Archivio

Posts Tagged ‘reato di clandestinità’

Ismael riesce a scendere dall’aereo: la lotta paga! Ora lo vogliamo libero, lui e TUTT@

28 settembre 2011 Lascia un commento

Sempre dal sito di Gabriele Dal Grande prendo questo breve testo che ci racconta come sta proseguendo la storia di Ysmael che avevamo raccontato nel posto intitolato “tutti gli Ismael del mondo“: la storia di uno dei tanti detenuti nei Centri di Identificazione ed Espulsione, che però ha dalla sua parte una grande comunità di amici e parenti che stanno lottando per dimostrargli tutta la solidarietà possibile.
Non è solo come molti lo sono, nelle sue stesse condizioni, magari perché arrivati da pochissimo nel nostro paese che per loro è solo sbarre, pestaggi e privazione di praticamente tutto.
Ismaele è stato imbarcato su un aereo per la sua deportazione, che qui hanno l’uso di chiamare “rimpatrio”, ma è riuscito a ribellarsi e a scendere da quell’aereo su suolo ancora italiano, per essere di nuovo rinchiuso nel Cie: questa la sua storia.
Grazie a Gabriele che ce le racconta, e grazie anche al pilota di quel volo!

Ricordate la storia di Ysmael e il presidio dei peruviani sotto il Cie di Torino? Ieri sulla pagina facebook del circolo José Carlos Mariátegui di Torino e’ comparsa la locandina che vedete qua sopra “Lo hanno portato all’aeroporto di Milano come un pacco, ma il pacco ha alzato la voce ribelle e ora e’ di nuovo recluso nelle celle del Cie di Torino“. Gli amici, la sorella e i compagni di partito di Ysmael continuano a manifestargli la loro solidarieta’. Sono le uniche voci, al telefono, a tenergli compagnia nel reparto di isolamento dove e’ ritornato l’altro ieri dopo aver perso l’aereo. Si’ perche’ doveva essere espulso lunedi’ su un volo di linea da Milano a Lima. Ma appena l’hanno caricato sull’aereo ha iniziato a gridare e a dimenarsi nonostante il tentativo di immobilizzarlo degli agenti della scorta. La situazione e’ degenerata al punto che il pilota dell’aereo e’ dovuto intervenire personalmente. Ha chiesto a Ysmael se volesse partire o meno. E alla sua risposta negativa ha ordinato ai poliziotti, come in suo potere, di farlo scendere immediatamente. Adesso Ysmael e’ di nuovo al Cie di Torino, in isolamento. Pronto a fare di tutto per non tornare in Peru’. Perche’ a Torino ha una casa, una sorella e un lavoro onesto. Un lavoro da cui dipende il mantenimento del figlio di sette anni in Peru’ e della ex moglie. Estamos contigo.

Ponte Galeria: migranti ed evasioni

26 settembre 2011 4 commenti

PRENDO DA MACERIE, come spesso faccio, per poco tempo purtroppo di seguire tutto e per la totale fiducia in questo sito.
Ai link a fine articolo le due corrispondenze di Radio Onda Rossa di cui si parla qui.

Ma quanta gente è fuggita, in questi mesi, da Ponte Galeria? Noi, che come sa chi ci legge di queste contabilità ne abbiamo tenute spesso, e che tante volte fughe e rivolte le abbiamo seguite da vicino… abbiamo perso il conto. Dopo l’ultima grossa evasione di quindici giorni fa e le proteste della settimana passata, questo pomeriggio un altro gruppone di prigionieri del Cie romano ha tentato la fuga, in massa. Alcuni sono stati bloccati subito, altri ripresi a Fiumicino nelle ore successive e molti altri, invece, sono “uccel di bosco”: non sappiamo precisarvi, per ora, le proporzioni esatte, ma sembra che a varcare i cancelli siano stati almeno in settanta. Sappiamo dirvi, purtroppo, cosa è successo a chi non ce l’ha fatta a scappare: un bel pestaggio collettivo, con feriti e gambe rotte e gente all’ospedale. Prima ancora di ascoltare le due testimonianze raccolte da Radio Onda Rossa che descrivono più nei dettagli la fuga e la repressione, vi invitiamo a riflettere sulla domanda che facevamo all’inizio, ma formulata in un senso più ampio: solo da agosto ad oggi l’esperienza pratica dell’evasione da un Centro – con o senza battaglia con la polizia, con pazienti lavori di seghetto o con la furia della determinazione e del numero – è stata vissuta da centinaia di persone, persone che poi si sono sparpagliate per le nostre città o al di là di qualche altra frontiera europea a rimpolpare le schiere dei senza-documenti a fianco ai quali viviamo ogni giorno. Cosa può succere, allora, quando l’esperienza di essersi ripresi con la lotta la libertà negata diventa un fatto comune e diffuso, sedimentato nei ricordi di un pezzo sempre meno piccolo di città? In che modo questi pezzi di vita, vissuta e raccontata, potranno saldarsi con le rabbie e le lotte a venire? Belle domande che mai avremmo potuto immaginare di formulare prima, alle quali ovviamente non abbiamo risposta.
ASCOLTA LE CORRISPONDENZE DI RADIO ONDA ROSSA: 12

