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Egitto: attaccati i manifestanti. Il vecchio regime va a gonfie vele…
Cavolo. Come si innervosisce facile questa polizia egiziana. Eppure non è stata così rapida nell’intervenire ad Imbaba, qualche giorno fa, in quel delirio interreligioso che ha fatto una manciata di morti. In tarda serata, oggi, un fittissimo lancio di lacrimogeni,praticamente tutti a colpire sul corpo dei manifestanti che presidiavano l’ambasciata israeliana, nel giorno della Nakba, e dell’uccisione di 10 persone, tra i diversi confini “violati” d’Israele (la Palestina occupata da Gaza, Libano e Giordania, e le Alture del Golan occupate). Nessun movimento brusco, nessuna provocazione od assalto, la piazza è stata attaccata improvvisamente: alla nostra mezzanotte si contano già 25 persone ferite e un ragazzo in fin di vita.
La quantità di manifestanti, da quel che batte la rete in modo frenetico è in continuo aumento, in un’atmosfera che in molti descrivono simile a quella di Tahrir, che visto il livello di repressione stasera sembra essere più che lontana. Il regime di Mubarak è solido al suo posto…per la liberazione c’è molto da fare ancora popolo di piazza Tahrir…
Egitto: peggio di prima!
Si dovevano celebrare i due mesi senza la presenza di Hosni Mubarak, due mesi dalla sua caduta, dalla fuga nel fortino di Sharm, mentre piazza Tahrir stremata da 18 giorni di rivolta, esultava troppo presto per una rivoluzione ancora tutta da fare.
La manifestazione indetta è stato un territorio di battaglia, dove i soldati hanno attaccato i manifestanti e tirato giù le tende presenti, tende che appaiono e scompaiono continuamente da quelle isola di aiuole al centro dell’immensa piazza. Ci sono due morti a terra, uccisi da colpi d’arma da fuoco e 71 feriti (molti violentemente picchiati o intossicati dal fitto uso di gas urticanti e asfissianti). L’esercito ha caricato quasi immediatamente per disperdere le duemila persone che erano già arrivate in piazza, incredule davanti a quella reazione, totalmente inaspettata malgrado la situazione per i manifestanti sia mutata già da una manciata di settimane.
La piazza poi si è riempita, più di diecimila persone si sono scontrate con le forze armate… probabilmente la furia dell’esercito è scattata quando molti sottoufficiali, dal palco della piazza, si sono uniti alla manifestazione con una chiarezza mai espressa fino ad ora, contro i loro stessi vertici, che pochi minuti dopo hanno iniziato ad ordinare di sparare e disperdere tutti. Un pulmann dell’esercito è stato dato alle fiamme, ma i sassi sono stati l’arma più usata, in risposta a gas e piombo. Quarantadue persone risultano in stato di fermo.
Il popolo di piazza Tahrir sembra aver finalmente capito che l’esercito rientra tra i nemici di questa rivoluzione e l’ha capito ovviamente solo dopo aver visto scorrere il proprio sangue: l’esercito ha sparato contro di loro, ha dimostrato di essere parte integrante di quel regime che troppo ingenuamente pensavano di aver raso al suolo solo con le magnifiche giornate di febbraio … un’illusione finita più che velocemente, come si poteva immaginare.
In piazza si scendeva anche contro il generale Hussein Tantawi, a capo del Consiglio supremo delle Forze armate egiziane, in cui in troppo avevano creduto fino a poco fa “Non hai più la nostra fiducia” urlavano i manifestanti e, fino a poco prima delle cariche, uno degli slogan era anche “Forze Armate, avete un posto nel nostro cuore, non perdetelo”… cosa accaduta definitamente pochi minuti dopo.
Non vogliono più che l’esercito sia per le strade, vorrebbero ancora poter credere in un reale cambiamento nella gestione del potere ma la frustrazione è ormai l’unico sentimento che pregna chi fino a poco tempo fa festeggiava per un futuro tutto nuovo in via di costruzione.
