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Posts Tagged ‘cemento’

Burgos: scontri e barricate contro le nuove speculazioni urbanistiche

11 gennaio 2014 Lascia un commento

Qui non si riesce a seguire nulla,
dopo le poche righe scritte su Amburgo che ci hanno permesso di imparare una nuova parola tedesca, gefahrengebiet, che ricorda la nostra zona rossa genovese, ma un po’ peggio; ecco, dopo quelle righe mai son riuscita a riaprire pc.

Le barricate di Burgos…

Oggi cado su Burgos, città spagnola sfiorata nell’adolescenza nomade,
che si sta ribellando, fuoco alla mano, all’ennesimo scempio urbanistico e culturale. Non riescono a capire, i padroni e i papponi del cemento, che ora le loro colate devono passare su di noi: non che a loro interessi, non che loro non vogliano proprio murarci vivi…
Eh si, intrallazzini e palazzinari di ogni dove, dalla Turchia di GeziPark alla Spagna che non vuole una nuova avenue nel quartiere di Gamonal.

Nella Spagna della crisi economica si è come al solito incrementato l’uso spropositato della “grande opera urbanistica”,
alla faccia della disoccupazione crescente, degli asili che non ci sono, dell’assenza di servizi pubblici (proprio in questi mesi hanno tagliato diverse linee di bus) , dello scempio della sanità.
Ma nella Spagna delle strade, dei marciapiedi, delle piazze questo non passa: Burgos è una città spaccata,
dove la classe dirigente, borghese e capitalista ha sposato immediatamente l’idea del cambiamento urbanistico (fossero de Susa?!) da otto milioni

Come accoglie i manifestanti, la polizia spagnola

di euro solo nella prima fase (sappiamo che poi il tutto lieviterà verso altro tipo di cifre),
alla faccia di un’intera popolazione che è scesa in strada per urlare il proprio no.

Una manifestazione pacifica contro il bulevar de la calle Vitoria, iniziata con una cacerolas e finita con scontri durati ore, vista l’immediata reazione della repressione dello stato spagnolo, che ha schierato immediatamente migliaia di poliziotti in assetto antisommossa che non hanno atteso un secondo per caricare e ricoprire di lacrimogeni tutta la zona.
Una battaglia campale durata ore ed ore, dove la polizia non ha trovato proprio campo comodo per le sue sfilate di violenza, anzi.

Il quartiere non è nuovo alle battaglie contro lo Stato: già nel 2007 c’era stata una grossa rivolta popolare contro la costruzione di un parcheggio e contro i pesanti cambiamenti della città, che non hanno portato altro che stratificazioni di precarietà, sfruttamento, tassazioni folli, gentrificazione.
Ora ci risiamo e con molta più determinazione: il resoconto di questa notte parla già di 17 arresti…vi lascio una carrellata di foto…
per seguire gli eventi su twitter usate gli hashtag #Gamonal #Burgos #NoAlBulevar e #ardeBurgos

Sull’uso delle Bales de goma leggi: 12

Solidarietà!

Stato d’eccezione carcerario, strada aperta alla speculazione

3 gennaio 2010 Lascia un commento

I responsabili del sistema penitenziario chiedono poteri speciali
di Paolo Persichetti, Liberazione 3 gennaio 2010