TUTTI GLI ISMAEL DEL MONDO!

16 settembre 2011 1 commento

DA MACERIE, sito che vi consiglio di seguire quotidianamente

Poco più di una settimana fa Ismael è incappato in un controllo di polizia e, come succede a tanti altri senza-documenti qui in città, si è ritrovato nel giro di un paio d’ore prigioniero dentro le gabbie del Cie di corso Brunelleschi. Ora è chiuso là dentro, in balìa dell’umore di crocerossini-in-mimetica e di militari, ad aspettare decisioni e contro-decisioni di un qualche giudice di pace affamato di carte. Dalla sua ha la propria determinazione alla resistenza e la compattezza che, grazie anche alle lotte e ai sussulti di queste ultime settimane, si sta creando dietro le sbarre: la grande evasione della settimana passata, proprio per le sue modalità organizzative, dà conto del clima e della complicità che c’è tra i prigionieri.

Ma Ismael, dalla sua parte, ha anche la solidarietà dei suoi vecchi amici e compagni di fuori. Già, perché Ismael è molto conosciuto nei circoli più politicizzati dell’emigrazione peruviana a Torino. E così, i suoi compagni si sono messi in movimento ed han voluto trasformare in cosa pubblica e di lotta un evento che, per tanti altri amici e parenti e vicini di casa dei vari prigionieri di corso Brunelleschi, troppo spesso è vissuto come una sventura privata della quale quasi vergognarsi. «A volte la stessa vita ci fa imparare, più di quello che impariamo per vivere. La lotta ci fa imparare e adesso è il momento di lottare», ha spiegato uno di loro ai microfoni di Radio Blackout, «per i diritti di tutti gli Ismael del mondo». L’imprigionamento di un amico e compagno è l’illuminarsi della realtà che improvvisamente ti fa imparare che quello non è solo il caso suo, ma di tanti altri come lui, reclusi come lui. Un esempio bello e raro di come dovrebbero andare sempre le cose quando la polizia impacchetta e trasporta qualcuno, chiunque, dentro le gabbie per senza-documenti.

E così, per questo sabato 17 settembre, dalle 17,30 in poi, gli amici e i compagni di Ismael organizzano un presidio sotto le mura del Centro, per chiedere la liberazione sua e di tutti gli altri prigionieri.

È la prima volta, a memoria nostra, che una iniziativa davanti a corso Brunelleschi parte direttamente da gente toccata dalla detenzione di un proprio caro e non dalle differenti alleanze di militanti politici italiani o dalle varie generazioni di nemici delle espulsioni (noi compresi, ovviamente) che si sono susseguite in questi anni in città. Non che la lotta contro i Cie abbia visto come protagonisti solo “gli italiani”, al contrario: come sa benissimo chi ci legge tutti i giorni, quando la macchina delle espulsioni ha perso davvero qualche pezzo è stato sempre per la determinazione all’incendio e alla fuga dei reclusi. Il problema è il fuori dei Centri, il “cosa possiamo fare” di chi rischia di finirci o ci è appena uscito: è lì che si determina lo spazio vuoto abitualmente occupato dai militanti italiani o dai nemici dei Cie. Non che niente si sia mosso in questi mesi, anzi: per tutti, la grinta degli egiziani in corso Vinzaglio di giugno scorso, che hanno trasformato le lamentazioni in sommossa, facendo fuggire a gambe levate i militanti politici e lasciando noi piacevolmente stupiti, ma anche spiazzati. Sullo sfondo, la resistenza invisibile di alcuni pezzi di quartieri, coi fischi quando arriva la volante e i portoni che si aprono, o la gente che si mette in mezzo quando i numeri e la situazione lo consentono, o anche solo il ragazzo del mercato che regala la frutta per i senza-documenti prigionieri. Ma là davanti, dove si vede tanto bene cosa può voler dire dipendere da un pezzo di carta, alla fine ci va sempre chi il pezzo di carta, garantito a vita, in tasca ce l’ha.

