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Guagliardo sull’amnistia sociale…e una lunga notte NoTav

6 agosto 2013 Lascia un commento

Una lunga notte NoTav, come siamo abituate a vederne e viverne molte: notti resistenti, tra i propri boschi,
dove nel buio ci si muove come animaletti tranquilli,
contro quei plotoni di anfibi e armamenti, trivelle e macchinari che vorrebbero portare lo scempio e la militarizzazione in ogni punto di quel sottobosco così importante da difendere.
Un’altra lunga notte e sarà una settimana di allarme, dove centinaia di “avvistatori” sono pronti a lanciar l’allarme qualora qualche mostro meccanico dovesse provare ad arrivare al cantiere.

Una lotta che va avanti da 20anni, che si è rinventata mille volte e con mille metodologie diverse,
finché Caselli non ha deciso di far piovere avvisi di garanzia dove si parla di finalità terroristiche, di articoli del codice penale che vengono puniti co il 41 bis, l’isolamento, il carcere speciale e condanne a più di una cifra.
La lotta NOTAV viene militarizzata più del suo sottobosco,
i militanti valsusini trattati come briganti aspiranti regicidi…

Questa notte, l’ennesima, è stata bloccata l’autostrada Torino Bardonecchia, all’altezza di Chianocco e della frazione Vernetto: il convoglio che ci si aspettava di bloccare non è mai passato, ma l’emergenza resta alta,
Come potete leggere anche su quest’appello pubblicato da Infoaut: QUI

E allora, visto che la militarizzazione avanza con la criminalizzazione, con il giustizialismo che tutto avvolge,
con una società basata ogni istante di più sul paradigma penale,
la battaglia sull’amnistia è ogni istante più importante e necessaria.Pubblico quindi con molto piacere l’articolo di Vincenzo Guagliardo, uscito oggi sulle pagine de Il Manifesto,
come contributo alla campagna per l’amnistia sociale, alla quale hanno già preso parte la maggior parte dei movimenti del paese (come ad esempio NoTav e NoMuos): leggetelo e diffondete l’appello che trovate QUI

Diritto di manifestare, fine dell’ergastolo e no alla tortura saranno necessariamente la nuova cornice, accanto alle lotte sul lavoro e per il reddito. Sarà l’inizio di un lungo, nuovo e difficile processo storico e non il sereno suggello di un passato. Sarà il mezzo con cui costruire una grande unità oggi ancora lontana

di Vincenzo Guagliardo
il manifesto 6 agosto 2013

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“la talpa” in cantiere

Decenni fa il movimento operaio lottava per pane, lavoro e minor fatica. Alla lotta poteva seguire o meno la repressione secondo i rapporti di forza esistenti. Oggi invece ogni lotta trova a priori un ostacolo di possibile rilievo penale (e di tipo inquisitoriale). Deve fare i conti con una nuova realtà sapientemente (o ciecamente?) costruita negli ultimi tre decenni passo dopo passo, di emergenza in emergenza, da quella contro il “terrorista” a quella contro il lavavetri dichiarata da qualche sindaco-sceriffo.
Le democrazie occidentali rivelano una tendenza “totalitaria” che non può più essere ignorata: da un lato c’è gente in galera da oltre trent’anni e dall’altro c’è gente che è “illegale” per il fatto stesso di esistere grazie a leggi che la privano del permesso di soggiorno. In mezzo a questi due poli, e fra mille gradazioni diverse, può ormai ritrovarsi ognuno.
E ora vediamo in quale cornice stanno questi due poli estremi: nella sua specificità, il caso italiano suscita attenzione persino a livello europeo. Segnali simbolicamente forti sono arrivati dal Vaticano che ha abolito l’ergastolo e riconosciuto la tortura come reato, e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo.
E’ importante sottolineare di nuovo che l’ondata repressiva al livello sociale non avviene come repressione “a valle” di episodi signicativi di lotta violenta, ma “a monte”, quale modello di controrivoluzione preventiva offerto come politica principale – per non dire unica – nei confronti del variegato e frammentatissimo proletariato attuale. (Il “resto” è espropriazione di reddito dei poveri a favore dei ricchissimi). Perciò se prima eravamo nell’epoca del “pane e lavoro”, ora siamo in quella di “pane, lavoro e libertà”, da subito, e non “dopo”.
Diritto di manifestare, fine dell’ergastolo e no alla tortura saranno necessariamente la nuova cornice, accanto alle lotte sul lavoro e per il reddito, entro cui dovrà resistere il proletariato attuale contro la propria frammentazione e le drammatiche corporativizzazioni che possono derivarne. Sarà l’inizio di un lungo, nuovo e difficile processo storico e non il sereno suggello di un passato. Sarà il mezzo con cui costruire una grande unità oggi ancora lontana.
E non potrà essere solo una piattaforma rivendicativa: richiede ovviamente un impegno personale che vada al di là del manifestare per chiedere il diritto di manifestare.
La tendenza “totalitaria” infatti è tale perché cancella la differenza tra diritto privato e diritto pubblico. Vuole attentare alla stessa volontà dell’individuo, la vuole sostituire con la norma dell’autorità in ogni piega. Il premio ha sostituito il diritto. L’individuo non è più un “cittadino” ma un suddito o, meglio, un malato da curare da se stesso. E’ così che le aule di giustizia sono diventate un mercato (delle coscienze) attraverso nuovi riti come il “patteggiamento” e il “rito abbreviato” dove alcuni avvocati si prestano ormai a rinunciare al loro ruolo classico di difensori dell’imputato per ridursi a portaborse del pm Difficilmente la resistenza qui indicata andrà avanti se non saprà sottrarsi a questi riti e difendere invece le proprie ragioni dalla logica di mercato applicata alle idee.

Leggi anche:
L’abolizionismo: sempre di Guagliardo
Forlì, la città dei fogli di via
e tutti i link contro il FINEPENAMAI: QUI

Forlì: piovono “fogli di via”. La battaglia per l’amnistia sociale si fa sempre più urgente

27 luglio 2013 1 commento

Non so nemmeno come iniziare a scrivere queste righe, perché esistono dei meccanismi repressivi che riescono ancora ( ! ) a lasciarmi totalmente basita, a privarmi dell’uso corretto delle parole e del lessico che la mia lingua offre.
Con quali parole voi commentereste 243, duecentoquarantatre eh!, fogli di via emessi dal comune di Forlì solamente durante lo scorso anno, il 2012.
Fogli di via contro gli ultimi, gli indesiderati, ma anche e soprattutto contro chi è impegnato in lotte sociali, nella riappropriazione e valorizzazione di luoghi abbandonati, nella solidarietà ai migranti, nella lotta antifascista.
La risposta del comune di Forlì, che a quanto pare è solo il braccio burocratico della Questura e del ministero dell’Interno, è allontanare, espellere, decretare il confino per gli “indesiderati”: categoria tutta da rivalorizzare.

Per fare un esempio :
solo due occupazioni e alcune manifestazioni antifasciste nella città di Forlì venivano emessi 4 fogli di via, 3 avvisi orali, una perquisizione e 47 indagati, tra cui 4 minorenni.
Il comune di Forlì a quanto pare è in guerra, e sembra incredibilimente felice di combatterla: vuole la medaglia sul petto.

