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Posts Tagged ‘Turchia’

a tra poco…

1 giugno 2009 2 commenti
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Uno “spettro” rivoltoso in Europa? E noi?

2 Maggio 2009 Lascia un commento

Gli scontri in Turchia del 1° maggio

Gli scontri in Turchia del 1° maggio

A Berlino sono proseguito per tutta la notte. Intere ore di scontri, o per meglio dire, di attacchi alla polizia compiuti da un massiccio gruppo di giovani anarchici, appartenenti dei centri sociali, studenti, lavoratori precari e non. E poi il giorno prima Atene, Salonicco, Istanbul, Amburgo, San Pietroburgo…tutta l’Europa ha festeggiato il 1° maggio con barricate e sassaiole, molotov e assalti contro la polizia anti-sommossa.
Diversi arresti tra Istanbul e Berlino (solo nella capitale tedesca sono 300): molti i feriti e questa volta il numero dei poliziotti rimasti colpiti è molto più alto dei manifestanti…sono 273 feriti solo a Berlino
L’EUROPA INIZIA A SVEGLIARSI, a passare notti di fuoco scandite da slogan anti-capitalisti e da passamontagna calati…perchè siamo una generazione che non ha nulla da perdere se non la propria precarietà, perchè dovremmo capire che l’unico futuro possibile è quello alimentato dalla lotta, è quello che costruiremo alzando la testa, non avendo paura di perdere qualcosa, perchè tanto non abbiamo niente. Sperando che l’Italia non rimanga ancora a guardare, intrisa nei suoi giochi di potere e nel suo servilismo, irrorata da una cultura egemonizzata fatta di menti chiuse e ghettizzate,

Gli scontri in Turchia

Gli scontri in Turchia

 lobotomizzate e apatiche. RIPRENDIAMOCI I SOGNI E LE STRADE. RIPRENDIAMOCI IL CORAGGIO DI LOTTARE, RITROVIAMO IL CORAGGIO, SOVVERTIAMO I RAPPORTI DI FORZA…
Come Atene e Berlino, come in Francia e altrove: ricominciamo a crederci, ricominciamo a vivere le strade, ricominciamo ad alzare la voce nelle scuole, nei posti di lavoro, nelle università, nelle galere, nelle piazze…

Gli scontri a Berlino per il 1° Maggio

Gli scontri a Berlino per il 1° Maggio

Leyla Zana: altri 10 anni per “propaganda terroristica”

6 dicembre 2008 7 commenti

leylaMEGLIO CHE NON SCRIVO NULLA A RIGUARDO: COPIO DIRETTAMENTE UN’AGENZIA…
POI MAGARI, A FREDDO, QUESTO BLOG PROVERA’ A RICOSTRUIRE TUTTA LA STORIA DI LEYLA, DELLA SUA PRIMA CARCERAZIONE (ERA ACCUSATA DI AVER PARLATO LA SUA LINGUA) E DI QUESTA NUOVA SENTENZA CHE LA CONDANNA AD ALTRI 10 ANNI.