Una bella novità, dunque, quella di sabato, che aspettavamo di potervi raccontare da molto tempo. E vedremo assieme se sarà feconda e che strada prenderà: quella delle mille mediazioni con i rappresentanti consolari, delle alleanze con i partiti-che-hanno-aperto-i-Centri e ora si nascondono dietro un dito, della ricerca spasmodica di una presa di posizione da parte di chi ha le mani sulle leve del potere, qui o sulle Ande; oppure quella della compliticità fattiva con chi lotta dentro, del mettersi in mezzo quando escono le camionette dei deportati, del provare a stoppare i voli dei rimpatri, del bloccare pezzi pur piccoli di città per costringerla a guardare cosa succede dentro a quelle maledette gabbie.

macerie @ Settembre 15, 2011

Lettera da Lampedusa, da un bimbo recluso alla sua mamma

4 agosto 2011 5 commenti

Lampedusa, 24 luglio 2011

Foto di Economopoulos _ i campi somali in Yemen_

L’amore di un bambino per la sua mamma. Scrivo questa lettera per dirti che ti amo. Da quando ci siamo separati ti penso giorno e notte, la notte è molto lunga per me lontano da te . Tu sei la più bella donna del mondo, tutti i bambini sognano di averti sulla terra, tu sei la miglior madre che io abbia mai potuto pensare. Un giorno mi sono separato da te mamma. Sai, se fossi un fiore io ti pianterei nel mio cuore, ti innaffierei con le mie mani. Quando ti penso le lacrime cominciano a scendere. Se oggi sono qui senza di te io mi sento solo al mondo e non c’è niente da fare tu sei la persona che conta di più per me, la più cara del mondo. Io sogno per me un giorno di ritrovarti sana e salva, le tue piccole filastrocche canzoni, mi fanno salire il morale, e mi danno la speranza di essere un bambino amato da sua madre. Io vorrei essere il più felice al mondo come gli altri bambini della terra, vorrei gioire della tua presenza, ti prometto che combatterò come posso con tutte le mie forze per ritrovarti. Io so che sei viva e mi pensi, io sarò sempre concentrato in tutto quello che faccio a pregare Dio misericordioso il più misericordioso, io so che Tu mi ascolti, senza sonno né sonnolenza, Tu sei presente nel tuo trono. Tra tutti i bambini aiuta me a ritrovare la mia famiglia, vorrei essere il più felice del mondo e sarebbe un giorno indimenticabile della mia vita.

Mi aiuti a farmi uscire da questa griglia?

Said Islam Yacoub
Riceviamo e pubblichiamo questa lettera da Lampedusa. A scrivere è un ragazzino di 14 anni. Si chiama Said Islam Yacoub, è nato in Camerun il 17 settembre del 1997, e non riesce più a trovare sua mamma Kadijatou. Suo papà è morto, e con la mamma hanno passato gli ultimi quattro anni a Sebha, in Libia. Ormai non la vede dallo scorso 17 marzo. Quel giorno lei non è rientrata a casa. E dopo qualche giorno, le milizie di Gheddafi sono venuti a prendere Said Islam e l’hanno portato via, caricato con la forza insieme a centinaia di altri africani deportati verso nord, nei porti sul Mediterraneo da dove salpano le barche dirette a Lampedusa. A quattro mesi di distanza da quel viaggio, Said ha deciso di scrivere una lettera alla mamma. Vuole che lei sappia quanto lui la ama e quanto ha bisogno di lei. Vuole che lei sappia che è vivo e che la cerca sempre. Nessuno sa dove lei possa trovarsi. Ma Said è convinto che sia ancora viva. Potrebbe essere ancora a Sebha, nei campi profughi di Choucha, in Niger o in qualche centro di accoglienza in Italia. Ovunque lei sia, aiutateci a diffondere la lettera di Said e a cercarla.

grazie, come sempre, a Gabriele Dal Grande, che permette a tutto questo materiale di circolare ed esser fruibile.

