Ben 350.000€ l’anno a vita: il salario del capo del Dap.
E’ lo stesso Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziara a far trapelare la notizia, e direi che non è notizia da poco: il Capo di questo dipartimento, che in questo momento ha questo volto qui, ha una retribuzione annua di 350.000 €.
Trecentocinquantamila euro, cifra alquanto imbarazzante, soprattutto se immaginata sulla pelle dei detenuti, tra sovraffollamento e condizioni di vita indecenti.
Ma non è la sola notizia che si scopre, e quindi il valore reale di quella poltrona non è “solo” della cifra appena nominata, perché rimane come vitalizio anche dopo la fine della carica, e lo stesso accade a fini pensionistici. Mecojoni, se direbbe a Roma.
Una ragione in più per voler distruggere e abolire per sempre il carcere,
e con lui i suoi carcerieri, ricchi e poveri che siano.
Un mutuo nel secolo scorso…
Pago un affitto folle per il mercato attuale, oltretutto in una periferia eh, mica in centro.
Ho quasi 33 anni e 2 figli, una disabilità in casa che ha necessità particolari, ho un lavoro a tempo indeterminato da diverso tempo strappato con i denti e una decennale vertenza…
insomma, è ora di provare a comprarsela una casa.
E allora guardi annunci, fai piani e sogni, vedi planimetrie, guardi inorridita i piani per i mutui,
pensi che devi pure sbrigarti perché per altri 24 mesi hai un po’ di agevolazioni da “giovani”.
Poi pensi al secolo scorso, al dolce caro novecento, secolo di cui si sente la nostalgia ogni giorno di più:
penso che nel 1915, di questi giorni, l’Italia ancora doveva dichiarare guerra all’Austia-Ungheria, era ancora un paese neutrale.
Ecco, uno entra in una casa con i propri figli con l’Italia ancora non interventista e ha due strade:
provarla a pagare entro il 25 aprile del ’45 con mussolini ancora penzolante,
o aspettare ancora 10 anni e passare direttamente al ’55 anno in cui apre addirittura Disneyland…
ma vaffanculo va…
poi dite perché uno dovrebbe proprio distruggere tutto.
TUTTO.
I manganelli di Ikea si trasformano in lettere di licenziamento
Quel che sta succedendo a Piacenza ai lavoratori IKEA che hanno azzardato una mobilitazione per denunciare le loro condizioni lavorative è sconcertante.
Oltre ai manganelli, alle botte, ai feriti, alle denunce,
ora a casa: licenziamento per 107 lavoratori.
Qui potete vedere il volantino che verrà distribuito oggi in molte città, in cui si chiederà solidarietà e partecipazione a tutti i clienti Ikea.
Solidarietà di classe: cerchiamo di riscoprirla, di alimentarla, di innamorarcene.
Poi per chi ha siti, blog, social network vari ci sono molti banner e fotografie da condividere sulle proprie pagine: la maggiorparte sono molto divertenti e rendono possibile un passa-parola che in questi casi è necessario.
Boikotta Ikea, porta solidarietà ai lavoratori in mobilitazione,
Diffondi il materiale che stanno producendo,
SABATO 10 NOVEMBRE
– Napoli: ore 16:00 presso l’ingresso dell’IKEA di Afragola
– Firenze: ore 16:30 presso l’ingresso dell’Ikea dell’Osmannoro (Sesto Fiorentino)
– Milano: ore 15:00 all’IKEA di San Giuliano Milanese (uscita tangenziale San Giuliano Milanese)
– Milano: ore 17:30 all’IKEA di Carugate (uscita tangenziale Carugate)
– Bologna: ore 16:00 presso l’ingresso del parcheggio IKEA di Casalecchio
– Padova: ore 15:00 presso l’ingresso dell’IKEA
DOMENICA 11 NOVEMBRE
– Torino: ore 10:00 all’IKEA di Collegno
Qui invece puoi ascoltare una trasmissione di Radio Onda Rossa con i lavoratori Ikea : ASCOLTA
La fucilerìa sudafricana
Nove persone erano state già uccise la scorsa settimana,
oggi sembra che il totale dei corpi a terra, ammazzati in una fuceleria di Stato, siano 18.
Diciotti lavoratori in sciopero, diciotti minatori che manifestavano tra tremila altri per condizioni di vita ed economiche più decenti,
cosa che sta avvenendo da diversi giorni.
Siamo nella miniera di Platino di Marikana, 400 euro medie mensili di salario, ad un centinaio di km dalla capitale e le cronache ci raccontano di un conflitto tra i due principali sindacati che si stava inasprendo da settimane
Una giornata tesa quella di oggi, dove uno dei due gruppi si sarebbe presentato con aria e atteggiamenti minacciosi, oltre che con dei bastoni…
questo è bastato a quanto pare, questo è bastato per far partire alibi come “non sapevamo più come contenere la folla”.
In realtà le immagini sembrano parlare da sole: urlano, più che parlare.
GUARDATE, ASCOLTATE I RUMORI
I mineros e le pallottole di gomma: immagini di una piazza
In questo sito molte informazioni sull’uso di questi armamenti nelle piazze spagnole:
STOPBALESDEGOMA.ORG
Minatori asturiani: arrivano a Madrid, insieme alle pallottole di gomma
Sono arrivati a Madrid, dopo la lunga marcia, in piena notte, accolti da migliaia di persone.
Tutti i minatori delle Asturie, di Aragona, Castilla y Leon, Castilla-La Mancha e Andalusia, ma anche molti solidali da ogni punto del paese, si son ritrovati oggi nella capitale del potere politico ed economico spagnolo,
per combattere contro la chiusura delle miniere di carbone, unica fonte di reddito per tutta quella zona del paese.
Un taglio del 63% degli aiuti al settore: questo il piano killer del governo che passerà così da 310 a 111 milioni il finanziamento preciso, anche in barba all’accordo strategico precedente firmato tra sindacato e padronato.
Un vero e proprio attentato al lavoro di migliaia e migliaia di persone, tra miniere e indotto,
che infatti stanno difendendo a denti stretti il loro salario, con ogni mezzo a disposizione.
Dall’uso sistematico e continuo dei blocchi stradali, delle barricate, agli scontri senza remore con gli apparati speciali delle forze di sicurezza,
che da settimane militarizzano le regioni ad altra concentrazione mineraria.
Più di 500 autobus, accolti da una grande ovazione della piazza.
L’accoglienza è stata decisamente diversa da parte della polizia che dopo le prime cariche non ha esitato ad usare anche proiettili di gomma;
El Pais parla già di 7 arresti ed una 40ina di feriti, avvenuti quasi tutti su Paseo de la Castellana, grande arteria del centro città, sede del ministero dell’industria, dove è partita la prima sassaiola contro le forze dell’ordine che ha fatto poi partire le cariche della polizia antisommossa.
Ci aggiorniamo tra poco.
SOLIDARIETA’ AI MINATORI SPAGNOLI!
UNA CRONACA DELLA GIORNATA: QUI
PER SEGUIRE LA DIRETTA DALLA PIAZZA: QUI
Asturie: la repressione si abbatte sull’insurrezione dei mineros
La repressione spagnola tenta di abbattersi sulla lotta dei minatori, che più che una lotta in difesa del proprio posto di lavoro e del proprio salario
sembra prendere le forme dell’insurrezione.
Di quelle che non si fermano davanti a nulla.
I blocchi stradali e autostradali vanno avanti da settimane, con una forza impressionante e con una solidarietà diffusa in tutta la provincia autonoma della spagna settentrionale, zona ricca di giacimenti e impianti di estrazione mineraria.