Il capo del Dap Franco Ionta ha chiesto lo scorso novembre l’apertura dello stato d’emergenza per le carceri. Secondo l’ex pm antiterrorismo, salito ai vertici dell’amministrazione penitenziaria nel luglio 2008, i «poteri straordinari» conferitigli all’inizio del 2009, in qualità di «commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria», non sarebbero più sufficienti per fronteggiare la gravità della situazione carceraria. In una lettera inviata a Settembrino Nebbioso, attuale capo di gabinetto del ministro della Giustizia Angelino Alfano, il massimo responsabile del carceri ha chiesto poteri speciali da «commissario delegato».
Un ampliamento delle competenze simile a quelle attribuite a Guido Bertolaso nel campo della protezione civile. Un potere d’eccezione che gli consentirebbe di aggirare le normali procedure in materia di edilizia penitenziaria prospettati, a più riprese, nel piano carceri annunciato dal governo. Ionta chiede di fare a meno delle gare pubbliche di appalto per l’attribuzione dei lavori alle ditte costruttrici e di avere in cambio la facoltà di affidare in via riservata, con modalità arbitrarie e discrezionali, i contratti per la costruzione di 47 nuovi padiglioni nei penitenziari già esistenti, e per i quali la finanziaria ha stanziato 500 milioni di euro (in buona parte presi dalla “cassa ammende”, circa 350 milioni, in precedenza utilizzati per finanziare programmi di trattamento e rieducazione che in questo modo verranno meno). Il piano indica anche la costruzione di 24 nuovi penitenziari a struttura modulare, di cui 9 «flessibili» (vale a dire carceri di “prima accoglienza” destinati a governare l’enorme flusso di ingressi/uscite rappresentato da quella fascia di persone arrestate, o detenute con pene lievi, che soggiornano in prigione per pochi giorni), da costruire nelle grandi aree metropolitane o in aree considerate “strategiche”, e di altre 7 strutture “pesanti”, a pianta architettonica tradizionale; progetti per i quali manca la copertura finanziaria.
Il project financing si è infatti arenato di fronte all’indisponibilità dei costruttori privati ad anticipare il costo dei lavori in cambio di contratti di lising poco remunerativi a breve termine. Un emendamento alla finanziaria, che consentiva la permuta di aree demaniali e delle sedi di vecchie carceri situati nei centri storici urbani, molto appetiti dagli speculatori del cemento, in cambio di nuove carceri da costruire nelle periferie, è stato fortunatamente bocciato. La richiesta del capo del Dap ha un precedente pericoloso, estremamente evocativo delle mire speculative che si nascondono dietro il piano carceri. Si tratta dei poteri speciali attribuiti nel maggio del 1977 al generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Con un decreto interministeriale ripetutamente prorogato, il responsabile dei nuclei speciali antiterrorismo venne nominato Comandante dell’ufficio di coordinamento per la sicurezza esterna degli stabilimenti penitenziari. A Dalla Chiesa fu affidato il compito di individuare i penitenziari destinati alla creazione di un nuovo circuito di massima sicurezza: le famose “carceri speciali”. In soli due giorni, con l’ausilio anche di elicotteri bimotore, vennero trasferiti sulle isole e da un capo all’altro del Paese circa 600 detenuti. Ma i poteri eccezionali conferiti al generale non si limitavano solo a questo. Dalla Chiesa aveva assunto anche competenze di intelligence che gli consentivano di entrare senza problemi all’interno degli istituti ed esercitare un forte potere gerarchico sui direttori. Nell’ambito di questi poteri d’eccezione, il Parlamento approvò, sempre nel dicembre del 1977, una legge recante «disposizioni relative a procedure eccezionali per lavori urgenti ed indifferibili negli istituti penitenziari».
Si tratta del precedente legislativo a cui si ispirano le pretese dell’attuale capo del Dap. Questa legge attribuiva al ministero della Giustizia ampi poteri discrezionali in materia di lavori pubblici e di appalti per la realizzazione di interventi che andavano ben oltre l’ordinaria manutenzione. Da quella operazione prese origine uno dei più importanti episodi di corruzione e truffa ai danni dello Stato. Scandalo scoperto nel febbraio 1988 e che travolse un ministro, il socialdemocratico Nicolazzi. La chiamata nominativa delle imprese di costruzione e l’opacizzazione dei protocolli, oltre all’avvio di un vasto programma di nuova edilizia penitenziaria basato su impressionanti colate di calcestruzzo e ferro in poco tempo divenute fatiscenti, diede origine allo scandalo delle carceri d’oro. Ogni “posto detenuto” venne a costare circa 250 milioni di lire, il prezzo di un appartamento in una grande città dell’epoca. Come allora, la banda del calcestruzzo, sponsor di questo governo, sarà il vero fruitore del piano carceri. Cemento e castigo

Mamme e bimbi in cella: tutto il mondo è paese

24 febbraio 2009 Lascia un commento

Argentina: madri detenute con i loro bambini
Immagini del carcere femminile di Los Hornos, nei pressi di La Plata, che ospita le mamme con i figli fino a 4 anni. Nel carcere sono ospiti 63 bambini, che rimarranno insieme con le loro mamme fino all’età di 4 anni. I reati di cui sono accusate le detenute sono soprattutto legati a furti, traffico di droga e omicidi. Le condizioni di vita all’interno del carcere sono durissime. Nel 2005 una detenuta morì e altre due furono ferite gravemente a seguito di una ribellione.

