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Vite di donne non conformi nell’Europa nazifascista
Veramente interessante quest’articolo!
Lo rigiro sul blog perché è stata una lettura veramente entusiasmante, di cose per lo più ignorate. La recensione di un libro di raccolte di saggi che va letto, va decisamente letto, soprattutto per l’interessantissima parte che parla della prigionia, del lesbismo, dalla lesbofobia e dell’antinazismo.
Ne voglio sapere di più!
“R/esistenze lesbiche” vite non conformi nella bufera nazifascista
In libreria, raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder, Vincenza Scuderi
di Carla Cotti, 18 settembre 2010, Liberazione
All’avvento del Terzo Reich, K. vive già da anni con una compagna. Cominciano i guai. Alla padrona di casa chiedono se sa qualcosa sulla sua vita intima. Il caporedattore le ingiunge di sposarsi, pena la perdita del lavoro. K. decide una soluzione di copertura: con la compagna, si metterà a vivere insieme a una coppia gay. I quattro affittano un grande appartamento. Ma non basta. Il portiere-spia del partito non è convinto: «Non potete certo vivere more uxorio, non è gradito al Führer». Unica via di scampo: due matrimoni eterosessuali.
1938. Il questore di Roma chiede all’apposita Commissione provinciale il confino per Agata: «…la prostituta F. Agata in oggetto essendo affetta da una gravissima forma di ninfomania, è dedita a rapporti lesbici con altre prostitute e sottopone, a quanto sembra, a esosi sfruttamenti quelle pervertite sessuali che con essa hanno rapporti». Per Agata scattano tre anni di confino, in provincia di Nuoro.
Rosa Jochmann, nata a Vienna nel 1901, operaia, sindacalista, segretaria della sezione femminile e componente della direzione del Partito socialista austriaco, poi in clandestinità con il gruppo dei socialisti rivoluzionari, nel 1940 viene deportata (con l’annotazione “Ritorno indesiderato”) a Ravensbrück. Liberata nel 1945, entrerà in Parlamento, sarà presidente della sezione femminile del Partito socialdemocratico e infaticabile testimone degli orrori nazisti.
Ma nel 1949 una compagna di prigionia scrive al presidente della Repubblica Leopold Figl, denunciando che a Ravensbrück Rosa era nota come Mutti (mamma) e aveva una compagna soprannominata Vati (papà), che Vati aveva insidiato sua figlia provocando scenate di gelosia da parte di Rosa, che Rosa e il suo seguito lesbico rendevano la vita difficile alle altre prigioniere e godevano di privilegi per esempio sulle razioni alimentari, che Rosa si era presa cura delle prigioniere più giovani al solo scopo di sedurle. Rosa si difenderà disperatamente da queste accuse, scrivendo a sua volta al Presidente della Repubblica e chiedendo ad altre reduci di Ravensbrück di prendere posizione a suo favore: ripeterà che il sospetto di lesbismo al campo colpiva tutte le amicizie, che non ha mai sentito il soprannome Vati, che non può sopportare la calunnia di aver abusato di bambine, mentre i discorsi sul lesbismo non le interessano, la «lasciano indifferente».
Sono solo tre delle storie citate nella raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi R/esistenze lesbiche nell’Europa nazifascista in libreria per l’editrice Ombre corte di Verona (pp. 190, euro 19).
Cosa sappiamo dell’esperienza delle lesbiche europee negli anni Venti e Trenta? Molto poco, almeno in Italia. Gli studi sul tema sono stati aperti, per quanto riguarda il nostro Paese, da Fuori della norma. Storie lesbiche nell’Italia della prima metà del Novecento, a cura di Nerina Milletti e Luisa Passerini, uscito per Rosenberg & Sellier solo nel 2007. Tra le cause di questo vuoto, la reticenza della storiografia, anche quella femminista, come evidenzia Paola Guazzo nel suo contributo – l’unico dedicato al nostro paese – “Al ‘confino’ della norma”. Da qui l’importanza di questo progetto collettivo, che ha lanciato le sue reti in giro per il continente, per poi tradurre e presentare saggi editi e inediti di ricercatrici di area austro-tedesca, francese e spagnola, e ne ha prodotti di originali. I contatti avviati con studiose ungheresi, polacche ed ex jugoslave non hanno prodotto per ora lavori sulla realtà di quei paesi, così come non è stato possibile trovare traccia di lesbiche combattenti in unità partigiane, ma scrivono le curatrici, «restiamo convinte che questo non significa che non siano esistite».
