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A Angelo Basone … che la terra ti sia lieve come soffio
E’ morto ieri il compagno Angelo Basone, comunista, rivoluzionario, ha lavorato come operaio alla Fiat alle Presse di Mirafiori,
eletto delegato dai lavoratori, ha aderito e partecipato alle Brigate Rosse. Arrestato è stato prigioniero politico per molti anni.nelle carceri speciali.
Era immigrato da ragazzo a Torino, come decine di migliaia di altri ragazzi del sud, dalla Sicilia per fornire forza lavoro a basso costo e docile nelle fabbriche capitaliste. Così credevano padroni e preti, ma così non è stato. Angelo, come migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di lavoratori come lui hanno costruito un percorso rivoluzionario che, per la prima volta dal secondo dopoguerra, ha posto all’ordine del giorno la costruzione di una società comunista. E ciò ha fatto paura ai padroni. Talmente paura che lo Stato ha dovuto usare la tortura, le carceri speciali, i tribunali speciali e secoli di galera per fermarlo.
Uscito di carcere, Angelo era andato a vivere a Firenze.
CIAO ANGELO,
SANGUE NOSTRO…
Le “donne” dei prigionieri e la storia rimossa, la nostra storia
AGGIORNAMENTO 18 GIUGNO 2013: LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA DICHIARA AMMISSIBILE LA RICHIESTA DI REVISIONE DEL PROCESSO TRIACA.
IL 15 OTTOBRE 2013 LE TORTURA ANDRANNO ALLA SBARRA E LA VERITA’ VERRA’ RISTABILITA.
LEGGI QUI LE NOVITA’, OTTIME: LEGGI
Quest’articolo lo lessi che ero poco più di una bambina, a tredici anni, riportato tra le note di un libro che cambiò la mia vita (regalatomi da una mano completamente inconsapevole):
“Dall’altra parte” – l’odissea quotidiana delle donne dei detenuti politici- di Prospero Gallinari e Linda Santilli.
Un articolo, un “reportage”, una testimonianza scossa di una giornata passata con le “donne dei detenuti” br e non, reclusi nel carcere speciale di Trani dopo appena un mese dalla rivolta. Le compagne di uomini fatti a pezzettini dai GIS, uomini con dita denti schiene e costole spezzate: detenuti politici che avevano messo a ferro e fuoco un carcere e che ora scontavano sulla loro pelle e quella dei loro cari la repressione dello stato.
Uno stato che doveva dimostrare la sua forza: uno stato che aveva mandato i GIS a sedare la rivolta …e c’era riuscito, ovvio!, peccato che al rientro dell’operazione – nei festeggiamenti per il capodanno- il generale che aveva guidato il masssacro è stato ucciso sul pianerottolo di casa.
Quest’articolo racconta il mai raccontato, quello vissuto da chi ha avuto la vita sventrata dal carcere, dalle leggi speciali, dall’ergastolo solo perchè madre, figlio, amore di un compagno prigioniero.
La tradotta di Trani ferma a Barletta. Per Trani si cambia.
Sul marciapiede, alle sette di mattina si riversano i familiari. Perlopiù sono donne, madri, compagne, sorelle. Nei venti minuti d’attesa prima che arrivi il Roma-Bari che bisognerà prendere al volo, di corsa dal giornalaio a raccattare quotidiani, di corsa al gabinetto, di corsa al bar a buttar giù un caffè; poi dieci minuti ancora , questa volta in piedi contro gli sportelli del treno, e giù di nuovo su un altro marciapiede, quello della stazione di Trani.
Qui il femminismo non avrebbe ragione d’esistere.
Le donne dei prigionieri sono forti, gestiscono le loro azioni con autorevolezza, a tratti perfino con allegria. Di fronte al procuratore capo De Marinis, ogni sabato, da quando c’è stata la rivolta, la dignità la chiarezza la determinazione sono loro […].