E’ proprio sull’autostrada A-66, all’altezza dei tunnel di El Padrun (che dire, il nome ispira di suo una dinamitarda lotta di classe) che gli scagnozzi dello stato spagnolo, truppe speciali della Guardia Civil, si sono abbattuti sui manifestanti che stavano costruendo una barricata incendiata, una delle tante che rendono impossibili gli spostamenti nella zona.
Il pestaggio è stato compiuto soprattutto su tre minatori, uno dei quali ferito in modo grave e poi lo scontro è andato avanti, fino all’arresto di tre persone, poi rilasciate dopo poche ore.
Anche nelle caserme, nei blindati e nei luoghi di detenzione la repressione spagnola non ha esitato ad abbattersi pesantissima sui manifestanti: dei tre arrestati, uno è stato ricoverato successivamente per le gravi lesioni riportate.
Sono diversi i punti della zona dove le autostrade vengono ripetutamente bloccate, con code e rallentamenti che da mesi ormai hanno variato tempi e spostamenti degli abitanti:
che, ripetono, malgrado i grossi disagi si son sempre rivelati solidali ed uniti alla lotta dei minatori, nelle Asturie come in León e Aragona.
Basta vedere quanti, tra i fermi e gli arresti, appartengano a tutt’altre categorie: dagli studenti ai pensionati, dai dipendenti pubblici ai metalmeccanici.
Venerdì scorso è stata forse la giornata di scontri più pesanti: la contrapposizione tra lavoratori e reparti speciali della Guardia Civil alza il tiro giorno dopo giorno, con una rabbia e una determinazione a noi sconosciute, ormai.
Il territorio poi gioca la sua parte, e la conoscenza dei tunnel permette ai minatori in lotta e ogni tanto in fuga dalla repressione, di sparire e apparire qua e là, come spettri che si aggirano per cunicoli e città:
ormai impossessatisi dei pozzi, i mineros riescono spesso a sfuggire agli arresti entrando nei pozzi che, come quello di San Antonio comunicano direttamente con il centro della città.
Si impara sempre dal passato, e loro tra tunnel ed esplosivi partono già avvantaggiati:
PIENA SOLIDARIETA’ AI MINATORI IN LOTTA!
Leggi: I minatori sardi solidali con quelli delle Asturie
Su questo blog: La rabbia dei minatori sbarca a Madrid
Grecia: la rivoluzione è d’acciaio e zucchero. Lo sciopero delle acciaierie e l’occupazione di una famosa pasticceria
Sarà il più martoriato dei paesi che stanno subendo la crisi economica, l’austerity imposta dai “mercati internazionali” che spezza la normale vita economica di tutti gli strati del paese,
sarà il paese che sta sfiorando il baratro in modo sempre più pericoloso,
ma ogni volta che #stavitademerda mi permette di trovare il tempo di scovare notizie dalla Grecia,
il mio cuore si riempie di gioia.
Di quella gioia fatta di collettività, di sudore e organizzazione, di costruzione di percorsi d’autonomia, fondamentalmente di lotta di classe,
quella che da quest’altra parte del mare (un mare piccolo piccolo che sembra immenso) abbiamo rimosso.
Seppellita sotto tonnellate di riformismo, di sindacalismo colluso,
di complottismo, di giustizialismo, di grettezza politica
di incapacità di canalizzare energie e trovare il coraggio di portare avanti le battaglie come si devono portare avanti:
con il coraggio di chi non ha niente da perdere, e vorrebbe TUTTO da conquistare.
Ma non è aria, qui.
No.
Ma la Grecia sta prendendo la strada giusta: sta cercando di prendersi con la forza quello che con molta più forza è stato strappato via.
E lo fa riallacciando la corrente illegalmente alle famiglie che non possono pagare la tassa di proprietà,
lo fa espropriando supermercati di grandi catene e ridistribuendo il cibo preso nei mercati rionali,
lo fa portando solidarietà ai detenuti,
lo fa portando in piazza 15.000 lavoratori delle accierie staccati da qualunque sindacato sempre e comunque colluso e parte integrante dell’indotto di stato di sfruttamento e tagli.
Il piano di Manesis, capo delle acciaierie, caratterizzato dal terrore imposto dai continui licenziamenti e dalla proposta di lavoro a turnazioni, è stato bloccato dalla
tenacia e dalla forza dei lavoratori, che hanno oltretutto trovato un vero e proprio fiume di persone pronte a portare la loro solidarietà.
I volantini dei lavoratori delle acciaierie parlano chiaro, come quelli di studenti, immigrati, disoccupati:
la chiamata è generale, è ad una lotta di classe contro potere, che sia composta, foraggiata e alimentata da tutte le componenti di sfruttati ed emarginati del paese:
chiama a raccolta studenti, precari, dipendenti pubblici, disoccupati, migranti, clandestini, cittadini e nomadi…
tutti uniti, verso un’organizzazione rivoluzionaria capace di soverchiare il sistema,
così com’è.
Mi si riempie il cuore nel leggere i loro volantini, lo ribadisco emozionata.
• Un’altra notizia “greca” ci arriva da Salonicco, battagliera città, dove i lavoratori di una famosa pasticceria (è una catena con negozi in tutto il paese) “Hatzis”, hanno deciso di occupare il negozio nel quartiere di Kalamaria, dopo che da dicembre combattevano per cercare di ottenere i 5 precedenti mesi di salario, oltre che i bonus economici previsti nella mensilità di dicembre.
Una storia che va avanti da alcuni mesi e che ha dell’irreale visti gli ultimi 5 anni di fatturato della pasticceria e il maldestro tentativo (che sicuramente riuscirà) di puntare al fallimento approfittando della crisi nel paese, per evitare di
pagare i milioni di debiti accumulati con le assicurazioni pubbliche.
Basterebbe fallire, cambiar nome alla società e tutti i debiti, per primi quelli con gli stessi lavoratori, spariranno nel nulla.
Alla luce di ciò negli ultimi mesi i licenziamenti sono stati tanti, rimpiazzati con lavoratori “fantasma”, privi di regolari contratti o con l’obbligo di una precedente firma di “dichiarazione volontaria di licenziamento” che permettono al padrone di non pagare le indennità a chi viene licenziato.
Sono 400 euro al mese per turni fino a 12 ore di lavoro: questo è.
tanto che, come ormai per tradizione in quel paese, il padrone sta iniziando a tremare.
I suoi locali sono bloccati e occupati: al secondo giorno di occupazione la polizia ha fatto irruzione arrestando otto persone, tra cui 4 lavoratori e altri 4 solidali:
la cosa non ha minimamente fermato la mobilitazione.
La lotta continua…alla faccia del padrone, di Manesis e di quelli come loro.
Sulla morte di Francesco Pinna, da chi vive sospeso in aria
Come è noto a tutti, il 12 dicembre 2011 Francesco Pinna è morto a Trieste durante il montaggio del palco di Jovanotti.
Innanzitutto vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà e vicinanza alla sua famiglia e a tutti coloro che sono rimasti feriti o comunque coinvolti in questa tragedia. Un errore umano non può giustificare del tutto la morte di una persona, gli uomini possono sbagliare per stanchezza, per fretta , per pressioni varie. Nel nostro mondo il tempo è denaro e il denaro a volte conta più della sicurezza.
Nonostante negli ultimi anni siano avvenuti dei miglioramenti riguardo l’attenzione alla sicurezza nei concerti, spesso alcune norme di carattere economico la fanno ancora da padrone mentre alcune norme sulla sicurezza rimangono ancora solo scritte su carta. Le produzioni, per massimizzare i profitti, richiedono la costruzione e l’allestimento dei palchi e delle aree dove vengono svolti gli eventi live, nel minor tempo e con meno personale retribuito possibile, anche perché le location hanno costi giornalieri esorbitanti così come gli affitti e gli spostamenti dei materiali.