In rapida carrellata, il volume illustra l’esperienza delle lesbiche tedesche dall’impero alla fine della seconda guerra mondiale (Claudia Schoppmann), la loro situazione sotto il nazismo (Ilse Kokula, saggio del ’92, uno dei «testi pionieri» sul tema), l’opzione dell’esilio (Vincenza Scuderi) e un caso emblematico di persecuzione politica (Ines Rieder sulla figura di Mopsa Sternheim), la vita lesbica in Austria tra gli anni Venti e i Trenta (di nuovo Rieder), quella nell’Italia fascista (Guazzo, già citata) e l’immagine del lesbismo tra le internate: a Ravensbrück, vista soprattutto con gli occhi delle prigioniere politiche francesi (Marie-Jo Bonnet, parte di uno studio più ampio sulla solidarietà nei campi, che affronterà anche Auschwitz-Birkenau), e nelle carceri franchiste, con gli occhi delle prigioniere politiche spagnole (Raquel Osborne).
Primo impegno del lavoro, ovviamente, quello di ricostruire e informare: modalità della repressione e forme possibili di interstiziale libertà delle lesbiche nei diversi paesi e situazioni non sono certo argomenti che, almeno in Italia, si studino a scuola. Rendere patrimonio comune la semplice nozione che l’olocausto riguardò, oltre gli ebrei e i “politici”, anche rom e omosessuali è già un processo faticoso: ma quante/i sanno che i “triangoli rosa” che condannarono i gay riguardarono assai poco le lesbiche, molto spesso deportate, torturate e uccise con la stella gialla (tante erano anche ebree) o nero (riservato agli “asociali”)?
Ma la raccolta è percorsa anche da un secondo impegno, dichiarato da Guazzo: quello di affrontare le “zone grigie”. Scrive Guazzo: «Il nostro libro, in particolare nell’intervento di Marie-Jo Bonnet, affronta alcune pratiche di complicità attuate da lesbiche verso il potere nazifascista nella situazione limite del lager. Mi sembra importante che, in linea con i più recenti esiti della ricerca europea, anche in Italia cominci a esprimersi una storia lesbica non limitata da zone grigie di silenzio. Se alcune biografie contraddicono in parte o completamente quella che forse è una residua “mitologia dell’oppressa” non per questo ha senso che queste siano cancellate dalla memoria o coperte di omissis».
Ecco allora l’enigma delle julot di Ravensbrück, figure assai poco chiare di prigioniere stigmatizzate e temute dalle altre: per il loro lesbismo, ma anche per i privilegi alimentari e vestimentari guadagnati con la prostituzione e la disonestà e concessi ad altre internate pare in cambio di favori sessuali, e per il loro status di kapo. La definizione è usata dalle sopravvissute francesi, tutte prigioniere politiche, e si applica a tedesche in larga parte prigioniere comuni, intrecciando lesbofobia e antinazismo. Un fenomeno paragonabile a quello che si registra, in maniera più chiara ed eclatante, tra le prigioniere politiche nelle carceri franchiste: per sopravvivere a decenni di reclusione le repubblicane, e in particolare le comuniste, concepiscono e applicano una disciplina sessuale ferrea, che esclude drasticamente in quanto forma di debolezza, e quindi di vulnerabilità di fronte agli aguzzini, l’esperienza lesbica (come anche l’autoerotismo). La prigioniere che si macchiano di queste trasgressioni alla morale collettiva vengono radiate dalle attività di studio e elaborazione politica comune che sono la principale fonte di resistenza delle prigioniere e definitivamente espulse dalla cellula di partito.
Esperienza di repressione e autorepressione del lesbismo da parte di militanti antifasciste che paradossalmente mutua e rinforza quella del regime che combattevano. Un allineamento tragico, che più tardi qualcuna di queste “monache rosse” almeno in parte rimpiangerà: «Voglio dire che abbiamo voluto essere pure, pure, pure, però oggi ti deprime pensare che la cosa più umana sarebbe stata quella di non essere tanto rigide (…) Perché oggi è una cosa che si giustifica, che si difende, il fatto dell’omosessualità, ma noi allora lottavamo ferocemente contro questo (…). Nonostante ciò, continuo a credere che fosse abbastanza giusto».
Ecco, basterebbe il cono di luce acceso su realtà oscure come queste per giustificare R/esistenze lesbiche e augurarsi che l’esplorazione iniziata prosegua e si allarghi a raggiera. Tanto più che, come scrivono le autrici, “«a barra posta su r/esistenze indica che per le lesbiche la stessa esistenza può essere considerata una forma di resistenza (all’eterosessualità obbligatoria, alla cancellazione di sé e delle proprie passioni), vieppiù in periodi di forzata “normalizzazione” di tutte le donne come furono quelli dei fascismi europei del novecento. Trovare tracce di chi è “semplicemente” esistita è un lavoro difficoltoso tanto quanto lo è scrivere la storia di chi ha resistito».