Vi allego qui sotto il racconto di un residente, che ha scritto lui stesso per raccontare quel che gli sta accadendo da qualche giorno a questa parte.
Parallelamente vi chiedo di aderire al manifesto per l’amnistia sociale: una battaglia che vuole partire proprio dalla persecuzione repressiva nei confronti di chi lotta per migliorare le proprie condizioni di vita, lavoro, casa e salute, per la libertà di movimento dei corpi, per la riappropriazione degli spazi (tutta una carrellata di reati SEMPRE esclusi dai provvedimenti di indulto o amnistia) così da allargarsi poi a tutti coloro che devono riappropriarsi della propria libertà.

A questo link trovate il manifesto e i contatti per poter aderire: LEGGI e SPAMMA

Dal sito: LaScintillaOnLine
SIAMO ALL’ASSURDO: UN FOGLIO DI VIA DA FORLI’ PER UN RESIDENTE NELLO STESSO COMUNE!

Il giorno 19 luglio, dall’Anagrafe del Comune di Forlì, ho ricevuto una comunicazione cartacea “relativa al possibile annullamento della sua dichiarazione di residenza”, poiché secondo la responsabile del procedimento  – D.ssa Noemi Masotti, che è anche la dirigente dell’Anagrafe – “la Sua presenza nel territorio del Comune di Forlì risulta essere in contrasto con il provvedimento di Divieto di Ritorno emesso dal Questore in data 13 maggio 2013”. Ovviamente si riferiscono ad un procedimento di Foglio di Via nei miei riguardi, notificatomi però solamente l’1 luglio scorso. Il comunicato si conclude invitandomi, entro 10 giorni, a presentare “elementi utili alla positiva conclusione del procedimento di iscrizione anagrafica”, ricordando che “in caso di esito negativo dell’istruttoria si procederà al ripristino della precedente posizione anagrafica ed alla segnalazione all’autorità di pubblica sicurezza”.

Ora, questo comunicato dimostra in maniera inequivocabile il grado di sudditanza psicologica e materiale dell’Anagrafe comunale ai voleri della polizia, alla faccia dei tanti bei discorsi sul servizio al cittadino. Come ai tempi del fascismo, in cui i solerti burocrati delle anagrafi italiane compilavano le liste degli ebrei da inviare ai campi di concentramento rendendosi responsabili dei massacri compiuti dai nazifascisti, anche oggi i moderni burocrati comunali si distinguono per una connivenza al limite del vergognoso con gli uffici di polizia, andando al di là dei loro compiti e ai limiti del legale.

Vi è da evidenziare che con il comunicato in cui si rende nota l’intenzione di revocarmi la residenza si tende a ribaltare il concetto per cui non è il Foglio di Via ad essere illegittimo poiché notificatomi solamente il 1 luglio quando la residenza effettiva mi è stata registrata, si badi bene, fin dal 6 giugno (quindi quasi un mese prima!) ma è la residenza stessa, incredibilmente e assurdamente, che sarebbe in contrasto con il provvedimento del Questore.
Giova ricordare che il Foglio di Via, ai sensi di legge, non può in nessun caso essere notificato a chi possiede la residenza nel comune dal quale lo si vuole allontanare. La legge che regola le misure di prevenzione, a cui il provvedimento di rimpatrio appartiene, dice infatti che il foglio di via “E‘ applicabile ai soggetti che si trovano fuori dal luogo di residenza”. E, sempre secondo legge, come ogni altro atto, la sua validità inizia a decorrere dalla notifica all’interessato e mai prima.
Con le semplificazioni normative  del D.L.5/2012 il cambio di residenza avviene in tempo reale ed è effettivo dopo soli due giorni dalla domanda di iscrizione all’Anagrafe del Comune. Ne risulta che dal 6 giugno, a tutti gli effetti, anche se in effetti vi risiedevo da diverso tempo prima, la mia dimora abituale, nella quale convivo fra l’altro con la mia compagna more uxorio, si trova in modo incontrovertibile nel territorio di Forlì, questo tra l’altro sancito anche dalla visita degli agenti della polizia municipale che hanno eseguito il controllo nelle mia abitazione di Forlì nella mattinata del 1 luglio 2013.
E’ il Foglio di via, dunque, ad essere totalmente illegittimo e non la mia dichiarazione di residenza. Oltretutto pende al Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna la richiesta di annullamento previa sospensione dell’illegittimo foglio di via emesso dal Questore.

La cosa più assurda fu che, pur essendo a conoscenza da circa un mese della mia nuova residenza, la mattinata del 1 luglio la Questura, tramite un suo responsabile, si presentò assieme ai vigili che si erano recati nella mia residenza a Forlì per eseguire il controllo che accertasse la mia residenza, nella quale circostanza l’incaricato di Questura mi notificò il Foglio di via anche se era stato appurato di fatto che io vivevo ed abitavo, come vivo e abito tuttora, in quella abitazione nel comune di Forlì, come proprio la visita dei vigili aveva ulteriormente accertato. L’operatore della Questura, una volta appurato che io risiedevo a Forlì dal 6 giugno, avrebbe dovuto astenersi dal notificarmi un atto che si connota con tutti i crismi dell’illegittimità. Vi è da rilevare la stranezza di questa operazione, che ancora una volta non può che dimostrare l’alto livello di interconnessioni tra operatori del Comune e quelli della Questura. Interconnessioni e operazioni in questo caso, come già detto, al limite del legale.

E’ palese che la dirigente dell’Anagrafe, con il comunicato indirizzatomi in cui si rende nota l’intenzione di revocarmi la residenza, non solo commette un abuso ma abbia certamente voluto rendere un favore personale alla Questura, che anche contro gli stessi riferimenti di legge evidentemente vuole che la mia persona venga allontanata dal Comune forlivese per fatti eminentemente politici, dato che nelle motivazioni del Foglio di via si parla solamente della partecipazione a manifestazioni pubbliche antifasciste e in difesa degli spazi sociali. Una repressione politica che non colpisce solo ma, dato che negli ultimi mesi sono stati emessi altri 3 fogli di via, 3 avvisi orali e ben 51 avvisi di garanzia per eventi tutti riconducibili a iniziative di carattere legittimamente politico.
Quello che gli amici della Questura della signora Noemi Masotti, responsabile del procedimento e dirigente dell’Anagrafe, però non gli hanno riferito è che il suo comportamento, se porterà alla revoca della mia residenza nel comune di Forlì, si connota come un illecito penale ovvero come “omissione di atti d’ufficio”, reato tanto più grave quando, come in questo caso, il responsabile è un dirigente dell’Anagrafe e quindi pubblico ufficiale. Senza contare i danni materiali e morali di cui la signora dovrebbe eventualmente rispondere.

In Piazzetta della Misura n. 5, sede dell’Anagrafe del Comune di Forlì, evidentemente c’è qualcuno a cui piace giocare sporco. Ma non si intende restare in silenzio rispetto a questi fatti, poiché solo dietro silenzio si perpetrano abusi e carognate come questi.

A.T.

Per chi vuole dire la sua:
Anagrafe del Comune di Forlì – Servizi Demografici
Sede: Piazzetta della Misura, 5
Fax: 0543 712348 712208
Tel: 0543 712327
Responsabile: Noemi Masotti, tel: 0543 712855
mail: servizi.demografici@comune.forli.fc.it

Un manifesto per l’amnistia sociale. NoTav, NoMuos, sindacati di base e centri sociali: aderisci anche tu!

