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Posts Tagged ‘lager di stato’

La storia di Nadia, tra violenza in famiglia e detenzione in un CIE

12 gennaio 2012 2 commenti

Con Nadia e le altre, contro la violenza maschile e contro tutti i Cie!

Nadia è una ragazza di 19 anni che è detenuta da due mesi nel Cie di Ponte Galeria, il lager alle porte di Roma in cui lo stato italiano rinchiude le persone immigrate senza il permesso di soggiorno.
Ma Nadia in realtà non è “propriamente” un’immigrata: è un’italiana che vive sotto il ricatto del permesso di soggiorno. Lo stato la considera una straniera, da rinchiudere ed espellere, perché è nata in Italia da genitori marocchini.
Una doppia violenza, che si aggiunge a quella patriarcale subita all’interno delle mura domestiche.

GUAI A CHI CI TOCCA!!

Nadia e sua sorella, infatti, avevano denunciato il padre per violenza. E dal carcere il padre le ha “espunte” entrambe, per vendetta, dal rinnovo del permesso di soggiorno.
Inizialmente affidata a una casa-famiglia, Nadia è fuggita per costruirsi autonomamente la vita che desiderava, ma si è ritrovata senza documenti ed è stata rinchiusa nel Cie.
Dopo aver subito la violenza maschile, ora Nadia subisce anche quella dello stato che le nega la libertà personale e rischia di essere deportata in Marocco, il paese di origine dei suoi genitori, in cui in realtà lei non è mai stata.

Non solo Nadia, ma tutte le donne rinchiuse nel Cie di Ponte Galeria sono vittime di una doppia violenza, patriarcale e statale, proprio come lei.
La maggioranza delle detenute sono infatti vittime di tratta, che hanno trovato nella prostituzione forzata l’unica via di accesso a un percorso migratorio. Mentre le altre spesso sono rinchiuse nel Cie perché – come Nadia, Adama, Faith e le altre di cui non sapremo mai nulla – sono state così “ingenue” da chiamare la polizia per denunciare uno stupro o un tentato stupro: si aspettavano di essere sostenute e invece hanno trovato solo gabbie e recinti, ulteriori violenze e la prospettiva di una deportazione forzata.

In questi ultimi tempi il dibattito politico italiano si è concentrato spesso sulla possibilità di attribuire i diritti di cittadinanza ai figli e alle figlie dell’immigrazione. Paradossalmente, ne ha parlato anche il presidente Napolitano, tristemente noto per aver dato il nome alla legge che ha istituito gli ex Cpt, oggi Cie (la legge Turco-Napolitano del 1998). Ma negli interventi che abbiamo ascoltato i diritti sembrano riservati solo a chi si comporta come un “bravo cittadino integrato”, che aderisce acriticamente ai valori dell’italianità, senza mettere in discussione il potere esercitato dallo stato capitalista. Tutti gli altri sono considerati clandestini da sfruttare, rinchiudere e deportare.

Anche i casi di violenza domestica e di femminicidio che hanno coinvolto le comunità migranti sono stati spesso al centro dell’attenzione mediatica, proprio allo scopo di rinforzare la retorica dello scontro di civiltà, che serve a giustificare le politiche islamofobe, xenofobe e securitarie. Gli uomini immigrati sono rappresentati come stupratori che minacciano il corpo delle donne italiane, mentre le donne immigrate (specie se musulmane) come vittime di padri violenti e famiglie retrograde. Ma il movimento femminista ha saputo smascherare la strumentalizzazione e l’etnicizzazione dello stupro, affermando con decisione che il patriarcato è universale e che la violenza domestica non ha confini e non dipende dal passaporto.

Nadia è una giovane donna che ha avviato un percorso di autodeterminazione, ribellandosi sia alla violenza maschile che a quella dello stato.
Nadia – così come tutte le altre donne recluse che subiscono la violenza statale e patriarcale – non deve passare un minuto di più nel lager di Ponte Galeria!
Mentre scriviamo ci arriva proprio da Nadia la notizia che oggi pomeriggio uscirà dal Cie.
Condividiamo la sua gioia per l’imminente liberazione ma continuiamo a lottare al fianco di tutte le altre donne recluse nei lager di stato.

Nadia libera!
Libere tutte! Liberi tutti!
Chiudere tutti i Cie! Abbattere le frontiere!

Silenzio Assordante (Radio Onda Rossa)

Tortura in carcere: è il turno di Asti

26 ottobre 2011 4 commenti

Avete i capelli lunghi al punto di poterli legare per un codino?
Provate a immaginarvelo, il vostro amato codino, mentre rimane in mano ad un agente della polizia penitenziaria perché ve lo tira talmente forte da strapparvelo di netto, tutto in un colpo.
Provate ad immaginare il freddo che può fare in pieno inverno a 5 km dal centro di Asti: e allora immaginatevi nudi, in una cella sporca, con una rete priva di materasso ed un finestrone con sbarre ma senza finestre, aperto.
Immaginatevi PER GIORNI, completamente nudi, senza un posto dove poggiarvi perché avete solo delle coperte lerce da stendere a terra, e se provate ad accostarvi all’unica fonte di calore presente, un termosifone, venite immediatamente pestati, da una squadretta di sette otto ceffi, anfibi ai piedi e frustrazioni da sfogare.
Ovviamente non c’è solo quello; c’è mancanza di acqua corrente e di un bagno agibile, c’è il pestaggio almeno tre  volte al giorno, c’è il freddo cane che rosicchia le ossa nude, c’è la privazione del sonno, perché appena le palpebre crollano lo spioncino si apre e se ti dice bene sono urla e insulti, altrimenti si ricominciano le danze…e riparte il pestaggio, i calci, le posizioni che ti inventi per salvarti il viso, e i coglioni.