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Detenuti dormono sui tavoli

20 febbraio 2009 Lascia un commento

Nuoro: ristrutturazione, e i detenuti sfollati dormono sui tavoli
_La Nuova Sardegna, 19 febbraio 2009_

Celle senz’acqua calda e, in alcuni casi, senza letti, al punto da costringere i nuovi arrivati a giacigli di fortuna: tavoli, per esempio. La prima fase dello sfollamento dei detenuti da Badu e Carros a Mamone ha provocato disagi agli ospiti arrivati alla casa di reclusione all’aperto. Ieri sedici detenuti del carcere di Nuoro hanno lasciato le loro celle per lo sfollamento programmato, visto che entro breve sarà chiusa la seconda sezione dove sono ospitati 142 reclusi. La sezione dovrà essere messa norma e sottoposta a un imponente rifacimento strutturale: i detenuti sono stati lasciati a Nuoro giusto il tempo delle elezioni. Ma l’arrivo dei primi a Mamone (gli altri saranno smistati nelle diverse carceri dell’isola in base alla pena da scontare, alla provenienza geografica e alle loro condizioni di salute) ha trovato la struttura impreparata ad accoglierli. A sentire il direttore di Mamone, Gianfranco Pala, un problema che si è in gran parte risolto. “È vero che c’erano alcune cose da fare, per esempio far arrivare l’acqua calda, ma già oggi (ieri per chi legge ndr) a questo problema si è posto rimedio. Per il resto, il corpo centrale ha due sezioni, dove saranno sistemati i nuovi arrivi, una delle quali è già pronta e in grado di accogliere 53 detenuti”. Ammette, Pala, che effettivamente, tra il maltempo e i vari disguidi burocratici, non si è stati pronti ad affrontare l’arrivo degli sfollati al meglio. Secondo lui, si sarebbe però trattato di disagi minimi e comunque scongiurati in fretta. Fermo restando che per la seconda sezione bisognerà attendere almeno venti giorni prima che i lavori siano conclusi. C’è comunque da restare perplessi su come un’operazione peraltro prevista per settimane (se non mesi) fa, e rinviata soltanto per via delle elezioni, abbia comunque sofferto di ritardi nella predisposizione logistica. Mamone sapeva benissimo dell’arrivo dei detenuti: eppure si è riusciti a far dormire qualcuno in letti improvvisati. Chissà che per l’arrivo degli altri trenta attesi per questi giorni tutto sia a posto. Tra l’altro, è prevedibile che a Mamone arrivino reclusi da Macomer, dove si segnala il prossimo trasferimento, perché nella casa di lavoro all’aperto possono stare solo i detenuti che devono scontare un massimo di tre anni o chi ha un residuo pena minimo. Gli altri andranno altrove, innescando però il meccanismo a catena che si tradurrà in una sorta di girandola carceraria. E anche sul fronte degli agenti si annunciano trasferimento: quelli in servizio a Mamone ma da tempo distaccati a Nuoro stanno per essere richiamati indietro Bologna: Provincia interviene su situazione di Ipm del Pratello Ansa, 19 febbraio 2009 Sulle condizioni dell’istituto minorile di via del Pratello è stato approvato dal Consiglio provinciale di Bologna un ordine del giorno dei consiglieri Grandi (Rc), Zanotti (Sd), Torchi (Pd), Vigarani (Verdi) e Venturi (PdCi). L’odg ha ricevuto 21 voti favorevoli (Pd, Sd, Rc, PdCi, Verdi) e nove voti contrari (An-Pdl, Fi-Pdl). Il documento fa seguito all’udienza conoscitiva, del 14 gennaio, della V Commissione consiliare con la direttrice dell’Istituto penale minorile “Siciliani”, Paola Ziccone, che ha denunciato lo stato di grave abbandono in cui si trova la struttura per i fortissimi rallentamenti nel compimento dei lavori di ristrutturazione iniziati nel 2000, dovuti al ritardo dei finanziamenti. A ciò, tra l’altro, si aggiunge la segnalazione del Procuratore della Repubblica al tribunale dei minorenni dell’Emilia-Romagna sulla carenza del 60% del personale rispetto all’organico previsto. L’odg invita il Governo “a ripristinare lo stanziamento dei fondi per l’Istituto penale assegnati nel 2008; a implementare il fondo sanitario regionale al fine di garantire la necessaria copertura finanziaria alle competenze in materia di sanità penitenziaria e quindi la conseguente copertura del personale infermieristico e medico e la consulenza psichiatrica e psicologica; ad integrare il personale di sorveglianza attualmente gravemente sotto organico; a garantire che il Dipartimento di giustizia minorile assegni le risorse necessarie per affrontare immediatamente le gravi emergenze individuali e fornisca informazioni concrete e verosimili sui tempi previsti per l’ultimazione delle ristrutturazioni in corso”. Il documento invita poi l’Azienda Usl “a monitorare periodicamente la struttura; a garantire che l’imminente fase di passaggio delle competenze sanitarie dall’amministrazione penitenziaria alla Regione avvenga nel modo più efficace e rapido possibile”, e i parlamentari eletti in Emilia-Romagna ‘a farsi parte attiva presso il Parlamento e il Governo affinché si possa risolvere in tempi rapidi una situazione così preoccupante; ad adoperarsi per ottenere tutte le informazioni relative alla realizzazione dei lavori di ristrutturazione, ai loro costi e alla tempistica”. Alle istituzioni locali, infine, si chiede di “garantire la prosecuzione delle attività tuttora presenti all’interno dell’Istituto che hanno l’obiettivo di integrare l’Istituto con la Città e di dare attuazione alle finalità precipue di un istituto penale, soprattutto minorile, ovvero il recupero della persona e il suo reinserimento sociale”.