22 luglio 2013 5 commenti

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Foto di Valentina Perniciaro _Libertà per tutt@, Genova 2002_

Negli ultimi mesi, fra alcune realtà sociali, politiche e di movimento, ma anche singoli attivisti e avvocati, è nato un dibattito sulla necessità di lanciare una campagna politica sull’amnistia sociale e per l’abrogazione di quell’insieme di norme che connotano l’intero ordinamento giuridico italiano e costituiscono un vero e proprio arsenale repressivo e autoritario dispiegato contro i movimenti più avanzati della società. Da tempo l’Osservatorio sulla repressione ha iniziato a effettuare un censimento sulle denunce penali contro militanti politici e attivisti di lotte sociali. Ora abbiamo la necessità, per costruire la campagna, di un quadro quanto più possibile completo, che porterà alla creazione di un database consultabile on-line. Ad oggi sono state censite 17 mila denunce.
Il nuovo clima di effervescenza sociale degli ultimi anni, che non ha coinvolto solo i tradizionali settori dell’attivismo politico più radicale ma anche ampie realtà popolari, ha portato a una pesante rappresaglia repressiva, come già era accaduto nei precedenti cicli di lotte. Migliaia di persone che si trovavano a combattere con la mancanza di case, la disoccupazione, l’assenza di adeguate strutture sanitarie, la decadenza della scuola, il peggioramento delle condizioni di lavoro, il saccheggio e la devastazione di interi territori in nome del profitto, sono state sottoposte a procedimenti penali o colpite da misure di polizia. Così come sono stati condannati e denunciati militanti politici che hanno partecipato alle mobilitazioni di Napoli e Genova 2001 e alle manifestazioni del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma.ù
Il conflitto sociale viene ridotto a mera questione di ordine pubblico. Cittadini e militanti che lottano contro le discariche, le basi militari, le grandi opere di ferro e di cemento, come terremotati, pastori, disoccupati, studenti, lavoratori, sindacalisti, occupanti di case, si trovano a fare i conti con pestaggi, denunce e schedature di massa. Un “dispositivo” di governo che è stato portato all’estremo con l’occupazione militare della Val di Susa. Una delle conseguenze di questa gestione dell’ordine pubblico, applicato non solo alle lotte sociali ma anche ai comportamenti devianti, è il sovraffollamento delle carceri, additate anche dalla comunità internazionale come luoghi di afflizione dove i detenuti vivono privi delle più elementari garanzie civili e umane. Ad esse si affiancano i CIE, dove sono recluse persone private della libertà e di ogni diritto solo perché senza lavoro o permesso di permanenza in quanto migranti, e gli OPG, gli ospedali di reclusione psichiatrica più volte destinati alla chiusura, che rimangono a baluardo della volontà istituzionale di esclusione totale e emarginazione dei soggetti sociali più deboli.
Sempre più spesso dunque i magistrati dalle aule dei tribunali italiani motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo che protesta: un diverso, un disadattato, un ribelle, a cui di volta in volta si applicano misure giuridiche straordinarie. Accentuando la funzione repressivo-preventiva (fogli di via, domicilio coatto, DASPO), oppure sospendendo alcuni principi di garanzia (leggi di emergenza), fino a prevederne l’annichilimento attraverso la negazione di diritti inderogabili. È ciò che alcuni giuristi denunciano come spostamento, sul piano del diritto penale, da un sistema giuridico basato sui diritti della persona a un sistema fondato prevalentemente sulla ragion di Stato. Una situazione che nella attuale crisi di legittimazione del sistema politico e di logoramento degli istituti di democrazia rappresentativa rischia di aggravarsi drasticamente.
Non è quindi un caso che dal 2001 a oggi, con l’avanzare della crisi economica e l’aumento delle lotte, si contano 11 sentenze definitive per i reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova 2001, a cui vanno aggiunte 7 persone condannate in primo grado a 6 anni di reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la stessa manifestazione altre 18 sono ora imputate ed è in corso il processo.
Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa legalità future urtando quelle presenti. Le organizzazioni della classe operaia, i movimenti sociali e i gruppi rivoluzionari hanno storicamente fatto ricorso alle campagne per l’amnistia per tutelare le proprie battaglie, salvaguardare i propri militanti, le proprie componenti sociali. Oggi sollevare il problema politico della legittimità delle lotte, anche nelle loro forme di resistenza, condurre una battaglia per la difesa e l’allargamento degli spazi di agibilità politica, può contribuire a sviluppare la solidarietà fra le varie lotte, a costruire la garanzia che possano riprodursi in futuro. Le amnistie sono un corollario del diritto di resistenza. Lanciare una campagna per l’amnistia sociale vuole dire salvaguardare l’azione collettiva e rilanciare una teoria della trasformazione, dove il conflitto, l’azione dal basso, anche nelle sue forme di rottura, di opposizione più dura, riveste una valenza positiva quale forza motrice del cambiamento.
Nel pensiero giuridico le amnistie hanno rappresentato un mezzo per affrontare gli attriti e sanare le fratture tra costituzione legale e costituzione materiale, tra la fissità e il ritardo della prima e l’instabilità e il movimento della seconda. Sono servite a ridurre la discordanza di tempi tra conservazione istituzionale e inevitabile trasformazione della società incidendo sulle politiche penali e rappresentando momenti decisivi nel processo d’aggiornamento del diritto. È stato così per oltre un secolo, ma in Italia le ultime amnistie politiche risalgono al 1968 e al 1970.
Aprire un percorso di lotta e una vertenza per l’amnistia sociale – che copra reati, denunce e condanne utilizzati per reprimere lotte sociali, manifestazioni, battaglie sui territori, scontri di piazza – e per un indulto che incida anche su altre tipologie di reato, associativi per esempio, può contribuire a mettere in discussione la legittimità dell’arsenale emergenziale e fungere da vettore per un percorso verso una amnistia generale slegata da quegli atteggiamenti compassionevoli e paternalisti che muovono le campagne delegate agli specialisti dell’assistenzialismo carcerario, all’associazionismo di settore, agli imprenditori della politica. Riportando l’attenzione dei movimenti verso l’esercizio di una critica radicale della società penale che preveda anche l’abolizione dell’ergastolo e della tortura dell’art. 41 bis.
Chiediamo a tutti e tutte i singoli, le realtà sociali e politiche l’adesione a questo manifesto, per iniziare un percorso comune per l’avvio della campagna per l’amnistia sociale.

A coloro che hanno a disposizione dati per il censimento chiediamo di compilare
la scheda che può anche essere scaricata dal sito www.osservatoriorepressione.org
Schede e adesioni vanno inviate a: osservatorio.repressione@hotmail.it oppure amnistiasociale@gmail.com

Giugno 2013

Puoi scaricare la scheda qui

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Per qualche notizia in più sulle amnistie clicca qui

Qui sotto le condivisioni pervenute fino al 20 luglio 2013

Adesioni collettive
ACAD, Associazione contro abusi in divisa onlus, Acoustic Impact, gruppo musicale, ASP (Associazione Solidarietà Proletaria), Assalti Frontali, gruppo musicale, ATTAC Italia, Azione antifascista Teramo, Banda Bassotti, gruppo musicale, BandaJorona, gruppo musicale, Baracca Sound, gruppo musicale, Blocchi Precari Metropolitani, Roma,Centro sociale 28 maggio, Rovato (BS), Coordinamento regionale dei Comitati NoMuos, Comitato Amici e Familiari Davide Rosci, Comitato di Quartiere Torbellamonaca, Roma, Comitato Piazza Carlo Giuliani-Genova, Communia, Spazio di mutuo soccorso, Roma, Confederazione COBAS, Confederazione COBAS Pisa, Confederazione COBAS Terni, Consiglio Metropolitano di Roma, CPOA Rialzo, Cosenza, CSA Depistaggio, Benevento, CSA Germinal Cimarelli, Terni, CSOA Angelina Cartella, Reggio Calabria, Ginko (Villa Ada Posse) & Shanty Band, gruppo musicale, ISM-Italia, Ital Noiz Dub System, gruppo musicale, L@p Asilo 31-Laboratorio per l’Autorganizzazione Popolare Asilo 31, Benevento, LOA Acrobax, Lavoratori Autorganizzati Ministero dell’Economia e delle Finanze, Legal Team Italia, Madri per Roma città aperta, Movimento No Tav, Occupazioni Precari Studenti OPS area Castelli romani, Osservatorio sulla repressione, Radici nel cemento, gruppo musicale, Radio Maroon, gruppo musicale, RAT-Rete Antifascista Ternana, Redgoldgreen, gruppo musicale, Rete Bresciana Antifascista, Rete 28 aprile Fiom-opposizione Cgil, Spazio Popolare Occupato S. Ermete, Pisa, Terradunione, gruppo musicale, Tribù Acustica, gruppo musicale, Unione Sindacale di Base, USB Umbria coordinamento Regionale, Wu Ming – scrittori, 99 Posse, gruppo musicale