Questo comporta la fretta costante nel lavoro e lo sfinimento dei lavoratori, con turni nei quali lo straordinario è la regola e senza che siano intervallati dal tempo di riposo necessario.
Questo tipo di lavoro però è fisicamente molto usurante e in molti casi espone a diversi tipi di pericolo. I materiali e le strutture utilizzati sono ancora più usurati dei lavoratori, non vengono sottoposti a controlli di revisione adeguati, vengono riutilizzati anche se danneggiati e questo mina già in partenza il discorso sulla sicurezza.
E’ evidente che lavorare in queste condizioni comporti sempre un enorme fattore di rischio.
Ci teniamo a precisare che è inaccettabile morire al lavoro in qualsiasi caso, non solo se si lavora per pochi euro l’ora. Il fatto che la manovalanza indispensabile venga retribuita in modo così inadeguato è dovuto al sistema di subappalto dei servizi che prevede troppi passaggi tra i reali committenti e i materiali realizzatori del lavoro proposto facendo si che, ad esempio, un facchino che a monte costa, non meno di 14 euro l’ora, percepisca realmente meno della metà.
Anche quando il lavoro è più o meno ben pagato, come nel caso dei tecnici specializzati, le condizioni di vita che ne derivano non sono comunque delle migliori. Ci viene richiesta sempre la massima disponibilità, si va al lavoro senza sapere quando si stacca, non si ha la sicurezza della continuità del reddito, non si può programmare il lavoro a lungo termine, si hanno pochi margini di trattativa e ognuno sembra dover pensare solo per se stesso, non vengono fatte valere le più elementari regole del diritto del lavoro (si pensi alla giornata di otto ore), il livello di ricattabilità è molto alto, i dispositivi di protezione sono a carico del lavoratore, i lavori vengono pagati tra i trenta e i novanta giorni, non esistono permessi, malattie, ferie, tredicesime, le coperture enpals e inail sono solo di facciata, così come gran parte dei contratti, quando esistono, sono fittizi.
Il lavoro a chiamata e più che subordinato viene mascherato da libera impresa individuale o collettiva, nel caso delle cooperative.
La morte di un ragazzo ha puntato i riflettori per un breve periodo su un mondo del lavoro che finora è stato più che sommerso. Seppure dal 2008 il testo unico sulla sicurezza ha spinto molti datori di lavoro a trovare escamotage contrattuali, garantiti dalla legge Biagi, si continua a lavorare in nero, soprattutto nelle migliaia di piccoli eventi che vengono quotidianamente prodotti.
I corsi di formazione, imposti sempre dal testo unico, sono di fatto molto spesso a carico dei lavoratori e si rivelano, vista la loro qualità, pure formalità che garantiscono un ulteriore business ad aziende ed enti, che per organizzarli vengono finanziati da Stato, Regioni, Province e UE.
Nonostante questo la regola fondamentale del settore è “THE SHOW MUST GO ON”, ci chiediamo dunque quanto potrà durare il dibattito suscitato dalla tragedia se non saremo noi lavoratori in prima persona a pretendere di lavorare in condizioni umane ed in sicurezza giorno per giorno.
Questo documento nasce dalla volontà di alcuni operai e tecnici dello show business di affrontare insieme le problematiche inerenti al nostro mondo lavorativo che il tragico evento di Trieste ha portato alla luce.
operaispettacololiveroma@gmail.com
Roma: l’autorganizzazione fa capolino nelle Metropolitane
Bello questo comunicato dell’Atac, bello perché quando una società arriva a scrivere pubblicamente simili righe vuol dire che c’è ancora qualche speranza, parola che uso poco e che non amo.
La speranza di pratiche di autorganizzazione nei posti di lavoro, che sappiano far alzare la testa ai lavoratori che da anni subiscono lo sfruttamento e le provocazioni di aziende come Atac Spa: sono un po’ di giorni che le metropolitane di Roma funzionano a singhiozzo.
Sul sito di Atac si parla di “servizio perturbato/ritardi” e il comunicato spuntato da poche ore è inequivocabile.
I lavoratori delle metropolitane di Roma stanno “sabotando” il normale funzionamento del servizio: l’azienda li attacca dicendo che in questo modo, uscendo dalle normali pratiche sindacali, si fa pagare ai cittadini il prezzo più alto.
Tranquilli, siamo abituati a pagarlo, felici di farlo spalla a spalla con chi si ribella, con chi passa all’autorganizzazione.
Questa mattina era chiusa la fermata metro di Termini, mentre la B va lenta lenta che sembra una tartaruga incazzata!
Vi metto il comunicato dell’Atac, che è stupendo:
Atac su agitazioni non autorizzate
Si stanno verificando agitazioni non autorizzate dei macchinisti della metropolitana e degli operai di manutenzione delle officine che, determinando ilrallentamento delle operazioni manutentive sul materiale rotabile e ilrifiuto di condurre alcuni convogli con motivazioni pretestuose, stanno portando alla mancata immissione in esercizio dei treni sulle linee A e B.
A fronte di ciò si stanno creando notevoli disservizi agli utenti del trasporto pubblico, costretti a subire fortissimi disagi e a vedere violato il loro diritto a una mobilità efficiente e sostenibile.
Questa mattina, a causa dell´affollamento determinatosi nella metropolitana per i motivi di cui sopra, le autorità di pubblica sicurezza sono state costrette a chiudere e a sfollare la stazione di Termini.
Tutto questo mentre l´Azienda e le organizzazioni sindacali si apprestano oggi ad incontrarsi per la ripresa delle trattative sul piano industriale, per cercare di individuare insieme le soluzioni compatibili con la delicatissima situazione economico – finanziaria di Atac e del trasporto pubblico locale. Ci auguriamo pertanto che prevalga il senso di responsabilità di tutti.
Nel ribadire che Atac manterrà un atteggiamento di assoluta intransigenza nei confronti di chi supera i confini di una normale dialettica sindacale con atteggiamenti che non colpiscono l´Azienda ma tutti i cittadini, e sperando che dalla trattativa odierna emergano proposte concrete di soluzione alle problematiche, si riserva di valutare l´opportunità di presentare un esposto alla magistratura per tutte le fattispecie penali e civili che eventualmente emergessero.
Alcune notizie in più a riguardo: non si tratterebbe di veri e propri scioperi selvaggi. Diciamo che i lavoratori hanno deciso di applicare alla lettera il regolamento a cui sono sottoposti, rifiutandosi di far uscire vetture difettose.
Piccoli importantissimi passi, che alzano le teste, che creano collettivizzazione, che costruiscono conflitto.
SCIOPERO GENERALE: il desiderio compulsivo di bloccare un paese!
Io sciopero.
Sciopero malgrado i Cobas non lo facciano,
sciopero malgrado vorrei arrivare alla giornata del 15 ottobre con più forza possibile e partecipazione,
sciopero malgrado ci sia un concetto di lotta di classe in questo paese che mi innervosisce, mi fa venir voglia di eremi e solitudine,
mi sconcerta.
Ieri è stata occupata la Borsa, e poi il piazzale difronte: un palco montato poco dopo, molte tende, ma una strana atmosfera che nel resto d’Europa non s’è vista: sembra che abbiamo sempre bisogno di essere eterodiretti, guidati, pompati.
Poca spontaneità, zero rabbia malgrado gli attacchi che subiamo.
Ma tant’è.
