Archivio
La rivoluzione in Tunisia vuole ricominciare: “Via la nuova dittatura, ci vuole una nuova rivoluzione”
A tutti coloro che evitano di parlare delle “primavere arabe”,
a tutti coloro che lo fanno strumentalmente parlando solo di Libia e Siria per cercare di convincerci che ci sia per forza la mano occulta imperialista dietro a chi alza la testa,
a tutti coloro che si sentono proprietari della rivoluzione, intrisi di occidente becero, pronti a dare dei salafiti, come dei sionisti, a chiunque ci metta la faccia e il cuore per cercare di capire i cambiamenti del Nord Africa e del Medioriente,
a tutti coloro che si schierano con gli Hezbollah per difendere Assad, parlando di “asse del bene” usando gli stessi linguaggi e criteri geopolitici del dipartimento di stato americano,
a tutti coloro che attaccano chi scende in piazza dandogli dei pericolosissimi Fratelli Musulmani sunniti,
prendendo le loro parole dalle componenti sciite ( mamma mia si arriva anche a questo in Italia) senza nemmeno conoscere le varie componenti che da mesi e mesi riempiono le piazze arabe, da Tunisi a Manama…
leggete quel che accade nelle strade di Tunisi,
leggete come siamo solo all’inizio.
Leggete e capite quanto c’è da imparare ed amare nei giovani maghrebini e mashreqini che scendono in piazza
sfidando qualunque tipo di repressione.
LUNGA VITA ALLE RIVOLUZIONI CHE SI AFFACCIANO PER LE STRADE DEL MONDO,
E CHE COMBATTONO CONTRO TUTTO E TUTTI, PER LA LIBERTA’…quella vera.
Ringrazio Infoaut per l’articolo e per gli aggiornamenti che seguiranno:
Duri scontri nel centro di Tunisi tra manifestanti e polizia che sta facendo ampio uso di lacrimogeni caricando un partecipatissimo corteo. Sembra che alcuni militanti del sindacato UGTT ed esponenti della società civile e dei partiti della sinistra radicale (come Hamma Hammami del Partito dei lavoratori tunisini) siano stati selvaggiamente pestati e poi arrestati. Alle 10am l’appuntamento era sull’Avenue Mohamed V con l’obiettivo di dirigersi verso l’Avenue Bourguiba interdetta alle manifestazioni da un provvedimento imposto dal Ministero degli Interni. Quest’ultimo approfittando dello show architettato lo scorso 28 marzo dalle fazioni salafite nel centro della città aveva promulgato il divieto a manifestare sull’Avenue Bourguiba, decisione contestata dai movimenti di lotta che fin da subito hanno tentato di respingere la provocazione congiunta di salafiti e polizia.
Sabato 7 aprile un grande presidio organizzato dal Coordinamento dei Diplomati Disoccupati era stato attaccato dalle forze dell’ordine che a suon di manganellate e lacrimogeni erano riusciti a scacciare dal centro (dopo una lunga resistenza) i disoccupati in lotta. E da settimane andava avanti la repressione contro l’associazione dei martiri e dei feriti della rivoluzione che più volte hanno tentato di avvicinarsi al Ministero dei Diritti dell’Uomo per far sentire le proprie ragioni contro un ministro che da quando si è insediato, al di là di qualche futile sortita mediatica, ha risposto ordinando pestaggi e provocazioni poliziesche contro l’associazione.
Insomma la misura era colma per la piazza di Tunisi che in queste ore è tornata a battersi gridando “ il popolo vuole la caduta del regime!”, “viva la Tunisia, viva i Martiri”, “no alla nuova dittatura, ci vuole una nuova rivoluzione”. Ma lo slogan che oggi assume un valore davvero importante per la Tunisia post Ben Ali è quello che recita: “il popolo tunisino è un popolo indipendente, noi non vogliamo né il Qatar né gli USA!”, il 9 aprile è infatti la data che ricorda i martiri tunisini della lotta anti-coloniale contro i francesi, una data dai fortissimi lineamenti politici che oggi viene intelligentemente curvata dal movimento tunisino contro quei paesi che tramite politiche di debito e investimento (orientato verso le lobby affaristiche delle fazioni islamiste più o meno moderate) stanno tentando di scippare la rivoluzione alla Tunisia alle prese con un fragile termidoro islamista.