Adesioni individuali
Alessandro Dal Lago, Alessandra Magrini (AttriceContro), Roma, Alfredo Tradardi, coordinatore ISM-Italia, Alfonso Perrotta, Roma, Andrea Bitonto, Anna Balderi, Ladispoli, Antonino Campenni, ricercatore Università della Calabria, Antonio Musella, giornalista, Napoli, Assia Petricelli, Beppe Corioni, Bianca «la Jorona» Giovannini, musicista, Carlo Bachschmidt, consulente tecnico processi G8, Carlo Pellegrino, medico chirurgo, Caterina Calia, avvocato, Roma, Cesare Antetomaso, giuristi democratici, Checchino Antonini, giornalista di Liberazione, Claudia Urzi, insegnante, Claudio Dionesalvi, insegnante, Cosimo Maio, Benevento, Cristiano Armati, scrittore, Daniele Catalano, Daniela Frascati, scrittrice, Davide Rosci, detenuto per i fatti del 15 ottobre 2011, Dario Rossi, avvocato, Genova, Daniele Sepe, musicista, Davide Steccanella, avvocato, Milano, Donatella Quattrone, blogger, Don Vitaliano Della Sala, parroco, Elena Giuliani, sorella di Carlo Giuliani, Emanuela Donat Cattin, Milano, Emidia Papi, Usb, Enrico Contenti, ISM-Italia, Ermanno Gallo, scrittore, cittadino, Erri De Luca, scrittore, Fabio Giovannini, scrittore e autore televisivo, Federico Mariani, Roma, Federico Micali, Francesca Panarese, Benevento, Francesco Barilli, coordinatore reti-invisibili.net, Francesco Caruso, ricercatore Università della Calabria, Francesco Romeo, avvocato, Roma, Franco Coppoli, Cobas Terni, Franca Gareffa, Dipartimento sociologia Università della Calabria, Franco Piperno, docente di Fisica, Università della Calabria, Fulvia Alberti, regista, Gabriella Grasso, Milano, Gigi Malabarba, Gilberto Pagani, avvocato, presidente Legal Team Italia, Giovanni Russo Spena, responsabile giustizia Prc, Giulio Bass, musicista, Giulia Inverardi, scrittrice, Giulio Laurenti, scrittore, Giuseppina Massaiu, avvocato,  Roma, Guido Lutrario, Usb Roma, Gualtiero Alunni, portavoce Comitato No Corridoio Roma-Latina, Haidi Gaggio Giuliani, Comitato Piazza Carlo Giuliani, Italo Di Sabato, Osservatorio sulla repressione, Laura Donati, Lello Voce, poeta, Lorenzo Guadagnucci, giornalista, Comitato Verità e Giustizia per Genova, Luciano  Muhlbauer, Ludovica Formoso, praticante avvocato, Roma, Luigi Fucchi, coordinamento regionale USB Umbria, Manlio Calafrocampano, musicista, Marco Arturi, Rete 20 aprile, Torino, Marco Bersani, Attac Italia, Marco Clementi, storico, Marco Rovelli, scrittore e musicista, Marco Spezia, Tecnico della sicurezza su lavoro, Sarzana (SP), Mario Battisti, Roma, Mario Pontillo, responsabile carceri Prc, Massimo Carlotto, scrittore, Mc Shark, Terradunione, musicista, Michele Baronio, attore, Michele Capuano, regista-scrittore, Michele Vollaro, storico e giornalista, Miriam Marino, scrittrice, Rete ECO, AMLRP, Nicoletta Crocella, responsabile edizioni Stelle Cadenti, Nunzio D’Erme, Paolo Caputo, ricercatore Università della Calabria, Paolo Di Vetta, Blocchi Precari Metropolitani, Paolo Persichetti, insorgenze.wordpress.com, Paolo “Pesce” Nanna, comico periferico, Paola Staccioli, Osservatorio sulla repressione, Pino Cacucci, scrittore, Rasta Blanco, musicista, Renato Rizzo, segreteria romana Unione Inquilini, Roberto Ferrucci, scrittore, Roberto Vassallo, Direttivo CGIL Milano, RSU FIOM Almaviva Milano, Rodolfo Graziani, poeta, Salvatore Palidda, Università di Genova, Sergio Bellavita, portavoce nazionale Rete 28 aprile Fiom, Sergio Bianchi, casa editrice DeriveApprodi, Serge Gaggiotti (Rossomalpelo), cantautore, Sergio Riccardi, Silvia Baraldini, Simonetta Crisci, avvocato Roma, Stefano Poloni, Milano, Tamara Bartolini, attrice, Tatiana Montella, avvocato, Tiziano Loreti, Bologna, Vincenzo Brandi, ingegnere, ISM-Italia, Valentina Perniciaro, blogger baruda.net, Valerio Evangelisti, scrittore, Bologna, Valerio Mastandrea, attore, Valerio Monteventi, Bologna, Vincenzo Miliucci, Cobas, Vittorio Agnoletto, Wsw Wufer, musicista

Carceri: accenno di rivolta a Cagliari e un appello per l’amnistia sociale! DIFFONDETELO!

10 luglio 2013 4 commenti

Un blog che continua ad avere zaino in spalla (più piccolo del pancione che mi porto dietro comunque) e che per ancora una settimana sarà dormiente e poco vigile;
un blog che proprio ora che l’Egitto necessita di esser raccontato non ha modo di farlo, di analizzare insieme, tradurre materiale, capire collettivamente: mi dispiace, ma ci voleva cavolo un po’ di pausa vera e propria dalla rete.

Quando il carcere si rivolta

Torno eh, non vi agitate 🙂

Intanto, proprio perché la terra che ora mi ospita è questa,
proprio perché anche quest’estate è iniziata con un viaggio “Liberante”, che cerca di liberare spazi almeno dal “fine pena mai” dell’ergastolo, vi allego una notizia dal carcere Buoncammino di Cagliari, a pochi chilometri da qui, dove la rivolta era nell’aria da tempo e sembra esser scoppiata, almeno nel suo accenno iniziale.