Vicino agli esclusi, tra gli esclusi … di Jean Marc Rouillan

20 gennaio 2009 Lascia un commento

Stralci di un libro che parla di carcere, che descrive il carcere minuto dopo minuto. Il libro di un prigioniero politico francese che ancora lotta per la sua libertà. Un libro per non dimenticarci mai cos’è il carcere e chi sono i carcerieri.531523-649325

Al risveglio, la prigione salta alla gola. 
Le prime sensazioni mi avvertono della sua presenza nascosta. Un angolo di muro illuminato dal chiarore dell’alba, l’odore del disinfettante, le diverse abluzioni dei congeneri, la carezza della coperta carceraria e lo scoramento indicibile. Mi penetra di colpo.
Tiranna sovrana, la “malamorte” della lebbra moderna e carceraria è qui, dentro di me. E non c’è modo di sfuggirle. Fino al più lontano e ultimo esilio, sentirò questa nausea. Non ci si abitua mai alla prigione. Più passa il tempo, più le mattine sono dolorose. Tredici anni. Più di 4750 mattine.
[…] La penultima porta è la mia. L’ingresso della mia pelle di cemento nudo, della mia conchiglia, della mia corazza. Bevo delle grandi tazze di caffè  e mi immergo. Torturo la tastiera con due dita incazzate. “Tu batti come gli sbirri”, sì, io batto con odio. Così forte che i nuovi vicini chiedono sempre cosa può essere questo ticchettio mitragliatore. […] Scrivo sentendo montare dentro di me la bomba ad orologeria di questi anni di solitudine. Ho paura di perdere la dignità, di sprofondare nella follia, di dimenticare l’etica della giusta rivolta. E action_directequesto timore oggi è tirannico.
No, non ho stile. Non ho talento per questo esercizio letterario. Scrivo perché non ho ancora trovato altro da fare per uccidere definitivamente le mie mattine in carcere. Oppure non ne ho avuto il coraggio. Scrivo perché queste mattine senza vita siano imprigionate e sprofondino nel dolore delle parole e della loro fragile architettura. 
[…]Intra-muros, si assassina per “fatalità” giuridico-amministrativa. Si elimina il non compatibile. Lo si scioglie nell’acido del tempo. Lo si fa crepare come un batterio. Siamo come quelle vecchie carpe tirate fuori dall’acqua che agonizzano per ore e ore nella cesta.
[…]In fondo alle scale, una porta blu sbarra il passaggio. E’ il limite blindato del nostro territorio. Direi quasi della nostra autonomia. […]jean-marc_rouillan
Quando in prigioniero è sotto sorveglianza, le videocamere seguono i suoi passi senza fine nei cortili dell’aria. Esse inclinano il loro muso verso l’erba quando ci si stende al sole. Da quando emergiamo dalla cella, esse ci arpionano nel loro mirino. Sulle scale. Dietro ogni cancello, ogni porta. Nei passeggi. Alla fine, ci sono più videocamere che prigionieri. Un povero diavolo si metteva sull’attenti a venti centimetri dall’obiettivo della telecamera principale del corridoio. E scandiva militarmente: “Cavia 848 a rapporto. Tutto bene, capo!”
Si interiorizza questa sorveglianza. Finisce per far parte di noi stessi. Si gioca alla normalità. Si fa “finta di niente”. Si mantiene il ruolo del detenuto modello. Si ridiventa veramente sè stessi soltanto quando si nasconde qualcosa. Non appena si riesce ad ingannare l’occhio guercio.
In questo paese, dove il buonsenso popolare sa bene che non si picchia un cane legato, altrimenti diventa cattivo, si accetta e si trova normale il fatto che qualche maniaco del manganello si accanisca su diverse migliaia di uomini incatenati.
 