Questa mattina Ahmed Salah, espontente del movimento 6 aprile e leader di piazza Tahrir ha detto che in Egitto “è in atto una cospirazione evidente per mantenere il vecchio regime. Quasi tutti i partiti di opposizione tacciono per opportunismo. Stanno uccidendo la rivoluzione, nessuna delle nostre richieste è stata esaudita. Chiediamo – racconta – che i militari lascino subito il potere, sostituiti da un consiglio presidenziale civile. Che si fermi davvero la corruzione rimuovendo e processando tutti gli elementi del vecchio regime, compresi Mubarak e famiglia. Vanno rimossi anche i giudici che continuano a fare processi pur essendo collusi col vecchio regime. Infine la richiesta di rinviare il voto di settembre: è troppo presto, si devono ancora formare partiti liberi, manca una vera Costituzione, ci vogliono riforme. La gente prima di votare deve sapere chi è” … se il referendum fosse andato diversamente non starebbero in questa situazione, ma il tradimento di alcuni partecipanti della “rivoluzione”, come i Fratelli Musulmani è ormai dichiarato.
Intanto già alle prime ore dell’alba i manifestanti hanno tentato di riprendere posizione e barricarsi…il filo spinato usato dall’esercito per bloccare gli accessi è ora nelle loro mani, che stanno tentando di usarlo per proteggere i punti di ritrovo…
anche questa giornata sarà lunga, per le strade del Cairo.
Al-Aswani ci racconta quest’Egitto della controrivoluzione …
Un articolo interessante, comparso pochi giorni fa sulle pagine del giornale indipendente egiziano Al-Masry al-youm, a firma del noto scrittore Alaa al-Aswani, noto anche per essere uno tra i fondatori del partito Kifaya (“basta!”), “movimento egiziano per il cambiamento”, nato nel 2004. NOn per sposare ogni sua parola, ma per dare un ulteriore elemento per capire quello che sta accadendo lungo le sponde del Nilo, da qualche mese a questa parte…
Parlavamo già un po’ di tempo fa del rischio che sta correndo il popolo di piazza Tahrir, che per un attimo e forse troppo ingenuamente, ha sentito la rivoluzione tra le dita delle mani. L’abbiamo raccontata col più sincero degli entusiasmi, ma allo stesso col terrore che possa essere, come dice in questa pagina al-Aswani, un’occasione sprecata. Una panoramica, che fa trapelare la rabbia per come l’esercito ha gestito l’arrivo ai referendum, il volta faccia dei Fratelli Musulmani, l’attesa popolare per un’incriminazione di Mubarak che continua a non arrivare…
Dopo la riuscita rivoluzione del 1919, e dopo che le forze d’occupazione britanniche ebbero ceduto alla volontà del popolo egiziano, re Faruq istituì una commissione incaricata di redigere una nuova costituzione. Essa venne nominata anziché eletta. Il leader nazionalista Saad Zaghloul si oppose, chiedendo che venisse eletta un’assemblea costituente per garantire che la costituzione rispecchiasse la volontà del popolo. Ma re Faruq insistette sulla sua posizione. La commissione nominata redasse la costituzione del 1923, che diede al re il diritto di sciogliere il parlamento in qualsiasi momento. Questa grave carenza costituzionale guastò la vita politica trasformando il parlamento in uno strumento nelle mani del re. Il partito Wafd di Zaghloul, che aveva la maggioranza dei seggi in parlamento, prese il potere una sola volta nel corso dei successivi 30 anni.
Stranamente, Zaghloul accettò la costituzione del 1923, nonostante i suoi difetti. In qualità di leader incontrastato dell’Egitto in quel momento, egli avrebbe potuto invitare gli egiziani a insistere sul loro diritto a una costituzione giusta e democratica. Ma l’occasione andò persa.
Dopo la rivoluzione del 1952, l’Egitto sprecò un’altra occasione di democratizzazione. La corrente antidemocratica presente all’interno degli Ufficiali Liberi dominò la rivoluzione, e il 16 gennaio 1953 emanò la decisione di sciogliere tutti i partiti politici e di confiscare il loro denaro e i loro uffici. Il partito Wafd era il partito di maggioranza all’epoca, ed era in grado di mobilitare l’opinione pubblica contro la dittatura, nel qual caso gli Ufficiali Liberi avrebbero ritirato la propria decisione e il sistema democratico in Egitto sarebbe stato preservato. Ma il partito Wafd non sollevò obiezioni. Fu un’altra occasione sprecata per l’Egitto. Invece, il paese rimase sotto il dominio autoritario per i successivi 60 anni.
Purtroppo, la storia dell’Egitto è piena di opportunità di democratizzazione sprecate. Ora abbiamo un’altra opportunità, che mi auguro non venga persa. La rivoluzione del 25 gennaio ha costretto Hosni Mubarak a dimettersi. Centinaia di egiziani hanno sacrificato la loro vita per amore della libertà. Fin dai suoi inizi, tuttavia, la rivoluzione si è trovata di fronte a una feroce controrivoluzione – sia all’interno dell’Egitto che all’estero.
