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Il comunicato degli studenti medi, dopo le botte in tutta Italia

6 ottobre 2012 21 commenti

Pubblico il comunicato degli studenti romani, ieri scesi in piazza come in tutto il resto del paese per protestare contro le politiche di austerity. La sola risposta ricevuta, immediata e secca, son state le botte.
I manganelli al contrario.
L’esser trascinati per i capelli.
Gli insulti.
I robocop che circondano, caricano, pestano, tentano di arrestare.

Ieri, a Torino (ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

Punto.
Nè un telegiornale, nè un giornale: lo spazio dato alle mobilitazioni studentesche è inesistente.
Ma ho come la sensazione che se lo prenderanno, si prenderanno tutto lo spazio che vogliono.

Oggi 5.10.12 la città di Roma è stata invasa dagli studenti dell’Assemblea Cittadina dei licei romani.
Questa data è nata dall’assemblea in Val di Susa, convocata dalla rete nazionale studaut, dove gli studenti di tutta l’Italia hanno sentito l’esigenza di scendere in piazza, per esprimere un’opposizione sociale reale al governo Monti e alle politiche di austerity che stanno sempre più strette a tutta la cittadinanza. Le istituzioni sottolineano continuamente la mancanza di fondi per l’istruzione mentre   lo stato spende 500 milioni per cacciabombardieri e 2 cm di Tav corrispondono a una borsa di studio universitaria, legittimando queste scelte come tecniche e non politiche.
In un quadro di drammatica trasformazione politica, la scuola rimane ancora una volta un luogo di costruzione e progettazione, opposizione e conflitto.
Gli studenti infatti contrastano le politiche di questo sistema scolastico e se ne riappropriano dall’interno vivendo le proprie scuole e creando dal basso controcultura attraverso cineforum, mercatini di libri a prezzi popolari, ecc… per dare una risposta concreta alla crisi, producendo momenti di riflessione e conflitto.
Queste iniziative si oppongono al progetto di scuola-azienda che questo governo, come il precendente, vuole realizzare attraverso il DDL Aprea e i test Invalsi, che mirano esclusivamente ad un’appiattimento culturale generale e alla costruzione di una scuola che premi il merito e ignori i problemi.

Il tentativo della questura di Roma, oggi,è stato quello di impedire che gli studenti raggiungessero  il centro storico per manifestare la loro rabbia davanti ai palazzi del potere, opponendosi fisicamente, con uno sproporzionato impiego delle forze “dell’ordine”, al regolare svolgimento del corteo.
Nonostante ciò, gli studenti non si sono arresi e fino all’ultimo hanno portato in piazza la loro determinazione. I manifestanti infatti, estenuati da una pessima gestione della piazza da parte della questura, che aveva il palese intento di emarginare e minimizzare la protesta, hanno tentato di riappropriarsi ancora una volta delle proprie strade. Nei pressi di Porta Portese, i soggetti che giorno dopo giorno militarizzano la nostra città hanno risposto all’iniziativa degli studenti non con semplici cariche di alleggerimento, inadeguate soprattutto contro un corteo costituito prevalentemente da minorenni, ma peggio,  con una vera e propria esplosione di violenza verso gli studenti, minacciando, picchiando, manganellando, arrivando addirittura ad arrestare un quindicenne estraneo ai fatti,  trascinandolo per terra.
Dopo lo scontro e dopo essersi assicurati dell’imminente rilascio del ragazzo, il corteo non si è comunque arrestato ed ha ripreso il percorso fino a Piramide, dove al momento dello scioglimento ha pubblicamente denunciato la gravità dei fatti avvenuti in precedenza.

Gli studenti oggi non si sono fatti intimorire dalla gestione tirannica, del sindaco Alemanno, della città, ma anzi hanno avuto la dimostrazione del fatto che l’unica risposta che il governo e le istituzioni sanno dare è di tipo poliziesco e militare.

LA VOSTRA REPRESSIONE NON FERMERA’ LA NOSTRA VOGLIA DI LOTTARE, QUESTO NON E’ CHE L’INIZIO

Studenti Medi in Mobilitazione

Grecia: inizia l’anno scolastico tra tagli e occupazioni

14 settembre 2011 1 commento

Atene, facoltà d'economia. Lo striscione urla OCCUPAZIONE mentre in alto c'è scritto "dove non arriva la mano dello stato arrivano le lame del para-stato, Solidarietà ai migranti"