Però non stiamo parlando dell’Asinara o di Palmi negli anni più bui della storia d’Italia.
Parliamo di ieri, di oggi, di questo momento, di sempre.
In questo caso sappiamo qualcosa in più, in questo caso le vittime sono due italiani che hanno un nome e un cognome: Andrea Cirino ha 33 anni e le sue parole non sono facili da ascoltare.
«Non mi facevano dormire.Faceva così freddo che ero costretto a stare tutta la notte per terra, attaccato a un piccolo termosifone. Non appena mi addormentavo, alzano lo spioncino e gridavano: “Stai sveglio, bastardo!”. Poi arrivavano i passi con gli anfibi e allora capivo: mi rannicchiavo. Loro entravano in sette od otto nella stanza e partivano calci, pugni, schiaffi. Speravo solo che la raffica finisse, ma non finiva mai».
Claudio Renne di anni ne ha 37 e non ha più il suo codino oltre ad avere su di se e dentro di se i chiari segni di una tortura. Perché le celle lisce dove sono stati chiusi, affamati, pestati, ghiacciati questi due detenuti (pare avessero aggredito un agente giorni prima) sono un palese simbolo di quello che è la gestione in Italia dei corpi prigionieri.

Sono fatti del 2004, usciti fuori a pochi mesi dalla prescrizioni attraverso l’indagine di due sostituti procuratori che hanno ottenuto il processo contro 5 agenti, mentre setti sono stati prosciolti lo scorso luglio.
L’articolo uscito su La Stampa ci dice di incontrovertibili prove: dalle testimonianze dei detenuti a quelle di ex agenti della Polizia penitenziaria, oltre ad alcune intercettazioni telefoniche.

IN QUESTO PAESE LA TORTURA E’ SEMPRE ESISTITA,
E CONTINUA AD ESSER PRESENTE NELLE NOSTRE CASERME, CARCERI, LAGER DI STATO.
TUTTI COLORO CHE RIEMPIONO LA PROPRIA BOCCA DI GRANDI DISCORSI SULLA NON VIOLENZA DAVANTI ALLA RABBIA DI CHI FRONTEGGIA LA POLIZIA PRENDESSE PAROLA A RIGUARDO,
RIEMPISSE FIUMI E FIUMI DI PAROLE CONTRO LA VIOLENZA DELLO STATO CHE OGNI GIORNO SI COMPIE SUI CORPI DEI PIU’ DEBOLI E DEGLI SFRUTTATI.

L’articolo sul Manifesto con l’intervista ad uno dei due detenuti: LEGGI

Ponte Galeria: migranti ed evasioni

26 settembre 2011 4 commenti

PRENDO DA MACERIE, come spesso faccio, per poco tempo purtroppo di seguire tutto e per la totale fiducia in questo sito.
Ai link a fine articolo le due corrispondenze di Radio Onda Rossa di cui si parla qui.

Ma quanta gente è fuggita, in questi mesi, da Ponte Galeria? Noi, che come sa chi ci legge di queste contabilità ne abbiamo tenute spesso, e che tante volte fughe e rivolte le abbiamo seguite da vicino… abbiamo perso il conto. Dopo l’ultima grossa evasione di quindici giorni fa e le proteste della settimana passata, questo pomeriggio un altro gruppone di prigionieri del Cie romano ha tentato la fuga, in massa. Alcuni sono stati bloccati subito, altri ripresi a Fiumicino nelle ore successive e molti altri, invece, sono “uccel di bosco”: non sappiamo precisarvi, per ora, le proporzioni esatte, ma sembra che a varcare i cancelli siano stati almeno in settanta. Sappiamo dirvi, purtroppo, cosa è successo a chi non ce l’ha fatta a scappare: un bel pestaggio collettivo, con feriti e gambe rotte e gente all’ospedale. Prima ancora di ascoltare le due testimonianze raccolte da Radio Onda Rossa che descrivono più nei dettagli la fuga e la repressione, vi invitiamo a riflettere sulla domanda che facevamo all’inizio, ma formulata in un senso più ampio: solo da agosto ad oggi l’esperienza pratica dell’evasione da un Centro – con o senza battaglia con la polizia, con pazienti lavori di seghetto o con la furia della determinazione e del numero – è stata vissuta da centinaia di persone, persone che poi si sono sparpagliate per le nostre città o al di là di qualche altra frontiera europea a rimpolpare le schiere dei senza-documenti a fianco ai quali viviamo ogni giorno. Cosa può succere, allora, quando l’esperienza di essersi ripresi con la lotta la libertà negata diventa un fatto comune e diffuso, sedimentato nei ricordi di un pezzo sempre meno piccolo di città? In che modo questi pezzi di vita, vissuta e raccontata, potranno saldarsi con le rabbie e le lotte a venire? Belle domande che mai avremmo potuto immaginare di formulare prima, alle quali ovviamente non abbiamo risposta.
ASCOLTA LE CORRISPONDENZE DI RADIO ONDA ROSSA: 12

La deportazione di Sonia, mamma di 4 figli … che non la seguiranno

14 settembre 2011 1 commento

Vite in bilico (foto Reuters)

Ascoltate questa corrispondenza effettuata stamattina da Radio Onda Rossa, e se potete correte con quanta più fretta potete verso l’Aereoporto di Fiumicino, dove sul prossimo volo per la Tunisia verrà effettuata una deportazione.
Una di quelle 150 deportazioni che il nostro paese, attraverso l’agenzia Frontex (i voli sono spesso della MistralAir società di proprietà di Poste italiane, ne abbiamo già parlato) effettua ogni settimana tra Tunisia, Egitto ed altro…
la storia di Sonia è straziante.
E’ scappata da un marito di merda che la maltrattava e da un paese dove non voleva stare: s’è presa i suoi bambini ed è approdata, chissà come peraltro, nel nostro paese. Ventiquattro anni.
Ventiquattro anni a Roma, dove son cresciuti i suoi 4 figli, dove ha lavorato, dove ha stretto amicizie e relazioni, dove ha parlato con le maestre dei suoi bambini, ha dondolato sulle altalene giocando con i suoi cuccioli, ha tessuto la sua vita così come l’aveva voluta autodeterminare.
Lontana dai vincoli matrimoniali, religiosi o anche solo geografici, a cui era costretta.