In questi minuti apprendiamo che gli scontri si stanno allargando anche ai quartieri limitrofi del centro di Tunisi con il proletariato giovanile della zona impegnato a dare manforte come sempre al movimento rivoluzionario. E’ la stessa piazza che solo un anno fa ha imposto il “game over” al rais Ben Ali e che ora torna a muoversi per staccare direttamente la spina a quella macchina perversa di un regime che tramite elezioni farsa e vesti moderate islamiste credeva di poter ricominciare a rapinare impunemente il popolo tunisino. Il 9 aprile in Tunisia non è più da oggi una ricorrenza retorica ma sta divenendo barricata su barricata, pietra su pietra, slogan dopo slogan una giornata della rivoluzione, della nostra rivoluzione globale contro l’1% del vecchio regime…
Seguiranno aggiornamenti… intanto ci uniamo allo slogan “Tahya Tunes”, “Forza Tunisia” con l’augurio che sia l’inizio della fine di questo breve termidoro!
Contro segregazione ed Apartheid: ecco i Freedom Riders in Palestina, come negli USA degli anni ’60
Oggi è toccato ai coloni.
La peggior faccia d’Israele, la più violenta, quella genocidaria e assetata di sangue,
quella che estirpa ulivi, alimenta la devastazione e l’Apartheid, oltre ad uccidere spesso per gioco.
Oggi hanno vissuto una giornata da “palestinesi” almeno per quanto riguarda la libertà di movimento.
Siamo in West Bank, quella che io ho sempre chiamato Territori Occupati, Palestina Occupata: quella terra che a macchia di leopardo vede le metastasi dell’occupazione rosicchiare pezzo pezzo i suoi confini, il suo interno, le sue fonti, i suoi punti fertili.
La terra più triste, più martoriata, più abituata all’Apartheid, ai checkpoint che non permettono spostamenti se non dopo deliranti e incomprensibili ore in attesa di qualche permesso, spesso negato.
La libertà di movimento, nella terra che Israele (quello vero) ha “lasciato” ai Palestinesi, è un diritto dei coloni: loro hanno le loro strade, le loro ferrovie, i loro bus, i loro taxi. Tutto il resto si muove se la mano dell’occupante lascia passare, altrimenti può morire così, ai tornelli metallici che chiudono in gabbie tutti gli incroci di Palestina.
Oggi alcuni attivisti hanno, anzi lo stanno facendo proprio in questi minuti, tentato di usare, occupare, fruire, rallentare la normale circolazione dei bus utilizzati normalmente dai coloni per sportarsi: sono mezzi di trasporto vietati agli arabi, come nei peggiori racconti sud-africani. NO ARAB. Poca differenza col NO BLACKS.
In questi secondi in molti sono ancora su quei mezzi, malgrado i coloni siano scesi velocemente e scomparsi nel nulla lasciando che i bus venissero circondati dalla polizia militare israeliana e dall’esercito: nessuno ha intenzione di scendere.
L’obiettivo è arrivare a Gerusalemme:
qui potete seguire la diretta video,
altrimenti seguite su twitter l’hashtag #FreedomRides
Spero di aver modo di aggiornare tra poco..
STOP APARTHEID – END COLONIZATION – BOICOTT ISRAEL
FREEPALESTINE!
AGGIORNAMENTI: I soldati hanno preso uno dei bus, pieno di attivisti, e lo sta facendo dirigere verso il checkpoint di Hizmeh.
Verranno probabilmente arrestati da un momento all’altro.
Nel frattempo il livestream è saltato, purtroppo
ORE 16.15: Uno ad uno, vengono arrestati dall’esercito israeliano. L’accusa è l’ingresso illegale nello stato d’Israele: un manifesto all’Apartheid!
Oslo: il terrorismo non è più islamico. E mo come se fa?
Come la mettiamo?
Sono 10 anni che facciamo la “war on terror”, dieci anni che ci dicono che bisogna eliminare il terrorismo di matrice islamica,
che per colpa del terrorismo, di Bin Laden, dei barbudos musuRmi, dei lettori di Corano, delle donne velate, degli uomini in vestito bianco e così via, siamo costretti a vivere nel terrore.
Costretti a non sentirci sicuri a casa nostra, nei nostri paesi ordinati e puliti, magari anche un po’ ariani.
Da dieci anni ci bombardano (ma soprattutto, bombardano) ed hanno vinto su molti fronti: il livello culturale di questo occidente mortaccino e puzzolente di sfruttamento e capitalismo s’è lasciato incartare velocemente, ha creduto al volo a teorie e complotti, ad aereoplanini e scuole del terrore con bimbi scalzi e alfabeti indecifrabili: ci hanno detto che sarebbero venuti a colpirci a casa, nelle nostre metropolitane, nei cinema…che tutti noi, uno ad uno, rischiavamo la nostra vita.
Che nessuno di noi era al sicuro, che non avremmo mai saputo se lasciando il nostro bimbo all’asilo l’avremmo ritrovato o sarebbe stato rapito per essere indottrinato e poi fatto esplodere in qualche strada afgana.
