Archivio

Posts Tagged ‘Mar Mediterraneo’

Libia, 19 marzo 2011: la guerra di chi arriva prima

19 marzo 2011 5 commenti

Un mare che sembra non riuscire ad assistere ad altro che a tragedie…
quotidianamente solcato e affrontato da migliaia di migranti che fuggono da casa, è ora di nuovo attraversato da caccia, portaerei e chi più ne ha più ne metta. La corsa all’oro, proprio così: ancora una volta assistiamo ad una guerra petrolifera spacciata per tutt’altro.
Assistiamo al nostro caro mare sorvolato da caccia francesi, che hanno giocato fino all’ultimo per arrivare per primi… ma c’è voluto nemmeno una manciata di ore, quelli statunitensi non si sono lasciati aspettare per molto. C’è la gara anche di lanci di agenzie per chi fa prima a raccontare le armi usate: “110 missili Tomahawak usati dagli USA”, “Li lanciano anche i sottomarini britannici”!
Questo significa che le basi sul nostro territorio, quello che Frattini ( ma non ce n’era nemmeno tutto questo bisogno) ha prontamente dato, staranno lavorando a pieno regime, che tonnellate di armamenti prendono il volo proprio da casa nostra, come sempre e come tutti sappiamo.
Mica crederemo ancora alla guerra umanitaria no?
L’Arabia Saudita sta invadendo il Bahrain con le sue truppe eppure non mi sembra che nessuno la sta bombardando; eppure il Bahrain vive una rivolta sincera, pacifica e duramente repressa a piombo sulle teste … non c’è una guerra tribale in corso, con milizie armate in ogni angolo di paese.
Ma … tutto tace.
La Francia corre nuovamente per guadagnarsi un pezzo non tanto di terra quanto di oro nero: sembra proprio la guerra a chi arriva prima a prendersi i pozzi e i gasdotti, in un territorio “libero”, non nell’Iraq dell’era Bush.
Nel frattempo il pazzo continua a blaterare e minacciare anche l’Europa, continuando ad attaccare dove gli riesce.
Maledetti voi siate, maledetti i vostri bombardieri che ora gareggiano sul Mediterraneo…

e il popolo viola che dice????

Resoconto da una giornata sotto le mura di un lager del nuovo millennio

15 marzo 2011 Lascia un commento

RESOCONTO PRESIDIO AL CIE DI PONTE GALERIA A ROMA
sabato 12 marzo 2011
Libertà per tutti, con o senza documenti

Circa 300 solidali, giunti davanti alle mura del Cie di Ponte Galeria per dare vita al presidio annunciato da tempo, sono stati accolti da un gran numero di ragazzi migranti reclusi, saliti sul tetto per unirsi alla protesta.
Continua a crescere la partecipazione mentre dal microfono viene lanciato un primo saluto a tutte le persone rinchiuse in quelle mura.
Grida e slogan riempiono il vuoto nel quale è stato costruito quel mostro di cemento, mentre dal cortile della sezione femminile cresce una colonna di fumo nero che, accompagnato dalle grida, non abbandonerà mai la giornata di protesta.
Slogan e messaggi di solidarietà in tutte le lingue vengono amplificati dalle casse del sound, mentre una piccola delegazione di alcune compagne si prepara ad avvicinarsi al cancello del campo d’internamento per consegnare delle radioline a chi è privata/o della propria libertà dentro quelle gabbie.
Mentre l’amministrazione della cooperativa Auxilium si nasconde dietro il cordone della celere negando la propria responsabilità e lasciando gestire la situazione a qualche energumeno in divisa blu, continua lo scambio di voci tra chi protesta dentro e fuori le mura del lager.
Al fermo diniego di fronte al tentativo di consegnare gli apparecchi radio, i/le solidali hanno scelto di rinforzare la comunicazione diretta con il lancio di palline da tennis contenenti messaggi di solidarietà.
Nonostante i pessimi lanci e il nervosismo delle guardie, alcuni messaggi sono stati raccolti dai destinatari.
Dopo poco meno di tre ore il presidio si scioglie e ritorna compatto in città per comunicare tra le strade affollate del sabato sera, con un corteo partecipato, compatto e rumoroso.
Apprendiamo con disgusto e rabbia che la mattina seguente al presidio, gli aguzzini in divise blu hanno sfogato le loro frustrazioni sulle recluse, ree di aver fatto “troppo casino” durante il presidio di sabato.