DA ARREXINI:
Da questa sera è nuovamente in fermento il carcere di Cagliari, Buoncammino, dopo la protesta di qualche settimana fa che aveva visto la stesura di una lettera firmata da numerosi detenuti e dato vita ad uno sciopero del carrello. La protesta è partita dall’ala sinistra dove i detenuti hanno deciso di barricarsi dentro le celle e bruciare suppellettili. Sono spuntati anche degli striscioni contro il sovraffollamento e le condizioni precarie del carcere, ma soprattutto contro le vessazioni che sono costretti a subire oltre alla privazione della libertà. Tra questi chi era sul posto ha potuto leggere solo la fine di uno striscione che recitava così “…e uno finisce in isolamento”, un trattamento probabilmente riservato a chi si lamenta delle condizioni in cui si vive a Buoncammino. Per tutta risposta le guardie del penitenziario hanno spento loro le luci. Le testimonianze sono state raccolte da una ventina di solidali che hanno raggiunto le mura del carcere per portare loro sostegno e capire quali erano le richieste. Questi ultimi sono poi stati fermati da agenti della DIGOS per il controllo delle le generalità. Mentre scriviamo pare che la protesta sia terminata ma e’ indubbio che le condizioni sempre più disperate dei detenuti porteranno a nuove clamorose proteste.

AMNISTIA PER I REATI SOCIALI, LIBERTA’ PER TUTTI E TUTTE

Rivolta, che per la situazione delle carceri attuali è un po’ un parolone…
Adriano Sofri scriveva poche righe, che aiutano a capire come una vera lotta di detenuti per detenuti sia oggi molto difficile senza una spinta esterna che non sia solo soldarietà di imprenditori e professionisti della compassione, proprio a causa della compagine sociale presente nelle nostre prigioni, e della dimensione di sudditanza anche chimica che vivono.

“Non ci saranno rivolte e grandi scioperi delle carceri perché il loro oggi è un popolo di vinti e di divisi, di schiacciati,
in pochissimi hanno la forza di rivendicare un diritto, fosse anche solo una branda al posto di un materasso lurido sul suolo.
Intanto chiederanno qualche goccia in più di psicofarmaco o si tagliuzzeranno le braccia o la pancia.
Non c’è da preoccuparsene dunque, per il momento”

Per questo non dobbiamo guardare al carcere come ad una realtà che può autoliberarsi ora, senza il nostro aiuto:
noi da fuori abbiamo il grande compito di occuparci di loro, di lottare per farli uscire, per fargli assumere consapevolezza della condizione di reclusione e isolamento (ripeto, anche farmacologico) che vivono.
Qui l’appello per l’AMNISTIA SOCIALE che sta girando in questi giorni e che a breve sarà lanciato in larga scala:
leggetelo e diffondetelo, perché partire dalla richiesta di un’amnistia che si occupi (per la prima volta, visto che sono i reati da sempre esclusi da ogni forma di indulto o amnistia) di reati sociali vuol dire far partire una campagna liberante per tutti i reclusi,
spesso inconsapevoli della loro stessa condizione.

Negli ultimi mesi, fra alcune realtà sociali, politiche e di movimento, ma anche singoli compagni e avvocati, è nato un dibattito sulla necessità di lanciare una campagna politica sull’amnistia sociale e per l’abrogazione del Codice Rocco. Da tempo l’Osservatorio sulla repressione ha iniziato a effettuare un censimento sulle denuncie penali contro militanti politici e attivisti di lotte sociali. Ora abbiamo la necessità, per costruire la campagna, di un quadro quanto più possibile completo, che porterà alla creazione di un database consultabile on-line. Ad oggi sono state censite 17 mila denuncie.
Il nuovo clima di effervescenza sociale degli ultimi anni, che non ha coinvolto solo i tradizionali settori dell’attivismo politico più radicale ma anche ampie realtà popolari, ha portato a una pesante rappresaglia repressiva, come già era accaduto nei precedenti cicli di lotte. Migliaia di persone che si trovavano a combattere con la mancanza di case, la disoccupazione, l’assenza di adeguate strutture sanitarie, la decadenza della scuola, il peggioramento delle condizioni di lavoro, il saccheggio e la devastazione di interi territori in nome del profitto, sono state sottoposte a procedimenti penali o colpite da misure di polizia. Così come sono stati condannati e denunciati militanti politici che hanno partecipato alle mobilitazioni di Napoli e Genova 2001 e alle manifestazioni del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma.
Il conflitto sociale viene ridotto a mera questione di ordine pubblico. Cittadini e militanti che lottano contro le discariche, le basi militari, le grandi opere di ferro e di cemento, come terremotati, pastori, disoccupati, studenti, lavoratori, sindacalisti, occupanti di case, si trovano a fare i conti con pestaggi, denuncie e schedature di massa. Un “dispositivo” di governo che è stato portato all’estremo con l’occupazione militare della Val di Susa. Una delle conseguenze di questa gestione dell’ordine pubblico, applicato non solo alle lotte sociali ma anche ai comportamenti devianti, è il sovraffollamento delle carceri, additate dalla comunità internazionale come luoghi di afflizione dove i detenuti vivono privi delle più elementari garanzie civili e umane. Ad esse si affiancano i CIE, dove sono recluse persone private della libertà e di ogni diritto solo perché senza lavoro o permesso di permanenza in quanto migranti, e gli OPG, gli ospedali di reclusione psichiatrica più volte destinati alla chiusura, che rimangono a baluardo della volontà istituzionale di esclusione totale e emarginazione dei soggetti sociali più deboli.
Sempre più spesso dunque i magistrati dalle aule dei tribunali italiani motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo che protesta: un diverso, un disadattato, un ribelle, a cui di volta in volta si applicano misure giuridiche straordinarie. Accentuando la funzione repressivo-preventiva (fogli di via, DASPO, domicilio coatto), oppure sospendendo alcuni principi di garanzia (leggi di emergenza), fino a prevederne l’annientamento attraverso la negazione di diritti inderogabili. È ciò che alcuni giuristi denunciano come spostamento, sul piano del diritto penale, da un sistema giuridico basato sui diritti della persona a un sistema fondato prevalentemente sulla ragion di Stato.
Non è quindi un caso che dal 2001 a oggi, con l’avanzare della crisi economica e l’aumento delle lotte, si contano 11 sentenze definitive per i reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova 2001, a cui vanno aggiunte 7 persone condannate in primo grado a 6 anni di reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la stessa manifestazione altre 18 sono ora imputate ed è in corso il processo.
Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa legalità future urtando quelle presenti. Le organizzazioni della classe operaia, i movimenti sociali e i gruppi rivoluzionari hanno storicamente fatto ricorso alle campagne per l’amnistia per tutelare le proprie battaglie, salvaguardare i propri militanti, le proprie componenti sociali. Oggi sollevare il problema politico della legittimità delle lotte, anche nelle loro forme di resistenza, condurre una battaglia per la difesa e l’allargamento degli spazi di agibilità politica, può contribuire a sviluppare la solidarietà fra le varie lotte, a costruire la garanzia che possano riprodursi in futuro. Le amnistie sono un corollario del diritto di resistenza. Lanciare una campagna per l’amnistia sociale vuole dire salvaguardare l’azione collettiva e rilanciare una teoria della trasformazione, dove il conflitto, l’azione dal basso, anche nelle sue forme di rottura, di opposizione più dura, riveste una valenza positiva quale forza motrice del cambiamento.
In un’ottica riformatrice le amnistie politiche sono sempre state strumenti di governo del conflitto, un mezzo per sanare gli attriti tra costituzione legale e costituzione materiale, tra le fissità e i ritardi della prima e l’instabilità e il movimento della seconda. Sono servite a ridurre la discordanza di tempi tra conservazione e cambiamento, incidendo sulle politiche penali e rappresentando passaggi decisivi nel processo d’aggiornamento della giuridicità. È stato così per oltre un secolo, ma in Italia le ultime amnistie politiche risalgono al 1968 e al 1970.
Aprire un percorso di lotta e una vertenza per l’amnistia sociale – che copra reati, denuncie e condanne utilizzati per reprimere le lotte sociali, le manifestazioni, le battaglie sui territori, gli scontri di piazza – e per un indulto che incida anche su altre tipologie di reato, associativi per esempio, può contribuire a mettere in discussione la legittimità dell’arsenale emergenziale e fungere da vettore per un percorso verso una amnistia generale slegata da quegli atteggiamenti compassionevoli e paternalisti che muovono le campagne delegate agli specialisti dell’assistenzialismo carcerario, all’associazionismo di settore, agli imprenditori della politica. Riportando l’attenzione dei movimenti verso l’esercizio di una critica radicale della società penale che preveda anche l’abolizione dell’ergastolo e della tortura dell’art. 41 bis.
Chiediamo a tutti e tutte i singoli, le realtà sociali e politiche l’adesione a questo manifesto, per iniziare un percorso comune per l’avvio della campagna per l’amnistia sociale.
A coloro che hanno a disposizione dati per il censimento chiediamo di compilare
la scheda che può anche essere scaricata dal sito www.osservatoriorepressione.org
Schede e adesioni vanno inviate a: osservatorio.repressione@hotmail.it oppure amnistiasociale@gmail.com