Poi sai, nella loro condizione basta un secondo.
Basta perdere un lavoro, basta per un attimo non avere il rinnovo del permesso di soggiorno che l’inferno dei Centri di Identificazione ed Espulsione si materializza. I sei mesi di detenzione motivati solo da una posizione di irregolarità amministrativa (?!) e non dall’aver commesso un reato, son diventati diciotto, 18, DICIOTTO, con il nuovo emendamento.
E questa è la storia di Sonia come di centinaia di altre donne e uomini, chiusi nei nostri lager di Stato.
Storie di chi nel nostro paese ha tutto, storie di chi come lei oggi sarà deportato nel paese di nascita, senza i propri figli.
LE PAROLE NON CI SONO.
DOVREMMO SOLO FERMARLI

ASCOLTA LA CORRISPONDENZA di questa mattina da PONTE GALERIA

AGGIORNAMENTI DA MACERIE: Così, all’alba di oggi un gruppo di compagni si è ritrovato davanti ai cancelli del Centro. Troppo pochi per intralciare i mezzi nei quali la polizia aveva caricato Sonia e gli altri due ragazzi da deportare, i compagni si sono spostati all’aeroporto per cercare di parlare con il comandante dell’aereo che avrebbe dovuto portare i tre in Tunisia. Ma l’aereo è dell’Alitalia, e il comandante ovviamente irraggiungibile. A metà mattinata l’aereo è partito, non sappiamo ancora se con Sonia e gli altri sopra. Nell’attesa di sapere come è andata a finire, i compagni di Roma invitano tutti a martellare Ponte Galeria di telefonate, almeno per tutta la giornata di oggi: 06 65854224.

ECCO COME E’ ANDATA A FINIRE..PRENDIAMO TUTTO DALLE AGENZIE:

VOLI BLOCCATI CON POLIZIOTTI E TUNISINI DUE AEREI FERMI A PALERMO E 
 TUNISI PER QUESTIONI BUROCRATICHE (ANSA) - PALERMO, 14 SET - «Aerei per 
 i rimpatri degli immigrati fermi da ore con decine di poliziotti a bordo 
 e costi che salgono alle stelle». Lo denuncia il sindacato di polizia 
 Coisp che segnala il caso di due voli che oggi avrebbero dovuto 
 riportare in patria, in Tunisia, circa 100 migranti giunti in Italia. Il 
 primo è partito da Milano alle 2 della scorsa notte con a bordo 90 
 poliziotti di scorta, ed è giunto a Lampedusa, dove ha caricato 49 
 clandestini, per poi fare una prima tappa a Palermo e una seconda a 
 Tunisi, dove però solo 30 immigrati sono potuti scendere. «Secondo 
 quanto sostenuto dalle autorità locali - scrive il Coisp in una nota - 
 non più di tanti clandestini al giorno possono fare sbarco sul 
 territorio, e così 19 africani sono rimasti assieme ai 90 agenti 
 sull'aereo, tuttora bloccato in pista in attesa che la situazione possa 
 sbloccarsi». Una sorte non troppo diversa, secondo il sindacato, è 
 toccata a un secondo volo, partito oggi da Roma con a bordo circa 80 
 poliziotti, atterrato a Lampedusa dove sono saliti a bordo 50 migranti, 
 e di seguito a Palermo, dove però è ancora bloccato, in attesa 
 dell'autorizzazione a viaggiare verso Tunisi che non arriva. «Enormi i 
 disagi, non solo per tutte le persone coinvolte nell'incredibile vicenda 
 - accusa il sindacato di polizia - ma anche per le due linee aeree che 
 sono state private della disponibilità dei due mezzi da destinare ad 
 altri servizi». Per Franco Maccari, segretario generale del Coisp, «sono 
 situazioni cui si stenta a credere e che si traducono in costi 
 esorbitanti per i cittadini e disagi indicibili per i colleghi e per 
 tutti gli altri malcapitati protagonisti».
 
 AGENTI FERMI A TUNISI TORNERANNO DOMANI (V. 'IMMIGRAZIONE: COISP, VOLI 
 BLOCCATI CON...' DELLE 20.59) (ANSA) - ROMA, 14 SET - Si è sbloccata la 
 situazione dei poliziotti e dei migranti bloccati nell' aereoporto di 
 Tunisi perchè le autorità del Paese si erano rifiutate di accogliere un 
 numero di extracomunitari superiore rispetto a quanto previsto dagli 
 accordi. A tarda sera, fanno sapere dal Dipartimento della Pubblica 
 sicurezza, il governo di Tunisi ha acconsentito a riprendersi i migranti 
 sbarcati a Lampedusa mentre i poliziotti passeranno la notte nel Paese e 
 domani torneranno in Italia.
 
 DISORDINI IN CPA LAMPEDUSA, AGENTE FERITO (ANSA) - PALERMO, 14 SET - Un 
 poliziotto ferito da una pietra e alcuni tunisini contusi è il bilancio 
 di una rivolta scoppiata nel pomeriggio nel centro di accoglienza a 
 Lampedusa. I tunisini hanno cominciato a protestare dopo avere appreso 
 che 49 loro connazionali stamattina erano stati rimpatriati e altri 50 
 caricati su un secondo volo diretto a Palermo e poi a Tunisi. La polizia 
 è riuscita a riportare la calma, ma nel centro la tensione rimane alta 
 tant'è che sono stati rafforzati i controlli davanti il Cpa, con l'invio 
 di ulteriori cento agenti. Altri 110 tunisini nel pomeriggio sono stati 
 imbarcati sulla nave Moby diretta a Palermo, dove giungerà domattina. 
 Nel centro di Lampedusa al momento ci sono circa 800 migranti, cento 
 minori sono stati trasferiti nell'ex base Loran.

Ancora pestaggi al CIE di Ponte Galeria, e scoppia la rivolta

1 agosto 2011 4 commenti

DA FORTRESSEUROPE

È da poco passata la mezzanotte al centro di identificazione e espulsione (Cie) di Roma. Tre detenuti tentano la fuga. La polizia li trova. E li massacra di botte agli ordini di una ispettrice che ha deciso di fare la dura. Qualcuno però assiste alla scena. E indignato, sparge la voce tra i reclusi dell’area maschile. Scoppia la rivolta. I detenuti rifiutano di rientrare nelle camerate, la polizia in tenuta antisommossa fuori dalla gabbia minaccia di sfondare. Dentro si armano di pietre per difendersi e danno alle fiamme alcuni materassi. Intanto noi, da fuori, grazie a fonti fidate all’interno del Cie, seguiamo per tutta la notte gli sviluppi della rivolta. Leggete come è andata a finire. E se anche a voi sembra che non sia una roba normale, chiamate il centralino di Ponte Galeria allo 06.65854224. Facciamogli sentire che hanno gli occhi addosso.