 
Signor procuratore, voleva darci il tempo per capire. Ma cosa c’è da capire? Si, so bene che per lei bisognava farci entrare nel cranio: l’inutilità della resistenza, dell’illegalità, della violenza di fronte al migliore dei mondi che lei rappresentava. Ma per fare ciò, caro Procuratore, non era il caso di sprofondarci nelle sue viscere più immonde. Mi spiace dirglielo, ma il suo ragionamento è idiota. Ho il sospetto che fosse soltanto una retorica indispensabile alla miniatura della condanna amministrativa. Doveva aggiungergli corpo e stile. Eppure, se avesse voluto veramente farci riconoscere il migliore dei mondi, avrebbe dovuto spedirci sulle spiagge dove i padroni si abbronzano con tranquillità, imporci il lusso in cui si stravaccano con nobiltà. Avrebbe dovuto condannarci a gestire un portafoglio di azioni e obbligazioni, costringerci a portare la cravatta e lo Chanel per le signore, a farci portare in automobili climatizzate con autista, a pavoneggiarci nei lunch recitando le quotazioni e le futilità estremiste con cui si gargarizzano le tribù della bella società. Bisognava rinchiuderci nelle ville delle soap televisive, tra Helene in stanza e Cricri in cantina. In questa condizione, forse, avremmo potuto “capire” la futilità rivoluzionaria, sorridere alle minacce dei più poveri, alzare le spalle di fronte alle rivolte picaresche. Allora, per lassismo, per perdita del “senso comune”, avremmo bevuto fino alla feccia, fino alla cicuta, ogni vergogna, ci saremmo raddrizzati sugli speroni in nome della razza degli eredi.
Ma signor Procuratore, sulla paglia delle celle, vicino agli esclusi tra gli esclusi,  ai poveri tra i poveri, cosa potevamo “capire” che andasse nel suo senso?
Sono più di 13 anni che giro da un carcere all’altro… Ho molto disimparato.
Ho disimparato la notte. Non fa mai notte nelle vostre prigioni. Siamo sempre sotto i proiettori alogeni arancioni, come sulle autostrade belghe e nei parcheggi dei supermercati.
Ho disimparato il silenzio. La prigione non conosce silenzio. Ne esce sempre un lamento, un grido, un rumore.
Ho dimenticato l’odore del sottobosco, di quando andavamo a funghi nella foresta di Orlèans, qualche mese prima del nostro arresto.
Ho dimenticato il sibilo dei copertoni sul pavè bagnato. Il rumore dei passi la sera, tardi, sui marciapiedi.
162891186_1cc7ae677bDi sicuro, signor Presidente, in 13 anni di galera mi ha strappato alle cose più semplici. Alla vita. All’amore. Non mi ricordo neanche più dell’infinita dolcezza delle cosce di una donna.
Invece, le devo confessare che saprei ancora smontare e rimontare una Colt 45, a occhi bendati, con la stessa destrezza che le occorre per compilare il fascicolo di un povero sventurato.
Potrei far scivolare i proiettili nei tamburi con quella disinvoltura che è la sua, quando sorvola sulle pagine. 
Se la incontrassi per strada, non la riconoscerei neppure. Questo la rassicurerebbe quasi, no? Lei fa parte di quel gregge di mezzi-uomini mezzi-uniformi che mi misero le manette. E a cui ho svelato il mio buco del culo per il controllo regolamentare.
Guardi, signor Procuratore, ecco una cosa imparata in questi anni: mostrare il culo con distacco. E’ vero che nella vita di tutti i giorni, è più una cosa inconscia, una metafora. Si sporge il culo come si accende una sigaretta. Ma, in quei momenti, tutto è crudo. Si abbassano le mutande, ci si sporge in avanti, si fissa con l’occhio unico lo sguardo gendarmesco. “Tossisca!”
Ho compreso che, a mostrare così la propria intimità, non si perde nulla in dignità Alla fine, questo danneggia ancora più il sistema e coloro che lo impongono. […]Avevano bisogno di appropriarsi del corpo, di mostrare la propria autorità attraverso la fragilizzazione dell’altro, di metterlo a nudo di fronte all’uniforme. “Tossisca!”