Io sciopero; sciopero perché manco più il premio di produzione ci danno ( e so’ quei 1000 euri più l’anno che contavano non poco per il mio budget familiare); sciopero perchè non potrei fare altrimenti, e vorrei solo aver conferma che quel merdoso posto di lavoro dove passo 36 ore a settimana sia fermo, vuoto, silenzioso.
Vi incollo però il comunicato dei Cobas , sull’iniziativa Cgil e sulla giornata del 15 ottobre.
LA CRISI VA PAGATA DA CHI L’HA PROVOCATA
Con le “piazze indignate” verso la manifestazione nazionale del 15 ottobre
La devastante manovra economica del governo Berlusconi-Tremonti-Napolitano è il culmine di tre anni di attacchi alle condizioni di vita e di lavoro dei salariati/e e dei settori più deboli della società. Avevamo detto: “Noi la crisi non la paghiamo” e invece sono proprio le fasce più disagiate ad pagarla mentre coloro che l’hanno provocata, i grandi gruppi finanziari e industriali, sono stati sostenuti dai principali Stati europei che per questo hanno dissanguato le casse pubbliche. Essendo l’attacco generalizzato e continentale, la risposta va sviluppata a livello europeo e in ogni paese deve coinvolgere tutti i settori popolari colpiti. In Italia la manovra é condivisa nella sostanza da governo e opposizione, Confindustria e sindacati concertativi, Napolitano e Draghi. Le polemiche riguardano i dettagli: ed è stato addirittura il PD a denunciare la “pochezza” della precedente manovra che rinviava il grosso dei tagli al 2013-4, chiedendo che essi venissero operati tutti subito. La manovra avrà tempi parlamentari rapidi ma sarà una manovra-monstre permanente, su cui rimetteranno mano ogni volta che i “mercati” vorranno altro sangue popolare.
A manovra permanente va contrapposta lotta permanente, raccordata a livello europeo e coinvolgente non solo i lavoratori/trici “stabili”, ma il vasto mondo del precariato, gli studenti, i giovani senza lavoro, il popolo che ha difeso i beni comuni trionfando ai referendum e quello della Val di Susa e gli altri che lottano contro gli scempi ambientali, e tutti i settori disagiati colpiti. L’Italia deve seguire i grandi esempi delle piazze “indignate” egiziane e tunisine, spagnole e greche, cercando un raccordo europeo di massa, di grande visibilità e impatto politico in difesa dei beni comuni, dei salari, dei servizi sociali, con un messaggio unificato, “La crisi va pagata da chi l’ha provocata”: e stavolta sul serio.
Per questo proponiamo che venga raccolta la proposta degli “indignados” spagnoli affinché il 15 ottobre scendano in piazza in tutta Europa milioni di personecon parole d’ordine comuni. E dai prossimi giorni dobbiamo organizzare in tutta Italia tante “piazze indignate” in permanenza mobilitate contro l’intera politica economica e sociale del governo, che mantengano viva la protesta al di là dei tempi parlamentari, e preparino la giornata del 15 ottobre, a partire a Roma dalle piazze della Camera (Montecitorio) e del Senato (P.Navona). Questa mobilitazione, se coinvolgerà tutta l’opposizione sociale, potrà poi costruire un maggioritario sciopero generale sociale, che non riguardi solo fasce del lavoro “stabile” e sindacalizzato.
Non va in tale direzione quello convocato per il 6 settembre dalla Cgil. Rispettiamo la scelta di chi vi parteciperà sperando come tante volte in passato in una conversione della Cgil al conflitto. Ma ricordiamo che proprio la sottoscrizione del “Patto per lo sviluppo” con la Confindustria e Cisl-Uil del 28 giugno ha dato via libera alla manovra e alla demolizione degli ultimi diritti dei salariati. La Cgil sciopera perché quel Patto sia recepito nella manovra, cancellando l’interpretazione che il governo ne ha dato nell’art.8: e lo fa in una data e con modalità che impediscono la formazione di un vasto fronte sociale, con scuole e Università di fatto chiuse, con i lavoratori/trici appena tornati dalle ferie, senza preparazione, anche come atto di resa dei conti con le minoranze interne, con una piattaforma in linea con lo sciagurato Patto, in supplenza politica del PD, non per contrapporsi al governo ma per interloquire con esso. E non va verso la costruzione di un fronte alternativo alla manovra l’adesione affrettata allo sciopero Cgil di strutture del “sindacalismo di base” per nulla in grado di influenzare la piattaforma della giornata.
Dunque, i Cobas non parteciperanno allo sciopero Cgil e si concentreranno nelle iniziative sopra indicate, verificando anche nella giornata del 6 la possibilità di costruire “piazze indignate” o iniziative alternative in luoghi e con alleanze che lo consentano.
Confederazione COBAS
MARCHIONNE DEL GRILLO!
Veramente stupendo
SCIOPERO DEL LAVORO NERO tra Napoli e Caserta
IERI DALLE 5 DI MATTINA ALLE 18 LE ROTONDE TRA NAPOLI E CASERTA SI SONO FERMATE…NIENTE CAPORALI A CARICAR SCHIAVI!
UNA GIORNATA IN CUI S’E’ RESPIRATA UN’ARIA NUOVA, DI RIBELLIONE E DIGNITA’.
IL LORO COMUNICATO E QUALCHE IMMAGINE, IN ATTESA DI SAPERE COME ANDRA’ LA MANIFESTAZIONE DI OGGI.
Oggi si è fermato il mercato delle braccia in Campania! Si sono fermati migliaia di migranti costretti a lavorare in nero principalmente in edilizia e in agricoltura con paghe sempre più basse (ormai anche sotto i 20 euri a giornata) e condizioni di sicurezza inesistenti.
E tantissimi hanno deciso di metterci la faccia contro il lavoro in nero e la discriminazione, scendendo in piazza con cartelli e volantini in quegli stessi luoghi dove ogni giorno caporali e padroncini reclutano i propri Kalifoo (lett. “schiavo a giornata”).
Lo sciopero dei “Kalifoo” si è così palesato nei principali siti del lavoro nero (almeno venti in tutta la provincia di Napoli e di Caserta), da Casal di Principe a Baia Verde (Castelvolturno), da Villa Literno a Licola, Afragola, Scampia, Quarto, Caivano, Qualiano, Marano, Villaricca e Giugliano…. Con il supporto sul campo degli antirazzisti campani.
Un evento per certi aspetti storico, perchè mai prima d’ora in Campania (e in Italia), gli immigrati sfruttati in nero avevano scioperato così massicciamente, decidendo coraggiosamente di mostrarsi, col rischio di rappresaglie dei caporali o di compromettere il rapporto di lavoro con il padroncino di turno.
Una scelta fatta per rivendicare diritti e dignità, salario e sicurezza, a partire da quel permesso di soggiorno senza il quale è impossibile sfuggire ai ricatti e molto spesso trasforma le vittime in colpevoli: sono clamorosi infatti gli effetti della cosiddetta “direttiva Maroni contro il lavoro nero”, che invece di colpire i caporali e lo sfruttamento, si è tradotta in retate di massa contro i lavoratori immigrati!
Regolarizzazione, allargamento dell’articolo 18, recepimento coraggioso della direttiva europea sull’emersione del lavoro nero: sono tanti gli strumenti possibili ma finora elusi da un governo attestato su posizioni ideologiche e repressive. Per non parlare della condizione sempre più precaria dei tantissimi che in Italia sono rifugiati o hanno chiesto protezione umanitaria.
Lo sciopero di oggi dice a tutti che il lavoro immigrato in Campania non è solo quello di colf e badanti e chiede una presa di posizione decisa di tutti gli attori sociali e politici veramente democratici. In un territorio devastato dal lavoro nero come da una piaga secolare, i migranti hanno dato a tutti, anche agli autoctoni, un segnale di coraggio importante! Allo stesso modo bisogna rispondere: basta repressione, basta leggi xenofobe, si alla regolarizzazione e ai diritti!