Ore 00:47
La polizia sta picchiando 4 algerini al centro di identificazione e espulsione (Cie) di Roma. Li hanno presi un’ora fa mentre tentavano di scappare. Secondo alcuni testimoni li avrebbero pestati malamente. Gli altri reclusi del settore maschile stanno protestando fuori dalle camerate, si sono disposti davanti all’entrata della gabbia e impediscono l’ingresso della polizia che a quest’ora di solito li chiude a chiave nelle sezioni. Rifiutano di rientrare nelle camerate fino a quando non avranno visto in che condizioni hanno ridotto i quattro, che si trovano ancora isolati nella stanza dove sarebbero stati picchiati.

Ore 01:17
I reclusi continuano a rifiutare di rientrare nelle camerate e rimangono concentrati di fronte al cancello della gabbia. Di là dalla rete sono schierate le forze dell’ordine in tenuta antisommossa. Una ventina di militari e una trentina di agenti tra polizia e finanza, pronti a intervenire per far rientrare la protesta. I quattro algerini sono ancora rinchiusi nella stanza dove sarebbero stati picchiati. Si tratta di quattro algerini sbarcati a Lampedusa nelle settimane scorse e provenienti dalla Libia. Alla protesta partecipano anche gli egiziani presi dalla polizia durante la retata del 27 luglio ai mercati generali agroalimentari di Roma, a Guidonia-Montecelio, che ha portato alla reclusione di 16 lavoratori egiziani senza contratto. Non partecipano invece, per evidenti ragioni, i due reclusi ancora rinchiusi in isolamento, ormai da più di un mese, uno dei quali in sciopero della fame dal 22 luglio scorso.

Ore 01:33
Spunta un testimone oculare. I quattro fuggitivi sono stati bloccati in due posti diversi. Tre di loro sono stati immobilizzati davanti alla gabbia dell’area femminile. Secondo il racconto della nostra fonte, inizialmente gli agenti li hanno immobilizzati a terra e gli hanno ammanettato i polsi dietro la schiena. Fin lì tutto tranquillo, poi è arrivata sul posto un’ispettrice di polizia, che ha iniziato a prenderli a calci mentre erano già immobilizzati a terra, per poi schiacciargli la faccia al suolo sotto le suole degli stivali. A quel punto le detenute hanno iniziato a gridare e l’ispettrice ha dato ordine ai suoi uomini di portare via i tre, all’interno degli uffici.

Ore 01:54
Si prepara la rivolta. La polizia ha portato davanti al cancello i quattro algerini per farli rientrare nelle sezioni e ha chiesto ai reclusi di spostarsi dal cancello per lasciarli entrare e poterli rinchiudere nelle aree. Ma la reazione alla vista dei quattro è stata fortissima. Secondo testimoni oculari i quattro algerini sarebbero in brutte condizioni dopo il pestaggio subito. Dentro la gabbia si prepara la rivolta. Un gruppo di reclusi è riuscito a rompere due ferri della gabbia e ad aprirsi un varco per raggiungere un terreno vicino al muro di cinta dove prendere delle pietre con cui armarsi per difendersi nel caso in cui i trenta agenti in tenuta antisommossa dovessero entrare con la forza e picchiare i reclusi. Intanto uno dei detenuti si è tagliato con un ferro il braccio e la caviglia.

Ore 02:07
Secondo una nostra fonte, alla base della rivolta in corso al Cie di Roma, oltre al pestaggio dei quattro algerini di stasera, ci sarebbe una violenta espulsione avvenuta questa mattina. Si tratta di un cittadino tunisino, Monji, residente a Milano da 20 anni, con la moglie e due bambini, preso di forza dal letto mentre ancora dormiva questa mattina all’alba e portato via legato con lo scotch dopo che opponeva resistenza. Il signore in questione aveva già scontato nel Cie di Roma 5 mesi e 25 giorni di reclusione e sarebbe dovuto uscire dopo cinque giorni. La moglie, da Milano, gli aveva già inviato i soldi con Western Union per comprare il biglietto del treno per ritornare dalla sua famiglia in Lombardia. Secondo la nostre fonte questa sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, in un momento in cui tutti i reclusi si sentono spaventati dalla nuova legge in discussione al Senato, che porta a 18 mesi il limite massimo di detenzione nei Cie

Ore 02:28
I reclusi continuano a gridare e a sbattere contro i ferri della gabbia. Gli agenti, in tenuta antisommossa non sono ancora entrati, anche perchè in inferiorità numerica. I reclusi infatti sono più di un centinaio e armati di pietre per difendersi. Nel cortile centrale della gabbia, sono stati dati alle fiamme 7 materassi per evitare l’avanzamento delle forze dell’ordine. Alla protesta partecipano anche sei albanesi, stranamente reclusi da ormai 40 giorni, pur essendo regolarmente entrati in Italia con il nuovo passaporto biometrico, che dal dicembre scorso consente la libera circolazione dei cittadini albanesi nell’Unione europea senza bisogno di visto. Chiedono di essere rilasciati, in Italia o in Albania, senza passare un solo giorno di più in detenzione. Intanto una ventina di reclusi sono saliti per protesta sul tetto delle celle.

Ore 02:55
Grazie all’utilizzo di un idrante, la squadra di agenti in tenuta antisommossa è riuscita a disperdere le decine di reclusi davanti il cancello e a entrare nella gabbia. A forza di manganellate, e proteggendosi con gli scudi dal lancio di pietre, gli agenti sono riusciti a costringere parte dei reclusi a rientare nelle celle, e hanno poi chiuso le gabbie con delle catene con il lucchetto, dal momento che nelle due ore precedenti, i reclusi avevano manomesso le serrature. Secondo una delle nostre fonti ci sarebbero almeno otto feriti tra i detenuti. Un gruppetto di reclusi è ancora fuori dalle celle e cerca di difendersi dal pestaggio lanciando sassi e altri oggetti.