Giugno 2013

Puoi scaricare la scheda qui

Parte la campagna per l’amnistia sociale!

3 luglio 2013 2 commenti

Negli ultimi mesi, fra alcune realtà sociali, politiche e di movimento, ma anche singoli compagni e avvocati, è nato un dibattito sulla necessità di lanciare una campagna politica sull’amnistia sociale e per l’abrogazione del Codice Rocco. Da tempo l’Osservatorio sulla repressione ha iniziato a effettuare un censimento sulle denunce penali contro militanti politici e attivisti di lotte sociali. Ora abbiamo la necessità, per costruire la campagna, di un quadro quanto più possibile completo, che porterà alla creazione di un database consultabile on-line.
Il nuovo clima di effervescenza sociale degli ultimi anni, che non ha coinvolto solo i tradizionali settori dell’attivismo politico più radicale ma anche ampie realtà popolari, ha portato a una pesante rappresaglia repressiva, come già era accaduto nei precedenti cicli di lotte. Migliaia di persone che si trovavano a combattere con la mancanza di case, la disoccupazione, l’assenza di adeguate strutture sanitarie, la decadenza della scuola, il peggioramento delle condizioni di lavoro, il saccheggio e la devastazione di interi territori in nome del profitto, sono state sottoposte a procedimenti penali o colpite da misure di polizia. Così come sono stati condannati e denunciati militanti politici che hanno partecipato alle mobilitazioni di Napoli e Genova 2001 e alle manifestazioni del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma.
Il conflitto sociale viene ridotto a mera questione di ordine pubblico. Cittadini e militanti che lottano contro le discariche, le basi militari, le grandi opere di ferro e di cemento, come terremotati, pastori, disoccupati, studenti, lavoratori, sindacalisti, occupanti di case, si trovano a fare i conti con pestaggi, denunce e schedature di massa. Un “dispositivo” di governo che è stato portato all’estremo con l’occupazione militare della Val di Susa. Una delle conseguenze di questa gestione dell’ordine pubblico, applicato non solo alle lotte sociali ma anche ai comportamenti devianti, è il sovraffollamento delle carceri, additate dalla comunità internazionale come luoghi di afflizione dove i detenuti vivono privi delle più elementari garanzie civili e umane. Ad esse si affiancano i CIE, dove sono recluse persone private della libertà e di ogni diritto solo perché senza lavoro o permesso di permanenza in quanto migranti, e gli OPG, gli ospedali di reclusione psichiatrica più volte destinati alla chiusura, che rimangono a baluardo della volontà istituzionale di esclusione totale e emarginazione dei soggetti sociali più deboli.
Sempre più spesso dunque i magistrati dalle aule dei tribunali italiani motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo che protesta: un diverso, un disadattato, un ribelle, a cui di volta in volta si applicano misure giuridiche straordinarie. Accentuando la funzione repressivo-preventiva (DASPO, domicilio coatto), oppure sospendendo alcuni principi di garanzia (leggi di emergenza), fino a prevederne l’annientamento attraverso la negazione di diritti inderogabili. È ciò che alcuni giuristi denunciano come spostamento, sul piano del diritto penale, da un sistema giuridico basato sui diritti della persona a un sistema fondato prevalentemente sulla ragion di Stato.
Non è quindi un caso che dal 2001 a oggi, con l’avanzare della crisi economica e l’aumento delle lotte, si contano 11 sentenze definitive per i reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova 2001, a cui vanno aggiunte 7 persone condannate in primo grado a 6 anni di reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la stessa manifestazione altre 18 sono ora imputate ed è in corso il processo.
Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa legalità future urtando quelle presenti. Le organizzazioni della classe operaia, i movimenti sociali e i gruppi rivoluzionari hanno storicamente fatto ricorso alle campagne per l’amnistia per tutelare le proprie battaglie, salvaguardare i propri militanti, le proprie componenti sociali. Oggi sollevare il problema politico della legittimità delle lotte, anche nelle loro forme di resistenza, condurre una battaglia per la difesa e l’allargamento degli spazi di agibilità politica, può contribuire a sviluppare la solidarietà fra le varie lotte, a costruire la garanzia che possano riprodursi in futuro. Le amnistie sono un corollario del diritto di resistenza. Lanciare una campagna per l’amnistia sociale vuole dire salvaguardare l’azione collettiva e rilanciare una teoria della trasformazione, dove il conflitto, l’azione dal basso, anche nelle sue forme di rottura, di opposizione più dura, riveste una valenza positiva quale forza motrice del cambiamento.
In un’ottica riformatrice le amnistie politiche sono sempre state strumenti di governo del conflitto, un mezzo per sanare gli attriti tra costituzione legale e costituzione materiale, tra le fissità e i ritardi della prima e l’instabilità e il movimento della seconda. Sono servite a ridurre la discordanza di tempi tra conservazione e cambiamento, incidendo sulle politiche penali e rappresentando passaggi decisivi nel processo d’aggiornamento della giuridicità. È stato così per oltre un secolo, ma in Italia le ultime amnistie politiche risalgono al 1968 e al 1970.
Aprire un percorso di lotta e una vertenza per l’amnistia sociale – che copra reati, denunce e condanne utilizzati per reprimere le lotte sociali, le manifestazioni, le battaglie sui territori, gli scontri di piazza – e per un indulto che incida anche su altre tipologie di reato, associativi per esempio, può contribuire a mettere in discussione la legittimità dell’arsenale emergenziale e fungere da vettore per un percorso verso una amnistia generale slegata da quegli atteggiamenti compassionevoli e paternalisti che muovono le campagne delegate agli specialisti dell’assistenzialismo carcerario, all’associazionismo di settore, agli imprenditori della politica. Riportando l’attenzione dei movimenti verso l’esercizio di una critica radicale della società penale che preveda anche l’abolizione dell’ergastolo e della tortura dell’art. 41 bis.
Alleghiamo una scheda per il censimento che vi chiediamo di compilare e far circolare.
La scheda può anche essere scaricata dal sito www.osservatoriorepressione.org
Le schede vanno inviate a: osservatorio.repressione@hotmail.it
Giugno 2013

Puoi scaricare la scheda qui

Chiunque voglia dare la propria adesione, prendere parte al percorso comune per l’avvio della campagna per l’amnistia sociale può prendere contatto scrivendo a osservatorio.repressione@hotmail.it

