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Ispezioni in carcere, chiunque può accompagnare i parlamentari
Non siamo abituat@ alle buone notizie ma questa volta è innegabile.
Avevamo parlato proprio pochi giorni fa del processo che si sarebbe svolto contro le mamme di una compagna e un compagno e la consigliera regionale Anna Pizzo, per un ingresso in carcere che secondo la magistratura era illegale. Quando di legale quegli arresti avevano veramente poco, visto l’impianto accusatorio, poi caduto.
Delle mamme che riescono a vedere i loro figli, privati della possibilità di aver colloqui, attraverso l’accompagnamento di un parlamentare (o consigliere regionale) in visita in carcere.
C’è stata la piena assoluzione, e ne sono entusiasta
Assolta la consigliere regionale Anna Pizzo
Ispezioni in carcere, chiunque può accompagnare i parlamentari
di Paolo Persichetti, Liberazione 6 maggio 2011
I parlamentari o i consiglieri regionali che conducono visite ispettive nelle carceri possono avvalersi dell’ausilio di accompagnatori di loro scelta. Membri del governo, parlamentari europei, sindaci e presidenti della provincia, magistrati a capo dei tribunali e delle procure dove hanno sede le carceri, presidenti delle Asl competenti per territorio, garanti dei detenuti ed altri ancora. E’ piuttosto ampia, anche se ancora del tutto insufficiente per rendere le mura delle prigioni trasparenti, la schiera di figure istituzionali che possono entrare nelle carceri per condurre visite ispettive senza previa autorizzazione. Nel corso delle visite queste autorità possono avvalersi delle presenza di accompagnatori, anche questi autorizzati a varcare la soglia degli istituti di pena senza necessità di nessuna autorizzazione. Lo prevede l’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario.
Una prassi consolidata, che tuttavia non è indicata nella norma, contiene il numero degli accompagnatori ad un massimo di due a testa. L’amministrazione penitenziaria non ha alcuna autorità per introdurre limitazioni ad una norma di legge. Lo ha ribadito ieri con una decisione lampo il gip del Tribunale di Roma, chiamato a pronunciarsi su una denuncia depositata nel dicembre 2009 dalle direzioni del carceri romane di Regina Coeli e Rebibbia femminile contro l’allora consigliera presso la regione Lazio, Anna Pizzo, insieme alle due persone che l’avevano accompagnata durante le visite nei due istituti di pena. Si trattava delle madri di due giovani di un centro sociale della Capitale, il Macchia rossa, situato nel popolare quartiere della Magliana e finito al centro di un teorema accusatorio ispirato da alcuni esponenti locali del Pdl, ex An, che avevano come unico scopo quello di sloggiare l’occupazione, da parte di una decina di famiglie senza casa, di una scuola abbandonata da anni. Occupazione che ostacola la realizzazione di alcuni lucrosi progetti speculativi (cf. Liberazione del 10 dicembre 2009).
I due, Gabriele e Francesca, erano finiti in carcere e si trovavano in isolamento. Poche settimane prima, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre, Stefano Cucchi era morto nel reparto carcerario dell’ospedale Pertini dove era finito dopo le percosse subite prima di passare davanti all’udienza di convalida dell’arresto in tribunale. Sui media campeggiavano da giorni polemiche e denunce sulle condizioni in cui si svolgevano i fermi nelle stazioni dei carabinieri e nei sotterranei del tribunale di piazzale Clodio. La visita in carcere venne realizzata per verificare le condizioni di salute e di detenzione dei due giovani e nel rispetto delle procedure previste. All’ingresso dei due istituti la consigliera regionale e le due donne che l’accompagnavano si videro obbligate a compilare un prestampato dell’amministrazione penitenziaria nel quale era indicata, senza altra possibilità di scelta, la funzione di “collaboratore” (da intendersi come figura stabile e continuativa) per qualificare il ruolo di accompagnatrici. Nel declinare le loro generalità le due donne fecero presente di non rientrare in quella fattispecie, ma poiché la burocrazia penitenziaria non prevedeva altre possibilità furono costrette a riempire l’unica casella esistente. Sulla base di queste dichiarazioni, in qualche modo “imposte” per un’imperizia burocratica dovuta ad una forzata interpretazione restrittiva della legge, le direzioni dei due istituti hanno successivamente inviato una segnalazione in procura provocando l’apertura d’ufficio di un procedimento penale per false dichiarazioni. «Il fatto non sussiste», ha stabilito il Gup.