Ore 03:16
Tutti i reclusi, compresi i quattro algerini picchiati tre ore fa, sono stati adesso ricondotti e rinchiusi dentro le celle. Al momento sembra essere tornata la calma. La polizia è uscita all’esterno della gabbia. Dentro però la rabbia è ancora alta. E va di pari passo con l’apprensione per la nuova legge sui sei mesi. Intanto sono emersi nuovi dettagli sull’espulsione di Monji di questa mattina. Testimoni oculari hanno descritto la sua espulsione come molto violenta. Intorno alle sei del mattino, una decina di poliziotti si sono presentati nella sua cella e mentre lui ancora dormiva, tre di loro gli si sono buttati addosso di peso per immobilizzarlo. A quel punto, svegliato di soprassalto, è stato costretto con la forza a inginocchiarsi e quindi è stato ammanettato con i polsi dietro la schiena e trascinato via di forza. I reclusi che hanno assistito alla scena si dicono scioccati. Si tratta del secondo caso di un tunisino espulso allo scadere dei sei mesi. Martedì scorso infatti, nel gruppo di 16 tunisini espulsi c’era anche un certo Mohamed, lavoratore presso il mercato del pesce di Bari e da più di dieci anni in Italia, a cui rimanevano soltanto quattro giorni per compiere i sei mesi di detenzione e uscire.

Ore 04:30
Perquisizione nelle celle. Una squadra di 8 agenti conta i reclusi, cella per cella. All’appello mancano tre persone che durante il caos degli scontri sono riusciti a nascondersi sui tetti. Si tratta di tre algerini.

Ore 7:00
Dei tre algerini che mancavano all’appello, due sono stati ritrovati e ricondotti in cella, apparentemente senza violenza. Il terzo invece è riuscito a fuggire dalla gabbia ed è di nuovo in libertà. Per capire di chi si tratti, la polizia fa una seconda conta, cella per cella, stavolta però con i registri e le foto.

Ore 7:30
Un gruppo di agenti in borghese fotografano i danni della struttura. Un pannello di plexiglass sfondanto all’ingresso della gabbia, 7 materassi bruciati, 2 telecamere distrutte e due ferri spezzati sul retro della gabbia, che vengono prontamente saldati, sotto la sorveglianza di tre agenti di polizia. Nessuno invece fotografa i detenuti feriti.

Ore 9:30
Per punizione, le celle sono ancora chiuse con le catene e i reclusi non possono uscire nel cortile della gabbia grande. Per tutta la notte, la direzione del Cie ha tenuto accese le luci nelle celle per impedire ai reclusi di riposare.

Ore 10:30
Il personale dell’ente gestore Auxilium porta la colazione, ma i reclusi rifiutano di essere serviti attraverso la gabbia, come se fossero animali, costretti a rimanere rinchiusi nelle celle. E proclamano lo sciopero della fame.

Ore 12:00
Per ritorsione, anche lo spaccio delle sigarette resta chiuso oggi.

Ore 13:30
Una ventina di agenti tra polizia e guardia di finanza entrano nella gabbia. Cella per cella, una squadra di otto composta da quattro poliziotti, due finanzieri e due agenti in borghese, armati di manganelli, prelevano alcuni reclusi. Finora dalle prime tre celle hanno prelevato 8 persone. Gli ultimi due erano egiziani del gruppo di lavoratori dei mercati generali agroalimentari di Roma presi nella retata di tre giorni fa. Ancora non si capisce se si tratti dei reclusi che saranno arrestati per la rivolta o se invece si tratti di un’espulsione collettiva in corso.

Ore 14:47
La questura diffonde la versione ufficiale, prontamente rilanciata dalle agenzie di stampa. La censura sulle ragioni della protesta e sulle violenze della polizia è totale.

FIAMME E LANCIO OGGETTI IN CIE PONTE GALERIA, ALCUNI TENTANO FUGA 
Roma, 30 lug. – (Adnkronos) – Protesta la notte scorsa al Cie di Ponte Galeria, in provincia di Roma. Alcuni immigrati hanno dato fuoco a materassi e coperte, mentre cinque persone hanno scavalcato la recinzione per fuggire. Sul posto sono intervenute le volanti della polizia che hanno bloccato gli immigrati in fuga. Contro gli agenti sono state poi lanciate bottiglie e altri oggetti. La protesta è scoppiata ieri sera poco prima di mezzanotte. La situazione è stata riportata alla normalità dalla polizia dopo un paio d’ore. Alcuni agenti sono rimasti feriti. Sul posto sono intervenuti anche i vigili del fuoco per spegnere i focolai.

AL CIE PONTE GALERIA SCONTRI ED INCENDI DOPO TENTATIVO FUGA
(ANSA) – ROMA, 30 LUG – Quattro persone la scorsa notte hanno tentato la fuga dal Cie di Ponte Galeria a Roma, ma sono state riprese dalla polizia ed una volta all’interno hanno distrutto alcune stanze, dato fuoco a materassi e coperte e lanciato oggetti con gli agenti. La «rivolta» è durata circa tre ore. A quanto si appreso, poco prima della mezzanotte quattro immigrati algerini, sono riusciti ad oltrepassare il varco del Cie. È subito scattato l’allarme ed è intervenuto il Reparto Mobile della Questura di Roma che è riuscito a riprendere i fuggitivi. Ma una volta riportati dentro si è scatenata una rivolta: gli immigrati hanno lanciato con gli agenti, bottiglie, sassi e tubi dei bagni sradicati dai muri. Altri extracomunitari hanno dato foco a coperte e materassi e sono dovuti intervenire i vigili del fuoco per domare le fiamme. La calma nel centro è tornata soltanto verso le 3. Otto poliziotti sono rimasti feriti, mentre due stanze sono state chiuse perchè dichiarate inagibili.

Ore 15:00
A Ponte Galeria è arrivato il deputato Andrea Sarubbi (Pd) per una visita ispettiva. Sarubbi aveva già visitato il Cie romano durante la mobilitazione nazionalelasciateCIEntrare, lo scorso 25 luglio.

