronti del popolo palestinese dal 1948, nonostante le speranze sorte a Oslo e nonostante il riconoscimento del diritto degli ebrei israeliani a vivere in pace e in sicurezza, sovente ribaditi dall’Autorità palestinese, le sole risposte date dai governi successivi del vostro paese sono state la violenza, il sangue versato, la reclusione, i controlli incessanti, la colonizzazione e i saccheggi.
Mi direte, signor presidente, che è legittimo, per il vostro paese, difendersi da chi lancia razzi su Israele, o contro i kamikaze che uccidono molti israeliani innocenti. A ciò risponderò dicendo che il mio sentimento di umanità non varia a seconda della cittadinanza delle vittime. Invece, signor presidente, voi dirigete le sorti di un paese che pretende, non soltanto rappresentare gli ebrei nel loro complesso, ma anche la memoria di quelli che furono le vittime del nazismo. Questo mi riguarda ed è per me insopportabile. Conservando nel Memorial di Yad Vashem, nel cuore dello Stato ebreo, il nome dei miei congiunti, il vostro Stato tiene prigioniera la mia memoria familiare dietro il filo spinato del sionismo per farne l’ostaggio di una cosiddetta autorità morale che commette ogni giorno quel crimine abominevole che è la negazione della giustizia. Quindi, per favore, cancellate il nome di mio nonno del santuario dedicato alla crudeltà fatta agli ebrei perché essa non giustifichi più quella fatta ai palestinesi.
Con i miei rispettosi saluti
Jean-Moïse Braitberg (scrittore) c

Fonte: Le Monde del 28.01.09

” ‘na dissenteria di bombe”

19 agosto 2008 2 commenti

L’estate del ’43 gli eserciti spediti sulla neve di Russia, 
nella sabbia di Egitto, sbandavano all’indietro.
La guerra dei fascismi andava alla malora,
ma una pace: lontana. “Finché non bombardano Roma”,
“Finché non bombardano Roma”, la frase girava a bassa voce,
pericoloso dirla per intero, la milizia aveva cento orecchie,
qualcuna di meno ultimamente, che la guerra falliva.

Finché non bombardano Roma, non finisce.
Strano vaccino per l’epidemia, che razza di siero antiguerra.
Si era ficcato in testa per le città d’Italia
bombardate a martello, prima solo di notte,
poi pure a mezzogiorno, e a Roma niente. 
“Ce sta ‘o papa, nun ponno mena’ bbombe ‘ncopp’ o papa”.
A Napoli spiegavano così la malasorte,
la più bersagliata dall’alto dei cieli, e Roma niente.
“‘O papa, ce sta ‘o papa, nun le ponno fa’ niente, sta San Pietro.”

Nel luglio del ’43 il cielo sopra Napoli era un campo di croci con le ali,
altissime passavano e sganciavano,
sopra obiettivo libero, a terra senza allarme,
senza sirena in mezzo alla città.
Sono più avvelenate di terrore le bombe a mezzogiorno.
Di notte è già normale correre al rifugio,m dentro il buio
a ripararsi, ma di giorno è peggio. “Quanno fernesce? Mai?
E il caldo, ‘o calore, d’o mese ‘e luglio d’o ’43”.

 Mia madre teneva diciottanni, legati stretti
per non farseli scippare, passava per la piazza
della posta centrale dopo una delle scariche,
e s’accorse che non c’erano le mosche,
erano morte pure quelle per lo spostamento dell’aria.
“Sui corpi scamazzati, scarognati, nun ce steva ‘na mosca.
Nun era manco nu bumbardamento,
ma ‘na dissenteria di bombe, ci cacavano ‘n capa.
E a Roma c’era il cinema, la guerra la sentivano per radio,
la gente la sera usciva, ieva a teatro,
nun le mancava niente. Tenevo diciottanni,
due fratelli nascosti,
i tedeschi fucilavano i guagliuni che non si presentavano”.

“No, ma’, questo è successo dopo, nel settembre,
quando gli americani ancora non entravano
e i tedeschi mettevano le mine in mezzo al golfo.
Stavamo ricordando ‘o mese ‘e luglio”.
“Senza pute’ durmi’ manco ‘na notte,
a sirena sonava doie, tre vote,
andavamo a durmi’ coi panni ‘ncuollo,
manco le scarpe mi toglievo, pronta pe’ n’ ata corsa,
giù per le scale, ‘a sirena int’e rrecchie
che m’afferrava i nervi, spìcciati, presto, curre,
le posate d’argento nella borsa, la ricchezza nostra,
mammà che mi sttrillava dietro: “Piglia i posti buoni”.
C’erano i posti buoni e quelli malamente, comm’a teatro”.