Pochi giorni fa, il quotidiano kuwaitiano ‘Al-Dar’ ha riferito che le autorità egiziane stanno subendo enormi pressioni da parte dei governanti arabi, in particolare dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, affinché Mubarak non venga processato. Secondo il giornale, questi Stati arabi hanno apertamente minacciato di congelare tutti i rapporti con il Cairo, di tagliare tutti gli aiuti finanziari, e di ritirare i loro investimenti dall’Egitto. Tali regimi si sono spinti addirittura a minacciare di licenziare i 5 milioni di egiziani che lavorano nei loro paesi, se Mubarak dovesse essere processato.
Da parte sua, Israele ha sempre difeso Hosni Mubarak, uno dei suoi migliori alleati. La stampa israeliana non nasconde le sue preoccupazioni di fronte al significativo cambiamento democratico in Egitto. L’amministrazione americana ha una posizione simile. Sia i funzionari americani che quelli israeliani riconoscono il potenziale dell’Egitto e sanno che diventerebbe una potenza regionale nel giro di pochi anni, se diventasse una democrazia.
Sul quotidiano britannico ‘Guardian’, il noto intellettuale americano Noam Chomsky ha sostenuto che gli Stati Uniti appoggiano l’autoritarismo in Egitto, non perché temono l’estremismo islamico, come solitamente affermano, ma perché temono un Egitto indipendente che non faccia affidamento sul sostegno americano. L’amministrazione USA si impegnerà a fondo – Chomsky ha aggiunto – per garantire che il prossimo presidente dell’Egitto resti fedele agli interessi americani.
Oltre alle minacce internazionali contro la rivoluzione in Egitto, ci sono anche seri problemi interni. Le basi del regime di Mubarak sono ancora intatte. L’ex Partito Nazionale Democratico (NDP) rimane radicato in tutto l’Egitto. Centinaia di migliaia di membri dell’NDP faranno del loro meglio per riconquistare il potere, sia pure sotto una nuova denominazione. Centinaia di agenti della sicurezza statale, che hanno perso i loro posti di lavoro, sono ora liberi di provocare devastazioni. Decine di migliaia di consiglieri comunali, governatori, rettori e presidi di università (nominati dall’apparato di sicurezza), oltre a esponenti dei media, leader d’impresa e di falsi sindacati, stanno ora cospirando contro la rivoluzione.
Quali sono gli obiettivi della controrivoluzione? Le dichiarazioni di Mubarak alla stampa internazionale, prima che egli si dimettesse, sono particolarmente significative.
“Voglio farmi da parte, ma temo il caos in Egitto … ho paura che i Fratelli Musulmani possano arrivare al potere”.
La controrivoluzione sta ora implementando un piano per trasformare in realtà le paure di Mubarak al fine di mostrare che l’ex presidente aveva ragione. Questo piano comprende:
1. Fomentare il caos e terrorizzare gli egiziani per farli sentire insicuri. Ciò serve a farli stancare della rivoluzione e a spingerli ad accettare le mezze soluzioni per motivi di stabilità. Questo piano ha avuto inizio con il ritiro delle forze di polizia in tutto l’Egitto e con la liberazione di 40.000 criminali dal carcere, che sono stati armati e hanno ricevuto istruzioni di attaccare la popolazione civile. Il piano è rimasto in vigore durante il mandato di Ahmed Shafiq come primo ministro. Quando Essam Sharaf ha preso il suo posto, hanno avuto luogo diversi episodi di vandalismo e di tensioni settarie, umiliando in tal modo il governo post-rivoluzionario. Nonostante i grandi sforzi intrapresi dal nuovo ministro degli interni, Mansur Al-Issawi, la polizia rimane in gran parte assente. Il rifiuto della polizia di proteggere questa nazione costituisce un tradimento. Gli agenti di polizia possono astenersi dal compiere il proprio lavoro solo se gli viene dato un ordine in tal senso. E’ chiaro che coloro che ordinano agli agenti di polizia di non compiere il proprio dovere sono ancora più influenti dello stesso ministro degli interni.