Ore 15:13
Touadi e Gaudio (Pd) inviano un comunicato stampa sulla rivolta di Roma e sui fatti di Lampedusa, chiedendo la chiusura dei Cie

GAUDIO E TOUADI (PD), CHIUDERE DEFINITIVAMENTE I CIE
Roma, 30 lug. – (Adnkronos) – «Le notizie che giungono in queste ore, circa soprusi, pestaggi e violenti scontri, all’interno del Cie di Ponte Galeria, se confermati, rendono ancora una volta l’idea della necessità di una chiusura definitiva del modo in cui sono concepiti i Cie». È quanto dichiarano in una nota congiunta il deputato del Pd, Jean Leonard Touadi e Sergio Gaudio, responsabile del forum immigrazione del Pd di Roma. «Allo stesso modo, continuano a giungerci notizie della presenza di minori – continua – per esempio in quello di Lampedusa, in promiscuità con gli adulti e trattati esattemente con gli stessi metodi, senza alcun riguardo e senza alcun rispetto per la loro giovane età e per la loro condizione. Nulla in termini di garanzie sembra loro fornito»«Ci sembra incredibile – conclude – che situazioni di questo genere possano perdurare, in un paese civile quale l’Italia è. Il centrodestra continua in una campagna che sta facendo scivolare il nostro paese verso una deriva di intolleranza e di limitazione di diritti inviolabili che non è più accettabile»

Ore 16:30
Il deputato Andrea Sarubbi (Pd) esce dal Cie dopo aver parlato con le forze dell’ordine e con i detenuti. Sostanzialmente, le forze dell’ordine negano di avere fatto ricorso alla violenza e anzi lamentano di essere state oggetto del lancio di pietre. I reclusi invece confermano di essere stati malmenati. Grazie all’intermediazione di Sarubbi, la direzione del centro ha finalmente autorizzato la riapertura dei cancelli delle celle e la distribuzione di acqua e cibo nella mensa.

Ore 18,30
Il deputato Andrea Sarubbi pubblica sul suo blog un post in cui ricostruisce la rivolta di stanotte al Cie di Ponte Galeria.

Ore 24:00
La notizia della tentata fuga degli algerini e della rivolta viene diffusa in Algeria dal quotidiano nazionale El Watan, che cita Fortress Europe per la ricostruzione dei fatti

Al C.I.E. di Gradisca ora è vietato fumare

2 marzo 2011 Lascia un commento

La situazione all'interno del C.I.E. di Gradisca dopo la rivolta dei giorni scorsi (Altre foto su http://fortresseurope.blogspot.com)

La conferma è arrivata direttamente da Federica Seganti, assessore alla Sicurezza del Friuli Venezia Giulia: i reclusi di Gradisca non potranno più fumare. Questo per “evitare nuove rivolte” e non dare più la possibilità ai prigionieri di dar fuoco ai materassi.  Stanno fuori di testa.
Evitare nuove rivolte togliendo anche la possibilità di fumarsi una sigaretta?
DA MACERIE:
Dopo la rivolta dell’altra sera, i reclusi dell’area bianca di corso Brunelleschi a Torino sono entrati in sciopero della fame. Tutto ieri non hanno mangiato, e per protesta hanno messo le coperte e i materassi fuori dalle stanze. Anche oggi si sono rifiutati di toccare cibo. A loro si sono aggiunti anche i reclusi di un’altra sezione del Centro. Secondo i calcoli che provengono da dentro, ad attuare questa forma di protesta sarebbero una settantina. Dall’altra sera, poi, è sempre più difficile fumarsi una sigaretta dentro al Centro. Già, perché ora i militari di guardia si rifiutano di farli accendere e allora i reclusi sono costretti ad aspettare i crocerossini. Inutile dire quanto nervosismo crei questa ripicca dei militari. Mai quanto a Gradisca dove, dalle voci che arrivano, ai reclusi stipati negli stanzoni è semplicemente vietato fumare.


								

Un po’ di notizie dai CIE e un comunicato delle compagne su Joy

4 novembre 2010 Lascia un commento

Dopo qualche mese dall’uscita di Joy dal circuito Cie-carcere-Cie, ci siamo incontrate all’interno dell’appuntamento nazionale di Torino contro i Cie e le espulsioni (21-24 ottobre) per confrontarci tra compagne provenienti da varie città sul proseguimento della lotta contro i lager della democrazia.
L’imminente scadenza del 2 dicembre, giorno fissato per l’udienza preliminare dell’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso (alle ore 12), ci ha trovate ancora una volta unanimi nel rifiutarci di delegare allo Stato e ai suoi tribunali l’accertamento di una verità che già da un anno andiamo ribadendo: nei Cie la polizia stupra.
Una verità che è emersa non appena la legge Turco-Napolitano ha creato i Cpt, nel 1998. La quotidianità di ricatti sessuali e stupri contro le donne immigrate da parte di uomini in divisa dentro e fuori i lager della democrazia è, per noi, un dato di fatto. Come è un dato di fatto il sistema di connivenze che garantisce a questi aguzzini la licenza di fare ciò che vogliono dei corpi di uomini e donne reclusi nei Cie e in ogni altra istituzione totale.
I Vittorio Addesso possono esistere perché ci sono magistrati che denunciano le donne che, come Joy ed Hellen, hanno il coraggio di rompere il silenzio. Ricordiamo, infatti, che Antonella Lai, in qualità di giudice del processo contro le/i rivoltose/i di Corelli, in sentenza ha disposto la trasmissione degli atti alla procura per il reato di calunnia contro le due ragazze nigeriane.
I Vittorio Addesso possono esistere perché ci sono quelli che, come Massimo Chiodini, responsabile della Croce Rossa nel lager di Corelli, pur di garantirsi lauti profitti sono disposti a testimoniare il falso e a coprire gli abusi. Ma d’altronde che aspettarsi da chi ha scelto di ingrassare il proprio portafogli lavorando per gli enti gestori dei Cie? Che si chiami Croce Rossa o Lega Coop per noi non fa alcuna differenza, e ci fa lo stesso schifo.
I Vittorio Addesso possono esistere perché sanno che questori come Vincenzo Indolfi – ex questore di Milano, recentemente promosso a prefetto con funzione di ispettore generale di amministrazione del consiglio dei ministri – e ministri come Roberto Maroni faranno di tutto per espellere quell’immigrata che osi denunciare un poliziotto per violenza sessuale nel Cie.