Nonostante le ultime, apparenti aperture del governo di Ankara sulla spinosa questione curda – una delle ‘dolenti notè circa i diritti umani nel processo di adesione della Turchia all’Unione Europea – il problema è ricomparso oggi in tutta la sua contraddittoria attualità con due notizie di opposta valenza. Stamani i media turchi hanno dato con risalto l’annuncio che a partire da gennaio comincerà, sulla Tv statale Trt, la trasmissione di programmi in lingua curda (che, però, non è ufficialmente riconosciuta da Ankara). Nel primo pomeriggio, invece, l’agenzia Anadolu ha diffuso sei righe – ma pesanti come un macigno – in cui annunciava una nuova condanna a 10 anni di carcere inflitta all’ex deputata curda Leyla Zana, 49 anni, Premio Sakharov 1995 per la pace, per aver fatto «propaganda terroristica» in nove discorsi fatti in pubblico. La decisione di inaugurare un nuovo canale in lingua curda, addirittura con la partecipazione di Sezen Aksu, la regina della musica pop turca, rientra nell’ambito del programma di sviluppo dei diritti di rappresentanza politica ed espressione culturale dei turchi di origine curda da tempo promesso, e più volte disatteso, dal Partito di radici islamiche al governo Sviluppo e Giustizia (Akp, del premier Tayyip Erdogan). Vari analisti sono però scettici circa la reale volontà del governo di avviare la programmazione in curdo perchè lo stesso ministro delle telecomunicazioni, Mehmet Aydin (il quale, come la maggior parte dei suoi colleghi, ritiene che una vera e propria lingua curda non esista) ha detto che «l’ambito linguistico curdo comprende numerosi dialetti ed è difficile trovare il modo di soddisfare le esigenze di tutti gli ascoltatori». Più semplice il discorso per l’ennesima vicenda giudiziaria di Leyla Zana che oggi, per la seconda volta in otto mesi, si è vista condannare da un tribunale della città di Diyarbakir, nel Sud-Est del Paese, con l’accusa di aver nuovamente violato le leggi anti-terrorismo. Lo scorso 10 aprile, Zana aveva ricevuto da un tribunale della stessa città una condanna a due anni di carcere per un discorso da lei pronunciato il 21 marzo del 2007 durante un festival curdo. In quell’occasione, Zana aveva detto che il popolo curdo – una delle minoranze residenti in Turchia – ha tre leader: Massud Barzani e Jalal Talabani nell’Iraq del Nord e Abdullah Ocalan, ex capo del separatista Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato terrorista da leyla-zanaAnkara, ma anche da Ue ed Usa, e ritenuto responsabile della morte di almeno 40 mila persone dall’inizio della sua attività, nel 1984, per costituire uno Stato indipendente in Turchia. Al termine dell’odierno dibattimento in aula, al quale Leyla Zana non era presente, l’imputata è stata condannata «per aver ripetuto le parole pronunciate nei suoi precedenti discorsi e affermato di nuovo di non ritenere il Pkk un gruppo terroristico e di considerare il capo terrorista Ocalan come un leader del popolo curdo». In base all’articolo 314/2 del Codice Penale turco (Tck), il tribunale ha condannato Leyla Zana a otto anni di carcere per «appartenenza e propaganda a un’organizzazione terroristica». La pena è stata quindi aumentata a 12 anni perchè «reato di terrorismo» ma, in considerazione della buona condotta dell’imputata – che è a piede libero – la pena è stata ridotta a 10 anni. Zana, che è stata anche candidata al Premio Nobel per la pace e che nel 1996 ricevette la cittadinanza onoraria di Roma per il suo impegno nel campo dei diritti umani e civili, arrivò alla ribalta delle cronache internazionali nel 1994, dopo essere stata condannata a 15 anni di carcere per «fiancheggiamento» del Pkk, dopo vari discorsi pronunciati in Parlamento

Dell’albicocca…

24 settembre 2008 1 commento

Che i miei amici armeni mi perdonino: malgrado il nome, la Prunus armeniaca, ovverosia l’albicocca, non è originaria dell’Armenia, ma della Cina, proprio come la pesca, un’altra delizia che i botanici si ostinano ad attribuire alla Persia. E le albicocche migliori, non dispiaccia ai francesi, non sono quelle del Rossiglione, senza dubbio pregevoli, ma i frutti di miele e d’oro che si trovano soltanto nel Levante. E’ qui, sicuramente, in Turchia e in Siria, che un albero ritenuto difficile come l’albicocco sembra aver eletto il proprio domicilio, se mi si passa l’espressione, e se ne sta a suo agio come soltanto in patria si può stare. 
Sospetto perciò che proprio i siriani, e in particolare i damasceni, per altro poco inclini alla speculazione metafisica, abbiano diffuso, se non inventato, la leggenda secondo la quale l’albero di Adamo ed Eva, creato per insegnarci a distinguere il bene dal male, sarebbe l’albicocco e non il melo o il fico. Un modo come un altro per insinuare che non si può resistere alla tentazione dell’albicocca. Forse anche, con un abile sotterfugio, per collocare in Siria il giardino dell’Eden.
Bisogna dire che a Damasco, prima dei guasti dell’urbanizzazione, l’arte di vivere era scandita in qualche modo, almeno durante certi mesi, dal ciclo dell’albicocca. Molto presto, già da marzo, la fioritura dell’albicocco annuncia la primavera, attirando verso i giardini della Ghuta una folla eterogenea di gitanti.
Ma la meraviglia di fronte alla delicata bellezza dei fiori, corolle bianche ombreggiate di rosa tenero, non è priva di apprensioni, e i damasceni temono, come per ogni cosa precoce, i colpi imprevedibili del destino: una pioggia troppo abbondante, un vento un po’ violento, una gelata tardiva. Soltanto le grida dei venditori ambulanti, a partire da giugno, vengono infine a rassicurarli, quando si levano per celebrare le mishmish baladi, “pasticcini all’acqua di rose”, o il tipo detto hamawi, “regina di cuori” che andrebbe portata “in fazzoletti di seta”. Comincia così la stagione dell’albicocca, tanto breve, purtroppo, dopo la lunga attesa, che nella lingua parlata si designa con tale espressione tutto ciò che è fugace o improbabile.
Ci si mette dunque a mangiare albicocche, coscienziosamente, fino a sazietà, per paura di restare senza l’anno successivo. E sulle terrazze della città si vedono ben presto marmellate e confetture riposare al sole, all’aria aperta, in recipienti di tutte le misure, coperte appena di una mussolina che protegge dalla polvere e dagli insetti. Colta al momento giusto e ricolma di luce, l’albicocca non si è mai meglio conformata a una delle sue denominazioni latine, apricum, il frutto che ama la luce del sole. 