La mobilitazione continuerà domani con il corteo a Caserta insieme alle iniziative che si tengono in tutta italia e che termineranno il 15 ottobre in un presidio nazionale sotto il ministero dell’Interno, per poi partecipare, il giorno dopo, al corteo dei metalmeccanici.
Movimento degli Immigrati e dei Rifugiati
Fumogeni ed esalazioni tossiche
La meccanica dei fluidi è un ramo della fisica che studia le proprietà dei liquidi, dei vapori e dei gas. C’entra forse qualcosa con la politica? La risposta è si. Il fumo, per esempio.
Si tratta di una dispersione di particelle solide all’interno di un gas. Può essere tossico e velenoso, tuttavia non tutte le emissioni fumogene sono nocive. Molto dipende dalla natura e dalla densità delle particelle che lo compongono. Ad esempio, ci sono fumi che fanno soltanto polemica e fumi che uccidono. I primi sono emessi da fumogeni. In genere avvolgono le curve degli stadi all’inizio delle partite senza creare molto scalpore, al massimo qualche annoiata protesta. Se però vengono tirati durante un dibattito in risposta ad un lancio di sedie metalliche sulla testa dei contestatori, cosa che notoriamente fa molto male, come è accaduto alla festa del Pd di Torino mentre parlava il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, suscitano furore e isteria repressiva. Eppure questo tipo di utilizzo ha un effetto esattamente contrario a quello delle cortine fumogene. Elucida un contesto piuttosto che annebbiarlo. Insomma aiuta a far chiarezza nella testa dei lavoratori e non solo. Poi ci sono i fumi che uccidono. Esalazioni velenose come i gas sprigionati ieri dalla cisterna che ha ucciso tre operai a Capua. Le statistiche dicono che in media ci sono tre morti al giorno per lavoro. Ieri ce ne sono state quattro, di cui tre tutte in una volta. Un vero strike, come i birilli del bowling. Il quarto è morto a Pescia, in provincia di Pistoia, risucchiato dalla pressa di una fabbrica, la 3f ecologia, che si occupa del riciclo della carta. La vittima è un operaio di 36 anni, Marius Birt, di nazionalità romena. Al contrario dei fumogeni queste morti non sono percepite dall’establishment come un pericolo per l’ordine pubblico.
Bonanni e Marchionne possono dormire sonni tranquilli. Dormiranno male, invece, i familiari di Giuseppe Cecere, 50 anni, capuano, sposato e padre di tre figli e quelli di Antonio Di Matteo, 63 anni, di Macerata della Campania e Vincenzo Musso, 43 anni, di Casoria, che ieri si disperavano davanti alla Dsm, stabilimento con 80 dipendenti. Una multinazionale farmaceutica olandese con 200 siti distribuiti in 49 Paesi, che da quanto emerge dai primi accertamenti avrebbe dato in appalto ad una ditta edile di Afragola, la Errichiello, i lavori di pulizia del silos killer. Severo il primo giudizio sostituto procuratore di Santa maria Capua Vetere, Donato Ceglie, chiamato a svolgere l’inchiesta e che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo: «Da quanto sta emergendo mi sembra che non ci fosse sufficiente sicurezza e protezione». Killer dunque non sarebbe stato il silos ma le condizioni di lavoro, il che rinvia all’intera filiera delle ditte appaltatrici chiamate a svolgere questo genere di lavoro. L’abbattimento dei costi spinge a ricorrere a lavoro dequalificato con turni che si dilungano molto oltre l’orario normale, senza adeguata formazione, protezione, dotazione tecnica e sicurezza. Colpevoli sono quei rapporti sociali che disprezzano la vita di chi lavora. Sembra accertato che i tre stessero lavorando in ore di straordinario per terminare la bonifica della cisterna e che siano stati investiti da un improvviso processo di fermentazione dei residui presenti nel fondo del locale mentre smontavano i ponteggi. Uno dei tre sarebbe intervenuto per portare soccorso agli altri due, finendo anche lui privo di sensi. Le morti durante operazioni di pulizia e manutenzione delle cisterne sono diventate negli ultimi tempi una delle cause maggiori di decesso sui posti di lavoro.
L’ultimo episodio è accaduto il 25 agosto scorso in Puglia, anche lì vennero coinvolti tre lavoratori ma alla fine due si salvarono. Un altro episodio ci fu all’inizio dell’anno, in un paesino alla periferia di Alessandria, due operai scesi in un deposito di un distributore in disuso morirono investiti da un flusso di gas. Dal 2006 si contano almeno altri sette episodi di particolare gravità che portano il numero dei lavoratori avvelenati a 26. Terribile l’incidente accaduto a Mineo, in Sicilia, nel giugno 2008, che provocò la morte di sei operai che pulivano la vasca di un depuratore comunale. Non le misure di sicurezza e un diverso valore attribuito alla manodopera hanno ridotto il numero dei morti sul lavoro registrato dall’Istat nell’ultimo anno, ma solo il calo dell’occupazione e della produzione dovuto alla crisi. Lo prova il contemporaneo incremento delle malattie professionali. Si lavora in pochi, male e troppo.
Ratzinger e il posto fisso
“La domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante”, si legge nel documento redatto dal Papa alla Giornata mondiale della gioventù, ma i veri “punti fermi” per i giovani risiedono nella fede e “nell’insieme dei valori che sono alla base della società” e che “provengono dal Vangelo”.
Veramente un simpaticone questo papa: non dobbiamo cercare il lavoro ma DIO.
Stiamo proprio messi bene!
3 morti sul lavoro in mezza giornata
Inizio a scrivere questa pagina alle 12.06 e mi chiedo a che ora sarà iniziata la loro giornata lavorativa.
Tre morti al giorno dicevano fosse la media nazionale, ma se dopo poche ore dall’inizio della giornata siamo già a cifra piena, bhè, non credo che arriveremo alla mezzanotte senza altri caduti.
Come in guerra. Caduti per nulla.
Per un muro, per un balcone, per una ruspa, per un cavo elettrico, per un volo di decine di metri, per un padrone.
Morire per un padrone, più triste ancora di morire per la “patria”…morire per portare due lire a casa.
Morire per il padrone a lavoro, morire per il padrone di casa a cui dare l’affitto, morire per un’economia che sfrutta,
morire per un capitalismo che mastica corpi di lavoratori come fossero bruscolini.
Ed oggi altri tre bruscolini morti in pochissime ore: è inaccettabile.
– Guido Rossi è morto vicino a Sondrio, folgorato da una scarica elettrica mentre tagliava un albero. Nel bosco di Cepina, frazione di Valdisotto, Guido stava tagliano un albero: è precipitato su un cavo dell’alta tensione da 22.000 volts, che trasporta energia dalla Svizzera alla Toscana.
C’è stata un’interruzione di corrente, mentre lui lavorava. Quando la linea è stata ripristinata una violenta e improvvisa scarica lo ha fulminato.
–Giovanni Conenna invece è morto nella contrada Del Monte a Coversano, schiacciato da una pala meccanica. Stava spostando materiale di risulta e probabilmente a casa del terreno ricco di zolle (o per un blocco meccanico) il mezzo, come troppo spesso accade, si è ribaltato sul corpo di Giovanni. 55 anni, se ne è andato con una pala meccanica spalmata sul corpo.