C’hanno detto che dovevamo fidarci dei nostri bravi soldatini, dei nostri prodi eroi che rischiano la vita in guerra per tutelarci dai musulmani cattivi, i nostri valorosi portatori di democrazia: i tanti Parolisi che poi rientrano a casa dalle proprie mogli, dopo la missione, per accoltellarle e seviziarle a morte nei boschi d’addestramento.
Ce ne hanno dette tante in questi anni, ed io purtroppo ho anche una gran memoria.
Non dovevamo parlare di sfruttamento, di capitale, di lavoro e migrazioni: ma di pericolo di matrice islamica, di terrore, di apocalisse.
Ed ora?
Ora che abbiamo 91 morti già accertati rimasti uccisi in un duplice attentato ad Oslo, la città dei premi Nobel, la città delle aringhe, dell’ordine e dei diritti…ora che ci sono cadaveri di giovanissimi ancora caldi al suolo, ammazzati dal piombo di un biondo, nazista, fondamentalista cattolico…
ora che ci venite a raccontare?
Mandiamo qualche contingente al Vaticano? Chi bombardiamo?
L’avete visto il volto dell’attentatore…quando i servizi norvegesi si sono affannati a cercare collegamenti tra la sua vita e l’Islam hanno tentato un suicidio collettivo. Era proprio un bravo ragazzo lui, uno pure biondo, pure cattolico, pure d’estrema destra.
Ora poi, alla luce della più ridicola delle guerre di questi ultimi decenni: stiamo bombardando la Libia, partner preferito per accordi commerciali e politici fino all’altro ieri. Tribunali internazionali che s’affrettano a dichiarare Gheddafi ricercato n.1 per “crimini contro l’umanità” e nemmeno 40 giorni dopo il ministro degli esteri francese Alain Juppè ci dice che nooooooooooooooo, in realtà può anche rimanere in Libia, “a patto che si discosti nettamente dalla vita politica del paese”…
insomma, anche il gas e il petrolio libico è stato incassato, al punto che il rais può pure rimanere dov’è, se sa comportarsi.
Chi bombardiamo allora?
Chi è il prossimo?
Ora di chi dobbiamo avere “terrore”?
M’avete stufato, non mi va nemmeno di starvi dietro.
Andateveneaffanculo! (nel nuovo linguaggio è: #fanculo)
Siria: l’assedio di Daraa peggiora
Il border Siria-Giordania continua ad essere chiuso ermeticamente.
La popolazione, che in massa ha tentato di raggiungere il Libano tra ieri
e l’altroieri, non può muoversi liberamente verso il meridione mesopotamico.

La prima pagina del sito del governo siriano, hackerato ieri 😉
Oggi ad Al-Ramtha, città giordania situata proprio sul confine, s’è tenuta una massiccia manifestazione di solidarietà nei confronti dei cittadini siriani e soprattutto per gli abitanti della città di Daraa, ormai sotto assedio militare da tempo.
Scontri anche interni all’esercito si sono effettuati in questa città a maggioranza drusa: il quarto reggimento è giunto in tutta rapidità da Damasco per cannoneggiare i “colleghi”del quinto, che in massa s’erano rifiutati di sparare e cannoneggiare contro i manifestanti o le abitazioni.
Una città tagliata fuori dal mondo, priva di cibo e riserve d’acqua, con un coprifuocopermanente e manifestazioni continue attaccate a colpi di cecchino.
Importante da sottolineare è che la gestione del reggimento che sta cannoneggiando la popolazione dell’Hauran è tutta in mano del fratello del presidente Assad. E’ lui in persona a gestire l’attacco.
Le immagini dei cadaveri ammassati nei corridoi della moschea centrale lasciano senza parole.
Ieri i morti dell’ennesimo venerdì di sangue sono stati 27: centinaia le città scese in piazza e più di 10.000 persone vicino alla moschea Omayyade di Damasco (questa si, una novità).
Oggi, venti nuovi tanks hanno fatto il loro ingresso a Daraa…
ORE 11: diversi testimoni raccontano ad Al-Jazeera che l’esercito sta usando armamenti pesanti contro la popolazione nella città vecchia di Daraa. Nel quartiere di Karak sono già quattro le palazzine colpite e rese inagibili
ORE 13.30: I cannoneggiamenti proseguono pesanti a Daraa, soprattutto nei quartieri circostanti alla Moschea di Omar. Truppe sono state “scaricate” anche dagli elicotteri militari. Circa 300 militari si sono uniti alla popolazione in lotta.