Le continue ribellioni e fughe dai lager della democrazia dimostrano una sola cosa: i Cie vanno chiusi senza se e senza ma. Di quei luoghi non possono che rimanere macerie, per ricordare che per creare tali abominii non c’è bisogno di un regime nazista ma è sufficiente la logica disumanizzante dello sfruttamento di donne e uomini.
Non intendiamo essere complici di uno Stato che, dopo aver fatto di tutto per chiudere la bocca ad una donna che ha avuto il coraggio di ribellarsi contro il suo aguzzino, ancora una volta utilizzerà la logica ipocrita delle “mele marce” per farsi garante della giustizia.
Marcio, per noi, è tutto il sistema: chi costruisce i Cie, chi li gestisce, chi deporta donne e uomini immigrati e rom, chi discrimina a colpi di leggi, chi sfrutta lavoratori e lavoratrici, chi fa della sicurezza un’arma di comando e controllo, chi usa gli stupri per criminalizzare in base al passaporto e tace sulle violenze quotidiane che avvengono nella “sacra famiglia”, chi condanna le donne che reagiscono, senza delegare, a vessazioni e violenze.
Siamo dalla parte di chi si ribella, perché anche noi ci ribelliamo quotidianamente.
Non ci interessano i rituali e le ipocrisie di chi si dichiara contro la violenza sulle donne e poi distingue o strumentalizza in base alle proprie convenienze.
Il 25 novembre 2009, quando ci siamo mobilitate contro i Cie in diverse città in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a Milano la polizia caricò con violenza e ripetutamente il presidio in piazzale Cadorna perché uno degli striscioni esposti diceva a chiare lettere che “Nei centri di detenzione per immigrati la polizia stupra”. Quelle cariche avevano, da parte della questura milanese, il chiaro obiettivo di stroncare sul nascere lo smascheramento di connivenze e coperture sulle violenze sessuali nei Cie. Di molestie e stupri nei Cie non si doveva parlare, perché questo avrebbe aperto un varco nella cloaca del dispositivo. Ma il poliziesco atto di forza in piazzale Cadorna si palesò immediatamente per quanto era in realtà: un grande atto di debolezza e paura nei confronti di pratiche ed enunciati che andavano formandosi.
Nei mesi successivi intimidazioni e denunce si sono susseguite nei vari territori contro chi andava ribadendo la realtà della violenza quotidiana nei lager della democrazia, in particolare contro le donne immigrate. Tutto questo non ci ha fatte arretrare di un passo!
Ad un anno di distanza proponiamo che il prossimo 25 novembre sia l’inizio di una settimana di lotta contro i Cie come luoghi di sopruso ed abominio, dove la violenza di genere è pratica quotidiana, una lotta che ciascuna realtà declinerà come vuole nel territorio in cui agisce per poi convergere a Milano il 2 dicembre in un presidio sotto al tribunale, consapevoli di non essere lì per sostenere una “vittima”, ma una donna che si è ribellata alla violenza di un uomo – di un uomo in divisa.
E non sarà che un nuovo inizio…

Tutte quelle che non intendono essere complici

DAL LAGER DI VIA CORELLI:

Ieri notte a Corelli, intorno alle due, è scoppiata, nella sezione C l’ennesima rivolta. Cartoni e suppellettili bruciate. Il motivo scatenante è stata un’irruzione della polizia in una sezione verso le due del mattino per fare “la conta” manganelli alla mano. L’irruzione della polizia di notte non è una novità. Ci raccontano che spesso gli sbirri entrano nelle sezioni verso le due del mattino per fare “perquisizioni”. Più precisamente entrano nelle camere, denudano tutti i detenuti e li lasciano lì in piedi e al freddo. Li insultano, li colpiscono con i guanti, con le mani, ripetono che loro lì hanno solo “il diritto di non avere diritti” e che sono loro che comandano. Queste le “perquisizioni”.
La “conta”, invece, è in genere gestita dalla solerte Croce Rossa, che con funzioni sempre più di polizia, tre quattro volte a settimana entra di notte nelle camere e si accerta che nessuno sia scappato via. Ieri invece è stata la polizia a entrare nelle sezioni per “contare”, manganelli alla mano, i reclusi. Quando i ragazzi vedono che una trentina di sbirri in antisommossa che vogliono entrare cominciano a bruciare dei cartoni per fermarli. Gli sbirri spengono il fuoco con delle canne dell’acqua, entrano in una stanza e si mettono a pestare un ragazzo mentre è a letto. Quando i suoi compagni di cella cercano di fermarli, cominciano a pestare pure loro al grido di “negri di merda”, mentre altri sbirri gettano loro addosso secchiate d’acqua gelata e li costringono a denudarsi. In almeno sette finiscono all’ospedale per le botte prese. In sei rientrano con fasciature alla testa e alle braccia, uno è ancora ricoverato per le botte prese in testa. Non contenti stamattina gli sbirri hanno proceduto ad un pestaggio nella sezione E.
Da dentro si chiedono, terrorizzati: “questa notte a chi toccherà?”
Questo il numero di Corelli: 02.70001950

LA VENDETTA

La Digos di Caltanissetta ha eseguito 10 delle 17 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di extracomunitari che nella notte tra il 13 e 14 novembre 2009 parteciparono alla rivolta degli ospiti del Centro di identificazione ed espulsione di Pian del lago. La polizia ha effettuato gli arresti a Bologna, Perugia, Torino e Firenze, dove si erano trasferiti gli extracomunitari dopo aver lasciato il centro di Caltanissetta. Quella notte a Pian del lago c’erano 96 ospiti e 21 di essi guidarono i disordini nella struttura di accoglienza, devastando i padiglioni e incendiando vestiti, materassi e coperte. Tentarono inoltre di coinvolgere altri ospiti nella rivolta, che durò fino all’alba e impegnò poliziotti, carabinieri, militari dell’esercito e i dipendenti della cooperativa Albatros che gestiva l’assistenza e la refezione per gli extracomunitari. Nelle ore seguenti tutti gli ospiti vennero trasferiti da Caltanissetta all’aeroporto di Catania e da lì nei Cie di Lamezia Terme, Crotone, Bologna, Gorizia e Modena, con voli charter organizzati dal dipartimento della pubblica sicurezza. I gravi danni causati ai tre padiglioni del Cie di Pian del lago, sono stati quantificati dal consulente incaricato dalla Procura in circa 300 mila euro. A distanza di quasi un anno il ministero dell’Interno ha stanziato 1 milione e 50 mila euro per il completo ripristino della struttura. Per quella vicenda furono chieste a giugno scorso 21 ordinanze di custodia cautelare, ma 4 furono annullate. Su 17 provvedimenti 10 sono stati appena eseguiti. [Ansa]