CORRISPONDENZA:Una donna racconta ai microfoni di Radio OndaRossa che gli uomini delle “forze dell’ordine” l’hanno portata in un ufficio all’interno del centro, per picchiarla, insieme ad altre donne.
CORRISPONDENZA: Nonostante i pestaggi e le cure mediche negate, le recluse chiedono con forza che i presidi dei/lle solidali continuino. Quando viene chiesto loro cosa possiamo fare dall’esterno per sostenerle, ci viene risposto senza un attimo di esitazione: just we want freedom!

LIBERTÀ PER TUTTI E TUTTE, CON O SENZA DOCUMENTI!

12-3-2011: Tutt@ davanti al C.I.E. di Ponte Galeria

9 marzo 2011 1 commento

12 Marzo, 2011 – 14:00
stazione Ostiense >> treno per Fiumicino >> fermata Fiera di Roma

LIBERTA PER TUTTE E TUTTI! CON O SENZA DOCUMENTI

È trascorso quasi un anno dall’ultimo presidio fuori dal lager di Ponte Galeria a Roma e da allora per le condizioni dei reclusi e delle recluse nulla è cambiato. All’interno del lager romano la gestione dalla croce rossa è stata ereditata dalla cooperativa Mondo Auxilium, per il resto i principi di reclusione, oppressione, violenza, terrore e privazione sono rimasti gli stessi. La repressione contro chi lotta per la chiusura di queste strutture di annientamento prosegue senza sosta, ma ciò ci porta solo e unicamente a continuare unite/i nella lotta.
Una stagione di rabbia e conflitti sta investendo il Mediterraneo e non solo. È quanto più importante in questo momento manifestare, con ogni mezzo, la nostra solidarietà ai reclusi e alle recluse, la nostra complicità con chi si ribella ovunque, a tutte le persone rastrellate e deportate.
La lotta contro il controllo, la repressione e le istituzioni “totali”, come i Cie, deve affermarsi con energia. Ribadiamo il nostro appoggio solidale ai reclusi e alle recluse del Cie di Ponte Galeria, come di tutti i lager della democrazia.
Riprendersi le strade, le piazze, affinché le vie, i muri e i quartieri parlino di solidarietà tra sfruttate/i e di odio verso chi arresta, rinchiude, opprime e tortura ogni giorno. Perché il nostro odio non si è placato, vogliamo tornare a esprimerlo sotto quelle mura.

Il 12 marzo torneremo a farlo davanti al Cie di Ponte Galeria
Appuntamento alle ore 14.00 alla stazione Ostiense per prendere insieme il treno
dalle ore 15.00: tutte e tutti davanti alle mura del Cie di Ponte Galeria
fermata “Nuova Fiera di Roma” del trenino Roma-Fiumicino

PER UN MONDO SENZA GABBIE, NÈ FRONTIERE
>> ascolta/scarica/diffondi lo spot contro i Cie <<

 

Finalmente testimonianze dirette di ciò che avviene nel Mediterraneo, cimitero liquido

2 dicembre 2009 Lascia un commento

Importante, necessario, obbligatorio far girare queste testimonianze raccolte da Fortress Europe