Tratto da ODIO LA MATTINA, di Jean Marc Rouillan , ergastolano, militante di Action Directe arrestato  il 21 febbraio 1987 passerà oltre 10 anni in regime di isolamento. Qui sotto un articolo di Paolo Persichetti  (tratta dal suo blog: INSORGENZE ) di qualche mese fa, sull’annullamento della semilibertà che gli era stata concessa, dopo un’intervista ad un settimanale francese: 


Per una intervista al settimanale l’Express, sospesa la semilibertà a Jean-Marc Rouillan, co-fondatore di Action directe
di Paolo Persichetti
Liberazione 10 ottobre 2008

La sintesi di una intervista anticipata mercoledì 1 ottobre sul sito internet del settimanale L’Express è costata la sospensione della semilibertà a Jean-Marc Rouillan, cofondatore di Action directe, il gruppo armato dell’estrema sinistra francese attivo negli anni 80. La misura sospensiva emessa dal magistrato di sorveglianza è intervenuta su richiesta della procura generale di Parigi, titolare in materia di antiterrorismo, che ha domandato la revoca della misura prim’ancora che il testo integrale dell’intervista apparisse nelle edicole.
Dal 2 ottobre Rouillan è di nuovo rinchiuso nel carcere marsigliese delle Baumettes, da dove usciva ogni mattina per raggiungere il suo posto di lavoro presso la casa editrice 
Agone, in attesa che il prossimo 16 ottobre il tribunale di sorveglianza si pronunci sulla legittimità della richiesta di revoca. All’ex militante di Action directe, la cui domanda di liberazione condizionale doveva essere esaminata il prossimo dicembre, la procura contesta alcune frasi contenute nell’intervista uscita in contemporanea anche sulle pagine di Libération il 2 ottobre. L’anticipazione dell’Express ha bruciato sui tempi il quotidiano parigino che non ha mancato di sollevare una piccola polemica rilevando il carattere «un po’ delinquenziale» di chi dietro la frenetica caccia allo scoop ha innescato un artificioso caso mediatico sulla pelle di un ergastolano. Ed in effetti l’intera vicenda puzza di strumentalizzazione costruita ad arte.
Secondo la procura, Rouillan avrebbe «infranto l’obbligo di astenersi da qualsiasi tipo d’intervento pubblico relativo alle infrazioni per le quali è stato condannato». Condizione che gli era stata imposta al momento della concessione della semilibertà nel dicembre 2007, dopo aver trascorso 20 anni di reclusione tra isolamento e carceri speciali. Il suo avvocato, Jean-Louis Chalanset, contesta però questa interpretazione che considera «infondata giuridicamente». E non ha tutti i torti perché gran parte delle risposte fornite dall’ex esponente di Ad riguardano, in realtà, la sua adesione al processo costituente del Nuovo partito anticapitalista che sta raccogliendo attorno a se la galassia della sinistra sociale e antagonista francese. Ingresso di cui aveva parlato la stampa la scorsa estate dopo un incontro avuto con Olivier Besancenot, il porta parola della Lcr che da mesi svetta nei sondaggi ed ha promosso questo processo d’unificazione.screenshot_2
«Dopo 22 anni di carcere – dichiara l’ex membro di Ad – ho bisogno di parlare, di apprendere di nuovo dalle persone che hanno continuato a lottare in tutti questi anni (…) la mia adesione è una scelta individuale». Che lo scandalo suscitato dalle sue parole sia il prodotto di una manipolazione emerge chiaramente dal raffronto dei due diversi resoconti realizzati dai giornalisti che l’hanno incontrato, Michel Henry di