–Antonio Salierno poi, 51 anni, è mporto sempre stamattina, mentre lavorava nelle campagne foggiane di Ortanova. Era alla guida del suo escavatore, per eseguire dei lavori che gli erano stati commissionati: c’erano dei cavi d’altra tensione interrati ed è morto folgorato.
BASTA!
Diego Bianchina, 31 anni, operaio: ucciso sul lavoro
TERNI 2 DICEMBRE ’09, ORE 16,30 DA VIALE BRIN Un altro morto alla Thyssenkrupp: Diego Bianchina, 31 anni, operaio. Ieri 1° dicembre a quasi due anni dal tragico anniversario della strage alla Thyssenkrupp di Torino è morto a Terni un giovane operaio di 31 anni, intossicato dalle esalazioni di acido cloridrico. Per questo l’assemblea spontanea e autorganizzata degli operai propone un corteo che parta nel pomeriggio di oggi, alle ore 16:30, dai cancelli della fabbrica in viale Brin ed attraversi il centro cittadino. Ø Chiediamo ai lavoratori, ai cittadini, agli studenti, alle forze sociali, politiche e sindacali, alle associazioni di partecipare attivamente alla riuscita della manifestazione. INVITIAMO TUTTI A TROVARSI DAVANTI ALLA FABBRICA ALLE 16:30 PERCHE’ NON AVVENGA ANCORA L’Assemblea spontanea ed autorganizzata degli operai della TK-AST |
altri 3 morti per cui lottare
“VEDO LA LORO DIVINA PAZIENZA.
MA LA LORO DIVINA FURIA, DOV’E’?” _B. Brecht_
PIERLUIGI SOLINAS, 27 anni
DANIELE MELIS 52 anni
BRUNO MONTONI 26 anni
TUTTI E 3 DI VILLA SAN PIETRO (POCHI KM DA CAGLIARI) AMMAZZATI DAL LAVORO DENTRO UNA CISTERNA DELLA RAFFINERIA SARAS DI SARROCH, IN SARDEGNA, DI PROPRIETA’ DELLA FAMIGLIA MORATTI. LORO, TUTTI E 3, ERANO DIPENDENTI DI UNA DITTA ESTERNA ALL’IMPIANTO: LA COMES SRL.
ALTRI 3 MORTI UCCISI DALLE ESALAZIONI DI GAS E AZOTO DENTRO UNA CISTERNA, ALTRI 3 MORTI ESTERNALIZZATI, SUBAPPALTATI, 3 MORTI DI LAVORO E DI SOLIDARIETA’… UNO DOPO L’ALTRO, PER CERCARE DI SALVARE I PROPRI COMPAGNI DALLA MORTE CERTA.
E I PADRONI ORA PARLANO DI CORDOGLIO, DI TRAGICA FATALITA’, DI BRUTTO INCIDENTE: TRA QUALCHE MESE CI DIRANNO CHE IN REALTA’ CI SONO DELLE PRECISE RESPONSABILITA’: CHE IL VIDEO INIZIATO A FAR CIRCOLARE A GENNAIO PROPRIO SULLE MISURE DI SICUREZZA ALL’INTERNO DI QUELLA RAFFINERIA DICEVA SEMPLICEMENTE LA VERITA’ E CHE QUELLA VERITA’ ANDAVA ASCOLTATA PRIMA DI QUESTI 3 ASSASSINII.
3 MORTI CHE NON SONO BIANCHE: 3 MORTI CHE SONO OMICIDI.
OMICIDI COMMESSI DAI PADRONI, DAL PROFITTO, DALLE ESTERNALIZZAZIONI, DALLO STATO, DAL CAPITALE
“Il sesso lo decideranno i padroni”: piccolo elogio del film Louise Michel
Io non so scrivere di cinema, non so raccontare i film, non so fare recensioni. Ma questa volta non riesco a non farlo perchè da quando ho visto questa pellicola mi prudono le mani e vorrei che più gente possibile vedesse questo piccolo capolavoro francese, manifesto tragicomico, provocatorio e radicale del bisogno di alzare la testa in qualche modo rocambolesco della sfruttata classe operaia nell’Europa del capitalismo delle multinazionali.
Louise Michel prende il suo nome dalla comunarda anarchica francese…è un film di cui non so se raccontarvi la trama (non credo sia il caso altrimenti poi non ci andate) in cui un uomo per lavorare in una fabbrica si finge donna e una ex bambina diventa uomo per raggiungere una soddisfazione sportiva. “Avete rifiutato le 35 ore e gli aumenti di salario, ma non rifiuterete questi grembiuli nuovi” … il padrone (che poi non è che un servo tra i tanti del vero, quasi irraggiungibile, padrone) prova ad imbonirsi le operaie malgrado i loro sguardi scettici: prendono questo grembiule e il giorno dopo trovano la fabbrica vuota. Tutto era stato portato via: macchinari e lavoro, quindi il proprio sfruttamento quello che ti permette di arrivare al giorno dopo.
20.000 euro di risarcimento da dividere in venti: spiccioli inutili in questo modo. Che fare?
Bhè sono pochi per tutti: ma non per un killer che vada ad ammazzare il padrone. La votazione è unanime: questo si che è un modo per far fruttare quella miseria data da un porco padrone dopo 20 anni di sudore nella sua fabbrica.
E qui inizia il bello, l’avventura divertente di questa strana coppia che tra Francia, Belgio ed Inghilterra cercano di ammazzare il padrone giusto, quello che sia il vero responsabile della chiusura della fabbrica e quindi del licenziamento di tutte le operaie.
La decisione, ad ogni errore, è sempre la stessa, unanime: andare avanti fino ad accoppare quello giusto.
Geniale, sarcastico, girato in modo strano con la telecamera quasi sempre fissa, con le immagini sfocate e i dialoghi stretti e necessari: con un gioco di sguardi, sessualità negate e poi ritrovate, di pistole autocostruite, di killer professionisti che non sanno azzittire i cani, di piccioni spennati e cinismo, tanto cinismo.
Un film piaciuto alla critica ma che ha creato grandi deliri nei forum italiani, in cui il popolino servile e estremamente attaccato al culo del padrone (come amano leccare questi miserabili italiani) si è molto innervosito e quasi scandalizzato per una pellicola del genere.
Stiamo anni luce indietro alla Francia: tanto che lì sequestrano i manager, qui li facciamo passare sui nostri corpi mentre lecchiamo le loro suole.
Chi odia i padroni, chi è sfruttato, chi è stato costretto a modificare se stesso per arrangiare il modo di arrivare a fine mese: QUESTO E’ IL FILM PER NOI
“Ora che sappiamo che i ricchi sono dei ladri, se i nostri padri e madri non riusciranno a bonificare la terra quando saremo grandi ne faremo noi carne macinata” Louise Michel
Che bel neologismo: BOSSNAPPING “il sequestro dei padroni”
Si diffonde il bossnapping contro i licenziamenti
di Paolo Persichetti Liberazione 10 aprile 2009
Bossnapping è il neologismo appena coniato per indicare il sequestro dei capi d’impresa, manager, dirigenti e padroni d’azienda. La parola è nuova ma il mezzo fa parte del repertorio di lotta inventato nel corso della sua storia dal movimento operaio, molto diffuso nell’Italia degli anni 70, e tornato d’attualità in Francia negli ultimi mesi. Ieri è toccato anche alla Fiat (che di questa pratica non serba un buon ricordo). Non ancora in Italia, però, ma in una filiale commerciale di Bruxelles, l’Italian automotive center. Tre dirigenti, tra cui Andrea Farinazzo proveniente
direttamente dalla casa madre di Torino, sono stati trattenuti per cinque ore da un gruppo di lavoratori che protestavano contro il piano di licenziamenti annunciato dall’azienda. I tre sono stati bloccati all’interno degli uffici della sede di Chaussée de Louvain intorno alle 13.45, per poi uscire verso le 18.30 a bordo di un’autovettura con autista senza rilasciare dichiarazioni.