Revocata la detenzione domiciliare per Mario!
La seconda sezione penale collegiale del tribunale di Roma ha revocato, nel corso della udienza che si è tenuta ieri, gli arresti domiciliari a Mario Miliucci, uniformandosi a quanto aveva deciso il tribunale del riesame per gli altri coimputati. L’ultimo degli arrestati per gli scontri del 14 dicembre a Roma, avvenuti nei pressi di piazza Navona durante la manifestazione contro il progetto di controriforma dell’università promosso dalla ministra Gelmini, si è visto sostituire la detenzione cautelare con una misura di sicurezza, l’obbligo di firma presso il commissariato di zona. Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati alcuni testi presentati dalla difesa mentre il maggiore testimone dell’accusa, un ispettore di polizia, non si è presentato, documentando un prolungamento dell’infermità a seguito delle contusioni subite durante gli scontri. La prossima udienza è stata fissata per il 17 marzo. In stato di custodia cautelare domiciliare resta ancora il minorenne S.M.
Questa la pagina per ascoltare la corrispondenza effettuata da Radio Onda Rossa questa mattina con i compagni in presidio fuori dal tribunale
“Mario Miliucci libero”: presidio in tribunale domani
«Miliucci libero», lunedì processo per i fatti del 14 dicembre
Ore 9.30 presidio in tribunale
Liberazione 23 gennaio 2011
Riapre lunedì il processo contro Mario Miliucci, unico del gruppo di manifestanti arrestati alla fine della manifestazione del 14 dicembre scorso ad essere sottoposto ad una misura di custodia cautelare, nella fattispecie gli arresti domiciliari, insieme al minorenne S.M., il ragazzo immortalato in diversi momenti degli scontri che hanno segnato la giornata di lotta (e che i soliti cretini malati di dietrologia avevano iscritto a forza nella categoria degli infiltrati).
La prima udienza, che lo vedeva alla sbarra insieme agli altri coimputati arrestati nella stessa retata successiva agli scontri, si è era tenuta il 23 dicembre. Nel frattempo il tribunale del riesame ha annullato le restrizioni che durante l’udienza di convalida erano state disposte nei confronti di quattro di loro. I giudici hanno ravvisato nei verbali d’arresto una eccessiva indeterminatezza delle condotte delittuose contestate. I magistrati hanno sottolineato la «generica individuazione» degli imputati nonché la presenza di numerose incongruenze nella ricostruzione dei fatti proposta dalle forze di polizia. Una situazione analoga a quella di Miliucci, nei confronti del quale si rivolgono accuse dai contorni confusi e malcerti.
I verbali d’arresto descrivono attimi di forte concitazione dovuti agli scontri molto duri avvenuti a ridosso di piazza di Spagna, e che hanno visto anche la distruzione di alcuni mezzi delle forze di polizia, senza mai fornire precise indicazioni sui responsabili effettivi degli scontri.
Arrestato casualmente in una fase di deflusso alle 15.45, come recita il verbale, a Miliucci viene attribuita (nonostante venga descritto con il volto travisato e dunque irriconoscibile) la partecipazione «unitamente alla fazione più violenta dei manifestanti» ad «un fitto lancio di sampietrini» e quindi «all’assalto dei mezzi», senza che quest’ultima circostanza verificatasi quando era già in manette, e maliziosamente lasciata scivolare nel rapporto, sia confortata da ulteriori e più consolidati dettagli.
Una volta arrestato, dopo aver subito un pesante pestaggio, il giovane si è visto accollare l’improbabile possesso di tre enormi massi trasportabili soltanto con una cariola. Insomma per volontà di qualcuno, e forse per quel nome carico di storia, Mario rischia di diventare il capro espiatorio del 14 dicembre. Per questo lunedì mattina, a partire dalle 9.30, il supporto legale del movimento dopo un’assemblea cittadina tenutasi il 15 gennaio al Volturno occupato ha indetto un presidio cittadino davanti a piazzale Clodio.
24 GENNAIO 2011: REVOCATI GLI ARRESTI DOMICILIARI. MARIO é LIBERO CON L’OBBLIGO DI FIRME QUOTIDIANO _ leggi_
Mario Libero, Tutti/e Liber@: Presidio a piazzale Clodio
Il 23 dicembre 2010 si è tenuta la prima udienza del processo a Mario e gli altri e le altre compagne arrestati\e durante la rivolta precaria e studentesca di Piazza del Popolo dello scorso 14 dicembre 2010. Il processo è stato rinviato al 24 gennaio per dare la possibilità alla difesa di acquisire ulteriori prove testimoniali , videoregistrazioni e fotografie; al contempo i giudici hanno respinto la libertà provvisoria a Mario, motivando capziosamente la permanenza in Italia – indicando in particolare la giornata di lotta a Palermo e Milano – di un “ clima di tensione sociale”, onde per cui Mario rimane agli arresti intanto fino al 24 gennaio.