NO VAT 2010: Autodeterminazione laicità antifascismo antirazzismo liberazione
Il 13 Febbraio 2010 per il quinto anno scendiamo ancora in piazza contro il Vaticano per denunciarne l’invadenza nella politica italiana: è infatti uno degli attori che agiscono nelle complesse dinamiche di potere sottese a un sistema autoritario e repressivo.
L’11 febbraio 1929 i Patti Lateranensi sancivano la saldatura tra Vaticano e regime fascista, oggi le destre agitano il crocefisso per legittimare un ordine morale in linea con l’integralismo delle gerarchie vaticane, lo strumentalizzano per costruire un’identità nazionale razzista e una declinazione della cittadinanza eterosessista e familista.
Da una parte le destre criminalizzano immigrate ed immigrati, istigano a una vera “caccia all’uomo”, li/le rappresentano come la concorrenza nell’accesso alle risorse pubbliche mentre nessuno affronta il problema di un welfare smantellato e comunque disegnato su un modello sociale che non c’è più. D’altra parte la chiesa cattolica legittima esclusivamente questo modello di società, basato sulla famiglia eterosessuale tradizionale, sulla divisione dei ruoli sessuali, dove un genere è subordinato all’altro e lesbiche, gay e trans non hanno alcun diritto di cittadinanza.
Su un altro fronte, destra moderata e sinistra riformista attuano il tentativo di procedere ad un’assimilazione selettiva dei soggetti minoritari sulla base della disponibilità espressa a offrirsi docilmente a legittimare discorsi razzisti, eterosessisti e repressivi. E’ prevista l’inclusione solo di quelle soggettività che non mettono in discussione il potere: c’è un piccolo posto anche per gay, lesbiche e trans e per altre figure della diversità, purché confermino l’ordine razzista, sessista e repressivo.
In questo quadro, nel movimento lgbtq, abbiamo assistito alla comparsa di “nuovi” soggetti che ne usano le parole d’ordine per produrre un ribaltamento della realtà: a protezione delle soggettività supposte deboli pongono i loro carnefici. Chi legittima questi “nuovi” soggetti, contribuisce a produrre un ulteriore spostamento a destra, a normalizzare la presenza delle destre radicali nel dibattito pubblico.
Fuori da queste lotte interne al potere, dobbiamo constatare la diffusa e asfissiante presenza di un’etica cattolica, un modello di politica che propone come uniche alternative di “rinnovamento” il moralismo e il giustizialismo. Sappiamo che se oggi il Vaticano appare meno interventista è solo perché non ne ha bisogno: già nel nostro paese possiede il monopolio dell’”etica” che abbraccia indistintamente governo e opposizione parlamentare che fanno a gara – come sempre – ad inginocchiarsi all’altare del giustizialismo e del buonismo ipocrita.
Respingiamo il tentativo di espropriare anche i movimenti di lesbiche, gay, trans e femministe, di categorie fondamentali quali l’antifascismo, altrimenti l’ambiguità politica finirebbe per rendere le nostre soggettività complici di quest’ordine morale e politico che concede una legittimazione vittimizzante e minoritaria in cambio dell’assuefazione alla repressione.
Contrastiamo questo potere che, dove non addomestica, reprime e, attraverso l’ordine morale vaticano, assume dispositivi di disciplinamento e controllo sociale che negano qualunque tipo di autodeterminazione: l’autodeterminazione sociale ed economica dei e delle migranti, l’autodeterminazione dei corpi e degli stili di vita di donne, gay, lesbiche e trans, ogni percorso di autorganizzazione, di dissenso e di conflitto.
Denunciamo che quando il processo di addomesticamento non si compie viene utilizzato il carcere, il CIE (centri di identificazione ed espulsione), la repressione, la paura, la noia, la solitudine, l’intimidazione e la criminalizzazione per neutralizzare gli elementi di dissenso non previsti e non gestibili: migranti, movimenti, studenti, lavoratori e lavoratrici, disoccupati/e.
Riaffermiamo che antirazzismo, antifascismo, antisessismo sono lotte, necessarie l’una all’altra, da condurre anche contro l’uso strumentale delle libertà di donne e lgbt per rafforzare e legittimare un modello razzista.
