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Le torture su Sandro Padula,ancora detenuto, 29 anni fa…

17 gennaio 2012 21 commenti

AGGIORNAMENTO 18 GIUGNO 2013: LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA DICHIARA AMMISSIBILE LA RICHIESTA DI REVISIONE DEL PROCESSO TRIACA.
IL 15 OTTOBRE 2013 LE TORTURA ANDRANNO ALLA SBARRA E LA VERITA’ VERRA’ RISTABILITA.
LEGGI QUI LE NOVITA’, OTTIME: LEGGI

PROSEGUE LA SERIE SULLA TORTURA, DAL BLOG INSORGENZE

Sandro Padula in aula durante il processo Moro, denuncia le torture subite

Sandro Padula viene arrestato il 14 novembre 1982 a Castel Madama, in provincia di Roma. L’appartamento che faceva da base-rifugio per alcuni militanti latitanti delle Brigate rosse – partito comunista combattente era stato individuato da alcuni giorni dalla Digos che vi aveva fatto irruzione arrestando i presenti. Alcuni dei quali, Romeo Gatti in particolare, furono sottoposti a tortura. La polizia si istalla nella base e attende l’arrivo di Padula che appena entrato viene bloccato e avvolto in un tappeto per essere trasportato via all’insaputa dei vicini che in questo modo non si accorgono dell’arresto. Caricato all’interno di un furgone civile da finti facchini viene condotto con gli occhi bendati in un luogo imprecisato, forse una caserma della zona. Lì inizia il “trattamento”: spogliato viene appeso per le braccia alla parete e sottoposto ad una infinità di colpi su tutto il corpo e sulla testa fino al punto da non sentire più nulla. «Ad un certo punto – racconta quelle poche volte che riesco a strappargli qualche ricordo dalla bocca – il dolore si anestetizza». I seviziatori non hanno alcun ritegno. Il pestaggio condito dal solito florilegio di minacce non sortisce alcun effetto.
A quel punto gli aguzzini passano alla fase due: quella raccontata decine e decine di volte dagli altri torturati sottoposti all’acqua e sale, testimoniata da Salvatore Genova nelle interviste del 1997 a Matteo Indice e nel libro recente scritto da Nicola Rao, tutti materiali che potete trovare in questo blog. Torture ammesse dallo stesso “professor De Tormentis”, il grande maestro dell’acqua e sale, sempre in una intervista a Matteo Indice e nel libro di Rao.
Sandro viene disteso su un tavolo posto accanto ad un lavandino con una parte del corpo, dalla vita in sù, sospesa all’esterno. In bocca gli viene introdotto un tubo ma prima le labbra vengono cosparse di sale. Uno degli aguzzini gli tiene il naso chiuso. Sandro che non è un eroe e tantomeno un campione di apnea (non sa nemmeno nuotare) tuttavia resiste. «Conta che ti passa», gli aveva detto un compagno pochi mesi prima, Umberto Catabiani, membro dell’esecutivo dell’organizzazione ucciso il 24 maggio precedente dopo un lungo inseguimento, mentre ferito aveva guadato un fiume per tentare di fuggire all’arresto. L’acqua e sale nonostante la sua bestialità non sortisce risultati. Un medico, presente, monitorava il cuore. Alla fine i seviziatori di Stato desistono. Uno di loro dirà con disappunto: «Ma questo conta. Ci sta fregando. E’ esperto di apnea».
Arrivati a quel punto il problema era quello di rendere presentabile Padula, che imputato nel processo Moro in corso avrebbe dovuto comparire immediatamente in aula. Sandro viene “preso in cura” da uno strano personaggio che si qualifica come «massaggiatore di una squadra di calcio» che allevia gli ematomi e le contusioni di cui è pieno il suo corpo con massaggi a base di vegetallumina.
Per tre volte le udienze del processo vengono rinviate tra le proteste degli imputati che denunciano le torture in corso e ricordano al presidente di essere complice di quel che stava accadendo. In aperta violazione della legge Sandro Padula resta nelle mani della polizia anche durante l’interrogatorio del 19 novembre, quando Domenico Sica lo va ad ascoltare in questura. Arriverà in aula solo il 19 novembre. Le cronche deformate delle udienze, raccotate con grande disonestà carica di livore in particolare dall’Unità, le potete trovare qui sotto.
Alessandro Padula è ancora in carcere sottoposto a regime di semilibertà. Dal suo arresto e dalle torture sono passati 29 anni e due mesi.