Teramo 9 febbraio: complici e solidali

3 febbraio 2013 1 commento

9/02/2013 DA ROMA: TUTTI E TUTTE A TERAMO!
15 OTTOBRE: COMPLICI E SOLIDALI
CHE NESSUN@ RESTI SOL@
Partenza pullman ore 11.30 da piazzale del Verano
Costo del pullman: 11 euro a persona, andata e ritorno
Per informazioni e prenotazioni: 3333666713

CORTEO NAZIONALE A TERAMO SABATO 9 FEBBRAIO ALLE ORE 15.30

In seguito alle pesantissime condanne a 6 anni di reclusione e 60000 € di risarcimento inflitte, lo scorso 7 gennaio, ai 6 ragazzi accusati di essere coinvolti negli scontri avvenuti nella capitale il 15-10-11, Azione Antifascista Teramo chiama all’appello tutti i gruppi, i movimenti e i singoli individui che si riconoscono nelle lotte e che vogliono dimostrare la loro solidarietà e vicinanza con i fatti, oltre che con le parole. Sabato 9 febbraio 2013 si terrà a Teramo un corteo nazionale le cui finalità saranno:
– Esprimere la massima solidarietà a tutti i condannati, gli arrestati e gli inquisiti per i fatti del 15 ottobre 2011;
– Rispondere in maniera forte ed unitaria alla repressione che ogni giorno colpisce chi ha la forza e il coraggio di non abbassare la testa e si ribella allo Stato di cose attuale;
– Lanciare la battaglia contro il codice Rocco ed in particolare contro il reato di devastazione e saccheggio e tutte quelli leggi in forza delle quali ai singoli questori viene garantito il potere di limitare, in maniera del tutto discrezionale e priva di controllo, la libertà individuale attraverso l’emissione di fogli di via, avvisi orali e misure di prevenzione in generale.

Chiediamo a tutte le realtà e a tutti i singoli che intendano rispondere alla nostra chiamata di organizzarsi sin da oggi per raggiungere e far raggiungere Teramo nella giornata di Sabato 9 febbraio 2013, e di farsi carico di diffondere, ognuno nei rispettivi territori, questo nostro appello attraverso qualsivoglia mezzo.
Chiunque voglia dare la propria adesione formale alla manifestazione, sottoscrivere l’appello, fornire contributi ed essere aggiornato su tutto ciò che riguarderà il corteo può inviare una mail all’indirizzo:
teramo9febbraio2013 @gmail.com
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Foto di Valentina Perniciaro San Giovanni, il 15 ottobre

Verso Teramo, contro “devastazione e saccheggio”

22 gennaio 2013 Lascia un commento

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Un passo in avanti, per non essere bersagli fermi

Il 7 gennaio scorso il tribunale di Roma ha inflitto nuove pesanti condanne nei confronti di 6 persone che hanno partecipato alla manifestazione del 15 Ottobre del 2011.

I 6 imputati, accusati del reato di devastazione e saccheggio, si sono visti infliggere in I grado pene di 6 anni di reclusione: per il giudice è bastato constatare la loro presenza in alcuni momenti degli scontri con le forze dell’ordine per emettere la condanna, a prescindere che fossero state portate prove consistenti nei loro confronti.

Queste condanne fanno seguito a quelle già emesse nei mesi successivi alla manifestazione nei confronti di alcuni giovani ragazzi che, nonostante fossero imputati di reati minori, hanno visto infliggersi pene dai 2 ai 5 anni: anche in questo caso la constatazione della loro presenza in alcuni momenti è bastata per emettere la condanna.

Sempre nell’ambito della repressione di quella giornata, sono stati inoltre notificati a 25 persone (di cui alcuni già sotto processo per altri reati) gli atti di chiusura delle indagini che imputano loro il concorso, ancora una volta, per il reato di devastazione e saccheggio.

I brutti presagi che erano emersi con le condanne per il G8 di Genova 2001, diventano ora palesi: il ricorso al reato di devastazione e saccheggio è il chiaro indirizzo assunto dalla magistratura tanto per punire manifestazioni di piazza non addomesticate nei recinti del consentito quanto per scongiurare il loro ripetersi, comminando pene che siano di lezione: non è da stupirsi se il potere cerca di colpire duramente chiunque si organizzi e lotti per i propri bisogni, quando si sente minacciato e quando viene colpito, mostrando il suo volto vendicativo con tutte le armi di cui dispone.

Il reato di devastazione e saccheggio, concepito e introdotto nel codice penale Rocco sotto il regime fascista, trova in questo modo all’interno del sistema democratico tutta la sua attualità, divenendo uno strumento utile per chi governa per reprimere le forme di dissenso più radicali.

In questa situazione, non farci intimorire e continuare a lottare a testa alta per ribadire che chi devasta e saccheggia sono lo Stato ed il Capitale è quanto mai necessario.

Non lasciare soli gli imputati e muoversi per far fronte comune a questo attacco che viene rivolto a chi non si rassegna a vivere in un mondo di miseria e sfruttamento è il primo passo da compiere in maniera forte e determinata.

In vista della manifestazione lanciata a Teramo, per il 9 Febbraio, in solidarietà con i condannati del 7 Gennaio, lanciamo un’assemblea pubblica per organizzare la partecipazione alla stessa.

Giovedì 24 Gennaio, ore 18 Assemblea Pubblica all’Occupazione di Porta Pia, Corso Italia 108.

compagni e compagne

Terroristi urbani: ecco il nuovo nemico

18 ottobre 2011 12 commenti

IL VIMINALE E IL SINDACO DI ROMA ATTACCANO IL DIRITTO DI MANIFESTARE
sulle pagine di Liberazione domani,
a firma di Paolo Persichetti