Sembra che sia stato trovato un accordo sul proseguimento della trattativa che prevede l’intervento conciliatore del ministero del lavoro belga. Le modalità dell’episodio hanno seguito un modus operandi abbastanza consolidato, senza particolari tensioni, tant’è che uno dei rappresentanti della Fiat, avvicinato dai giornalisti arrivati sul posto, ha spiegato che tutti i contatti erano tenuti direttamente dal Lingotto.
«Stiamo negoziando dal 12 dicembre e non è successo nulla. Non si esce dalla stanza finché non si trova una soluzione», ha spiegato ai cronisti Abel Gonzales, sindacalista dei metalmeccanici della Fgtb. In effetti, dal dicembre scorso è aperta una trattativa con l’azienda sulla riduzione del personale. Obiettivo della Fiat è il licenziamento di 24 dei 90 dipendenti del centro vendita di Bruxelles, per questo i tre manager si erano recati sul posto per concludere il negoziato. «Nel corso dell’ultima riunione – ha spiegato l’ufficio stampa della Fiat – è venuta fuori l’idea di chiudere il nostro personale in una stanza, seguendo l’esempio francese. Ma non lo definirei comunque un sequestro vero e proprio». Dietro i toni rassicuranti dell’azienda torinese si cela, in
realtà, la vecchia abitudine autoritaria della Fiat. 12 dei 24 lavoratori sottoposti a procedura di licenziamento, ha precisato Abel Gonzales, sono dei delegati sindacali. La crisi economica, come sempre, diventa un buon pretesto per liberarsi dei lavoratori più impegnati.
«La gente sta male per la crisi: è un fatto giusto e sacrosanto che i lavoratori Fiat si arrabbino se l’azienda non cambia». Così il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Cremaschi, ha commentato la notizia del sequestro. «Ci sono segnali di rilancio – ha aggiunto – ma solo per il gruppo e gli azionisti, non per i dipendenti. C’è ancora tanta cassa integrazione, e lo stabilimento di Pomigliano è ancora fermo». Scontata, invece, la presa di distanza espressa dal responsabile auto della Uilm, Eros Panicali, e dell’Ugl, Giovanni Centrella.
Ma gli operai che lottano fuori dall’Italia sono pragmatici, non si curano di questi giudizi. Le loro azioni “non ortodosse”, seppur concepite all’interno di una strategia ancora difensiva, riscontrano consensi e successi. Una lezione utile.
Non è una cosa che di solito faccio, ma metto, oltre l’articolo di Paolo, quest’articolo preso da Repubblica Torino. Non ho (eh, il lavoro uccide) modo di cercare più informazioni e scrivere, quindi intanto vi metto questa notizia, così come è uscita dai grandi media.
Manager assediato per ore dagli operai Alla Benetton di Piobesi dopo l´annuncio dei tagli: salvato dai carabinieri
di Stefano Parola
«A Bruxelles hanno sequestrato tre manager della Fiat per colpa di 24 licenziamenti? Almeno nel nostro caso erano 143 persone a perdere il posto». Giuseppe Graziano, segretario della Uilta-Uil piemontese, ora quasi ci scherza su. Quelli che ha vissuto a Piobesi, nello stabilimento della Olimpias, sono stati momenti tutt´altro che facili. Ancor meno per Tullio Leto, direttore del personale dell´azienda tessile del gruppo Benetton: quando hanno saputo che l´azienda non avrebbe concesso la minima apertura, i lavoratori lo hanno tenuto in assedio per tre ore e lui è uscito dallo stabilimento attraverso una porta sul retro, grazie all´intervento dei carabinieri. È il 25 febbraio. Le trattative tra azienda e sindacati proseguono ormai da settimane, ma sono del tutto insabbiate, serve un ennesimo incontro. Di solito le aziende torinesi conducono le trattative all´Unione industriale di Torino, in via Fanti, ma la Olimpias è associata a Unindustria Treviso, città in cui ha la sede principale. Quindi è necessario riunirsi direttamente nello stabilimento di Piobesi. Alle 14 iniziano le trattative, i 143 dipendenti cominciano uno sciopero spontaneo e attendono novità appena fuori dagli uffici. Gli animi sono caldi fin da subito. Dopo un paio d´ore i funzionari dei sindacati escono e comunicano che l´azienda non fa passi indietro: conferma i 143 licenziamenti, nega la cassa integrazione per ristrutturazione e qualsiasi forma di incentivo, concede un solo anno di ammortizzatore sociale. Ai dipendenti è come se crollasse il mondo addosso. C´è chi urla, chi piange, chi batte pugni suoi vetri. Entrano in massa nell´ufficio delle trattative. In un attimo il direttore Leto e il suo segretario sono assediati. «Una sensazione molto brutta, una situazione del tutto anomala in una trattativa sindacale», ricorda Assunta De Caro, segretaria della Filtea-Cgil Piemonte. La tensione raggiunge il suo apice verso le 18: «A un certo punto abbiamo deciso di chiamare i carabinieri». Dalla caserma di Moncalieri il capitano Domenico Barone parte con una buona quantità di uomini: «Arrivati sul posto – spiega il capitano – abbiamo cercato di placare gli animi e abbiamo creato una cornice di sicurezza attorno al direttore Tullio Leto. Nel frattempo sono volate parole grosse ma non è successo nulla di grave». Ci vogliono due lunghe ore di diplomazia prima che la situazione si sblocchi: «Abbiamo creato un diversivo – racconta il capitano dei carabinieri di Moncalieri – e abbiamo fatto uscire il direttore e il suo segretario da una porta secondaria». È così, alle 22.30, finisce la lunghissima giornata di lavoro di Tullio Leto. «L´episodio comunque ha cambiato il corso della trattativa – dice il sindacalista Graziano – perché ha fatto capire all´azienda che i lavoratori erano disposti a tutto pur di ottenere qualcosa dalla trattativa». In effetti, così è stato. Perché una serie di proteste all´insegna della civiltà, tra cui un presidio davanti al negozio Benetton di piazza San Carlo, hanno portato a un salvataggio in corner. La trattativa è stata chiusa da pochi giorni: non un solo anno di cassa ma due, più un incentivo per l´uscita e l´impegno della Olimpias a ricollocare una parte dei dipendenti. Si chiude comunque, ma la disperazione di quel 25 febbraio è un po´ più distante.
ATESIA: la lotta non si processa
APPUNTAMENTO DOMANI 8 APRILE A ROMA, AI CANCELLI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI PIAZZALE CLODIO. ALLE ORE 9. L’UDIENZA SI TERRA’ NELL’AULA 16: GIUDICE ROMANO
Il 1 giugno 2006 lavoratori e lavoratrici in sciopero, sindacati di base e collettivi politici stringevano in assedio la più grande fabbrica di precariato di Roma: Atesia. Era il punto culminante di una serie di mobilitazioni contro la riduzione del salario e l’estrema precarizzazione nel comparto dell’ict. Chi scioperava e chi picchettava chiedeva che, ad Atesia, il padrone (il signor Tripi, uno dei grandi elettori del centro-sinistra) rispettasse almeno le disposizioni dell’infame legge 30. Almeno quelle! Chiedeva che fosse riconosciuta la natura subordinata della prestazione lavorativa, che fosse riconfermato il contratto ai quattrocento lavoratori mandati via dopo i primi scioperi, che si aumentassero i minimi salariali che non superavano le cinquecento euro mensili, che fossero finalmente assunti a tempo indeterminato lavoratori che da anni, ogni tre mesi, dovevano rinnovare il proprio contratto. La mobilitazione ebbe un grande successo: su quattromila lavoratori, ne entrarono quaranta. Nel pomeriggio l’azienda addirittura chiuse, nell’impossibilità di erogare il servizio.