I giudici per fortuna hanno però deciso di respingere l’assurda richiesta avanzata da ALEMAGNO per la costituzione di parte civile del Comune di Roma , in quanto a Mario non è addossata nessuna “lesione dell’arredo urbano”.
Ai numerosi compagni/e presenti – studenti, lavoratori, amici degli imputati – l’atteggiamento dei giudici non è apparso né sereno, né
imparziale , costoro sono sembrati partecipi e schierati con il clima fazioso e colpevolista voluto dal governo da subito e all’indomani del 14
dicembre. All’oggi – dopo una settimana di prove documentali e testimoniali ripetutamente apparse in TV , sui quotidiani e periodici – è ormai noto alla cittadinanza che gli arrestati sono stati rastrellati a caso, con il titolo abusivo e generico del reato di “ resistenza in concorso”.
Per il resto , è fallito anche il tentativo di dividere i manifestanti in “ buoni e cattivi” sia per la compattezza del movimento , sia per la
consapevolezza di larga parte della società di riconoscere alla protesta e alla condizione diffusa della precarietà motivazioni valide e concrete, che vanno ascoltate e avviate a soluzione, piuttosto che ignorate e/o represse.
L’accanimento giudiziario non ha ragion d’essere, men che mai l’assunzione sussidiata della politica: il trasformarsi in arbitri del conflitto non compete alla magistratura , tantomeno far pendere l’ago della bilancia dalla parte dei forcaioli, trasformando in capri espiatori gli arrestati del movimento solo per soddisfare i propositi di vendetta di una classe politica inadempiente e corrotte.
Tenere ulteriormente agli arresti domiciliari Mario è un abuso, una iniqua punizione, una pena affligente ancor prima della sentenza: è l’ennesima l’amara constazione di quanto dispotismo alberghi ancora nelle istituzioni, soprattutto tra coloro che dimentichi del dettato
costituzionale e della dichiarazione dei diritti dell’uomo, abusano del codice penale per perseguitare il conflitto e i suoi protagonisti.
Vogliamo Mario libero ! Vogliamo che il Movimento tutto si schieri a sua difesa e non solo le poche decine di compagne e compagni presenti ai precedenti presidi svolti a piazzale Clodio.
Mario è uno di noi, lo rivendichiamo come un nostro compagno e non può e non deve pagare per tutte e tutti: a Piazza del Popolo eravamo in decine di migliaia a difenderci dalla violenza delle Forze del Disordine !
PER L’AUTORGANIZZAZIONE SOCIALE
PER L’AUTOGESTIONE DELLE LOTTE
LUNEDI 24 GENNAIO ORE 9.30
PRESIDIO A PIAZZALE CLODIO
CSOA “MACCHIA ROSSA” MAGLIANA
A questo LINK una corrispondenza di questa mattina dai microfoni di Radio Onda Rossa
Erri de Luca risponde a Giovanardi sulla morte di Stefano Cucchi
«Stefano Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perchè pesava 42 chili. La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente… E poi il fatto che in cinque giorni sia peggiorato… Certo, bisogna vedere come i medici l’hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così»
Carlo Giovanardi, Sottosegretario con delega per la lotta alla droga, “co-ideatore” della legge Fini-Giovanardi.
Senza la quale Stefano Cucchi sarebbe ancora vivo.
Erri de Luca, su Liberazione, risponde alla sua insopportabile dichiarazione con queste righe. Magistrali, come sempre
Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.