Portiamo in piazza i nostri percorsi di autodeterminazione nell’acutizzarsi della crisi economica e dello smantellamento dello stato sociale – in particolare della scuola e dell’università – che tanto spazio lascia alle imprese private e confessionali.
Riaffermiamo le diversità e le differenze sociali, sessuali, culturali, contro l’identità nazionale razzista e eterosessista che ci vogliono imporre e contro l’ordine morale vaticano.
Portiamo in piazza i nostri percorsi di liberazione per ribadire la nostra volontà di agire nello spazio pubblico per produrre trasformazione sociale e culturale.
ROMA – sabato 13 febbraio 2010
Manifestazione Nazionale NO VAT
Autodeterminazione laicità antifascismo antirazzismo liberazione
http://www.facciamobreccia.org
per adesioni: adesioni@facciamobreccia.org
Sgomberi in Via dei Volsci, giovedi mattina tutt@ a difendere le sedi!
È la stanza di tutte noi.
È la sede da cui siamo partite per tante manifestazioni femministe e lesbiche.
È il luogo dove immaginiamo e costruiamo un mondo senza la violenza degli uomini sulle donne.
È lo spazio collettivo che tutte noi vogliamo difendere.
La Sede al numero civico 22 di via dei Volsci a Roma fa parte della grande occupazione politica e abitativa di via dei Volsci del 1977.
Nel 1989 la Sede del 22 è diventata femminista!
In tutti questi anni la Sede del 22 è sempre stata vissuta e attiva.
Da 20 anni usiamo la Sede del 22 per intrecciare percorsi di lotta contro la violenza sulle donne, per organizzare mobilitazioni e incontri nazionali, per sviluppare percorsi politici e culturali femministi e lesbici.
La Sede del 22 è il luogo di donne che ospita e quindi rende possibile pratiche e pensieri di liberazione collettiva per tutte noi.
Dopo anni di tentativi di sgombero e tentativi di vendite all’asta delle sedi politiche di via dei Volsci, è stato notificato lo sgombero per la nostra Sede del 22 e per quella del numero 26.
La Sede è di proprietà di una società immobiliare fallita che a sua volta l’aveva comperata da un altro fallimento immobiliare. Questa catena di speculazioni si ripete da vent’anni, in una città in mano a costruttori senza scrupoli e palazzinari.
Lo sgombero della Sede del 22 è previsto per il 21 gennaio 2010.
Denunciamo questo tentativo inaccettabile di rimozione e chiusura di uno dei pochissimi spazi politici per donne e lesbiche a Roma.
Difendiamo la Sede del 22 come spazio separato vitale per la nostra autonomia di pensiero e di autodeterminazione.
L’esperienza dei Collettivi, dei Centri antiviolenza e delle Case delle donne testimoniano le centralità degli spazi fisici nei percorsi di liberazione delle donne e delle lesbiche.
Sosteniamo questo luogo liberato dall’ingerenza patriarcale, da costrizioni monetarie, controllo politico, e fondamentale per la costruzione di percorsi di lotta contro l’oppressione di genere e contro la violenza sulle donne.
Per difendere questo spazio, la Sede del 22, chiamiamo tutte le donne, femministe e lesbiche:
21 Gennaio 2010 – mattina: COLAZIONE AL 22
Le compagne femministe e lesbiche del 22
La polizia italiana nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne…le manganella!
Su Indymedia ci sono diverse pagine ormai che parlano di quello che è accaduto a Milano.
Insomma io riesco poco a commentare , perchè che cosa ci dobbiamo raccontare?? Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, un presidio di
donne, di femministe e lesbiche, migranti e non, è stato caricato e picchiato: il messaggio è arrivato più che chiaro.
Prendo da Femminismo a Sud questo resoconto, visto che riporta anche il volantino che le compagne stavano distribuendo, volantino che, insieme al comportamento avuto dalla polizia in piazza, è più che emblematico.