Gli episodi di criminalità e di teppismo in Egitto non sono casuali. Sono per lo più pianificati e mirati. Ad esempio, il personale di sicurezza di fronte al seggio di Moqatam non è intervenuto quando il sostenitore delle riforme Mohammad ElBaradei è stato attaccato dai sostenitori dell’NDP il giorno del referendum. Nel quartiere di Shubra, nei due giorni precedenti il referendum, alcuni teppisti sono stati autorizzati a bloccare le strade, a terrorizzare la gente e a sparare a casaccio colpi di arma da fuoco, causando diversi morti. Non un singolo funzionario di polizia o soldato dell’esercito è intervenuto per proteggere i cittadini. Il fatto che molti copti vivano a Shubra e che i leader copti avessero annunciato la loro opposizione agli emendamenti costituzionali non ha nulla a che fare con questi attacchi? Gli attacchi erano forse mirati a terrorizzare i copti per costringerli ad accettare gli emendamenti, o avevano l’obiettivo di punirli per aver insistito sul diritto degli egiziani ad avere una nuova costituzione?
2. Celebrare processi selettivi, la maggior parte dei quali si svolge sotto i riflettori dei media. I media statali (che erano anch’essi sotto il controllo dell’apparato di sicurezza dello Stato) si sono precipitati a fotografare gli ex-membri dell’NDP Ahmed Ezz, Zoheir Garana, e Ahmed Maghrabi nelle loro uniformi da detenuti, durante le indagini nei loro confronti. Lasciando da parte il fatto che ciò è andato contro tutti gli standard professionali, lo scopo era quello di assorbire la rabbia degli egiziani e convincerli che si stava facendo giustizia. Con tutto il rispetto per il procuratore generale, ci sono molte domande senza risposta a questo proposito.
Perché Mubarak e i suoi familiari non sono stati indagati? Perché gli ex-leader dell’NDP Zakaria Azmi, Fathi Sorour e Safwat al-Sherif non sono stati messi sotto processo? Perché il procuratore generale non ha indagato a proposito delle 24 denunce presentate dai lavoratori dell’aviazione civile contro Ahmed Shafiq, accusato di sprecare il denaro pubblico? Durante il mandato di Ahmed Shafiq come primo ministro, perché il procuratore generale non ha compiuto alcuna indagine sugli agenti di polizia accusati di aver ucciso i manifestanti? Dopo che Shafiq ha presentato le dimissioni, perché la procura ha rilasciato gli agenti accusati di omicidio? Il loro rilascio non permetterà loro di nascondere le prove che potrebbero essere usate per incriminarli? Qual è lo scopo di processare funzionari corrotti e assassini in maniera selettiva?
3. Agli egiziani non è stato permesso di eleggere un’assemblea costituente in grado di redigere una nuova costituzione che rifletta la volontà del popolo e che porti l’Egitto verso un’era di democrazia. Invece, il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha sorprendentemente adottato la proposta di Mubarak di compiere limitati emendamenti costituzionali. Il processo di elaborazione e di approvazione degli emendamenti è stato afflitto da una serie di mancanze. In primo luogo, i membri della commissione incaricata di formulare gli emendamenti non sono stati selezionati sulla base di criteri chiari. In secondo luogo, il referendum si è svolto in tutta fretta dopo l’annuncio delle modifiche proposte, rendendo difficile per i cittadini comprendere appieno le problematiche coinvolte. Terzo, i cittadini potevano solo accettare o respingere l’intero pacchetto degli emendamenti, e non votarli singolarmente. In quarto luogo, la Fratellanza Musulmana e l’NDP si sono ritrovati uniti per la prima volta nell’appoggiare l’approvazione degli emendamenti. I Fratelli Musulmani hanno dimostrato di essere pronti a modificare la loro posizione a seconda dei propri interessi. Dopo aver raccolto le firme per mesi per sostenere la campagna di riforma di ElBaradei, essi hanno voltato le spalle a tutto questo e si sono alleati con l’NDP.