La repressione, però, non tardava ad arrivare: oltre ai mancati rinnovi, questa volta partivano anche quindici denunce. Risibili i capi di imputazione, si parlava addirittura di “slogan contro l’azienda e contro la precarietà”. Ora non si può neanche protestare! Zitti, muti, le parole servono solo per rispondere al telefono o per offrire promozioni agli utenti. In-bound, out-bound: il lessico dei diritti finisce qui. Nel frattempo persino il giudice provinciale del lavoro afferma che non si può utilizzare il contratto di lavoro parasubordinato per le telefonate in-bound e che il contratto a progetto è incompatibile con il call-center. Persino l’ottuso governo di centro-sinistra stabilisce l’assunzione a tempo indeterminato di ventimila lavoratori del settore. Ma la lotta non è vinta: i salari sono sempre da fame, i tre porcellini dei sindacati confederali (con l’Ugl) continuano a firmare di tutto, ad Atesia si continua a lavorare da schifo. Soprattutto, si apre il processo contro i quindici compagn*.
Il Collettivo Precari Atesia, l’Assemblea Coordinata e Continuativa contro la Precarietà, la Confederazione Cobas e lo Slai Cobas invitano a partecipare all’udienza di mercoledì 8 aprile (h.9.30, ple Clodio, sezione 16). Solidarizzare con i compagni e le compagne denunciate significa dare un segnale alle istituzioni e ai padroni: su Atesia non si torna indietro!
Giovedì 23 aprile (h.10.30), inoltre, presso il Tribunale del Lavoro (v. Lepanto, 4) si apre un altro processo: questa volta la parte lesa sono i lavoratori. L’obiettivo è dare un segnale di cambiamento, dal momento che proprio tante recenti sentenze dei giudici del lavoro hanno contribuito a rendere drammatica la difesa dei propri diritti nelle fabbriche e nelle aziende.
Giovedì 23 aprile è anche il giorno dello sciopero generale: essere presenti al Tribunale del Lavoro significa rendere concreta quella giornata.
La questione Atesia ancora oggi rappresenta uno spartiacque: ha insegnato che le lotte autorganizzate possono vincere anche contro la repressione poliziesca, politica e sindacale. Per mutuare questa mobilitazione è necessario capire che lavorare ad Atesia non significa più (se mai la abbia significato in passato) mettere da parte i soldi per le vacanze estive. Dopo anni di precariato l’ex neolaureato che risponde al telefono “solo per pochi mesi” è una persona che non riesce a vedere per sé altre prospettive oltre al call center. La questione Atesia non riguarda solo quattromila individui (se quattromila sembrano pochi), ma gli stessi protagonisti dei movimenti studenteschi e universitari. Dove erano quando i lavoratori e le lavoratrici di Atesina picchettavano? Quando difendevano il posto di lavoro? Quando venivano denunciati?
RIPRENDIAMOCI I DIRITTI, RIPRENDIAMOCI IL LAVORO
Mercoledì 8 aprile, h.9.30, Tribunale Penale di Roma (p.le Clodio, sezione 16)
Giovedì 23 aprile, h.10.30, Tribunale del Lavoro di Roma (v. Lepanto, 4)
La pagheranno mai? @Corteo Nazionale in occasione del G-14@
LA CRISI LA PAGHINO BANCHIERI e PADRONI, EVASORI e CORRUTTORI
GIU’ LE MANI DAL DIRITTO ALLO SCIOPERO
GIU’ LE MANI DAI NOSTRI DIRITTI
FERMIAMO LA QUOTIDIANA STRAGE SUL LAVORO
A DOMANI.
in Francia ci spolverano la memoria: impiccano i padroni
Una fabbrica con più di 1100 operai, sta per chiudere a causa della crisi.
I lavoratori si mobilitano in modo sempre più radicale: dopo aver costretto il “Padrone” a fuggire con un fitto lancio di uova, ieri sono tornati a bloccare i cancelli del complesso industriale impiccando un manichino (saggi ‘sti lavoratori!) e facendo irruzione in una riunione tra sindacati e azienda,
con lancio di bottiglie e altri oggetti. Riunione che è stata immediatamente sospesa.
Ode a San Pietro contro lo sciopero virtuale
L’UNICO RIMEDIO ALLA PROPOSTA DI SCIOPERO VIRTUALE.
IO PROPONGO IL BUON VECCHIO SAMPIETRINO
LAVORO SALARIATO
Il lavoro è dunque una merce, che il suo possessore, il salariato, vende al capitale. Perché la vende? Per vivere.
Il lavoro, è però l’attività vitale propria dell’operaio, è la manifestazione della sua propria vita.
Ed egli vende ad un terzo questa attività vitale per assicurarsi i mezzi di sussistenza necessari. La sua attività vitale è dunque per lui soltanto un mezzo per poter vivere. Egli lavora per vivere. Egli non calcola il lavoro come parte della sua vita: esso è piuttosto un sacrificio della sua vita. Esso è una merce che egli ha aggiudicato a un terzo. Perciò anche il prodotto della sua attività non è lo scopo della sua attività. Ciò che egli produce per sé non è la seta che egli tesse, non è l’oro che egli estrae dalla miniera, non è il palazzo che egli costruisce. Ciò che egli produce per sé è il salario; e seta, e oro, e palazzo si risolvono per lui in una determinata quantità di mezzi di sussistenza, forse in una giacca di cotone, in una moneta di rame e in un tugurio. E l’operaio che per dodici ore tesse, fila, tornisce, trapana, costruisce, scava, spacca le pietre, le trasporta, ecc., considera egli forse questo tessere, filare, trapanare, tornire, costruire, scavare, spaccar pietre per dodici ore come manifestazione della sua vita, come vita? Al contrario. La vita incomincia per lui dal momento in cui cessa questa attività, a tavola, al banco dell’osteria, nel letto . Il significato delle dodici ore di lavoro non sta per lui nel tessere, filare, trapanare, ecc., ma soltanto nel guadagnare ciò che gli permette di andare a tavola, al banco dell’osteria, a letto. Se il baco da seta dovesse tessere per campare la sua esistenza come bruco, sarebbe un perfetto salariato.
Il lavoro non è sempre stata una merce. Il lavoro non è sempre stato lavoro salariato, cioè lavoro libero. Lo schiavo non vendeva il suo lavoro al padrone di schiavi, come il bue non vende al contadino la propria opera. Lo schiavo, insieme con il suo lavoro, è venduto una volta per sempre al suo padrone. Egli è una merce che può passare dalle mani di un proprietario a quelle di un altro. Egli stesso è una merce, ma il lavoro non è merce sua. Ilservo della gleba vende soltanto una parte del suo lavoro. Non è lui che riceve un salario dal proprietario della terra; è piuttosto il proprietario della terra che riceve da lui un tributo. Il servo della gleba appartiene alla terra e porta frutti al signore della terra.
L’operaio libero invece vende se stesso, e pezzo a pezzo. Egli mette all’asta 8, 10, 12, 15 ore della sua vita, ogni giorno, al migliore offerente, al possessore delle materie prime, degli strumenti di lavoro e dei mezzi di sussistenza, cioè ai capitalisti. L’operaio non appartiene né a un proprietario, né alla terra, ma 8, 10, 12, 15 ore della sua vita quotidiana appartengono a colui che le compera
____KARL MARX____
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