La polizia segreta ha fatto irruzione a casa di Sheikh Ahmad al-Sayasneh, imam della moschea, accusato di essere uno dei fomentatori della rivolta: suo figlio, interrogato per ore, non ha dato comunicazione della sua posizione. Infatti poi è stato ucciso
Siria: 23 aprile, in costante aggiornamento
Mentre più di 150 pulmann escono dalla città di Daraa per andare a portare omaggio ai corpi degli uccisi di ieri, mettiamo un resoconto parziale delle vittime pubblicato da Al-Jazeera. Le organizzazioni per i diritti umani del paese parlano di 103 uccisi: tra le vittime di ieri si registrano anche diversi bambini.
Homs: 21 – Bab Amr in Homs: 3 – Teldo in Homs: 1 – Damascus: 3 – Kaboon: 4
Madamia in Rif Dimashq: 9 – Zamalka in Rif Dimashq: 3 – Jobar in Damascus: 2
Darayya in Damascus: 4 – Harasta in Rif Dimashq: 5 – Duma in Rif Dimashq : 5
Al Hajjar Al Aswad in Rif Dimashq: 4 – Ezra in Daraa: 32 – Al Herak in Daraa: 1
Hama: 5 – Latakiya: 1
Qui in continuo aggiornamento i nomi e le età.
Alle nostre 13 arriva la notizia di molte gambizzazioni effettuate da diversi cecchini contro i cortei funebri, soprattutto nel quartiere suburbano di Duma, a pochi passi dalla capitale. Le vittime di questo cecchinaggio sui funerali sono già tre: i cecchini sembrano essere posizionati sui palazzi del partito Baath.
14:00 Quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro il funerale di Duma erano circa 50.000 i manifestanti che avevano davanti. Le ultime notizie mutano il bilancio a 7 morti, tutti come sempre completamente disarmati e colpiti a distanza da cecchini.
14.15: imposto coprifuoco nel sobborgo damasceno di Barze. I reparti dei servizi di sicurezza impediscono alla popolazione di uscire di casa.
Ci aggiorniamo più tardi
Siria: il “grande venerdì”, il più sanguinoso
Doveva essere il “grande venerdì”, quello dove tutta la popolazione, di tutte le confessioni religiose e le etnie avrebbe dimostrato contro il regime di Assad e del partito Baath. Una mattanza… il fitto lancio di lacrimogeni che ha investito tutte le piazze siriane, da Damasco all’estremo nord est kurdo di Qamishli, è stato quasi immediatamente sostituito dagli spari delle forze di sicurezza sui manifestanti.
Spari per uccidere, spari per lasciare a terra quanti più morti possibile: 74 sembra essere il numero ufficiale definitivo.
Mai fino a questo momento c’era stato un simile bilancio nelle piazze siriane, mai nemmeno una folla simile aveva invaso così tante città contemporaneamente.
Le zone più calde, e quindi col più alto numero di assassinati, sono sempre le solite: la regione di Homs, quella dell’Hauran da dove tutto è iniziato, e il kurdistan… ma oggi i cortei erano ovunque, dalle città contadine a Deir ez-zour, persa nella mesopotamia desertica, sulle sponde dell’Eufrate.
Per quanto riguarda l’Hauran, dove da Daraa tutto è iniziato qualche settimana fa, è la cittadina di Izraa oggi quella il cui nome salta da un’agenzia all’altra: 20 morti sono arrivati in spalla ad altri all’interno della moschea principale, dove in tanti donavano il sangue. I video che circolano a centinaia in rete raccontano una Siria sconosciuta fino a questo momento ai nostri occhi.
La televisione di stato ha ignorato per l’intera giornata la fila di corpi che si ammassavano nei vari cortei; comunicavano invece che il buon governo Assad sta lavorando sodo per togliere definitivamente ogni traccia delle leggi speciali dando la possibilità di manifestare previo richiesta di autorizzazione al ministero degli interni. Insomma, 70 morti e passa…per una mancata richiesta d’autorizzazione.
Per la prima volta era una piazza chiamata non solo dal tam tam telematico e non ma un comunicato a firma dei “comitati locali per il coordinamento” chiedeva di scendere in piazza e sfidare i divieti per chiedere la liberazione di tutti i prigionieri politici e lo smantellamento dell’attuale apparato di sicurezza. Per la prima volta una sigla trasversale, un tentativo di organizzazione, che porta la firma di numerose teste straniere o comunque residenti fuori dal paese.
Mentre si dibatte su chi manovra questa massa siriana anti-regime, decine di persone vengono uccise dal regime in un crescendo sempre più preoccupante.
[Manifestanti di Deir ez-zour abbattono una statua di Assad]
Siria: il bagno di sangue
Più di venti morti, sempre a Daraa, nel meridione siriano, la prima città entrata in scontro con il governo e le forze di sicurezza.