I principi dell’Islam sembrano essere sospesi per i Fratelli Musulmani durante la stagione elettorale, in quanto essi sembrano essere pronti a tutto pur di ottenere il potere. La Fratellanza Musulmana ha accusato i suoi oppositori di essere agenti stranieri. Ha distribuito zucchero e olio ad alcuni elettori, ha terrorizzato altri, e addirittura si è spinta a definire alcuni di loro ‘apostati’. La dimostrazione di forza della Fratellanza, anche se non è del tutto indicativa della sua influenza in tutto l’Egitto, sta servendo gli obiettivi della
controrivoluzione. Da un lato, il movimento sta polarizzando gli egiziani sulla base della religione. Sta minando l’unità nazionale che la rivoluzione aveva invece alimentato. Dall’altro, esso dimostra ai simpatizzanti della rivoluzione in Occidente che Hosni Mubarak era davvero l’ultimo baluardo contro gli estremisti. Coloro che sono rimasti frustrati dalla calda accoglienza che i media hanno riservato al leader e assassino della Jihad Islamica Abud al-Zumur, dopo la sua liberazione dal carcere la scorsa settimana, devono riconoscere che queste immagini offrono un sostegno alla controrivoluzione. Al-Zumur, la cui lunga barba ricorda quella di Osama bin Laden, ha annunciato in televisione che uccidere in nome della religione è legittimo. Quest’affermazione ha terrorizzato milioni di occidentali che simpatizzavano con la rivoluzione egiziana, ma che ora sono pronti ad accettare il ritorno del vecchio regime in nome dell’esigenza di proteggere l’Egitto dagli estremisti.
Coloro che erano a favore degli emendamenti costituzionali hanno vinto il referendum. Pur rallegrandomi per la grande affluenza alle urne e rivolgendo il mio rispetto agli elettori, è mio dovere affermare che portare avanti il processo di transizione con un ritmo così rapido è contro gli interessi dell’Egitto e della rivoluzione.
Se coloro che sono al potere vogliono veramente sostenere il cambiamento democratico, il nostro sistema elettorale incentrato sui candidati deve essere cambiato. Questo sistema permetterà all’NDP e ai Fratelli Musulmani di aggiudicarsi la maggior parte dei seggi alle prossime elezioni. Che siano costoro a ricevere l’incarico di redigere la nuova costituzione egiziana è inaccettabile. La maggior parte dei giuristi ha sostenuto che una costituzione redatta da un parlamento eletto attraverso il sistema attuale non rappresenterebbe la volontà del popolo egiziano. Il loro ammonimento deve essere preso sul serio. La grande rivoluzione egiziana non diventerà un’altra occasione sprecata. Se il processo di transizione ci riporterà indietro, nessuno potrà impedire al popolo egiziano, che ha costretto Hosni Mubarak a dimettersi, di ottenere da sé la propria libertà.
La democrazia è la soluzione.
Tradotto da Medarabnews
Egitto: attacco frontale al cambiamento!
Gli sviluppi egiziani non stanno andando per il verso giusto, e si era capito già dai risultati dei referendum, che avevano tirato il freno a mano su un percorso di transizione favorevole alla coalizione dei rivoltosi, che hanno guidato i giorni di Piazza Tahrir.
Il referendum è andato male perchè ha vinto il desiderio di rallentare la corsa, di non fare il salto di riscrivere la propria Costituzione, quindi prendere nelle proprie mani realmente la possibilità di cambiare drasticamente le “regole” di gestione del potere e i diritti minimi di una popolazione stremata da un silenzioso e decennale regime.
Amnesty International ci ha raccontato pochi giorni fa come si sono svolti gli arresti delle donne della rivoluzione, avvenuti nei giorni di piazza Tahrir e durante i primi scontri con le forze di sicurezza di Hosni Mubarak. Non solo ispezioni vaginali, ma test della verginità. Le parole dei racconti di quelle donne sono agghiaccianti, il sopruso su quei corpi è vergognoso, aumentato anche dalla possibile incriminazione per “prostituzione” qualora il test avesse dato risultati negativi. Una pagina di tortura che si aggiunge a tante altre.
La notizia di ieri invece ha lasciato senza parole tutto il movimento egiziano: dopo aver fatto cadere, a furor di popolo, anche il primo ministro succeduto alla caduta di Mubarak ed aver fatto giurare il suo successore (Sharaf) direttamente in piazza davanti ai manifestanti, il colpo di coda è arrivato.
Pesante. A tentare di travolgere tutto quello che si è costruito, anche sui corpi di più di trecento giovani rimasti uccisi.