Il primo sabato: le visite e i pacchi sono sospesi. Il secondo, ancora niente visite e niente pacchi. Le donne si organizzano, attuano il blocco dei cancelli, aspettano dieci ore, circondate dai carabinieri minacciosi, e commettono un peccato d’onestà: credono all’ufficiale che promette un colloquio con il direttore se il blocco viene tolto. Naturalmente l’ufficiale non rispetta la parola. Però i pacchi passano.
Il terzo sabato, ancora visite distanziate, ancora il ritrovarsi davanti al secondo cancello. Per ogni nome chiamato passa un’ora. I colloqui dovranno essere con i vetri. NO, prigionieri e donne dicono no. […]
Si decide di nuovo il blocco dei cancelli. […]
Da tutte le parti piovono autoblindo, e carabinieri, a nugoli come le mosche. Arriva anche un funzionario in borghese, forse Digos. Dice che le manifestazioni sono proibite, dice che bisogna sgombrare se no ci pensa lui, e infatti ci pensa.
I carabinieri si schierano a pochi passi dalle donne, faccia a faccia. Rigidi e neri che sembrano lì come per un film. Comparse che non conoscono tutta la trama, ma solo il povero ruolo che le riguarda. E caricano duro.
Piovono le botte e gli spintoni, ma il funzionario capisce che la loro è solo forza fisica.[…]
Le notizie che filtrano dall’interno sono come sassi in faccia e perdono ordine e priorità, trasformandosi in una sorta di onda d’urto che spinge le donne ad agire. Guardie incappucciate, da Ku Klux Klan, chiamano per nome i detenuti, e a mano a mano che uno viene crocifisso dalla luce dei fari, giù botte. Quindici prigionieri vengono trascinati sul tetto: le guardie che li tengono chiedono alle altre, in basso, se ci sono morti o feriti tra i loro colleghi. Sono pronte, a una risposta affermativa, a buttar giù i detenuti.
Il policlinico di Bari si lascia portari via dai carabinieri i feriti gravi. Ma questo è avvenuto subito dopo la rivolta. Le donne si sono già battute per organizzare una fitta rete di controinformazione, ma tranne le trasmissioni di poche radio libere e qualche stralcio di notizia censurata dagli stessi giornalisti che la passano, all’opinione pubblica non arriva niente.
Altre notizie, sassi in faccia. I prigionieri sono ammassati in cameroni e come unica forma di protesta possibile attuano la “guerra batteriologica”, buttano escrementi e immondizie nei corridoi e dalle finestre. I feriti curati alla bell’e meglio subito dopo la rivolta peggiorano. I punti vanno in suppurazione, alcuni hanno la febbre alta e non si reggono in piedi, altri hanno le ossa rotte, le mani le caviglie, le costole.
Falco il medico della prigione, che nome meglio di così non poteva avere, non si fa vivo. Neanche il Giudice di sorveglianza. […]
Quando vengono concessi i colloqui, le donne e i prigionieri li rifiutano: si vorrebbe ancora farli parlare attraverso vetri e citofoni. Vengono pestati e trascinati all’isolamento, ma non si illudano i carcerieri che questo possa spingere i detenuti o i loro familiari alla rinuncia della propria dignità umana. Le donne stendono una denuncia. La firmano nominalmente, la portano alla procura, la presentano come legge vuole, anche se si immaginano che finirà in un cassetto. Trasmettono altri comunicati attraverso l’Ansa, ma anche su questi cala la nebbia.
Notte e nebbia. Nacht und Nebel sulle carceri speciali.
Notte e nebbia sulle coscienze. Nel paese delle interrogazioni parlamentari non si alza una sola voce, fosse anche semplicemente per chiedere. Ma di quello che accade o che potrebbe accadere nei lager di questa repubblica qualcuno dovrà pur rispondere.
Laura Grimaldi
Il Manifesto
29 Gennaio 1981
[A mamma Clara, a suo figlio Bruno]
I LINK SULLA TORTURA
breve cronologia ragionata e testimonianza di Ennio di Rocco, B.R.
Testimonianze di Emanuela Frascella e Paola Maturi, B.R.