Foto di Valentina Perniciaro Suq di Damasco e abbondanza di melograni

Ma l’infatuazione dei damasceni di oggi per l’albicocca non è nulla in confronto a quella dei loro avi. Nel periodo mamelucco, se bisogna credere al viaggiatore egiziano Badri, egli stesso ghiottone impenitente, la Ghuta produceva ventuno varietà di albicocche, nove soltanto delle quali sono giunte fino a noi.
Per apprezzarle tutte nel loro giusto valore, in poco tempo, era indispensabile consacrarvisi anima e corpo. Di conseguenza, gli ulama non esitavano a mettersi in ferie, durante la stagione dell’albicocca, abbandonando senza ritegno cattedre e libri. Essi si piegavano in tal modo a un piacevole costume. Stagione benedetta da Dio, a più d’un titolo, in cui anche le muse partecipavano alla festa, ispirando ai letterati alcune delle loro metafore più frivole. A quanto pare mancava soltanto, per soddisfare tutti i gusti, il “vino” d’albicocca per il quale, stando al Libro dei Canti di Isfahani, il musicista Ishaq al-Mawsili andava matto.
Ai nostri giorni, non si estraggono dall’albicocca nè vino nè alcol, e sono stati dimenticati anche altri usi meno problematici come la mishmishiyya, spezzatino di albicocca e carne d’agnello, scomparsa da tempo dalle tavole di Damasco, al pari di altre pietanze agrodolci.
Curiosamente, il piatto che porta oggi questo nome non è preparato con delle albicocche, ma con le fave. Resta nondimeno il fatto che a Damasco, e solo a Damasco, l’arte di conservare le albicocche tocca il sublime. Solo le albicocche secche di Turchia possono competere coi nuqu’ siriani, che consistono in succulente albicocche baladi schiacciate con il nocciolo e seccate al sole.
Vengono consumate soprattutto nel mese di Ramadan, sotto forma di khoshaf, per calmare la sete.
Quanto al qamar al-din, alla lettera la “luna della religione”, nome che rimanda ad un’antica varietà turca molto apprezzata da Ibn Battuta, è patrimonio esclusivo di Damasco, e tale resterà fino alla fine dei tempi. Lo si ottiene impastando le albicocche e stendendo la pasta, privata dei noccioli, su tavole di legno lunghe due metri ed esposte al sole. Quando è secca, la pasta di albicocche è spennellata di olio di sesamo, perchè si mantenga brillante e vellutata, ed è infine arrotolata come un tappeto. Può essere degustata così, o ancora meglio macerata in acqua fresca.

 

SPEZZATINO ALLE ALBICOCCHE
Ingredienti per 4 persone

600 gr di spalla d’agnello disossata
600 gr di albicocche secche snocciolate
100 gr di olio d’oliva
1 cucchiaino da caffè di cannella
2 boccioli di rosa
2 cucchiai di zucchero
sale

@Tagliate la carne in 8 pezzi, condite con sale, cannella e boccioli di rosa sbriciolati, fate rosolare nell’olio e poi coprite d’acqua e portate ad ebollizione. Abbassate il fuoco e lasciate cuocere per un’ora con il coperchio.

@ A metà cottura, aggiungete le albicocche e lo zucchero e controllate il documento

@Prima di servire, fate restringere la salsa fino a renderla cremosa

tratto da “LA CUCINA DI ZIRYAB” di Farouk Mardam-Bey