Ora l’attacco frontale è al diritto di sciopero e a quello di manifestare: il potere si sta ritrincerando e vuole rimettere dei paletti solidi per non esser più facilmente spodestato da un popolo che crede di aver ora il diritto di scender nelle strade per difendere e conquistare diritti. Niente più diritto a manifestare nè tantomeno a fermare le attività lavorative: pericolosissimo e agghiacciante, visto il salto democratico ottenuto proprio invadendo le strade, giorno e notte, per mesi. Ora vogliono riportare tutti a casa, fare in modo che ci si dimentichi di come si stava, tutti insieme, nelle tante piazze Tahrir nate in quel paese. Parlano anche di una multa per chiunque sia trovato a manifestare o scioperare che può raggiungere anche i sessantamila euro: eheheh, praticamente il reddito di qualche villaggio.
La Coalizione dei giovani del 25 gennaio, che tanto aveva confidato anche nel Consiglio supremo delle forze armate ora è costretta ad aprire gli occhi, ad alzare il livello dello scontro se non si ha voglia, subito, di riabbassare la testa e risottomettersi ad un potere militare.
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Egitto: il referendum non doveva andare così!
Ci son rimasta male, anche se inizio ad avere una certa età per credere nei sogni con così tanto fervore; poi ci rimango male.
La chiamata alle urne in Egitto non è andata come doveva andare anche se tutte le autorità mondiali giocano a chi fa prima d sbrodolarsi dicendo che è l’opzione migliore per la transizione e l’arrivo alle nuove elezioni. Io non la penso così e con me tutto il popolo di piazza Tahrir, quello che ha mosso lo spirito del nuovo Egitto, esclusa i Fratelli Musulmani.
Tutti i sondaggi e i pronostici davano il no per favorito: ma facciamo un po’ di chiarezza.
Se avesse vinto il NO tutto sarebbe stato da ridiscutere: l’intera Costituzione si sarebbe rivista ed era il desiderio delle giovani organizzazione nate durante la rivoluzione, il desiderio dei lavoratori che in massa hanno scioperato per settimane, il desiderio delle donne che avrebbero potuto ridiscutere pezzo pezzo il loro “accesso” alle libertà individuali in modo diverso. Passando il No sarebbe andato al vaglio anche l’art. 2 della Costituzione che sancisce la legge islamica alla base della legislazione nazionale: motivo per cui tutta la comunità copta ha votato compattamente per la riscrittura. Insomma, l’intero popolo della rivoluzione del 25 gennaio, quello che ha mandato a casa Mubarak dopo 30 anni, confidava in un secco NO.
Quello si che sarebbe stato un bello schiaffone al vecchio regime, all’esercito, agli attuali aspiranti candidati (anche se entrambi i potenziali candidati hanno dato la preferenza al NO) e uomini della nuova pagina di quel paese così strategicamente importante, così centrale nella scacchiera mediorientale.
E invece la reazione alla fine ha prevalso ed anche con percentuali più che ampie (pare che la vittoria ruoti intorno al 77%): colpevoli sicuro i Fratelli Musulmani che hanno appoggiato il SI insieme al partito del potere, del regime, dell’ex rais. Si sperava in un comportamento diverso visti i rapporti nati nei due lunghi mesi di vita per le strade che abbiamo alle spalle…ma invece, come sempre, la “reazione” ha prevalso nella principale organizzazione islamica, che pur di uscire dalla clandestinità politica in cui s’è mossa sotto il regime non spinge i propri simpatizzanti per un ulteriore salto.
Niente da fare.
Passano i dieci emendamenti costituzionali: saranno riviste le modalità per presentarsi alle elezioni e anche quelle riguardanti la tempistica della carica, ma buona parte delle norme che regolavano il vecchio regime rimarrano intoccate.
La strada, per il popolo meraviglioso di piazza Tahrir, è solo un po’ più in salita del previsto…
Egitto: 45 milioni di persone alle urne, oggi
In 45 milioni alle urne, nel caro Egitto in rivoluzione. Dovranno esprimersi su uno dei punti fondamentali per il futuro politico del paese nell’era successiva al regime di Mubarak. Potranno votare per ancora una manciata di minuti (i seggi chiuderanno alle nostre 18): Na’am (si) o La (no) al pacchetto di dieci emendamenti, proposti come intervento sulla costituzione. Gli emendamenti più importanti riguardano la durata del mandato presidenziale, le caratteristiche necessarie per esser capo dello stato e le modalità per candidarsi alle elezioni. Gli unici a tifare per il si, oltre a quel che è rimasto del Partito Nazionale Democratico (quello che era il partito di Hosni Mubarak) e i Fratelli Musulmani.