Libération e Gilles Rof dell’Express. Nel testo apparso su Libération vengono riportate delle affermazioni estremamente posate. Rouillan spiega come s’immagini «semplice militante di base. L’epoca dei capi è finita. Sono entrato nell’Npa per imparare dagli altri. Vorrei che dimenticassero chi sono». Ben 11 delle 20 domande riportate sull’Express insistono sulle ragioni di quest’adesione, dunque sul presente, non sul passato. Rouillan non si sottrae però a domande più difficili e spiega a Libération che seppur «assumo pienamente la responsabilità del mio percorso, non incito però alla violenza (…) se lanciassi un appello alla lotta armata commetterei un grave errore». Quando viene incalzato precisa che «il processo della lotta armata per come si è manifestato dopo il 68, nel corso di un formidabile slancio di emancipazione, non esiste più». E di fronte alle ulteriori, e a questo punto tendenziose insistenze del giornalista dell’Express, puntualizza che «quando ci si dice guevarista [il riferimento è a un’autodefinizione di Besancenot, Ndr] si può rispondere che la lotta armata è necessaria in determinati momenti storici. Si può avere un discorso teorico senza per questo fare della propaganda all’omicidio». Nel resto dell’intervista descrive sommariamente la sua concezione conflittuale della lotta politica e il senso di smarrimento di fronte ai disastrosi mutamenti della società scoperti dopo l’uscita dal carcere. Ricorda infine che degli ultimi 4 prigionieri di Ad, una di loro è morta e due sono gravemente malati, risultato dei durissimi anni di detenzione subiti.
Insomma nonostante lo sforzo di fargli dire dell’altro, Rouillan è chiaro. Tuttavia la procura e subito dietro i commentatori della stampa di destra come di sinistra, la presidente di Sos-attentats, un’associazione di vittime del terrorismo, hanno duramente stigmatizzato le sue parole denunciando l’assenza di rimorsi, la mancanza di una richiesta di perdono, intimando a Besancenot di liberarsi di una presenza ingombrante, equivoca, «ripugnante».
Eppure se ci si sofferma qualche istante sull’intervista, ci si accorge che Rouillan non ha fatto altro che attenersi alle prescrizioni del magistrato: «Non ho il diritto di esprimermi sull’argomento… – dice – ma il fatto che non mi esprima è già una risposta. È evidente che se mi pentissi del passato potrei esprimermi liberamente. Ma attraverso quest’obbligo al silenzio s’impedisce alla nostra esperienza di tirare un vero bilancio critico».
Il direttore della redazione dell’
Express, Christophe Barbier, alla notizia dell’intervento della procura ha reagito spiegando che se il bilancio di Action directe è «indifendibile», Rouillan è comunque «un cittadino che continua a pagare il suo debito con la società» e ha «diritto alla libertà di espressione». Gilles Rof, il giornalista freelanceche ha ceduto il suo pezzo all’Express, si è detto «scioccato» dalla reazione della magistratura e dal cortocircuito mediatico che ha deformato le affermazioni di Rouillan, rivelando che questi per ben due volte in passato aveva rifiutato l’intervista per alla fine accettare a condizione di rileggerne il testo prima della pubblicazione. «Non ha mai detto che non esprimeva rimorso per l’uccisione di Georges Besse [il presidente-direttore generale della Renault ucciso nel 1986, Ndr]. Anzi ha riscritto con cura la risposta per dire che non aveva il “diritto di esprimersi” non che non poteva esprimersi». Benché non avesse concordato domande sui fatti oggetto della condanna, Rof sostiene che evitare l’argomento avrebbe posto una questione di credibilità all’intervista.
Niente di quanto abbia fatto Rouillan durante la semilibertà, o detto nell’intervista, risulta reprensibile. Tra i requisiti previsti dalla legge francese non vi è alcun obbligo di