Sono già 22 i cadaveri arrivati alla morgue di Daraa ma la televisione di Stato non ne nomina nemmeno uno…parla invece, probabilmente gonfiando la notizia, di 19 poliziotti rimasti uccisi dopo scontri con “uomini armati”, sempre nella cara Daraa, e un paramedico. Dei due medici però, giustiziati mentre prestavano soccorso ai manifestanti feriti, tutto tace.
Ennesimo venerdì che lascia a terra una scia di sangue incredibile in Siria, mentre la popolazione manifesta contro il potere di Bashar al-Assad: anche oggi, all’uscita dalle moschee dopo la preghiera di mezzogiorno, le manifestazioni hanno riempito le strade di decine di città del paese.
Cortei e purtroppo anche qualche corpo a terra sono stati registrati a Homs ed Hama (a meno di 40 km di distanza l’una dall’altra): forte l’uso di lacrimogeni e gas asfissianti da parte dei reparti di sicurezza, ma anche il piombo non è mancato visto che gli attivisti ci parlano di cinque morti anche lì. Alcuni palazzi governativi sono stati assaltati e una stazione di polizia è stata data alle fiamme.
Hama non scende in piazza facilmente, ma oggi più di duemila persone hanno urlato per le strade ricostruite di quella città rasa al suolo nel 1982 dal governo, per reprimere una rivolta guidata dai Fratelli Musulmani. Fecero circa ventimila morti, bombardando con l’aviazione tutto il centro città e i presunti punti di ritrovo dei Fratelli Musulmani, che da qualche anno guidavano una rivolta nella zona.
Damasco è esplosa nelle sue periferie e nei suoi dintorni, mentre il centro rimane stretto attorno al potere: le zone di Kfar Suse, Daraya, Harasta e Duma hanno combattuto non poco durante l’arco della giornata con un numero di feriti e vittime ancora non chiaro.
Oltre alle città dell’entroterra siriano è sceso in piazza anche la popolazione kurda presente nel paese sia ad Hasake che a Qamishli e Amuda.
Interessanti queste manifestazioni kurde, arrivate proprio mentre il presidente (nel tentare di placare gli animi con una carrellata di riforme) annunciava proprio la loro naturalizzazione: gli slogan che risuonavano oggi per le strade del kurdistan siriano parlavano di libertà e non di rivendicazioni etniche, si urlava che non esistono kurdi e drusi, arabi e armeni, ma che il popolo siriano è uno e vuole essere libero.
Forse una reazione simile Bashar non se l’aspettava proprio… in piazza anche Tartus, Jabla, Lattakia, Aleppo e così via….ad urlare alle forze di sicurezza “Andate in Golan!”, quello che sarebbe il fronte di guerra più silenzioso del medioriente, da decenni.
Nel video, un bimbo di Daraa
Palestina: ancora un’intervista che si trasforma in testamento dopo 5 minuti.
Da Vittorio Arrigoni ci arriva questo testamento.
Doveva essere un’intervista, ma in pochi minuti è diventata un testamento. Accade spesso in terra di Palestina
Il mio nome è Mohammed Shaban Shaker Karmoot. Sono nato nel 1964.
Ho iniziato a lavorare come agricoltore quando ero giovane, prima di sposarmi, più di 35 anni fa.
Quanti figli hai?
Ho sei figli maschi, questo è qui Kamal (indica il ragazzo), nato dalla seconda moglie. Ho quattro figli e tre figlie dalla mia prima moglie, e tre figlie e due figli dalla mia seconda moglie.
Ho comprato due dunam (un dunam equivale ad un chilometro quadrato)accanto alla via comunale più vicina alla buffer zone nei pressi Al Basayna. Qui ho desiderato e costruito una casa nella quale vivere con la mia famiglia.
Accanto a questo muro?
A 22 metri di distanza da quel muro. Queste due dunam sono mie, le ho comprate.
Quanto ti sono costate?
Le ho comprate per 7500 dinari giordani (circa 8 200 euro)
E dimmi, può raggiungere quei due ettari della tua terra?
Sì, certo, ma è molto rischioso, perché i soldati sparano.
Quindi non la puoi coltivare e neanche costruirci sopra?
Esatto, non posso fare nulla nella mia terra.
E’ stato così fin dall’inizio?
Una volta non era così. La mia terra era piena di alberi: palme, limoni, arance, clementine e altri frutti. Era piena di tutti i tipi di frutta possibili e immaginabili la mia terra. L’albero di mandorle che mi permetteva di riempire sacchi e sacchi di mandorle quando c’erano frutti, (i soldati israeliani) me l’hanno sradicato proprio nel momento in cui ero pronto a raccogliere. Sono venuti di notte con i bulldozer e lo hanno sradicato.