Tutto il popolo di piazza Tahrir, le centinaia di migliaia di giovani che in questi due mesi non hanno mollato la presa contro il regime e i suoi servi che stanno riuscendo dalle fogne appena poche settimane dopo esserci finalmente finiti, il popolo che sta mobilitando il nuovo Egitto, quello della Coalizione dei giovani della rivoluzione invita il paese a votare per il no. No ad un pacchetto d’emendamenti ad una Costituzione che giustamente vogliono riscrivere dall’inzio, parola per parola. Lo raccontavo mentre manifestavo con loro, un mese fa, per Il Cairo: anche i bambini buttati sulle panchine o quelli seduti a mangiare un panino a ricreazione, gli operai, i tassisti…non ho conosciuto egiziano che non avesse in tasca la sua bozza di Costituzione. Se dovesse vincere il SI, con l’approvazione degli emendamenti si arriverebbe rapidamente -a giugno- ad elezioni parlamentari e a settembre alle presidenziali; se dovesse invece prevalere il NO tutto slitterebbe dopo dicembre per permettere ad una commissione di riscrivere la costituzione. Quindi speriamo che la situazione sia come dicono gli ultimi sondaggi, che vedono solo un 37% di preferenze rivolte verso il SI. Al-jazeera racconta di lunghissime file ai seggi; una partecipazione praticamente sconosciuta alle urne egiziane precedentemente
Egitto: maledetta Baltagheyya
Ciò che è accaduto questo pomeriggio a piazza Tahrir e un po’ tutto quello che sta avvenendo da una decina di giorni a questa parte, palesa che son state prese alla leggera un po’ troppe cose dai giovani rivoltosi egiziani.
Le squadracce del regime, la Baltagheyya, che tanto spesso abbiamo nominato in questo blog per descrivere la situazione egiziana, stanno di nuovo passando all’attacco. Probabilmente anche questi improvvisi scontri confessionali, che hanno fatto dieci morti in due giorni, puzzano della loro mano: almeno a me, che ho visto con i miei occhi l’unione tra copti e islamici in questo inizio di rivoluzione in Egitto.
I copti hanno permesso ai Fratelli Musulmani di pregare tranquillamente in piazza durante le tre settimane di piazza Tahrir: loro cordonavano gli islamici piegati a recitare il Corano, loro con quelle piccole croci tatuate sui polsi. Tutti i volantini, tutti i manifesti, tutti i giornali e tutti i volti hanno parlato dal primo giorno di unione tra confessioni per un nuovo paese e la stavano e stanno costruendo con forza e determinazione.
Ora…piazza Tahrir attaccata dalle squadracce, come a gennaio; la manifestazione di ieri, otto marzo, di donne e per donne, finita nel peggiore dei modi; gli scontri confessionali che riappaiono improvvisi, anche alla luce di molte prove uscite sugli attacchi contro le chiese copte, mossi non da gruppi di fondamentalisti islamici ma direttamente dal vecchio ministero dell’Interno…

Foto di Valentina Perniciaro _uno dei simboli più diffusi a piazza Tahrir, l'unità tra musulmani e copti_
Piazza Tahrir, attaccata come dicevamo da queste maledette squadracce che stanno provando a fermare il mutamento in corso con i soli metodi che conoscono, è stata poi definitivamente sgomberata di tutti i manifestanti dall’esercito, che sembra averlo fatto senza usare forza e senza nemmeno reagire al fitto lancio di sassi di un gruppo di giovani che non voleva lasciare il luogo ormai simbolo di un popolo che cerca di liberarsi del regime e dei suoi scagnozzi.
Per qualche ora è circolata la notizia che il coprifuoco era stato anticipato alle 21 in tutta wast al-balad, il quartiere dove si trova piazza Tahrir, notizia smentita poco fa dalla tv di stato.
La rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva un tipo tempo fa… il popolo in lotta d’Egitto lo sta imparando sulla sua pelle giorno dopo giorno.
Il popolo di piazza Tahrir
L’Egitto e le frustrazioni della stampa israeliana
Le frustrazioni accumulate dalla stampa israeliana in questi giorni sono innumerevoli e divertenti: l’editoriale uscito questa mattina su Hareetz, quotidiano di Tel Aviv a firma di Amira Hass è emblematico a riguardo e lo si legge con una certa “simpatia”.
Stiamo parlando di Amira Hass poi, residente a Ramallah da molti anni, inviata israeliana nei territori occupati che più di una volta -se non sempre- ha mosso penna contro l’esercito dalla stella di Davide, quello del suo paese. Ora Amira scrive, o tenta di farlo, dalle strade de Il Cairo protagoniste di una rivolta che ha accolto tutti i media internazionali, ma non lei a quanto pare.