 

Joy, un appello da Milano

12 Maggio 2010 Lascia un commento

Un appello da Milano

«Una sera d’estate Joy, una ragazza nigeriana vittima di tratta, porta il proprio materasso fuori dalla cella del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Preferisce dormire nel corridoio, dove fa più fresco.
Durante la notte si sveglia di soprassalto: sul suo corpo le mani di Vittorio Addesso, ispettore-capo del Cie, che si è sdraiato sopra di lei.
Joy lo respinge con forza e decisione, altre donne la sostengono.
Un “normale” episodio di brutale ­e sessista amministrazione all’interno di un Cie, dove gli aguzzini dominano incontrastati, forti delle connivenze dei gestori di quei lager per immigrate/i.
Alcuni giorni dopo nel Cie di Milano scoppia la rivolta contro il “pacchetto sicurezza”. Joy e le altre donne che l’avevano aiutata vengono brutalmente picchiate, nude, dall’ispettore Addesso e colleghi, e arrestate: una chiara rappresaglia da parte di chi mette in atto ricatti sessuali e molestie e non intende accettare il rifiuto.
Durante le udienze del processo ai rivoltosi, Joy denuncia la tentata violenza da parte dell’ispettore. Hellen, sua compagna di stanza, conferma l’accaduto, diventando la sua testimone.
La Croce Rossa, nella figura del responsabile Massimo Chiodini, copre l’ispettore-capo di polizia. La giudice, voce della “giustizia” italiana, denuncia entrambe le donne per calunnia.
Tutte e cinque le donne imputate vengono condannate a sei mesi di carcere per la rivolta. A febbraio, terminata la pena, vengono riportate in un Cie, dove a tutt’oggi si trovano rinchiuse ­ tutte tranne una ­con la prospettiva di essere deportate in Nigeria, una prospettiva che per Joy ed Hellen, come per tante/i altre/i, equivale ad una condanna a morte.
L’8 giugno a Milano si terrà l’incidente probatorio, udienza durante la quale si troveranno faccia a faccia Joy, Hellen e Vittorio Addesso.
Con Joy, dietro a Joy, vi sarà tutto il mondo dei Cie, fatto di controllo, intimidazioni, abusi e violenze sui corpi rinchiusi. Dietro Vittorio Addesso starà tutta la gerarchia degli aguzzini, fino ad arrivare in alto, al ministero dell’interno e ad uno stato che vuole, gestisce e controlla quei lager. Uno stato che, nella figura di un suo servo, si troverà per l’ennesima volta come parte accusata in un’aula di tribunale da cui, molto probabilmente, ne uscirà assolto.
Ma non è da quell’aula di tribunale che ci aspettiamo una rottura con un consolidato meccanismo di violenze, abusi e ricatti, meccanismo che si esplicita quotidianamente dentro le mura di ogni Cie. È urgente la presa di posizione di ognuna/o di noi contro le complicità che permettono l’esistenza di un lager di stato e coprono gli abusi che vi avvengono quotidianamente.
Per questo l’udienza che si terrà a Milano l’8 giugno, preceduta da una settimana internazionale di lotta contro le deportazioni, chiama tutte e tutti a fare una scelta di parte, ad opporsi e ad esserci.
Una mobilitazione fattiva che arrivi a concretizzare il vero obiettivo: la lotta per la distruzione di tutti i Cie, che è anche lotta per la nostra libertà e la nostra autodeterminazione all’interno di un paese-laboratorio sociale governato da uno stato di polizia. Invitiamo chi non può partecipare al presidio, che si terrà a Milano in tale data, ad organizzare iniziative nel territorio in cui vive.»

macerie @ Maggio 12, 2010

VI SERVIAMO OVUNQUE, ANCHE NEI LAGER!

22 aprile 2010 Lascia un commento

VI SERVIAMO OVUNQUE, ANCHE NEI LAGER!
Roma, mercoledì 21 aprile 2010

Oggi un centinaio di persone tra studenti universitari, nativi e migranti, attivisti/e dei centri sociali, occupanti dei movimenti per il diritto all’abitare, antirazzisti e antirazziste si sono incontrati/e all’Università La Sapienza di Roma per dare vita a un’iniziativa di denuncia e boicottaggio contro i CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione per migranti).
L’obiettivo era il gruppo “La Cascina”, che gestisce il servizio mensa della Facoltà di Economia e il bar universitario a piazzale Aldo Moro. Questa società, tramite l’affiliata “Auxilum”, dal 1° marzo è entrata nella gestione dei servizi interni al lager di Ponte Galeria.

Abbiamo scelto di denunciare la linea complice di quest’azienda che, oltre ad avallare l’esistenza e contribuire alla mala-gestione del CIE di Roma, è responsabile di somministrare cibo scadente, se non scaduto, e troppo spesso “condito” con psicofarmaci, allo scopo di aumentare il controllo sui migranti e le migranti reclusi/e.
È stato aperto uno striscione che diceva «La cascina: complice dei lager! No ai CIE» davanti all’ingresso della mensa di Economia, mentre altri/e entravano nelle sale distribuendo volantini e adesivi informativi, denunciando al megafono gli orrori di Ponte Galeria, invitando gli studenti e le studentesse a boicottare gli esercizi gestiti da “La Cascina”, parlando con lavoratori e lavoratrici e informandoli/e, molti/e per la prima volta, del profilo infame dei loro datori di lavoro.
Ci siamo poi spostati con un corteo spontaneo che ha bloccato la strada fino a La Sapienza, per poi proseguire dentro l’università fino al bar di piazzale Aldo Moro. Anche qui abbiamo denunciato la complicità di “Auxilium/Cascina” e invitato al boicottaggio attivo gli studenti presenti.
L’iniziativa si è conclusa con un pranzo sociale e una mostra tematica sulle condizioni del CIE di Roma al pratone dell’università.

Per costruire le prossime iniziative della campagna contro i CIE
GIOVEDÌ 29 APRILE ORE 19.00 AL FORTE PRENESTINO, CENTOCELLE

CHIUDERE I CIE SUBITO
NON RENDERTI COMPLICE!
BOICOTTA “LA CASCINA”

Ascolta la CORRISPONDENZA di Radio Onda Rossa.

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