Di Erri De Luca:
– Su Sonja e Christian, estradati in Germania
– Sulla morte di Stefano Cucchi
– In te milioni di volte mi sono ingrandito
– Esser vendicati da una donna
– San Paolo e l’attacco al cuore dello Stato
– Ballata per una prigioniera
– Mediterraneo, cimitero liquido
– Emergenza e devozione
– ‘na dissenteria de bombe
– cambierà nome pure l’universo
ATESIA: la lotta non si processa
APPUNTAMENTO DOMANI 8 APRILE A ROMA, AI CANCELLI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI PIAZZALE CLODIO. ALLE ORE 9. L’UDIENZA SI TERRA’ NELL’AULA 16: GIUDICE ROMANO
Il 1 giugno 2006 lavoratori e lavoratrici in sciopero, sindacati di base e collettivi politici stringevano in assedio la più grande fabbrica di precariato di Roma: Atesia. Era il punto culminante di una serie di mobilitazioni contro la riduzione del salario e l’estrema precarizzazione nel comparto dell’ict. Chi scioperava e chi picchettava chiedeva che, ad Atesia, il padrone (il signor Tripi, uno dei grandi elettori del centro-sinistra) rispettasse almeno le disposizioni dell’infame legge 30. Almeno quelle! Chiedeva che fosse riconosciuta la natura subordinata della prestazione lavorativa, che fosse riconfermato il contratto ai quattrocento lavoratori mandati via dopo i primi scioperi, che si aumentassero i minimi salariali che non superavano le cinquecento euro mensili, che fossero finalmente assunti a tempo indeterminato lavoratori che da anni, ogni tre mesi, dovevano rinnovare il proprio contratto. La mobilitazione ebbe un grande successo: su quattromila lavoratori, ne entrarono quaranta. Nel pomeriggio l’azienda addirittura chiuse, nell’impossibilità di erogare il servizio.
La repressione, però, non tardava ad arrivare: oltre ai mancati rinnovi, questa volta partivano anche quindici denunce. Risibili i capi di imputazione, si parlava addirittura di “slogan contro l’azienda e contro la precarietà”. Ora non si può neanche protestare! Zitti, muti, le parole servono solo per rispondere al telefono o per offrire promozioni agli utenti. In-bound, out-bound: il lessico dei diritti finisce qui. Nel frattempo persino il giudice provinciale del lavoro afferma che non si può utilizzare il contratto di lavoro parasubordinato per le telefonate in-bound e che il contratto a progetto è incompatibile con il call-center. Persino l’ottuso governo di centro-sinistra stabilisce l’assunzione a tempo indeterminato di ventimila lavoratori del settore. Ma la lotta non è vinta: i salari sono sempre da fame, i tre porcellini dei sindacati confederali (con l’Ugl) continuano a firmare di tutto, ad Atesia si continua a lavorare da schifo. Soprattutto, si apre il processo contro i quindici compagn*.
Il Collettivo Precari Atesia, l’Assemblea Coordinata e Continuativa contro la Precarietà, la Confederazione Cobas e lo Slai Cobas invitano a partecipare all’udienza di mercoledì 8 aprile (h.9.30, ple Clodio, sezione 16). Solidarizzare con i compagni e le compagne denunciate significa dare un segnale alle istituzioni e ai padroni: su Atesia non si torna indietro!
Giovedì 23 aprile (h.10.30), inoltre, presso il Tribunale del Lavoro (v. Lepanto, 4) si apre un altro processo: questa volta la parte lesa sono i lavoratori. L’obiettivo è dare un segnale di cambiamento, dal momento che proprio tante recenti sentenze dei giudici del lavoro hanno contribuito a rendere drammatica la difesa dei propri diritti nelle fabbriche e nelle aziende.
Giovedì 23 aprile è anche il giorno dello sciopero generale: essere presenti al Tribunale del Lavoro significa rendere concreta quella giornata.
La questione Atesia ancora oggi rappresenta uno spartiacque: ha insegnato che le lotte autorganizzate possono vincere anche contro la repressione poliziesca, politica e sindacale. Per mutuare questa mobilitazione è necessario capire che lavorare ad Atesia non significa più (se mai la abbia significato in passato) mettere da parte i soldi per le vacanze estive. Dopo anni di precariato l’ex neolaureato che risponde al telefono “solo per pochi mesi” è una persona che non riesce a vedere per sé altre prospettive oltre al call center. La questione Atesia non riguarda solo quattromila individui (se quattromila sembrano pochi), ma gli stessi protagonisti dei movimenti studenteschi e universitari. Dove erano quando i lavoratori e le lavoratrici di Atesina picchettavano? Quando difendevano il posto di lavoro? Quando venivano denunciati?
RIPRENDIAMOCI I DIRITTI, RIPRENDIAMOCI IL LAVORO
Mercoledì 8 aprile, h.9.30, Tribunale Penale di Roma (p.le Clodio, sezione 16)
Giovedì 23 aprile, h.10.30, Tribunale del Lavoro di Roma (v. Lepanto, 4)
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