Come è stata la tua vita? Come hai fatto per mantenere la tua famiglia?
Eravamo abituati a vivere una vita felice, lavorando su queste terre riusciamo a fare 650 NIS ogni mese (circa 150 euri), più il lavoro nei campi altrui, riuscivamo a cavarcela bene.
Questo in che anno è accadeva?
Prima che mi distruggessero le terre, credo nel 2003, all’inizio dell’ultima intifada.
Come ti sei sentito in quel momento?
Beh, come pensi che mi sia sentito? Mi sentivo come qualcuno a cui stavano strappando via il mio cuore, mentre coi bulldozer gli israeliani distruggevano le mie terre. Ho assistito alla distruzione tutta una notte. Là c’era un grande albero di sicomoro, quando è arrivato il bulldozer e ha distrutto e sradicati tutto sono uscito con una torcia e ho visto che almeno mi avevano lasciato quell’albero dopo essersi ritirati. Era una notte di Ramadan, quando è successo, e poi le ruspe sono tornate di nuovo all’alba e hanno distrutto ciò che era rimasto dell’albero. Hanno impiegato solo tre ore per distruggere tutto la zona, utilizzando 8 bulldozer per distruggere tutta la zona.
E oggi continui a vivere in questa zona?
Quello che faccio qui o che si suppone io faccia, lo si può capire guardando questi alberi verdi qui. Sono io che lo ho coltivati, come ho coltivato il grano e l’orzo che al momento del raccolto è stato bruciato dall’esercito israeliano. Quest’anno quando siamo venuti a semonare i campi i soldati ci hanno sparato addosso.
5 MINUTI DOPO AVER RILASCIATO QUESTA INTERVISTA ALL’ONG ITALIANA GVC, UN CECCHINO ISRAELIANO A SPARATO E UCCISO MOHAMMED SHABAN SHAKER KARMOOT. Quest’ultimo assassinio è una sorta di avvertimento mafioso per quanti solidarizzano con i lavoratori palestinesi che resistono, gli ultimi veri uomini in questi tempi anonimi.
Ai miei fratelli e sorelle arabi in lotta…
Non ho avuto tempo nè energie..
Questo blog marcia a rilento da settimane, come un po’ tutta me stessa.
Ma non per questo il cuore non batte nelle strade tunisine ed algerine, non per questo il sangue non ribolle nel vedere certe immagini.
Shabab! Sono con voi in ogni sasso e bottiglia lanciata!
Più di cinquanta morti, più di cinquanta giovani ammazzati mentre manifestavano contro il carovita, per un diritto al futuro, per la propria libertà di scegliere che vita fare. Una rabbia sociale che è esplosa in Tunisia ed Algeria e si allargherà al resto del Maghreb, ma qui non si fa altro che parlare dei cristiani copti d’Egitto, delle “guerre sante” contro i cattolici e niente più.
A fianco di questi ragazzi, che rivendicano quello che rivendichiamo tutti noi: che il Mediterraneo in lotta si unisca!
Una generazione che da perdere non ha praticamente nulla: yalla shabab, mettiamo un po’ di paura al potere!*
Che Tunisi e Algeri, Atene e Salonicco, Roma e Londra capiscano che la lotta da portare avanti è una.
Uguale per tutti.
30 marzo: la Giornata della terra, libera e palestinese
Il 30 marzo di ogni anno la Palestina e il suo popolo celebrano e festeggiano la giornata della terra.
Giornata per ricordare tutti coloro che sono stati uccisi nel difendere il diritto di vivere nella propria terra per i palestinesi e per lottare e portare avanti la resistenza contro il continuo furto di terre e il trasferimento forzato della popolazione araba. Per dire no allo stato d’assedio, al muro dell’Apartheid, alla perenne perpetrazione di crimini contro l’umanità ai danni di civili arabi.
Il 30 marzo del 1978 sette giovani palestinesi, cittadini dello Stato d’Israele, furono uccisi dal piombo dello Tsahal mentre manifestavano pacificamente contro l’esproprio di terre in Galilea, nel Neghev e nel triangolo
O scolari di Gaza
insegnateci
un po’ di ciò
che noi abbiamo dimenticato
Insegnateci
a essere uomini
da noi gli uomini
sono diventati pasta morbida
Insegnateci
come i sassi
tra le mani dei bambini
diventano diamanti preziosi
Insegnateci
come fa la bicicletta di un bambino a diventare una mina
e il nastro di seta,
un’imboscata
Come la bottiglia del latte
se non la imprigionano
diventa un coltello.