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Dalla lista antirazzista milanese riceviamo e giriamo: “Inviamo questa nota urgente per informare tutti che è in corso una pesante carica della polizia contro il presidio organizzato a Milano in occasione della giornata nazionale contro la/e violenza/e sulle donne. Non c’è modo allo stato attuale di restituire l’esatta dinamica degli avvenimenti. Ma è certo che si trattava di un presidio pubblico di contro-informazione e sensibilizzazione su quanto accade, in particolare all’interno dei CIE con un riferimento esplicito alle ultime proteste-rivolte e alle denunce delle donne immigrate contro il responsabile del CIE, Vittorio Addesso. La carica è di per sè un segnale allarmante ed inquietante del clima poliziesco che punta a zittire ogni forma di lotta, protesta e finanche contro-informazione.Saremo più precisi nelle prossime ore sugli avvenimenti e sulle sue conseguenze. […]”
E menomale che era la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Le cariche della polizia cosa sono? Carezze? Alla faccia della “sicurezza” in difesa delle donne…
L’appuntamento per il presidio indetto da femministe e lesbiche e tenuto contemporaneamente in altre città italiane era stabilito sulla frase “Noi non siamo complici”. Da quello che sappiamo la polizia ha caricato violentemente a più riprese il presidio di donne dopo che le donne si sono rifiutate di chiudere lo striscione su cui c’è scritto “In Corelli la polizia stupra”. Ci sono un po’ di contus* e due ferit* gravemente alla testa. Al presidio in Cadorna (organizzato Mai state zitte, Vespe, le donne di Conchetta, alcune del comitato antirazzista…) erano presenti circa settanta persone, non di più, quasi tutte donne, appunto. Causa scatenante sembra essere stato lo striscione, come riportato. E poi il problema è stato il megafono, perché la seconda carica è partita perché le donne megafonavano contro la polizia, denunciando alla gente che passava (e chiedeva) quello che era successo.
Questo il testo del volantino diffuso oggi a Milano alle 18.30 in piazzale cadorna:
25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne
Care signore e signorine,
tutte saprete che il problema della violenza sulle donne è di impellente attualità e si articola sotto svariate forme, dalla più cruenta alla più sottile e quotidiana.
Tutte avrete letto i dati ISTAT e scoperto che la maggior parte delle violenze si consuma tra le mura domestiche e viene compiuta da uomini italiani.
Tutte, una volta nella vita, vi sarete interrogate sull’influenza dell’immagine mediatica su ognuna di noi e sulle vostre bambine, scoprendo quanto il nostro corpo venga sfruttato e mercificato.
Tutte avrete affermato che non basta il 25 novembre, sarete uscite dal silenzio, urlando che è proprio questo a legittimare i sprusi.
Tutte, in questa giornata, avrete chiesto a gran voce più sicurezza, per poter essere libere di agire, senza dipendere dalla paura.
Tante di voi avranno cantato vittoria quando è stato approvato il decreto anti stupri, perchè facilita la denuncia da parte di ogni donna: dovrà essere creduta e, solo in un secondo tempo, smentita. Vittoria!
Oppure quando è stato approvato il pacchetto sicurezza, sono stati messi i militari a pattugliare le strade, hanno approvato le ronde cittadine, hanno aumentato a sei mesi il tempo di permanenza all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione(CIE). Vittoria?
Eppure alcune non erano d’accordo ed hanno gridato che, in nostro nome, lo stato sdoganava una politica di razzismo e repressione passando senza scrupoli sui nostri corpi, altro che tutela delle sue donne!
Care signore, signorine, ora vi raccontiamo ciò che vi ostinate a non conoscere, rendendovi complici.
Vi ricordate i CIE, quei luoghi nei quali, anche per proteggerci, hanno rinchiuso per sei mesi immigrati ed immigrate, rei di non avere il permesso di soggiorno, grazie all’approvazione del pacchetto sicurezza?
Vi ricordate che, anche a Milano ne esiste uno? (Per chi fosse un po’smemorata e non si orientasse un gran che ricordiamo che si trova in via corelli. )
Ebbene, in questi luoghi vengono rinchiuse anche delle donne. Donne che conoscete: spesso lavorano nelle vostre case, accompagnano i figli nella stessa scuola dei vostri, o magari battono sotto le vostre finestre. Sono accomunate dal reato di non possedere il permesso di soggiorno.
Solitamente, dopo un controllo dei documenti(che non hanno) vengono prelevate dalla polizia e rinchiuse nelle gabbie di qualche Cie. Sono quelle che, d’un tratto, spariscono.
E che vita conducono le donne nei CIE? Questa non la ricordate proprio mai: violenze, soprusi, stupri, botte e minacce.
C’è il caso di Joy ed Hellen, che quest’estate hanno respinto il tentato stupro compiuto proprio dall’ispettore capo nel CIE di via Corelli,Vittorio Addesso, il quale poi, in occasione di una rivolta, le ha arrestate e picchiate, insieme alle altre. Joy ed Hellen hanno denunciato la violenza: Massimo Chiodini, responsabile crocerossa nel CIE, ha coperto Vittorio Addesso e la PM ha chiesto di mettere agli atti le loro dichiarazioni per poter procedere ad una denuncia per calunnia. La giudice ha accolto la richiesta.
E poi c’è Daniela, tuttora rinchiusa nel centro di Corelli: l’ispettore capo Vittorio Addesso, finchè lei non cederà alle sue richieste, la terrà per tutto il tempo che gli è consentito. Daniela, qualche settimana fa, per farsi rilasciare ha tentato di darsi fuoco.
E ce ne sono altre, signore e signorine. Le loro storie non sono giunte fino alle vostre orecchie? Non vi siete mai occupate di loro. Il vostro silenzio si è fatto complicità.
Eppure, tutto questo avviene in nostro nome, questo lo sapevate. Vi siete dimenticate che a uomini come Vittorio Addesso abbiamo delegato la nostra difesa: polizia, carabinieri, soldati. Lo Stato.
Ora lo sapete, signore e signorine. Non ci sono scuse: d’ora in avanti la vostra indifferenza sarà complicità. Scegliete da che parte stare.
25/11 Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: TUTT@ DAVANTI AI C.I.E.
NELLA TUA CITTÀ C’È UN LAGER
È IL CIE (centro di identificazione ed espulsione) DI PONTE GALERIA
SIAMO TUTTE CON JOY
LA DONNA CHE HA DENUNCIATO IL TENTATIVO DI STUPRO
DA PARTE DEL SUO CARCERIERE NEL CIE DI MILANO
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UNA VIOLENZA LEGALIZZATA
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UNA LEGGE RAZZISTA FATTA IN NOME DELLE DONNE
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UN SISTEMA CHE CONSIDERA LE PERSONE IMMIGRATE COME DEI CRIMINALI SOLO PERCHÉ NON HANNO I DOCUMENTI
NON C’È RISPOSTA ALLA VIOLENZA CHE NON SIA AUTODETERMINAZIONE:
L’AUTODETERMINAZIONE DI UNA È L’AUTODETERMINAZIONE DI TUTTE
MERCOLEDÌ 25 NOVEMBRE 2009
GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
PRESIDIO ITINERANTE DI DONNE,
FEMMINISTE E LESBICHE, MIGRANTI E AUTOCTONE
VERSO IL CIE DI PONTE GALERIA
alle 16:00: appuntamento alla stazione Ostiense
per un volantinaggio sul treno che porta verso il Cie
dalle 17:00: presidio davanti al Cie di Ponte Galeria
(via Gaetano Rolli Lorenzini angolo via Cesare Chiodi)
musica e parole, voci, denunce e testimonianze di femministe e lesbiche
CONTRO LA VIOLENZA SESSISTA E RAZZISTA,
NOI SIAMO TUTTE CON JOY E HELLEN!
http://noinonsiamocomplici.noblogs.org
Nella tua città c’è un lager. Alle porte di Roma, tra il Parco Leonardo e la Fiera di Roma, c’è il centro di identificazione ed espulsione (Cie, ex Cpt) di Ponte Galeria, dove vengono rinchiuse, in condizioni disumane, le persone immigrate prive di documenti o che hanno perso il lavoro. Con l’approvazione del “pacchetto sicurezza” e il prolungamento della detenzione fino a sei mesi, lo stato vorrebbe privare le persone immigrate di ogni dignità e costringerle a vivere in un regime di violenza quotidiana e legalizzata. Nel corso dell’estate, sono scoppiate numerose rivolte, da Lampedusa a Gradisca. Noi ci sentiamo vicine e vogliamo sostenere le lotte delle recluse e dei reclusi contro questi “lager della democrazia”. In particolare vogliamo farvi conoscere la forza e l’autodeterminazione di Joy.
Martedì 13 ottobre si è chiuso il processo di primo grado contro i reclusi e le recluse accusate dalla Croce Rossa di aver dato vita, ad agosto, alla rivolta contro l’approvazione del pacchetto sicurezza nel Cie di via Corelli a Milano. Nel corso del processo una di queste donne, Joy, ha denunciato in aula di aver subito un tentativo di stupro da parte dell’ispettore-capo di polizia Vittorio Addesso e di essersi salvata solo grazie all’aiuto della sua compagna di cella, Hellen. Inoltre, entrambe hanno raccontato che, durante la rivolta, con altre recluse, sono state trascinate seminude in una stanza senza telecamere, ammanettate e fatte inginocchiare, per essere poi picchiate selvaggiamente prima di essere portate in carcere. Dopo essere state condannate a sei mesi di carcere per la rivolta, ora Joy e Hellen rischiano un processo per calunnia, per aver denunciato la violenza subita.
Sappiamo bene che questo non è un caso isolato: i ricatti sessuali, le molestie, le violenze e gli stupri sono una realtà che le donne migranti subiscono quotidianamente nei Cie, ma le loro voci sono ridotte al silenzio perché i guardiani, protetti dalla complicità della Croce rossa, in quanto rappresentanti dell’istituzione, si sentono liberi di abusare delle recluse.
Sappiamo bene quanto sia aggravante essere prigioniera e donna: la violenza che si consuma nei luoghi di detenzione ad opera dei carcerieri, che viene sistematicamente occultata, si manifesta anche e soprattutto attraverso forme di violenza sessuale sulle prigioniere donne: perchè la violenza maschile sulle donne è un fatto culturale, e si basa sulla sopraffazione che sfocia nell’abuso del corpo e nell’offesa della mente.
Per questo pensiamo che sia importante sostenere Joy e Hellen, assieme a tutte le migranti che hanno avuto – e che avranno in futuro – il coraggio di ribellarsi ai loro carcerieri.
Per questo il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, assieme ad altre compagne femministe e lesbiche che si stanno mobilitando in diverse città, saremo a Ponte Galeria. Per affermare che noi non vogliamo essere complici, né delle campagne mediatiche costruite sull’equazione razzista “clandestino uguale stupratore”, né delle leggi razziste, securitarie e repressive varate in nostro nome; per gridare che tutti i centri di detenzione per migranti devono essere chiusi; per dire che rifiutiamo ogni forma di controllo e ogni tentativo di usare i nostri corpi per giustificare gli stereotipi e le violenze razziste e sessiste.
Ma soprattutto saremo lì per esprimere la nostra solidarietà a tutte le recluse e i reclusi nei Cie e per far sentire a Joy e Hellen che non sono sole, che il loro gesto rappresenta un atto estremamente significativo di resistenza e di autodeterminazione, che rovescia il ruolo di vittima assegnato alle donne immigrate, dando forza a tutte le lotte e i percorsi contro la violenza sulle donne, dentro e fuori dai Cie.
Negato il Gay Pride: ORA BASTA!
L’assemblea conclusiva del Festival sociale delle culture antifasciste ha appreso che, attraverso il protocollo recentemente adottato dal comune di Roma (simile a molti altri adottati in altre città italiane), che limita i percorsi consentiti per le manifestazioni nella capitale e con il pretesto di feste religiose, presenza di ‘obiettivi istituzionali’ e quant’altro, l’amministrazione guidata da Alemanno sta negando l’autorizzazione a qualsiasi percorso appena plausibile per il Roma Pride, di fatto impedendone lo svolgimento.
L’assemblea del Festival sociale delle culture antifasciste ha adottato il comunicato di Facciamo Breccia riportato qui sotto e invita le realtà antifasciste ad aderire e a mobilitarsi.
Negato il Roma Pride. Facciamo Breccia invita alla mobilitazione.
Facciamo Breccia denuncia la gravità della situazione che si è creata a Roma dove, con pretesti di ordine pubblico, l’amministrazione guidata da Alemanno, sta impedendo di fatto lo svolgimento del Pride, la storica manifestazione di liberazione di lesbiche, trans e gay che dal 1994 ogni anno si svolge nella capitale. Tale divieto è inaccettabile non solo per lesbiche, trans e gay ma per tutte e tutti coloro per cui la libertà, la liberazione, il diritto di manifestare sono valori irrinunciabili, specialmente in un momento in cui la violenza nel nostro paese sta raggiungendo picchi altissimi.
L’attacco alle soggettività meno protette rappresenta da sempre un segnale chiaro e incontrovertibile dell’instaurarsi di un regime violento contro ogni forma di libera espressione e di dissenso. Accettare questo divieto significa scavare la fossa a quel residuo di libertà rimasta nel nostro paese e questo non è accettabile per chiunque ritenga l’autodeterminazione, la laicità, l’antifascismo principi irrinunciabili.
Il coordinamento Facciamo Breccia invita tutte le realtà antifasciste e autodeterminate alla mobilitazione per il pride del prossimo 13 giugno, in difesa dell’agibilità politica, della libertà di manifestazione e dell’autodeterminazione di tutte e tutti.
per adesioni: info@facciamobreccia.org
CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA
Appello della Rete contro il Pacchetto Sicurezza
Il 19 gennaio prossimo è prevista in Senato la discussione del“Pacchetto sicurezza” (DdL 733), che provocherà una grande trasformazione del quadro normativo italiano, già fortemente repressivo e discrezionale nel suo impianto. Le norme contenute nel Pacchetto, infatti, prevedono una politica esplicitamente fondata su misure segregazioniste e razziste per le persone migranti, con o senza permesso di soggiorno, le prime a essere additate come figure pericolose e causa di “allarme sociale”, e su nuove e ancora più drastiche misure repressive contro chiunque produca conflitto e non rientri dentro le strette maglie del controllo.