Lettera aperta dal Cie di Ponte Galeria

15 luglio 2011 3 commenti

Da Rainews24.it

Gli immigrati detenuti nel centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma, in una lettera aperta denunciano le condizioni in cui sono costretti a vivere. Reclusi senza aver commesso alcuno reato (a parte quello di essere fuggiti da guerra o povertà) denunciano la  mancanza di beni di prima necessità, la sporcizia e il sovraffollamento, oltre alla brutalità con cui vengono effettuati i rimpatri forzati.
Ecco un estratto della loro lettera e la voce di uno di loro che  abbiamo raggiunto al telefono

http://www.rainews24.rai.it/it/video.php?id=23701

Al C.I.E. di Gradisca ora è vietato fumare

2 marzo 2011 Lascia un commento

La situazione all'interno del C.I.E. di Gradisca dopo la rivolta dei giorni scorsi (Altre foto su http://fortresseurope.blogspot.com)

La conferma è arrivata direttamente da Federica Seganti, assessore alla Sicurezza del Friuli Venezia Giulia: i reclusi di Gradisca non potranno più fumare. Questo per “evitare nuove rivolte” e non dare più la possibilità ai prigionieri di dar fuoco ai materassi.  Stanno fuori di testa.
Evitare nuove rivolte togliendo anche la possibilità di fumarsi una sigaretta?
DA MACERIE:
Dopo la rivolta dell’altra sera, i reclusi dell’area bianca di corso Brunelleschi a Torino sono entrati in sciopero della fame. Tutto ieri non hanno mangiato, e per protesta hanno messo le coperte e i materassi fuori dalle stanze. Anche oggi si sono rifiutati di toccare cibo. A loro si sono aggiunti anche i reclusi di un’altra sezione del Centro. Secondo i calcoli che provengono da dentro, ad attuare questa forma di protesta sarebbero una settantina. Dall’altra sera, poi, è sempre più difficile fumarsi una sigaretta dentro al Centro. Già, perché ora i militari di guardia si rifiutano di farli accendere e allora i reclusi sono costretti ad aspettare i crocerossini. Inutile dire quanto nervosismo crei questa ripicca dei militari. Mai quanto a Gradisca dove, dalle voci che arrivano, ai reclusi stipati negli stanzoni è semplicemente vietato fumare.


								

TORINO: 3 giorni contro le espulsioni

13 ottobre 2010 2 commenti


Giovedì 21 ottobre

Ore 21.00 – “Come inceppare la macchina delle espulsioni: esperienze di lotta a confronto”

Venerdì 22 ottobre
Ore 21.00 – “Assemblea sulle lotte contro la costruzione di nuovi Cie”

Sabato 23 ottobre
Ore 12.00 – Presidio a Porta Palazzo
Ore 21.00 – “I muri e le guerre della Fortezza: macchina delle espulsioni ed industria bellica”

Domenica 24 ottobre
Ore 16.00 – Presidio al Cie di corso Brunelleschi

Tutte le assemblee si terranno presso El Paso occupato in via Passo Buole, 47 – Torino
Portati il sacco a pelo!

Per informazioni:
next2010.noblogs.orgnext2010@autistici.org / +39.331.33.66.237

Rivolta di migranti: chiuso aereoporto di Cagliari

11 ottobre 2010 Lascia un commento

Dalle 15 la rivolta è scoppiata in tutto il centro di prima accoglienza Elmas di Cagliari, costruito all’interno dell’aereoporto militare di Elmas, sito dentro lo stesso scalo civile di Cagliari. La terza volta in 11 giorni dentro quella struttura, cosa che ci dice da sola le condizioni di vita dei migranti rinchiusi lì dentro. L’ennesima ondata di sbarchi degli ultimi giorni ha fatto letteralmente esplodere la struttura cagliaritana con più di cento persone presenti e nel primo pomeriggio la rabbia dei migranti è riuscita a rompere il cordone di sicurezza che separa l’area dal centro. Circa una ventina di persone hanno raggiunto la pista correndo: le torri di controllo (che si trovano a meno di 150 metri) hanno dato immediatamente l’allarme ed è stato deciso il blocco totale dello scalo sardo, sia per gli arrivi che per le partenze. Ora sono all’opera le forze di polizia che rastrellano la zona alla ricerca di chi è riuscito a darsela a gambe: già in 4 sono stati presi all’interno dell’aereoporto.