Assente l’imputato Padula, rinviato il processo Moro

L’Unità  venerdì 19 novembre 1982

ROMA — È durata tre minuti l’udienza di Ieri del processo Moro. La Corte è entrata e il presidente Santiapichi ha annunciato che nessuno poteva prendere la parola mancando un imputato che invece aveva diritto ad assistere al processo: il br in questione è Sandro Padula, arrestato nei giorni scorsi vicino Roma e accusato di almeno 7 tra I più efferati delitti delle Brigate rosse. La procedura prevede infatti che se un Imputato appena arrestato non fa pervenire l’esplicita rinuncia ad essere presente, il processo non può andare avanti. E infatti il dibattimento è stato aggiornato a lunedì prossimo. La comunicazione del presidente ha dato il via a una serie di proteste e di pesanti minacce dei brigatisti in gabbia. «Lo stanno torturando – hanno gridato i br – avete chiesto perché Padula non è venuto?». Poi una minaccia diretta al presidente della Corte da parte di Pancelli: «Lei si sta rendendo complice delle torture», ma il giudice Santiapichi ha replicato seccamente. «Non sono complice di nessuno, la legge prevede che non si può fare udienza mancando un imputato». Poi sono arrivate anche le minacce ai giornalisti. Lunedì si dovrebbe quindi riprendere con le audizioni dei collaboratori di Moro Rana e Freato, rinviati da alcune udienze per la discussione sulle richieste (tutte respinte) dì alcune parti civili per l’approfondimento in aula di alcuni scottanti retroscena del caso Moro. L’interrogatorio di Nicola Rana era già iniziato e il teste era stato sentito su alcune registrazioni telefoniche. Con queste deposizioni, a seguito della decisione della Corte di rimandare ogni altro approfondimento a una nuova inchiesta della Procura, il processo entra nella fase finale.

Il Br Padula si rifiuta di rispondere al giudice. Lunedì sarà presente al processo per via Fani

La Stampa  Anno 116  Numero 251 – Pagina 6 – Sabato 20 Novembre 1982

DALLA REDAZIONE ROMANA ROMA – Sandro Padula, il brigatista rosso arrestato nel corso dell’ultima operazione della Digos, si è rifiutato di rispondere alle domande del sostituto procuratore della Repubblica Domenico Sica, dichiarandosi «militante comunista». Al magistrato, che lo ha interrogato in questura, Padula ha denunciato di essere stato maltrattato dagli agenti che l’avevano arrestato. Il suo difensore, avvocato Giuseppe Mattina, ha fatto mettere a verbale le accuse formulate dall’imputato, preannunciando una denuncia, che verrà presentata probabilmente oggi alla procura della Repubblica. Il magistrato, prima di chiedergli se volesse rispondere alle domande, ha contestato a Padula le accuse di partecipazione a banda armata e di violazione della legge sulle armi. Al momento dell’arresto gli è stata infatti, sequestrata una pistola. A conclusione dell’interrogatorio, Padula avrebbe mostrato al magistrato, a sostegno della sua denuncia, diversi ematomi sul corpo e sugli arti. Ha inoltre sostenuto di essere stato portato in un luogo di cui non sa indicare l’ubicazione e, una volta bendato, di essere stato steso supino su di un tavolo, legato, e costretto a bere acqua e sale. Padula sostiene anche di aver ricevuto pugni sulla testa e sulle orecchie, e di essere stato trattenuto nella casa in cui venne arrestato per un’intera giornata, ammanettato e bendato. Padula ha poi dichiarato al magistrato che, dopo le percosse, ha ricevuto qualche cura dagli agenti che l’avevano in consegna prima di essere trasferito, nelle celle di sicurezza della questura. L’imputato ha quindi sostenuto che, in cambio di un’ampia confessione e dei nomi di suoi compagni di clandestinità, gli è stato anche offerto un passaporto per espatriare e somme di danaro.
Lunedì, Padula sarà nell’aula del Foro Italico dove si celebra il processo per l’uccisione di Aldo Moro

Processo Moro: Padula dice di essere stato «torturato». I brigatisti lanciano accuse alla DIGOS e lasciano l’aula

L’Unità, lunedì 23 novembre 1982
ROMA — Quasi tutta a porte chiuse la sessantacinquesi-ma udienza del processo Moro. Fuori il pubblico, i giornalisti, i fotografi, i cineoperatori, tutti, insomma, tranne gli «addetti ai lavori» muniti di toga: la corte, il pubblico ministero e gli avvocati. Non perché si dovesse parlare di chissà quali segreti (un processo serve proprio per verificare ogni cosa alla luce del sole) ma semplicemente per poter ascoltare in aula le registrazioni delle telefonate intercettate durante Il rapimento, senza violare la «privacy» di nessuno. L’ascolto di queste intercettazioni ha fatto da base per le domande rivolte a Nicola Rana e a Sereno Freato, che furono – assieme a Corrado Guerzoni – I più stretti collaboratori del presidente democristiano. Freato, ascoltato In serata« ha tra l’altro ricostruito la storia di un incontro tra il sottosegretario agli interni Lettieri e l’avvocato svizzero Payot, il quale aveva promesso, facendosi pagare cinque milioni, un Interessamento risolutore, mediante i suoi supposti agganci con I terroristi tedeschi della RAF. Ma la cosa si sarebbe rivelata un volgare «bidone».
Alle deposizioni dei due testimoni non erano presenti neppure gli imputati, che pure ne avrebbero avuto facoltà: nella tarda mattinata hanno abbandonato le gabbie in segno di protesta, dopo che era scoppiato In aula un nuovo «caso», legato al nome di Alessandro Padula, il brigatista accusato di otto omicidi arrestato dalla polizia nove giorni fa a Roma e comparso ieri per la prima volta al processo. Padula ha dichiarato di essere stato «torturato» dagli agenti della DIGOS ed ha inoltre accusato la polizia di avergli impedito di partecipare alle tre udienze della scorsa settimana (com’era suo diritto) attraverso un «falso». La corte ha passato la denuncia di Padula al pubblico ministero, affinché la procura romana possa vagliare le accuse alla DIGOS con una regolare inchiesta.
Il «caso Padula» non è stato aperto dall’interessato ma dal brigatista Prospero Gallinari, imputato di essere stato il boia di Aldo Moro. Appena la corte si é seduta, in apertura d’udienza. Gallinari si è fatto passare il microfono ed ha affermato che Padula é stato tenuto lontano dall’aula del processo per otto giorni ed è stato lasciato nelle mani dei «torturatori di Stato». Il portavoce dell’ala «militarista» delle Br è stato interrotto dal presidente Santiapichi, ma a questo punto ha incalzato lo stesso Padula, ribadendo le stesse accuse alla polizia e aggiungendo una sequela di slogan brigatisti. L’imputato ha mostrato al giornalisti un livido al polso destro ed ha sostenuto di essere stato appeso per le braccia e di aver ricevuto «il trattamento acqua e sale».
Il legale di Padula, l’avvocato Attillo Baccioli, del foro di Grosseto, ha eccepito la nullità delle ultime tre udienze del processo celebrate in assenza dell’imputato e dopo il suo arresto. Tutti gli altri legali si sono opposti, il Pm pure, e la corte – dopo mezz’ora di camera di consiglio – ha respinto l’eccezione di nullità passando, come si è detto, il verbale dell’udienza al rappresentante dell’accusa, per l’apertura di un’inchiesta da parte della procura. il presidente Santiapichi ha inoltre spiegato l’assenza dell’imputato la settimana scorsa, dichiarando che la DIGOS aveva comunicato di aver Identificato il brigatista per Alessandro Padula soltanto il 17 novembre (aveva in tasca documenti falsi). L’interessato ha smentito, accusando di «falso» la polizia, e anche su questo indagherà la procura.

GLI ALTRI LINK SULLA TORTURA IN ITALIA
breve cronologia ragionata e testimonianza di Ennio di Rocco, B.R.
Testimonianze di Emanuela Frascella e Paola Maturi, B.R.
Testimonianza Di Sisinnio Bitti, P.A.C.
Arresto del giornalista Buffa
Testimonianza di Adriano Roccazzella, P.L.
Le donne dei prigionieri, una storia rimossa
Il pene della Repubblica
Ma chi è il professor “De Tormentis”?
Atto I: le torture del 1978 al tipografo delle BR
De Tormentis: il suo nome è ormai il segreto di Pulcinella
Enrico Triaca, il tipografo, scrive al suo torturatore
Le torture su Alberto Buonoconto
La sentenza esistente

La sentenza di condanna sulle torture a Di Lenardo… un pezzo di NON storia da non perdere

17 gennaio 2012 5 commenti

Ancora sulla tortura…in questo post la sentenza contro alcuni torturatori, quelli che De Tormentis, nel libro di Nicola Rao liquida come “poco esperti” al punto che hanno lasciato segni e lesioni che hanno portato a dei procedimenti penali..
lui era più bravo.

“Durante l’ultima guerra mondiale, in Albania accadeva che tanti soldati italiani finivano in infermeria o venivano rimpatriati perché dichiaravano di essere stati azzannati da cani idrofobi. Il fenomeno era così diffuso che ad un certo punto le gerarchie militari vollero vederci chiaro. I segni del morso erano ben visibili sui polpacci dei soldati. Tuttavia nella zona non c’erano torme di cani idrofobi.
Il rebus fu spiegato quando venne trovata la riproduzione anatomica, in legno, di una mandibola canina. Il soldato che aveva fabbricato lo strumento, dotandolo di una “dentatura di chiodi” lo affittava ai commilitoni. I quali, con i segni delle “zanne” sulla pelle venivano subito ricoverati.
La messinscena aveva un inconveniente: ai militari che denunciavano di essere stati morsi veniva praticata una puntura al fegato. Ma per quanto l’iniezione fosse dolorosa, lo era sempre meno di una pallottola in combattimento.”
Con questo aneddoto, tratto dai ricordi paterni, il sostituto procuratore Domenico Sica risponde a chi gli chiede se in Italia i terroristi vengono seviziati dalla polizia.
L’aneddoto è in realtà un apologo: i soldati sono i brigatisti, l’inesistente cane idrofobo la tortura, i segni del morso, le ecchimosi e gli ematomi che vengono mostrati a riprova delle sevizie. Sica non crede alle torture, così come non ci credono i magistrati …
(Tratto da un articolo de Il Paese Sera, 18 marzo 1982, a firma di Guido Rampoldi)

Sentenza n. 743/86 Reg. Sent. – N. 1065/83 R.G. – N. 2816/83 P.M. Depositata il 5 novembre 1986, Tribunale Penale di Padova, sez I°
causa penale a procedimento formale contro Genova Salvatore, (…)

Una foto che racconta tutto: il torturato Di Lenardo è tra le sbarre, i suoi aguzzini senza alcuna privazione, con strane barbe e occhiali scuri