O scolari di Gaza
non date retta
alle nostre trasmissioni
non ascoltateci
colpite
colpite
con tutta la vostra forza
occupatevi del vostro lavoro
e non chiedete a noi
Noi siamo la gente dei conti
dell’addizione
e della sottrazione
conducete le vostre guerre
e lasciateci
Noi siamo i disertori
che hanno abbandonato l’esercito
prendete allora le vostre corde
e impiccateci
Noi siam morti
che non hanno una tomba
e orfani
che non hanno occhi
che restano chiusi nelle loro tane
e vi abbiamo chiesto
di combattere il drago
Siamo diventati più piccoli davanti a voi
di mille secoli
E voi, in un mese
più grandi di secoli
O scolari di Gaza
non fate ritorno
a ciò che abbiamo scritto e non leggeteci
Noi siamo i vostri padri
non somigliateci, quindi
noi siamo i vostri idoli
non adorateci
Noi pratichiamo
la menzogna politica
e la repressione
costruiamo tombe
e carceri
liberateci
dai vincoli della paura che è dentro di noi
cacciate via
l’oppio che c’è nelle nostre teste
Insegnateci
l’arte di aggrapparsi alla terra
non abbandonate
il Messia sofferente
Piccoli amati
la pace su di voi
che Dio possa fare del vostro giorno
un gelsomino
Dalle fessure della terra in rovina
siete sorti
e avete seminato nelle nostre ferite
la rosa selvatica
Questa è la rivoluzione dei quaderni
e dell’inchiostro
diventate sulle labbra
melodie
fate piovere su di noi
valore e fierezza
Lavateci via la nostra bruttezza
lavateci
non abbiate paura del Faraone
né degli incantesimi di Mosè
e preparatevi a raccogliere le olive
Davvero questa epoca ebraica
un giorno si dissolverà
se ne possediamo la certezza
Folli di Gaza
mille volte benvenuti
i folli
se ci libereranno
L’era della ragione politica
se ne è andata da tempo
insegnateci la follia
Marce xenofobe in Israele contro la popolazione arabo-israeliana: che si incazza e si difende la città
Parlavamo, appena due giorni fa, di come s’era spostata verso l’estrema destra xenofoba e confessionale l’asse della politica israeliana. Politica non solo di palazzo, dopo le elezioni di febbraio e gli accodi per il governo di coalizione che da ieri procedono a passo di carica; anche politica di strada, con una manifestazione organizzata dall’estrema destra israeliana, ad Umm al-Fahm (città israeliana, importante centro arabo, situata nel distretto di Haifa, con una popolazione di 45.000 persone, la maggiorparte arabo-israeliani).
Una manifestazione che era stata più volte rinviata per i rischi sulla sicurezza, ma poi autorizzata dalla Corte Suprema, che aveva come obiettivo quello di ribadire la sovranità israeliana della città. Dalle stampa internazionale leggiamo la dichiarazione di Michael Ben-Ari, esponente del partito di estrema destra Unione Nazionale (appena eletto alla Knesset): “Se non isseremo la nostra bandiera a Umm al-Fahm, un giorno avremo uno Stato palestinese che arriverà fino a Tel-Aviv”.
Una marcia vera e propria per provocare la popolazione araba residente all’interno dei confini dello stato ebraico: manifestazione composta da militante provenienti soprattutte dalle colonie israeliane di Hebron (la zona caratterizzata da sempre dagli scontri più feroci tra coloni e popolazione palestinese) e del resto della Cisgiordania. Umm al-Fahm oltre ad essere roccaforte araba lo è anche del partito comunista, tanto che alla contro manifestazione annunciata e violentemente voluta da tutta la popolazione della città, si sono uniti attivisti israeliani appartenenti alla sinistra e al partito comunista. Immediatamente, per poter permettere a tutta la popolazione di partecipare alla contro-protesta, per evitare che la marcia potesse entrare in città, è stato dichiarato uno sciopero generale che ha avuto una partecipazione totale.
La provocazione è scoppiata immediatamente in scontri con i 3000 poliziotti anti-sommossa schierati a difendere le fila fasciste della manifestazione. Poco, molto poco è durata la marcia, all’incirca una mezzora, sufficiente a far scoppiare poi ore ed ore di duri scontri iniziati con un fitto lancio di oggetti dalle strade e dai tetti della città, contro la marcia sionista che avanzava sventolando decine di bandiere con la Stella di Davide. Lancio che come risposta ha ricevuto idranti, granate assordanti ed urticanti che hanno causato 16 feriti tra i manifestanti,15 tra i poliziotti schierati e l’arresto di tre manifestanti (arabi, ovviamente). David Cohen, rappresentante della Polizia israeliana ha dichiarato di aver reagito in difesa della democrazia. Gli scontri sono terminati dopo che diversi agenti hanno riportato ferite a causa del lancio di oggetti e dopo l’uso di vari mezzi per disperdere la manifestazione”.