La Grecia, sventrata da crisi e austerity non molla la piazza e la contestazione, in ogni sua forma.
Questi giorni è stata Salonicco al centro della cronaca vista l’apertura della 76° Mostra Commerciale Internazionale, alla quale ha partecipato anche il primo ministro Papandreou.
Oltre due milioni di euro è ciò che è stato speso dal ministero dell’Interno solo per lo spostamento dei reparti celere dalla capitale a Thessaloniki per contrastare le proteste.
Tre giornate di scontri, ferro e fuoco: più di 40.000 persone si sono riversate per le strade con una determinazione che non smette di caratterizzare le piazze greche. Una città dove a 48 ore di distanza dall’ultimo lancio di lacrimogeni e altri tipi di gas urticanti, i parchetti pubblici antistanti le facoltà universitarie erano ancora ricoperti dall’odore irrespirabile.
La polizia è avanzata con le solite metodologie viste in questi ultimi tre anni di scontri in Grecia: la celere che fa pesantissimo uso di lacrimogeni e raramente arriva al contatto fisico, poi i M.A.T. (reparti speciali) invece si infiltrano a piccoli gruppi nei cortei con un massiccio uso di gas e granate assordanti, per tramortire e cercar di arrestare quanta più gente possibile. Poi ci sono i motociclisti, il reparto maledetto che carosella intorno ai cortei … che però di sassi e molotov ne prendono a tonnellate.
Scontri per giorni e notti intere, con una media di un centinaio di arresti al giorno.
A Salonicco, come ad Atene: dove lunedì sera anche il reparto di scorta del ministro della cultura è stato attaccato con un improvviso lancio di molotov che hanno completamente bruciato i mezzi e una parte della sede del ministero.
La protesta dilaga, la sua violenza non si placa, ma le misure di sventramento dell’economia del paese avanzano, sulla pelle di tutti. Ruota intorno ai 300 il numero dei dipartimenti universitari occupati dagli studenti che protestano contro la riforma e i tagli che ovviamente andranno a sventrare definitivamente scuola pubblica, università e ricerca con un’ondata allarmante di privatizzazioni, l’ingresso di agenzie che gestiranno le università come delle imprese, la cancellazione dell’asilo accademico e così via. Il primo giorno di scuola i cancelli dei licei sono stati presidiati dagli universitari, con un fitto volantinaggio sulla riforma e diverse assemblee spontanee: tanto che la notizia di oggi è che ci sarà il divieto di parlare di politica negli istituti scolastici.
Oltre che l’assenza di libri di testo; eh si, non è uno scherzo. Le scuole hanno riaperto lunedì ma non c’è speranza di una riga d’inchiostro prima di metà novembre:in Grecia i libri scolastici (ehhhhh, quando lottare permette le conquiste!) sono gratuiti e distribuiti dall’Organizzazione per i libri scolastici, ma dati i tagli, nulla comparirà prima di due mesi.

I taxisti sono in protesta da 48 ore davanti al parlamento.
Pochi minuti fa il governo ha annunciato 20.000 licenziamenti di dipendenti pubblici, come “ulteriore sforzo per frenare la crescita del debito”…
solo tutti insieme possiamo fermare questa maledetta europa della crisi, solo tutti insieme possiamo fare in modo che “i mercati” non mangino il nostro presente tentando di annullare il futuro.

Il mondo che c’è tra Betlemme e Beit Lahem

29 giugno 2010 1 commento

QUANDO UNA “ACCA” FA LA DIFFERENZA

La difficolta’ di accesso alle informazioni, se fai una ricerca sulla Cisgiordania palestinese, all’Universita’ Ebraica di Gerusalemme, fiore all’occhiello dello Stato di Israele.

Questo racconto di NICOLA PERUGINI * e’ la postfazione del libro “Pianificare l’oppressione. Le complicità dell’accademia israeliana”, Seb27, Torino, 2010 a cura di Enrico Bartolomei, Nicola Perugini, Carlo Tagliacozzo. http://www.seb27.it/content/pianificare-loppresstione