Le norme del pacchetto sicurezza colpiscono in primo luogo le persone migranti. Se il Pacchetto sarà approvato chi è senza permesso di soggiorno non potrà più: andare al Pronto Soccorso e ricevere cure mediche, riconoscere figli e figlie, sposarsi e inviare soldi a casa. Il Ddl introduce inoltre: la detenzione nei CIE (ex CPT) per 18 mesi; la tassa di 200 euro su richiesta e rinnovo del permesso di soggiorno; controlli ancora più stretti per acquisire la cittadinanza; il reato d’ingresso illegale nello stato.
Altre norme, alcune già sperimentate sui/sulle migranti, vengono estese al resto dei cittadini e delle cittadine che non si adeguano alla retorica del “decoro urbano”: l’obbligo di dimostrare l’idoneità alloggiativa per ottenere l’iscrizione anagrafica (che colpisce migranti, senzatetto, occupanti e chiunque non possa permettersi un’abitazione “idonea”); le norme anti-graffito; l’inasprimento delle norme per il reato di danneggiamento.
Questo delirio securitario esplode mentre i governi decidono di sostenere le aziende e le banche in difficoltà, invece di pensare a nuove politiche sociali di sostegno alla cittadinanza colpita dalla crisi. Scaricando, tra l’altro, tutto il lavoro di cura sulle donne: in quest’ottica, l’unica immigrazione che sembra piacere è quella delle “badanti”. Ai sindaci e ai prefetti sceriffo si attribuiscono nuovi poteri, mentre il Ddl Carfagna criminalizza e stigmatizza le prostitute, imponendo norme di comportamento a tutte e tutti.
La loro risposta alla crisi è il governo della paura. La risposta, in Italia come in Europa, da Milano a Castelvolturno, da Atene a Malmöe… è stata un grido di rabbia e libertà:
NON ACCETTIAMO LA SOCIETA’ DEL RAZZISMO, DELLO SFRUTTAMENTO E DEL CONTROLLO!
Sabato 31 gennaio saremo ancora in strada con un corteo che attraverserà la città, toccando alcuni luoghi simbolo.Appuntamento alle 14.30 a Porta Maggiore per proseguire per Piazza Vittorio e Termini fin sotto al Ministero dell’Interno, per ripensare insieme un’idea di cittadinanza che garantisca a tutt@ i diritti fondamentali e la libertà di scelta e di movimento.
Contro il Pacchetto Sicurezza e il modello di società che impone
Per l’abolizione immediata della Bossi/Fini, perché perdere il lavoro a causa della crisi rappresenta per le persone migranti una condanna alla clandestinità
Per la regolarizzazione di tutte e tutti
Contro il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, dispositivo di controllo che imprigiona i migranti e le migranti e rende precaria la vita di tutte e tutti
Contro le classi separate per i bambini e le bambine stranier@
Contro la militarizzazione dei confini e delle città
Contro l’ansia e la paura in cui vorrebbero farci vivere
Per ripensare insieme un’idea di cittadinanza che garantisca a tutt@ i diritti fondamentali e la libertà di scelta e di movimento
LUNEDI’ 19 GENNAIO 2009: SIT- IN SOTTO IL SENATO dalle 10:00 a Piazza Navona
SABATO 31 GENNAIO 2009: MANIFESTAZIONE A ROMA alle 14:30 a Porta Maggiore
Invitiamo tutti e tutte – migranti, studenti e studentesse, scuole in mobilitazione, associazioni, movimenti di lotta per l’abitare, centri sociali, movimenti di donne, femministe e lesbiche, comitati di cittadini e cittadine, precari e precarie, lavoratori e lavoratrici, personale medico e sanitario, artisti e artiste – a partecipare, a moltiplicare le iniziative anche nelle altre città e a coordinarci per dare più voce alla nostra rabbia:
NOI… NON ABBIAMO PAURA!
RETE CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA
Per adesioni, informazioni, contributi, per mettere in rete le iniziative locali e dislocate nelle città attraverso questo bloghttp://nopacchettosicurezza.noblogs.org inviate un’e-mail a:pacchettosicurezza@anche.no
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