La struttura per un paio d’ore è stata letteralmente occupata dai migranti, tanto che la situazione è ritornata “sotto controllo” solamente dopo l’intervento della squadra mobile di Cagliare che, dopo aver circondato la palazzina e fatto un fitto uso di lacrimogeni, ha fatto irruzione per riconquistarne il controllo. L’operazione al momento è ancora in corso, quindi le notizie sono abbastanza povere: pare che buona pare del centro sia distrutto.
Inizialmente l’ENAC aveva fatto sapere che lo scalo cagliaritano non avrebbe riaperto prima delle 22, ma pochi minuti fa le agenzie hanno iniziato a riportare un’imminente riapertura, dopo il blitz della polizia.

Quando a svegliarti è un plotone di robocop …

20 settembre 2010 Lascia un commento

Questa mattina alle 4 la polizia è entrata in forze, caschi in testa e manganelli in mano, nelle camerate del Cie di Gradisca. Ha svegliato i reclusi e per cominciare li ha fatti sdraiare tutti per terra. Dopo questa sveglia, tutti i reclusi (un’ottantina) sono stati concentrati in un’unica camerata (che di solito contiene 8 persone), mentre la polizia effettuava una perquisizione in tutte le altre celle. Al termine delle operazioni, i prigionieri sono stati di nuovo smistati nelle camerate, ma opportunamente rimescolati. Tutto questo gran lavoro da parte delle forze dell’ordine ha ovviamente ritardato la distribuzione dei pasti e delle sigarette. Pare che questa perquisizione sia una rappresaglia per un tentativo d’evasione sventato ieri (l’ennesimo, e nonostante le condizioni di reclusione a dir poco proibitive).

macerie @ Settembre 20, 2010

Nuova rivolta al CIE di Bari

16 dicembre 2009 Lascia un commento

Nuova rivolta, ieri pomeriggio, dentro al Cie di Bari-Palese. Sembra che tutto sia nato dal pestaggio effettuato dalle guardie, non si sa per quale motivo, di un recluso del modulo 6. I suoi compagni hanno reagito bruciando alcuni materassi e spaccando i vetri della struttura. Contro i ribelli sono accorsi “militari di tutti i tipi” – secondo le testimonianze da dentro – che sono riusciti ad isolarli nel loro modulo. Non si sa bene cosa sia capitato successivamente, ma sembra non ci siano stati arresti. In realtà è dall’altroieri che la tensione al 6 si è rialzata: i reclusi degli altri moduli avevano sentito urla e casino provenire da lì e da allora tutti i moduli sono isolati e i pasti vengono serviti tra le sbarre.
QUI SOTTO IL VOLANTINO DISTRIBUITO DURANTE LA MANIFESTAZIONE  IL GIORNO SUCCESSIVO

Benvenuti nella democrazia dei lager

M. ha una trentina d’anni, e, come dicono i suoi compagni di cella, “sta morendo piano piano”. Da circa quattro mesi è rinchiuso nel C.I.E. di Bari-Palese e da più di 40 giorni porta avanti, nel silenzio e nella disperazione, uno sciopero della fame: non parla e rifiuta il cibo, mangia solo un po’ di  pane ogni quattro-cinque giorni, e perciò le sue condizioni di salute sono gravi; è rimasto “solo ossa”. Da quando i suoi compagni di cella chiedono insistentemente agli operatori sanitari di fare qualcosa, la risposta è sempre la stessa: questi operatori dicono che se M. non si reca autonomamente in infermeria, loro non possono fare niente e non sono responsabili della sue pessime condizioni; evidentemente non gli importa se M. sta così male che non riesce neanche ad alzarsi dal suo materasso, e quindi l’assistenza medica gli viene di fatto negata. In poche parole: la sua vita non ha nessun valore per gli operatori sanitari del C.I.E.