Gerusalemme 29 giugno 2010 (foto dal sito www.jerusalem.muni.il), Nena News – Alcune settimane fa, durante una ricerca di documentazione e carte geografiche per un progetto UNESCO di conservazione del paesaggio nelle aree rurali di Betlemme – progetto a cui sto collaborando in qualità di consulente –, mi sono recato all’Università ebraica di Gerusalemme, presso il Dipartimento di Scienze Sociali, “Divisione delle Mappe”. La maggior parte delle mappe storiche della Palestina, soprattutto le mappe pre-1948, non sono reperibili presso le università palestinesi, che si tratti di mappe relative ai Territori occupati o alla più ampia Palestina storica. La motivazione è molto semplice: il patrimonio di saperi cartografici e geografici prodotto dagli esploratori orientalisti del XIX secolo, le mappe del periodo dell’amministrazione coloniale britannica e quelle dei primi esploratori sionisti finanziati dal Jewish National Fund sono stati pressoché integralmente “fagocitati” da istituzioni accademiche e amministrative dello stato di Israele, prevenendone l’accesso alle istituzioni accademiche e amministrative palestinesi. La condivisione di questi saperi, un semplice sguardo riflessivo sulle loro finalità e processi i produzione, una “mera” contestualizzazione storica, metterebbero in discussione alcune delle tanto più elementari, quanto efficaci, basi discorsive della tragedia palestinese. All’entrata dell’Università ebraica, accompagnato da un ricercatore che lavora presso quella istituzione, passo tre check-point e mi incrocio con gli addetti ai controlli di sicurezza: tutti giovani tra i 20 e i 25 anni, solo ed esclusivamente ebrei, di varia origine. Mostro loro il mio tesserino UNESCO e mi dicono che posso entrare solo se accompagnato da un ricercatore dell’università. Le visite di ricercatori e “curiosi” esterni all’Università ebraica sono tollerati solo se accompagnate e garantite da un “interno”. Il mio accompagnatore mi spiega poi che i giovani che ci hanno perquisiti e “scandagliati” sono universitari o post-universitari assunti nel servizio di sicurezza sulla base di una selezione in cui il criterio determinante è quello di essere “non-arabi”, cioè “non-palestinesi”. In sostanza, le università filtrano le entrate dei visitatori esterni attraverso il reclutamento di personale prevalentemente interno, “filtrato” attraverso il criterio dell’appartenenza alla “maggioranza ebraica”. Attraversando alcuni corridoi, per raggiungere la “Divisione delle Mappe”, si costeggiano alcuni bar universitari. La logica della separazione, penetra sempre di più il mio sguardo e lo riflette su ciò che vedo. I bar universitari sono pieni di israeliani di origine “non-palestinese”, molti di loro ashkenaziti, qualche etiope… Chiedo al mio accompagnatore: “Non ci sono iscritti palestinesi d’Israele?” Mi risponde: “Ce ne sono, ma qua le etnie non sono mischiate. E poi i palestinesi se nestanno da soli: non consumano, si portano il cibo e le bevande da casa e se ne stanno nel loro angolo”. L’accompagnatore, poco dopo, mi racconta che proprio all’entrata dell’Università ebraica i controlli sono particolarmente capillari per i “non-ebrei”, e che dal controllo su questi ultimi nascono la maggior parte degli episodi di scontro. La separazione esiste all’interno dell’università, viene praticata alle sue porte nelle vesti dei controlli di sicurezza. Sembra molto più sottile e dotata di strumenti diversi da quelli del modello sudafricano. Non ha neanche bisogno di essere esplicitata. Incomincio a dubitare sull’opportunità di proseguire la mia ricerca, ma subito dopo mi dico di andare avanti, perché forse vale la pena di scoprire altro.

Entriamo nell’archivio della “Divisione delle Mappe”. Mi presento alle due archiviste, una giovane studentessa e una donna sulla cinquantina. Si presenta anche il mio accompagnatore, ricercatore dell’Università ebraica, ma dopo un breve attimo di distensione, le due archiviste incominciano, sospettose, a porre domande sulla natura della mia ricerca con UNESCO. Provo a spiegarmi in termini “neutrali”, uscendo dalla logica della nazionalità del paesaggio su cui UNESCO ha intenzione di intervenire per la sua protezione. Poi, in un secondo momento, dopo che l’idea di conservazione del paesaggio sembra lasciare perplesse le archiviste, uso nomi ebraici per definire l’area del mio interesse: “Vorrei vedere il materiale cartografico dell’area di Gush Etzion [il Blocco di Etzion, l’agglomerato coloniale di insediamenti a ovest di Betlemme e a sud di Gerusalemme] durante il mandato britannico”. Mi vengono mostrate le mappe che ho richiesto. Chiedo di poterne avere alcune copie. Le due archiviste contravvengono alle norme interne dell’università, negandomi le copie per motivi non precisati, nonostante il mio accompagnatore sia un ricercatore dell’Università Ebraica. Mentre chiedo spiegazioni, erroneamente, definisco la mia area di ricerca con il suo vero nome, “area dei villaggi occidentali di Betlemme”, pronunciando forse troppo, con accento arabo, la acca di Beitlahem. L’archivista più giovane si mostra un pò risentita e ripronuncia Betlemme con accento ebraico, rimarcando l’assenza dell’acca. Poco dopo esclama: “il progetto dell’UNESCO ha l’aria di un progetto molto politico”. Tutto perché avevo alternato al nome coloniale il nome palestinese dell’area, tutto per colpa, o per merito, di un’acca.

L’Università ebraica di Gerusalemme è, tra le istituzioni menzionate in questa raccolta di saggi, una delle tante accademie israeliane analizzate dagli autori del nostro libro e di cui soprattutto Uri Yacobi Keller (Seconda Sezione) mette in luce il grado di partecipazione alle politiche oppressive di Israele, tanto al suo interno quanto nei Territori occupati. Una semplice visita a questa università consente di respirarne il clima di separazione e discriminazione. Un tentativo di consultare i materiali di uno dei suoi dipartimenti più “sensibili” permette di assaggiare la non-pubblicità e la segretezza – in violazione della libertà accademica e della libera circolazione del sapere – di parte della documentazione che essa conserva “gelosamente”. Una ricerca più approfondita di scritti scientifici è sicuramente in grado di mettere in luce ulteriormente gli aspetti più microscopici dell’aberrazione che essa costituisce. Solo per fare un esempio, il testo di Meron Benvenisti Sacred Landscape, che nei suoi capitoli finali si schiera in maniera molto ideologica contro il diritto di ritorno dei profughi palestinesi nel loro paesaggio, ha tuttavia il merito di mostrare la cosustanzialità dei piani sionisti di “redenzione” toponimica di Erez Israel e della fondazione dell’Università ebraica da parte di Menachem Ussishkin, capo dell’Unità di Ridenominazione del Fondo nazionale ebraico, uno tra gli artefici della rimappatura e della ri-toponimizzazione biblica del paesaggio palestinese e della trasformazione di centinaia di migliaia di nomi di luogo arabi in nomi ebraici, nonché uno tra i fondatori della Union of Hebrew Teachers e principale promotore della fondazione dell’Università ebraica, da lui definita, prima della fondazione dello stato di Israele, “nuovo Tempio nazionale, palazzo della saggezza e della scienza del Monte Sion”. Nena News

*Antropologo politico. Attualmente lavora per UNESCO nella regione di Betlemme e Gerusalemme in progetti di conservazione del patrimonio culturale e sta conducendo una ricerca su spazio e diritto in Palestina.

“Non sparate sulla ricerca”: una mattinata sul tetto dell’Ispra

30 dicembre 2009 1 commento


NON SPARATE SULLA RICERCA!

Finalmente ci sono riuscita.
Quando abbiamo provato ad avvicinarci ai cancelli ISPRA di Casalotti, con il desiderio di un brindisi il giorno della vigilia di Natale con i ricercatori in lotta sul tetto del loro posto di lavoro dal 2 dicembre,  siamo stati bloccati da una sbarra e un cancello che li ha tenuti sequestrati per tutto il corso dei primi giorni di vacanza di questo dicembre.

Foto di Valentina Perniciaro _sui tetti dell'Ispra_

Abbiamo dovuto aspettare che ricominciassero le normali attività lavorative per poter accedere e entrare in contatto con questo bel gruppo di lavoratori che non vogliono accettare la precarietà.
Alcuni sono sul tetto, nemmeno pochi, malgrado abbiano già firmato un rinnovo chi di due chi di tre anni con l’Ispra.
Quindi persone che aprono il cuore, che decidono di passare le feste natalizie sotto al diluvio, in tende e tendoni attrezzati anche grazie all’aiuto delle associazioni di quartiere che li hanno supportati con strutture di legno e generatori elettrici: sono lì, vogliono condizioni diverse di lavoro per tutt@ loro, vogliono il riconoscimento di tutti gli anni da precari che hanno passato lì, a fare un lavoro essenziale come la ricerca ambientale. 
E da precari, malgrado un decente rinnovo firmato in tasca, passeranno anche le prossime feste su quel gelido tetto!
Domani alle 16 verranno nuovamente chiusi dentro e lo saranno fino al 4 mattina! 
Un sequestro di persona vero e proprio. Di persone che stanno lottando per i loro diritti e per i diritti di tutti i loro colleghi che hanno già perso il lavoro nei mesi precedenti.
Ci si rivede su quel tetto… buona lotta!

Foto di Valentina Perniciaro _tetti in lotta_

 

Foto di Valentina Perniciaro _Precari ISPRA in lotta_

Calamandrei sulla scuola

28 ottobre 2008 Lascia un commento

Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso in difesa della Scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950   da: “Scuola democratica”, 20 marzo 1950.

foto di Valentina Perniciaro _studenti assediano il Senato_

foto di Valentina Perniciaro _studenti assediano il Senato_

“Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata  dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito?

Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali.
C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole  private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. Emagari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private.Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio.Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere.

Foto di Valentina Perniciaro _NO AL DECRETO GELMINI_

Foto di Valentina Perniciaro _NO AL DECRETO GELMINI_

Attenzione, questa è la ricetta.
Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di StatoLasciare che vadano in  malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Piero Calamandrei

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