L’estrema destra che ha marciato è la stessa che sta formando il governo di coalizione che tra una decina di giorni prenderà le redini del potere politico e militare nello stato israeliano: il probabile ministro degli esteri Avigdor Lieberman (un vero e proprio nazista dichiarato, fondatore del partito Yisrael Beitanu) ha già proposto l’obbligatorietà di un giuramento di “lealtà” allo Stato ebraico per tutti gli abitanti di etnia araba. Anfibi sempre più neri marciano sulla terra degli ulivi, sulla terra di Palestina
SI VIENE A SAPERE DA POCO DEL FERMO DI 22 ARABI-ISRAELIANI CHE AVEVANO PARTECIPATO AGLI SCONTRI DI IERI CONTRO LA MARCIA XENOFOBA ORGANIZZATA ALLE PORTE DELLA CITTA’ UMM AL-FAHM. ACCUSATI DI AVER FOMENTATO GLI SCONTRI
Lucca città vergognosamente Razzista
Il Consiglio Comunale della Città di Lucca batte in ferocia le leggi razziali del 1938!
Lucca dice No ai ristoranti etnici nel centro storico. Infatti, con un regolamento licenziato il 21 Gennaio 2009, il Consiglio comunale di Lucca legifera che, nel centro storico del capoluogo toscano (inteso dentro ai quattro chilometri quadrati delle mura urbane) “al fine di salvaguardare la tradizione culinaria e la tipicità architettonica, strutturale, culturale, storica e di arredo non è ammessa l’attivazione di esercizi di somministrazione, la cui attività svolta sia riconducibile ad etnie diverse”

Foto di Valentina Perniciaro _pita ateniese_
Il nuovo regolamento non prevvede soltanto l’eliminazione totale dei kebap, ma vieta anche ristoranti indiani, cinesi e francesi e mira ad imporre al palato del cittadino e del turista del centro storico solo cucina italiana, preferibilmente “prettamente cucina lucchese”, preparata con ingredienti provvenienti esclusivamente dalla provincia di Lucca.
Una cucina assai insipida ed immangiabile, visto che il pepe non cresce di certo in provincia di Lucca (e neppure l’aglio e la cipolla, s’è per questo) e il sale provviene maggiormente dalla Sicilia. E la produzione del grano non è certo il forte dell’Italia. E niente Pane nè Pizza!!!
Del montone: del mansaf e della maqluba
I beduini del Vicino Oriente sono gli inseparabili compagni del montone, senza dubbio perchè lo frequentano da quando è stato addomesticato in Mesopotamia, ottomila anni or sono. E’ vero sì che ignorano, e non a caso, lo squisito sapore dell’agnello allevato nei pascoli vicini al mare, e non è dalle loro parti che si aspetta il cosciotto come un innamorato, secondo quanto raccontava Grimond de la Reynière. Resta il fatto che Alexandre Dumas confessa nel suo Grand Dicionnaire de cuisine di aver mangiato in Tunisia, sul limitare del deserto, nel 1833, il miglior montone di tutta la sua sbalorditiva carriera di buongustaio. L’animale, ripieno di datteri, fichi, uva passa e miele, era cotto con tutta la pelle sotto la cenere, come si potrebbe fare con una patata o una castagna…
In Giordania, i valori beduini sono esaltati in tutti i toni.
Non potrete perciò sottrarvi al mansaf, un piatto che i pastori nomadi apprezza da sempre.
Consiste in carne d’agnello, cosciotto o spalla, bollita con cipolle tritate, zafferano, paprica, pepe e cannella fino ad essere cotta perfettamente. Il brodo è poi mescolato con latte di pecora fermentato, cotto in precedenza. Quando lo yogurt è di latte vaccino, come in Francia, bisogna aggiungervi una chiara d’uovo sbattuta e un po’ di farina prima di metterlo a fuoco medio mescolando ininterrottamente con un cucchiaio di legno. Il mansaf è poi preparato come una panata: in fondo al piatto di portata è disposto il pane tagliato in quadratini, poi il riso pilaf sul quale versano la carne e la salsa. Il tutto è guarnito con pinoli dorati nel samn (burro raffinato).
So che molti francesi esiteranno anche di fronte al mansaf più sontuoso, sia per ragioni religiose, dato che l’Antico Testamento vieta di cuocere l’agnello nel latte della madre, sia perchè uno yogurt, per loro, è un dessert al sapore di fragola o lampone, destinato alle merende dei bambini.
Commenti recenti