[…]
A) del reato di cui agli artt. 110, 112 nn. 1 e 2, 605/1°2° co. n 2 CP e 61 n. 2 CP
 per aver illecitamente privato Di Lenardo Cesare della libertà personale, perché in concorso con Amore Danilo, Di Janni Carmelo, Laurenzi Fabio e Aralla Giancarlo prelevavano il Di Lenardo dai locali dell’Ispettorato di Zona 2° Reparto Celere, dov’era legittimamente detenuto in seguito all’arresto avvenuto il 28.1.1982, sottraendolo a coloro che erano investiti della custodia, lo caricava con mani e piedi legati e con gli occhi bendati nel bagagliaio di una autovettura e lo trasportavano in una località sconosciuta, dove il Di Lenardo veniva fatto scendere e sottoposto alle percosse e minacce descritte nel capo seguente;
indi lo trasportava nuovamente (sempre nel bagagliaio dell’autovettura) nell’area del 2° Reparto Celere e lo conduceva in un sotterraneo, nel quale il Di Lenardo era sottoposto alle percosse e alle violenze descritte nel capo seguente, al termine delle quali veniva riportato nei locali di legittima detenzione; con le aggravanti di aver commesso il fatto abusando dei poteri inerenti alle funzioni di pubblico ufficiale, in numero non inferiore a cinque persone ed al fine di commettere il reato di cui al capo seguente;
di aver promosso e organizzato la cooperazione nel reato, nonché di aver diretto l’attività delle persone che vi sono concorse.
B)  del reato di cui agli artt. 56, 81 cpv, 110, 112 n. 2, 61 n.9, 610/1°e 2° co. CP in relazione all’art. 339 CP, per aver in concorso con Amore Danilo, Di Janni Carmelo, Laurenzi Fabio, Aralla Giancarlo e con altri con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso mediante violenza, consistita in percosse in diverse parti del corpo, e minaccia, consistita nell’esplosione di un colpo d’arma da fuoco e successivamente mediante violenza, consistita nel legarlo su di un tavolo, sul quale era  stato steso, facendogli inghiottire sale grosso, di cui gli era stata riempita la vocca, e, permanendo lo stato di costrizione sul tavolo, venendogli inoltre impedito di respirare col naso, facendogli ingoiare una grande quantità d’acqua che veniva in continuazione versata nella sua bocca […]
[…]
LETTI GLI ATTI; VISTA A RICHIESTA DEL PM
ritenuto che Genova Salvatore, tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Padova per rispondere dei reati riportati in rubrica, prima che si celebrasse il dibattimento nei suoi confronti viene eletto deputato;
che fu disposta la separazione del procedimento a suo carico;
che nei confronti del Genova venne richiesta alla Camera dei Deputati l’autorizzazione a procedere prescritta dall’art. 68 Cost;
che come risulta dalla comunicazione in atti, la Camera dei Deputati, nella sua seduta del 5.6.1986, ha negato l’autorizzazione a procedere;
che pertanto, mancando la condizione di procedibilità necessaria per proseguire l’azione penale deve dichiararsi non doversi procedere nei confronti dell’imputato, con sentenza da emettersi (anche d’ufficio) in ogni stato e grado del procedimento;
                                           P.Q.M.
Dichiara non doversi procedere nei confronti di Genova Salvatore in ordine ai reati a lui ascritti, perché l’azione penale non può essere proseguita per mancanza dell’autorizzazione a procedere della Camera dei Deputati

ELENCO DEI LINK:
1) Introduzione al libro di Alleg di Jean-Paul Sartre
2) breve cronologia ragionata e testimonianza di Ennio di Rocco, B.R.
 3) Testimonianze di Emanuela Frascella e Paola Maturi, B.R.
4)  Testimonianza Di Sisinnio Bitti, P.A.C.
5) Arresto del giornalista Buffa
6) Testimonianza di Adriano Roccazzella, P.L.
7) Le donne dei prigionieri, una storia rimossa
8 ) Il pene della Repubblica
9) Ma chi è il professor “De Tormentis”?
10) Atto I: le torture del 1978 al tipografo delle BR
11) De Tormentis: il suo nome è ormai il segreto di Pulcinella
12) Enrico Triaca, il tipografo, scrive al suo torturatore
13) Le torture su Alberto Buonoconto

Su Antonio, ucciso 6 anni fa…e sul carcere, dove è venuto al mondo

17 gennaio 2012 6 commenti

Proprio oggi, nel sesto anniversario della morte di Antonio, morto sul lavoro,

Foto di Valentina Perniciaro —–ciao ANTO’—–


mi è arrivata una breve lettera che condividerò con voi, perché m’ha aperto il cuore.
Una lettera che parla di carcere, come di carcere ha parlato la breve vita di Antonio, visto che in una cella era nato e vi era rimasto per qualche anno,
tra le braccia di Franca, la sua bella mamma.
Non scrivo una riga su loro, che di materiale a riguardo in questo blog ce n’è tanto,
quindi vi linko direttamente quello…

LINK:
Una vecchia intervista con Franca Salerno
La copertina con la stella
Ciao Anto’
L’evasione di Franca Salerno e Maria Pia Vianale
Ciao Franca, cuore nostro
I funerali di Franca Salerno

QUI LA LETTERA DI CUI VI PARLAVO:

Grazie, cara compagna Valentina, ché mi hai cambiato il modo di vedere il carcere.
Quando passo davanti a Rebibbia, penso che lì dentro ci sono persone come me, e sì che io faccio politica da parecchio, ma in ognuno di noi c’è un carceriere, e smantellarlo è un lavoro che va fatto tutti i giorni. Ti ringrazio perché è grazie alle testimonianze che raccogli che ho capito quanto queste persone mi siano simili, quante cose abbiamo in comune.
Grazie
XXX

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