regret, ovvero d’esprimere ravvedimento. Le condizioni poste riguardano invece la verifica della cessata pericolosità sociale e gli obblighi civili di risarcimento. In realtà Rouillan quando sottolinea che il silenzio imposto sui fatti sanzionati dalla legge impedisce la possibilità di una vera rielaborazione critica e pubblica del proprio percorso, mette il dito nella piaga. Sono gli ostacoli frapposti al lavoro di storicizzazione, che presuppone un dibattito pubblico senza esclusioni e preclusioni, che impediscono il processo di oltrepassamento relegando un periodo storico negli antri angusti dei tabù sacralizzati, dell’indicibile se non nella forma dell’esorcismo che ha solo due forme espressive: l’anatema o il pentimento. Qualcosa di simile sta accadendo anche in Italia, dove il paradigma del complotto che ha imperversato per due decenni è stato soppiantato dalla demonizzazione pura e semplice. Così oggi Rouillan rischia di essere ricacciato negli inferi del fine pena mai sulla base di una mancata abiura. Delitto teologico che già ha fatto parlare alcuni di «reato d’opinione reinventato» (Daniel Schneiderman su Libération del 6 ottobre).n1606848852_48703_3997
Questo intervento della magistratura sembra dare voce al dissenso di una parte degli apparati, e probabilmente di una parte dello stesso ministero della Giustizia, verso la politica messa in campo nei confronti dei residui penali dei conflitti politico-sociali degli anni 70-80. Infatti, dopo una iniziale politica di segno opposto, Nicolas Sarkozy è sembrato rendersi conto – forse anche sulla scia della vicenda Petrella – dell’utilità che poteva rappresentare la chiusura degli «anni di piombo». Sono altre le emergenze che preoccupano il presidente francese. Le nuove politiche sicuritarie si indirizzano altrove: migranti, banlieues, integralismo islamico. I residui penali del novecento rappresentano una zavorra anche per la visibilità sociale dei vecchi militanti incarcerati, sostenuti da una parte della società civile che ne chiede da tempo la scarcerazione. Così il 17 luglio scorso è stata concessa la liberazione condizionale a Nathalie Ménigon, anche lei membro di Action directe e con diversi ergastoli, in semilibertà da un anno. Prima di lei, Joëlle Aubrun, arrestata nel 1987 con Rouillan, Ménigon e Georges Cipriani, aveva ottenuto negli ultimi mesi di vita la sospensione della pena a causa delle gravi condizioni di salute.6aa632
Nel quadro delle prescrizioni indicate dalla nuova legge sulla «retenzione di sicurezza» (vedi 
Queer del 13 luglio 2008), Georges Ibrahim Abdallah, Régis Schleicher, Georges Cipriani, Max Frérot, Emile Ballandras, tutti prigionieri politici con oltre 20 anni di carcere sulle spalle, sono stati concentrati nell’istituto penitenziario di Fresnes, nella periferia sud di Parigi, dove è presente il centro d’osservazione nazionale incaricato di valutare la pericolosità sociale dei detenuti prima che questi vengano ammessi al regime in prova della semilibertà e successivamente in libertà condizionale.

A questo punto la decisione che dovrà prendere la magistratura di sorveglianza il prossimo 16 ottobre non investe solo la sorte di Rouillan, ma il destino dell’intera “soluzione politica”. Intanto oggi e domani si tiene a Parigi un convegno di studi organizzato da uno degli istituti universitari più prestigiosi, la grande école di science po, sostenuto dall’istituto culturale italiano, il comune di Parigi, dedicato a «L’Italia degli anni di piombo: il terrorismo tra storia e memoria». Che sia utile a far riflettere i giudici? 

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