Quando in Italia si manifesta un’emergenza politico-sociale è subito pronta una legge d’eccezione. Un vizio che mette radici nei lontani anni 70. Anni tabù che si ripresentano continuamente sotto forma di spettro. Chi sabato scorso ha risposto ai pericolosi caroselli della polizia in piazza san Giovanni (tre mila secondo il Viminale) è un «terrorista urbano».
Il ministro degli Interni Roberto Maroni, dopo l’invocazione venuta da Antonio Di Pietro di una nuova legge Reale (la famigerata normativa sull’ordine pubblico che dal 1975 al 1990 ha provocato 625 vittime, tra cui ben 254 morti per mano delle forze di polizia), ha subito risposto coniando una nuova tipologia criminale (in incubazione da oltre un decennio) che va ad accrescere la lunga lista dei nemici politici dello Stato. In parlamento il ministro di polizia ha spiegato che sono in cantiere una serie di misure calco dei dispositivi d’eccezione già applicati per reprimere la delinquenza negli stadi: l’arresto in flagranza differita, i Daspo anche per i cortei (in barba all’articolo 21 della costituzione), l’ennesimo specifico reato associativo per chi esercita violenza aggravata nelle manifestazioni politiche (oramai siamo quasi a quota dieci all’interno del nostro codice penale, oggi molto più repressivo del testo originale coniato dal guardasigilli del fascismo Alfredo Rocco).
L’idea cardine contenuta nel nuovo edificio legislativo d’eccezione è quella di arretrare il più possibile l’avvio del reato, e dunque l’intervento penale, sanzionando non più soltanto il fatto compiuto o il suo tentativo ma gli «atti preparatori». Nozione incerta, volutamente fumosa, assolutamente pericolosa poiché apre all’abisso del processo alle intenzioni. Giuristi come Luigi Ferrajoli dissentono profondamente: «occultare l’incapacità del governo e la cattiva gestione dell’ordine pubblico con nuove misure repressive non serve. E’ assurdo che addirittura un sindaco possa introdurre un limite alle libertà costituzionali come quella di manifestare».
Per Gianni Ferrara, «una legislazione repressiva di questo tipo è inammissibile perché in contrasto non solo con un sistema costituzionale e una civiltà risultato di secoli di lotte sociali e politiche, ma è soprattutto inutile e dannosa come lo fu a suo tempo la legge Reale». Stavolta però questa nuova emergenza giudiziaria non è calata dall’alto dei Palazzi arroccati della politica. L’invocazione di legge ed ordine è venuta dall’interno stesso della manifestazione di sabato 15 ottobre. La reazione scomposta di pezzi ampi di ceto politico, le grida avventate di personaggi e strutture navigate, che hanno recepito le violenze e gli scontri come uno spodestamento del proprio ruolo, insieme all’ambiguo protagonismo di settori crescenti di società civile legati alla multiforme galassia giustizialista, vero must culturale egemone che tiene insieme i vari pezzi di ciò che resta della sinistra, subito pronti a lanciare la rincorsa alla delazione, le dichiarazioni dei vertici del Pd, la pressione di Repubblica(che aveva tentato di mettere il cappello alla giornata di sabato amplificando la grottesca dichiarazione dell’estensore della lettera della Bce, Draghi, nella quale si chiedevano lacrime e sangue per la popolazione italiana), hanno aperto la strada alla discesa in campo di Di Pietro e alla sortita di Marroni. Un boomerang clamoroso che ha portato addirittura all’ukaze di Alemanno, il sindaco che ha sospeso per un mese l’applicazione della costituzione a Roma, vietando tutte le manifestazioni. La politica e morta e che come Valentino Parlato che, memore di altre epoche, sul manifesto di domenica aveva provato a ricordare che «nell’attuale contesto, con gli indici di disoccupazione giovanile ai vertici storici era inevitabile che ci fossero scontri con la polizia e manifestazioni di violenza […]segni dell’urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile», è rimasto solo.

 

Nel frattempo per giovedì 20 ottobre alle 17 è stato convocato un presidio in solidarietà con gli arrestati durante la manifestazione:
L’appuntamento è al Gianicolo, all’altezza dell’Anfiteatro, sopra al carcere di Regina Coeli dove son rinchiusi i fermati (uomini)

Caso Battisti: ora l’Italia si inventa l’ergastolo “virtuale”

11 settembre 2009 Lascia un commento

Dopo otto mesi di stallo il “caso Battisti” è approdato nelle aule del Supremo tribunale federale brasiliano, equivalente alla nostre Corte Costituzionale. Su richiesta del governo italiano, nove magistrati dovranno pronunciarsi per decidere se sospendere o meno l’asilo politico concesso a gennaio a Cesare Battisti, ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo condannato in contumacia all’ergastolo per quattro omicidi, dal ministro della giustizia brasiliano Tarso Gendro. Il dibattimento non ha portato alla sentenza come ci si aspettava, ma ad una richiesta di sospensione che dia il tempo di esaminare ulteriormente le carte. A data da destinarsi, quindi.battisti_processo
Cesare Battisti non era presente in aula, al contrario del rappresentante del ministero di Grazia e Giustizia Italo Ormanni e dell’ambasciatore italiano in Brasile.
Dovessimo prender per buone le parole e l’enfasi della stampa italiana, immagineremmo già Cesare Battisti su un volo per l’Italia, con solide manette ai polsi. Urlano tutti giulivi, starnazzano ad un’estradizione praticamente ottenuta quando la realtà è chiaramente diversa e rivela una partita aperta, ancora tutta da giocare. Degli undici membri originari del Supremo tribunale federale saranno solamente nove quelli a votare: Meneses Direito è infatti scomparso da pochi giorni mentre Cesar de Melo ha deciso di astenersi su questo specifico caso. Dei nove magistrati sono stati otto ad essersi già pronunciati .Quattro a favore della richiesta italiana tra cui il giudice relatore Cezar Peluso, ed altri quattro hanno difeso la concessione dello status di rifugiato politico. Marco Aurelio de Mello, l’ultimo a dichiararsi pro-asilo politico ha fatto richiesta di sospendere il processo.

amnistiaQuello che la stampa italiana tende a non sottolineare e quasi ad occultare completamente è che anche i giudici che hanno votato per l’estradizione, hanno posto delle clausole che non saranno molto facili da gestire per il governo italiano. L’Italia fino a questo momento ha recitato la parte dello spettatore rumoroso ed arrogante; senza dover muovere alcun passo è stata a guardare con polemiche dai toni medievali e dagli atteggiamenti spesso razzisti a cui ormai stanno tentando di abituarci. Ma se l’Italia dovesse vincere questa prima battaglia si troverebbe comunque non poco in difficoltà per riuscire a sottostare alle leggi internazionali.
Cezar Peluso, giudice relatore, quello che con più enfasi ha dichiarato di esser favorevole a veder tornare Battisti in Italia ha però posto come requisito minimo che l’ergastolo venga commutato ad una pena non superiore ai trent’anni, visto che in Brasile è stato abolito.

Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini è riuscito a dichiarare: “Spero che la decisione tenga conto del fatto che l’Europa è la culla dei diritti fondamentali e che se accadesse che un cittadino europeo fosse ritenuto rifugiato fuori dall’Europa significherebbe smentire che l’Europa ha una Carta dei diritti fondamentali e che ovviamente nessuno qui può essere torturato, perseguitato, né trattato indegnamente.”
Forse non è stato mai informato delle condizioni che vivono i detenuti in Italia, schiacciati da un sovraffollamento unico in Europa e dalle discriminazioni razziali ormai sancite con il nuovo pacchetto sicurezza, testo di legge che dovrebbe almeno farci stare silenziosi su come “trattiamo degnamente” le persone.

C’è una differenza di fondo tra il Brasile e questo nostro starnazzante paese:brasile_bandiera
nel rovesciare la dittatura , loro, hanno rivoluzionato anche il sistema penale, abolendo la pena di morte e l’ergastolo perché non rispettosi dei diritti umani fondamentali. E’ incostituzionale una condanna che porti scritto sopra “Fine Pena Mai”, è inconcepibile la ghigliottina legalizzata che nella nostra società appare così normale. Ma d’altronde siamo un paese che, nel rovesciare la propria dittatura, non ha sentito l’esigenza di cambiare anche il proprio codice penale: i nostri giudici sentenziano tuttora con il Codice Rocco tra le mani, non c’è altro da dire.

Commutare l’ergastolo di Battisti con una pena inferiore ai trent’anni. Come faranno? Se riuscissero ad ottenere la sua estradizione si riaprirebbero le richieste anche per tutti gli altri militanti della lotta armata italiana rifugiati per la maggior parte in Francia, di cui molti ergastolani.
Tolgono l’ergastolo a tutti?
E chi, e non sono pochissimi, tra gli ex militanti delle Brigate Rosse sta ancora scontando la pena dopo 32 anni di carcerazione? Anche i loro di ergastoli cancelliamo o continueremo a non concedergli nemmeno la condizionale?
Ministri e deputati, giudici e magistrati,  giornalisti e parolai che già cantano vittoria in attesa di brindare attorno al nuovo corpo in catene che rientra in patria, inizino a pensare come gestire questo cavillo non da poco posto dai colleghi sudamericani.

di Valentina Perniciaro (malgrado sia stato scritto Valentina Baruda eheheeh), L’altro 11 settembre 2009

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