Testimonianza Di Sisinnio Bitti, P.A.C.
Arresto del giornalista Buffa
Testimonianza di Adriano Roccazzella, P.L.
Le donne dei prigionieri, una storia rimossa
Il pene della Repubblica
Ma chi è il professor “De Tormentis”?
Atto I: le torture del 1978 al tipografo delle BR
De Tormentis: il suo nome è ormai il segreto di Pulcinella
Enrico Triaca, il tipografo, scrive al suo torturatore
Le torture su Alberto Buonoconto
La sentenza esistente
Le torture su Sandro Padula
Intervista a Pier Vittorio Buffa
Enrico Triaca: così mi ha torturato De Tormentis
Deprivazione tattile
“Sottratto al sociale, il corpo del recluso non ha modo di ricevere e cercare stimoli sensoriali. E, fra tutte le privazioni, quella della tattilità è forse la più grave e devastante. Così devastante che un bambino ne può anche morire.
Quando sul finire dell’800 la puericultura americana introdusse il “lettino con le sbarre”, soppiantando la tradizione della culla, cominciarono a verificarsi morti inspiegabili di bambini perfettamente sani. L’evento è passato alla storia come “morte da lettino” o “sindrome mortale infantile subitanea”. L’esperienza umana insegna che il cullamento è un moto di accarezzamento dell’intero corpo in ogni sua funzione.Una condizione essenziale di benessere che viene preclusa al “bambino fra le sbarre”.
Come la deprivazione tattile può far morire, così il toccamento può far rinascere.Il con-tatto umano è infatti una possibile cura in caso di coma irreversibile o per creature con lesioni cerebrali e handicap psicomotori. E’ il caso di quel centinaio di volontari che, a turno, andavano a casa di una bambina perchè potesse avere 24 su 24 l’unica medicina in grado di farla star meglio: il contatto umano: l’incontro e il toccamento di persone di ogni sesso, età, professione, cultura, che l’aiutavano negli esercizi di riabilitazione. La stimolazione è taumaturgica. L’assenza di tatto, invece, è dolorosa.
Tolgo dalle braccia -sotto pelle- frammenti di posate di plastica: le sole che si possono usare. Punte spezzate di forchette di plastica. Bastano piccoli taglietti e questi frammenti entrano sottopelle. Da quegli stessi taglietti, spingendo, tiro fuori le punte di forchette. Non c’è sangue, non c’è una goccia di sangue! Più ne tiro fuori e più, toccando, ne sento! Con un senso di fastidio, ma pazientemente, sto lì a tirar fuori questa plastica. Mi sveglio con un senso di angoscia. Quanta materia inerte ho assorbito in tutti questi anni attraverso i pori della pelle?
Penso al ferro, al cemento, alla plastica che tocco. Ed ai segni devitalizzati che mi invadono.E poi non c’è sangue! Senza che me ne accorgessi la morte mi è entrata dentro impossessandosi del sangue. Scrivo o racconto il sogno a chi posso , per lanciare un allarme. Bisogna avvisare, far presto, prima che l’inerte ci invada totalmente!”
tratto da “IL BOSCO DI BISTORCO”. Renato Curcio, Stefano Petrelli, Nicola Valentino. Edizioni Sensibili alle Foglie
Questo blog, inevitabilmente, parlerà spesso di reclusione, di privazione, di isolamento.
Si parlerà del carcere, dei meccanismi punitivi, di tortura fisica e psicologica, di ospedali psichiatrici giudiziari, di centri di detenzione temporanea per migranti…dei reietti. Di quelli che per lo stato devono marcire da reietti
Del diritto alla libertà, di quanto si può imparare dagli occhi di chi si è visto togliere tutto.
Col vento di questa sera non posso non pensare a chi è chiuso in una cella..con questo fischiare libero del vento, con questo piacere della pelle nel farsi attraversare da tanta forza.
CONTRO OGNI CARCERE, CONTRO OGNI GALERA.
GIORNO DOPO GIORNO!
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