“Finché nun bumbardano Roma, ‘sta guerra fetente nun fernesce.
La milizia mo’ sente e fa finta ‘e nun senti’,
o’ ssape che è fernuta ‘a zezzenella
(lo sa che è finita la pacchia).
‘O fascismo per me è stato ‘a guerra. Tenevo quindicianni,
‘a meglio età, quanno ‘o fascismo s’affacciaie ‘o balcone:
vincere e vinceremo. Se credeva di fa’ ‘na guapparia,
quattro mosse dietro ai tedeschi e subito vinceva.
In capo a qualche giorno a Napoli sentéttemo  ‘a sirena,
‘a primma sirena d’allarme. Ancora me la sogno la sirena.
Dentro ai sogni nun m’arricordo ‘e bbombe, ma ‘a sirena.
Tenevo quindicianni all’inizio d’a guerra, ‘a meglio età.
‘O fascismo me l’ha inguaiata fino a diciottanni.

Niente sapevo, niente m’importava, d’a politica,
io vulevo fa’ ammore, uscire colle amiche mie,
ballare, andare al mare. Si m’o ffaceva fa’,
si ‘ o fascismo me faceva campa’, bene per lui e bene pure a me.
Invece niente, s’è arrubbat’a giuventù,
ha mandato a muri’ ‘i meglio guagliuni pe’ na guerra fetente,
se ne futteva ‘e me, ‘e Napule, ‘e l’Italia. Stava a Roma
arriparato sotto ‘a tonaca d’o papa,
a Roma non gli succedeva niente.”

“E com’è stato lo strillo, la voce che hai sentito
all’uscita del ricovero, quel giorno?”
“Sarà stato mezzogiorno, o primo pomeriggio,
nun saccio di’, ce stava ‘o sole, da due ore
schiattavamo ‘e calore int’o ricovero.
Sunaie ‘a sirena di cessato allarme, ascèttemo all’aperto,
tossivo per la polvere alzata dalle bombe,
m’abbruciavano gli occhi per la luce potente dopo il buio,
mezzo stordita m’arrivaie ‘nu strillo: “Roma!
Hanno colpito Roma! Hanno menato ‘e bbombe
             ‘ncopp’ o papa”.
E doppo ‘ o strillo ne venette n’ato: “E’ ‘m mumento,
fernesce ‘a guerra, mo’ fernesce ‘a guerra”.
La gente usciva dai ricoveri scunfusa, stupetiata,
e tutt’insieme dietro a quello strillo
s’abbracciava, chiagneva, alzava ‘e manne ‘o cielo.
“Fernesce ‘a guerra” e : “Roma bombardata” erano ‘o stesso strillo.
E a me, che manco me pareva overo che puteva fini’,
si gelò il sangue a vedere quella festa
perché Roma era stata bombardata.
Noi che sapevamo che malora era,
ce mettevamo a fa’ chell’ammuìna?
Che t’aggia di’, ‘a guerra è ‘na carogna
e ‘o fascismo ci aveva incarogniti.
Poi uscì la milizia e tutti quanti ce ne tornammo a casa
a senti’ ‘a radio: Roma era stata bombardata
la mattina, da ‘e pparti d’a stazione, no a san Pietro.

E così fu che cadett’ o fascismo.
o’ rre fece arrestare Mussolini
e ‘a ggente se credeva che ferneva tutte cose,
‘a guerra, ‘a carestia, tornava il pane bianco, veneva ‘a libbertà.
Fuie ‘na fantasia, nun era tiempo.
A Napoli finì due mesi dopo, a fine settembre,
‘o popolo s’arrevutaie isso sulo contro i tedeschi,
quattro giorni e tre nottate sane,
al buio in mezzo agli spari, pieni di volontà,
quattro giornate per levarsi gli schiaffi dalla faccia.
Finché non se ne uscirono i tedeschi,
entrarono i guagliuni americani, figli ‘e napoletani d’oltremare.
Cominciò quel po’ di gioventù che mi avanzava.
Mi so’ sposata nel ’46, perciò la gioventù durò tre anni.

E di tutto il fascismo mi rimane il peggio di quell’ora
di festa per Roma bombardata.
Anche se in quella polvere di luglio, ‘ calore, ‘o sudore,
non mi sono abbracciata con nessuno,
è per la gente mia che mi dispiace.
Allora fu normale, perciò chist’è ‘o fascismo pe’ mme,
la fetenzia che ci ha portato a quello, di applaudire.
Ti parlo de ‘sti ccose addolorate pecché tu saie senti’,
ma nun pozzo permettere a nisciuno di voi venuti dopo
di giudicare Napoli in quell’ora, 
pecché ‘o fascismo vuie nun ‘o ssapite”.

                             L’Estate del ’43.   ERRI DE LUCA, “L’ospite incallito”  -Einaudi Editore-

Haret Hreik_Beirut_settembre 2006

Beirut, Libano. Quartiere sciita di Haret Hreik, dopo i bombardamenti israeliani Settembre 2006. Foto di Valentina Perniciaro

Napoli, primavera 2006 Foto di Valentina Perniciaro

Napoli, passeggiando nei vicoli del centro. Foto di Valentina Perniciaro

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