ROMA – Picchiati dai militari italiani e deportati nel Sahara. Parlano i respinti. Per la prima volta. Dalle celle di un carcere in mezzo al deserto libico, mille chilometri a sud di Tripoli, dove sono finiti dopo essere stati respinti in Libia dalle navi militari italiane. Li abbiamo raggiunti telefonicamente. Sono 38 somali. Tutti uomini. Parte dell’equipaggio di 81 somali partiti da Tripoli lo scorso 27 agosto 2009 e respinti dalle autorità italiane dopo tre giorni in mare, il 30 agosto
A. è uno di loro. Ha 17 anni. “Siamo partiti la notte del 27 agosto – racconta -. Con noi c’erano 17 donne, 7 bambini e una donna anziana, eravamo tutti somali”. Dopo due giorni di navigazione verso nord, il gommone incontrò una motovedetta maltese. “Ci dettero acqua e giubbetti di salvataggio. Chiedemmo la direzione per Malta, non volevamo andare in Italia, per paura dei respingimenti. Ci indicarono la rotta e ripartimmo. Fu solo dopo cinque ore di navigazione che capimmo che stavamo andando verso la Sicilia”. M., un compagno di cella di 29 anni, conferma. 
Il racconto di quelle ore coincide con la cronaca delle agenzie di stampa del 30 agosto. A 24 miglia di distanza da Capo Passero, in provincia di Siracusa, l’imbarcazione viene intercettata dalle unità italiane. Quattro passeggeri, tra i quali una donna e un neonato, vengono trasferiti in ospedale alla Valletta. Un quinto uomo viene ricoverato a Pozzallo, in Sicilia. Gli altri passeggeri vengono trasbordati su un pattugliatore di altura della Guardia di Finanza che parte in direzione di Tripoli, dove arriverà il giorno dopo. Fin qui la cronaca ufficiale. Ma cosa successe davvero a bordo?

“Quando ci presero a bordo non ci dissero dove ci stavano portando – racconta A. -, ma a un certo punto era chiaro che tornavamo in Libia, perché eravamo in mare da troppo tempo, ci abbiamo messo 28 ore a raggiungere Tripoli”. Fu allora che sul ponte scoppiò una dura protesta. “Ci avevano diviso. Le 17 donne con i 7 bambini stavano da una parte. Gli uomini dall’altra. Le donne piangevano, gli uomini gridavano. Per fortuna c’erano tre uomini che parlavano inglese e facevano da interpreti con gli italiani. ‘No life in Libya’ dicevano. Gli abbiamo spiegato che eravamo somali, che in Somalia c’è la guerra e che non potevamo tornare in Libia. Piuttosto, dicevamo, potevano rimandarci in Sudan, dove non avremmo corso rischi, ma non in Libia”. 
Inizialmente – racconta A. – i militari italiani sembravano comprendere le loro ragioni. A. ricorda il più anziano a bordo. “Era un signore con i capelli bianchi. Piangeva, era commosso a vedere le donne e i bambini in lacrime, e la signora anziana, al pensiero di rimandarci in galera”. A. sostiene che quell’ufficiale abbia contattato il comando, per sapere cosa fare. Ma la motovedetta non ha mai invertito il timone. E a metà rotta ha incontrato la motovedetta libica su cui doveva trasbordare i respinti. Lì le proteste sono aumentate. “Alcuni uomini minacciavano di buttarsi in mare, gridavano, i militari italiani sono dovuti intervenire con la forza, si sono accaniti a manganellate contro un ragazzo. Finalmente hanno deciso di non trasbordarci e siamo rimasti a bordo fino al porto di Tripoli”. Appena a terra, sul molo, le proteste sono immediatamente finite, racconta A. “Chi parlava veniva subito picchiato dai libici”.
Da lì sono stati trasferiti nel carcere di Tuaisha, vicino all’aeroporto di Tripoli. E dopo un mese sono stati smistati in diversi centri di detenzione. Trentotto di loro – tra cui nessuna donna – sono finiti a Gatrun. Mille chilometri a sud di Tripoli. Vicino alla frontiera con Chad e Niger, in pieno deserto. Il viaggio da Tripoli è durato tre giorni, chiusi dentro un container. Qui si trovano al momento 245 detenuti, tutti somali. Stipati in tre camerate, dormono a terra, senza coperte e senza materassi, di notte fa freddo, alcuni si sono presi la scabbia. Una delle camerate è per le donne, che sono 54 e stanno insieme ai quattro bambini, uno dei quali ha solo pochi mesi ed è nato in carcere, a Benghazi. Già perché la maggior parte dei detenuti di Gatrun proviene proprio dal centro di Benghazi, a Ganfuda. 
Rircordate? Ne avevamo parlato in un’inchiesta a settembre, quando avevamo pubblicato le foto dei somali feriti a coltellate dalla polizia libica durante la durissima repressione di un tentativo di evasione di massa dal carcere, il 9 agosto scorso, concluso con l’uccisione di sei somali. 
Anche a Gatrun hanno tentato la fuga in massa. È successo venerdì scorso. Hanno sfondato la porta della cella e sono fuggiti in 91. La polizia libica è riuscita a riprenderne solo 32. “Sono stati picchiati duramente – racconta M. – e poi riportati qua. Per noi e per loro non c’è nessuna soluzione. Siamo qui da mesi, non abbiamo ancora visto l’Onu. Ma all’Onu e all’Europa a questo punto chiediamo di rimpatriarci. Piuttosto che rimanere chiusi in questa galera, preferiamo morire in guerra a Mogadiscio”.

Isola d’Elba: pesci morti nelle reti, dopo l’avvistamento di una nave che getta container

8 novembre 2009 1 commento

Pesci morti nelle reti dei pescatori dell’isola d’Elba
di Andrea Palladino,  Il Manifesto 07/11/09
È il cinque luglio scorso. Il battello della Ong tedesca Green Ocean ha appena avvistato la nave tedesca Toscana – battente bandiera maltese – mentre getta almeno un container in fondo al mare, di fronte all’isola d’Elba. Passano appena 48 ore e i pescatori di Marciana vedono i pesci morire. Forse un caso o, molto probabilmente, l’ulteriore conferma che il crimine ambientale delle navi dei veleni non è una leggenda dei mari.
La denuncia arriva direttamente da chi ha avvistato il mercantile armato di gru, alle prese con i movimenti sospetti di containers al largo della costa toscana. «Ho parlato con i pescatori – racconta Robert Groitl, comandante della nave Thales della Green Ocean – e mi hanno confermato tutto». Non solo. Fino a qualche settimana fa «anche i pescatori di Livorno hanno raccontato che nei giorni successivi all’individuazione della nave Toscana nelle loro reti hanno visto molti pesci morti».

cetraro_relitto_nave_bidoni_tossici

Cetraro, il relitto della nave dei veleni

Almeno uno dei container abbandonati probabilmente dal Toscana è ora a 120 metri di profondità, a nord dell’Elba. È stato individuato dalla nave Alliance della Nato, intervenuta su richiesta dell’Ente parco dell’Arcipelago toscano, guidato da Mario Tozzi. La moria della fauna marina è ora il sintomo preoccupante dell’eventuale presenza di rifiuti tossici all’interno del contenitore gettato in mare. Un allarme che ovviamente dovrà essere confermato da analisi mirate e urgenti. «Ma qualcuno ha effettuato dei prelievi dell’acqua? Qualcuno ha analizzato il pescato», chiede Robert Groitl.
Il ricercatore della Green Ocean il mare lo conosce bene. Conosce anche molto bene il mondo della navigazione, essendo stato capitano di mercantili. «Accade molto spesso di vedere buttare in mare rifiuti tossici – racconta – è una cosa comune. Qualcuno paga molto bene l’equipaggio, fa caricare i container per scaricarli in mare». Quello che colpisce è però il luogo scelto. In un recente reportage della televisone franco-tedesca Arte sono state mostrate le immagini di navi europee che scaricavano centinaia di bidoni al largo dell’Atlantico, dove le fosse oceaniche raggiungono profondità altissime. Perché dunque puntare sul Tirreno? «Dipende dalla rotta, chiaramente», spiega Robert Groitl. «La posizione della zona a nord dell’Elba – continua – è poi ideale, perfetta. Ci sono tanti residui della guerra, bombe, aeroplani, sommergibili, c’è tanta roba sott’acqua in quella zona, relitti segnati sulle carte nautiche».
scorieCome al largo della Calabria, dove la storia del relitto di Cetraro – ancora da chiarire in molti aspetti – è stata chiusa dal ministero dell’Ambiente spiegando che si trattava per l’appunto di una nave affondata nel 1917. «Se buttano qualcosa vicino ai vecchi relitti gli strumenti si confondono – continua il racconto il ricercatore tedesco – è difficile individuare container o fusti». È come il famoso racconto di Poe, la lettera rubata: per far sparire qualcosa devi metterla magari in evidenza, ma dove però nessuno andrebbe a cercare.
Ora sappiamo che in un punto individuato da una nave della Nato c’è un container probabilmente buttato a mare dall’equipaggio della nave Toscana, intestata all’armatore tedesco Bertling FH, come risulta da un’ispezione della nave effettuata in Lituania lo scorso luglio; sappiamo che in quella zona starebbero morendo dei pesci, come raccontano alcuni pescatori. E sappiamo che chi ha buttato quel container ha cercato di speronare il battello degli ambientalisti tedeschi mentre cercavano di fotografare l’operazione.
Il ministero dell’ambiente non ha, però, ancora attivato nessuna procedura d’intervento, perché «ad oggi non è stato ancora avvisato», spiega il portavoce del ministro Stefania Prestigiacomo. Eppure la Capitaneria di Porto è stata subito allertata e immediatamente, già a luglio, si è attivata inviando una relazione alla Procura di Livorno. L’inchiesta dei magistrati è già partita da questa estate con l’acquisizione del materiale fotografico realizzato dall’equipaggio della Thales. E la stessa capitaneria, subito dopo la segnalazione, cercò di raggiungere il mercantile, intervenendo immediatamente. All’appello manca solo il ministero della Prestigiacomo, che, d’altra parte, a Cetraro è intervenuto dopo un mese e mezzo dal ritrovamento del relitto.
La Ong tedesca sta seguendo da vicino l’intera vicenda, anche perché in Germania la storia delle navi dei veleni non è passata innosservata. Robert Groitl – che per primo denunciò il caso – è stato minacciato direttamente, subito dopo l’avvistamento del Toscana. «Mi sono arrivate due o tre telefonate anonime – racconta – dicendomi di stare zitto, di fare attenzione alla mia nave, e alla mia vita». Chi organizza i traffici criminali di rifiuti sa che in questi casi il silenzio e le coperture sono essenziali.

 

4 migranti palestinesi affogano … quanti ne nasconde il nostro maledetto mare?

6 novembre 2009 Lascia un commento

barcone_sbarco_NC’è poco da dire di più, bastano le parole battute dall’agenzia stampa.
ANKARA, 6 NOV – I cadaveri di quattro emigrati di origine palestinese sono stati ripescati oggi dalla guardia costiera turca al largo della località turistica di Bodrum dopo che il barcone sul quale viaggiavano ha fatto naufragio. Lo rende noto l’agenzia Anadolu precisando che sull’imbarcazione si trovavano 18 persone, tra cui anche dei bambini, e che 13 di esse sono state tratte in salvo mentre una risulta ancora dispersa. (ANSAmed)
Il nostro mare è sempre più un cimitero liquido, un pozzo senza memoria profondo quanto lo sguardo di chi prova a salpare cercando un nuovo mondo.

Mediterraneo, il mare nostrum è sempre più un cimitero liquido

11 Maggio 2009 9 commenti

“Non è spuntato ancora un Omero per cantare le imprese colossali e desolate dei migratori che traversano il mondo a piedi e salgono sulle onde ammucchiati in zattere. Non si è affacciato un poeta cieco e perciò visionario a raccontare il mare spalancato, la deriva e il naufragio. Non c’è un Omero e neanche lo straccio di un nocchiero, di un Miseno, nella ciurma di Ulissi senza governo, tra Eolo re dei venti e Posidone signore delle terre emerse.”
Erri De Luca, “Odissea di morte”

Foto di Valentina Perniciaro _Presidio in Campidoglio contro le "leggi razziali"

Foto di Valentina Perniciaro _Presidio in Campidoglio contro le “leggi razziali”

LEGGI:
Siamo tutti assassini!
Il mare della morte
La strage di Catania
I corpi sugli scogli