Le risposte che riferisce nel suo editoriale sono emblematiche del rapporto che c’è tra il giovane popolo rivoluzionario di piazza Tahrir e l’ “entità sionista”, in qualunque forma si presenti: c’è chi ha rifiutato l’incontro a prescindere, ci racconta la giornalista, perchè incontrare un cittadino dello stato di Israele avrebbe significato riconoscerne l’esistenza, di quello Stato.
Ci racconta sconcertata della sua faticosa ricerca di un interlocutore e ci tiene a specificare che non sono stati gli appartenenti ai Fratelli Musulmani a rifiutare gli incontri, ma esponenti di diverse organizzazioni anche appena nate, che spesso rimanevano anche sorpresi della richiesta di un incontro [“scusi signora, niente di personale ma non tengo rapporti con l’entità sionista”].
Tra questi anche esponenti delle organizzazioni di lavoratori che hanno scioperato nei giorni della rivolta e non stanno smettendo di farlo.
Amira, con tutto l’infinito rispetto per il tuo lavoro…ma che t’aspettavi??
Egitto: finalmente si assalta la polizia segreta e i corpi di sicurezza dello stato! Yalla!
Al-jazeera ci racconta passo passo, rincorrendo gli eventi, quello che sta accadendo per le strade d’Egitto da ieri sera.
Dicevo appena l’altro giorno come “la pulizia” sia lenta in questa rivoluzione egiziana, ma da ieri sembra aver accelerato i tempi.
Migliaia di persone stanno assaltando diverse sedi, al Cairo come in altre città del paese, numerose sedi dell’ Amn el-Dawla, corpo della Sicurezza dello Stato, la polizia segreta e quella investigativa. Quella che chiamiamo, come il popolo egiziano, la Baltagheyya: le squadracce di Mubarak che in questi trent’anni di regime hanno monitorato, controllato, rinchiuso, torturato e ucciso.
Quello che sembra avvenga in queste ultime ore in queste sedi è un “doppio” attacco: da una parte i manifestanti che assaltano per rabbia le sedi dei loro aguzzini, dall’altra anche il tentativo di bloccare tutti quei poliziotti che qua e là stavano tentando di far sparire col fuoco molta documentazione compromettente sui loro abusi, perpetrati per decenni ( ci sono stati arresti decennali mai notificati alle famiglie, torture, morti mai segnalate, sparizioni …molte cose legittimate dalle leggi speciali, prima cosa che il nuovo popolo d’Egitto ha chiesto di abbattere!)
L’emittente al-jazeera, attraverso le parole di Lubna Darwish, attivista e testimone degli ultimi eventi, ci racconta quello che sta accadendo nel quartiere di Nasr City, nel nord della capitale, dove sono stati assaltati sei palazzi, incluso il quartier generale dei servizi segreti.
“In ogni ufficio abbiamo trovato centinaia di fogli e fascicoli strappati e pronti al macero; allo stesso tempo nel perlustrare gli edifici abbiamo trovato un piano sotterraneo contenente
venti celle di sicurezza.
Sullo stesso piano abbiamo trovato uno stanzone contenente faldoni e documentazione su praticamente tutti gli attivisti del paese. Sono stati in molti a trovare la propria foto.”
Tutte le notizie confermano che l’esercito ha provato a bloccare i manifestanti ma non ha mai usato la forza: in un episodio hanno salvato un ufficiale della Sicurezza di stato che era stato preso dalla folla infuriata e che è stato chiuso all’interno di un tank per evitare un linciaggio.
Sono molti i manifestanti a dichiarare che malgrado la vittoria schiacciante del popolo di piazza Tahrir contro Mubarak e le sue squadracce, gli uffici della polizia investigativa e dei servizi segreti funzionavano ancora a pieno regime: un’altra pagina della rivoluzione -necessaria- è iniziata solo ieri.
Nel frattempo, in nottata, è stato nominato come nuovo ministro degli Interni il generale Mansur al-Essawy. Ha preso il posto di Mahmud Wagdy, di cui tutti chiedevano le dimissioni, designato da Mubarak già durante i giorni di rivolta, nel rimpasto tentato sotto pressione della piazza per cercare di rimanere al potere.
Altre notizie e racconti dal popolo di Piazza Tahrir: QUI
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