Una cosa simile, probabilmente, deve averla pensata dei suoi carcerieri quel recluso che per disperazione ha tentato di impiccarsi, circa un mese fa, ed è vivo solo perché i suoi compagni di cella gliel’hanno impedito; fosse stato per gli addetti alla sorveglianza, “avrebbe anche potuto impiccarsi, se ne era così convinto”. Neanche la vita di S. deve aver molto valore, secondo gli operatori del C.I.E. in cui è rinchiuso: è ammalato di diabete, ma si vede negare una cura adatta e la possibilità di fare delle analisi. E un parere non molto diverso sugli operatori sanitari l’avranno forse quei reclusi che sanno che alcuni di loro hanno malattie come l’epatite c, e vedono che nessun tipo di precauzione viene presa dagli addetti all’assistenza per evitare il contagio: la barba, ad esempio, la fanno tutti con lo stesso rasoio. Anche questo, si capisce, è una cosa che pare non importi agli operatori del C.I.E.
A quanto dicono questi operatori, neanche la pessima qualità del cibo dipende da loro: è quindi inutile che i reclusi si lamentino se nei piatti trovano vermi o roba andata a male, o se dopo pranzo sono in uno strano stato di torpore
come se nel cibo fossero stati messi psicofarmaci e “sostanze calmanti”.
Forse si tratta delle stesse “pillole” che vengono somministrate quotidianamente all’ora della cosiddetta “terapia”: tutte le altre cure mediche richieste dai reclusi vengono quasi sempre negate. Gli operatori sanitari devono aver stabilito, a quanto pare, che gli psicofarmaci sono un ottimo espediente per tenere a bada i migranti che si trovano nel C.I.E; per poterli tenere rinchiusi per mesi nelle celle col pretesto che non hanno un documento valido, come ha stabilito il recente “Pacchetto Sicurezza”. Per impedirgli di protestare, di fare baccano, di tentare la fuga. E se gli psicofarmaci non dovessero bastare, ci sono i militari addetti alla sorveglianza: sempre col manganello in mano. Ai militari, dicono i migranti, è inutile chiedere qualunque cosa: non è possibile mandare un fax, e neanche avere una penna per scrivere, non ti danno nulla, ti dicono che quello che chiedi non c’è, o non è possibile, o loro non ne sono responsabili.
Ma allora chi sono i responsabili di tutto questo? Saranno gli ex-ministri Turco e Napolitano, che nel 1998 hanno deciso la costruzione di strutture simili? Sarà il ministro Maroni, che ha fatto approvare una legge che allunga i periodi di detenzione nei C.I.E.? Sarà l’O.E.R. (Operatori Emergenza Radio), la “onlus” che ha vinto la gara d’appalto per la gestione del C.I.E. di Bari-Palese? Saranno forse le ditte Medica Sud srl o Ladisa, che partecipano alla gestione di questo centro, in “raggruppamento temporaneo di impresa” con la suddetta O.E.R.? Saranno i militari del battaglione S. Marco, che sono addetti alla sorveglianza? La risposta pare ovvia: sono tutti responsabili.

Responsabili dell’attuazione di una legge razzista, responsabili della macchina delle espulsioni, responsabili dell’esistenza dei  C.I.E., responsabili delle pessime condizioni di vita al loro interno, responsabili della disperazione di chi vi viene “ospitato”.

Ma forse neanche psicofarmaci e manganelli bastano a tenere la situazione sotto controllo, se spesso nel C.I.E. di Bari-Palese ci sono proteste e rivolte rumorose: dentro le celle, con gli scioperi della fame, o cercando di inghiottire qualunque cosa pur di uscire dal centro, per essere portati in ospedale; e all’interno della struttura, quando i migranti spaccano vetri e bruciano materassi chiedendo di essere liberati, o almeno rimpatriati, per sfuggire all’inferno del C.I.E.
L’ultima protesta si è verificata la settimana scorsa: due migranti sono stati arrestati e probabilmente rimarranno in carcere per molto tempo, senza che si sappia più niente di loro.
Una cosa simile è successa ai venti algerini che sono stati arrestati l’anno scorso, nella notte di Natale, per aver tentato la fuga. Sono rimasti in carcere con l’accusa di devastazione e saccheggio, da cui sono poi stati assolti,
dopo un anno, perché la corte d’appello ha deciso che, in effetti, come condanna era decisamente esagerata. Dopo un anno di carcere.

Considerando tutto questo, non è difficile capire perché le leggi sull’immigrazione che vigono in Italia non possono che essere definite razziste, e non ci si stupirà più di tanto se questi C.I.E. vengono sempre più spesso chiamati lager. Perché di lager si tratta.

E allora benvenuti nella democrazia del razzismo, della violenza contro i migranti, della xenofobia, della repressione dei “clandestini” e degli “indesiderati”. Benvenuti nella democrazia che ha costruito i nuovi lager.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: