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Posts Tagged ‘rebibbia’

E’ USCITA SCARCERANDA 2010

17 dicembre 2009 Lascia un commento


BELLA PIU’ CHE MAI, LA SCARCERANDA DEL 2010 E’ PRONTA!

SCARCERANDA DAL 1999 L’AGENDA CONTRO IL CARCERE.
CONTRO OGNI CARCERE GIORNO DOPO GIORNO.
PERCHE’ DI CARCERE NON SI MUOIA PIU’, MA NEANCHE SI VIVA. 

Scarceranda è un’agenda autoprodotta da Radio Onda Rossa dal 1999. Il suo motto fin dalla nascita è “contro ogni carcere giorno dopo giorno, perché di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva”.
Potete contribuire alle edizioni future di Scarceranda inviando i vostri disegni e scritti: saggi, racconti, poesie, ricette culinarie.
Scarceranda ospita le “Ricette evasive”: ricette culinarie di facile preparazione pensate soprattutto per chi è prigioniero/a riutilizzando anche parte del vitto fornito dall’amministrazione penitenziaria.
Scarceranda partecipa ogni anno alla mostra “Crack! Fumetti dirompenti” organizzata al CSOA Forte Prenestino di Roma, esponendo le tavole delle edizioni passate e raccogliendo disegni per l’edizione dell’anno successivo.
Dal 2006 insieme all’agenda è allegato un Quaderno con testi e immagini aggiuntivi. La collana dei Quaderni di Scarceranda può essere richiesta anche separatamente dall’agenda dell’anno in corso.
Scarceranda viene donata alle persone prigioniere che ne facciano richiesta o segnalate a Radio Onda Rossa che provvede alla spedizione postale in carcere.

Tratto da Scarceranda 2010

Se volete far giungere la Scarceranda in carcere potete comunicarci il nominativo del prigioniero/a e il carcere in cui si trova (città).
Scarceranda è auto-distribuita e auto-promossa. Se volete organizzare iniziative di presentazione o di sostegno, prendervene più copie per distribuirla in conto vendita, contattateci per metterci d’accordo. 

Scarceranda (agenda + Quaderno) è in vendita a 12 euro. La si può trovare presso Radio Onda Rossa e in altri punti vendita (infoshop, centri di documentazione, librerie) sparsi per l’Italia.
Si può acquistare Scarceranda per corrispondenza pagandola preventivamente tramite conto corrente postale o versamento on-line. [Il versamento di 12 euro a copia va effettuato sul conto corrente postale 61804001 intestato a Cooperativa Culturale Laboratorio 2001 indicando in maniera leggibile nominativo e indirizzo cui si vuole venga spedita l’agenda e la causale Scarceranda. Se si effettua il bonifico online l’IBAN è IT15 D076 0103 2000 0006 1804 001.]

I PROSSIMI APPUNTAMENTI ROMANI PER SEGUIRE SCARCERANDA:

17 Dicembre 2009 h. 19 @ libreria cafè Giufà :: presentazione + aperitivo
18 Dicembre 2009 h. 20 @ Forte Prenestino :: presentazione + cena evasiva
20 Dicembre 2009 h. 18:30 @ Bottega Kinkelibà (Via Macerata 54, Roma) :: presentazione + pizzette, tarallucci e vino
29 Dicembre 2009 h. 18 @ Odradek :: saluti e brindisi di fine anno
31 Dicembre 2009 h. 11 @ carcere di Rebibbia :: presidio di solidarietà

CENE EVASIVE
Alla Taverna del CSOA Forte Prenestino ogni terzo venerdì del mese cena con le ricette evasive a sostegno di Scarceranda.

Tratto da Scarceranda 2010

 

Suicidio Blefari: l’uso della malattia come strumento di indagine

2 novembre 2009 Lascia un commento

La morte di Diana Blefari Melazzi: l’uso della malattia come strumento di indagine
di Paolo Persichetti, Liberazione 3 novembre 2009

Cronaca di una morte annunciata.
«Basta, basta, basta!!! Io voglio uscire. Devo uscire. Giuro che esco e mi ammazzo e vi libero della mia presenza, ma io di questa tortura non ne posso più». Si esprimeva in questo modo Diana Blefari Melazzi in una lettera del 13 maggio scorso, inviata dal carcere di Sollicciano ad un suo amico, Massimo Papini, col quale era stata legata sentimentalmente prima della cattura. Diana Blefari non è uscita, non poteva uscire. Si è suicidata sabato 31 ottobre intorno alle 22.30 nella cella del carcere romano di Rebibbia, dove era stata trasferita da una decina di giorni. Una morte brutta, architettata ricavando un cappio con strisce di lenzuola intrecciate. La sorvegliante l’ha trovata appesa, al termine del giro fatto in sezione dopo la chiusura dei blindati. Poche ore prima gli era stata notificata la sentenza di cassazione che confermava in modo definitivo la sua condanna all’ergastolo, perché ritenuta compartecipe dell’attentato mortale al giuslavorista Marco Biagi.Diana Blefari Melazzi

La Blefari venne arrestata sul litorale romano nel dicembre 2003, inizialmente come “prestanome”, titolare del contratto d’affitto della cantina nella quale le cosiddette «nuove Brigate rosse», il piccolo gruppo che fino al 1999 aveva operato sotto la sigla Ncc per poi sottrarre dalle teche impolverate della storia la vecchia sigla inoperante delle Br-pcc, ma «solo se l’azione D’Antona avesse avuto successo», avevano depositato in fretta e furia archivio e altro materiale sgomberato dalla base dove erano vissuti Nadia Lioce e Mario Galesi, fino al momento della sparatoria mortale sul treno Roma-Arezzo del marzo del 2003.
Ad accusarla della partecipazione materiale all’omicidio Biagi, la pentita Cinzia Banelli. Secondo la collaboratrice di giustizia, che oggi vive sotto programma di protezione, la «compagna Maria», nome di copertura attribuito alla Blefari, avrebbe fatto da staffetta il giorno dell’attentato, sorvegliando il tragitto del consulente del ministero del Welfare dalla stazione fino ai pressi della sua abitazione, quando sarebbe dovuta entrare in azione proprio la Banelli. Solo che quel giorno la collaboratrice di giustizia non vide mai la Blefari, come dovette ammettere più volte in aula sotto contestazione della difesa. Contro di lei pesavano tuttavia altre accuse, come quella di aver preso parte alla “inchiesta” preparatoria e di aver inviato la rivendicazione tramite un internet point. Le vennero, infatti, contestate tracce telefoniche lasciate dal suo cellulare a Modena.

Il primo ottobre scorso, i sostituti procuratori romani, Pietro Saviotti e Erminio Amelio, hanno arrestato anche Massimo Papini, con l’accusa di essere una delle persone ancora non identificate che avrebbero fatto parte del gruppo. Una persecuzione quella contro Papini. Dopo anni d’indagini, pedinamenti e intercettazioni, alla fine del 2008 la procura di Bologna ne chiese l’arresto per il coinvolgimento nell’attentato Biagi, ma il Gip ritenne gli elementi depositati dall’accusa inadeguati a sostenere l’incriminazione. Passati gli atti alla procura romana, sulla base degli stessi elementi e soprattutto per il fatto di aver continuato a seguire la sua ex fidanzata lungo l’odissea carceraria e i meandri dolorosi e allucinati della sofferenza psichiatrica che l’aveva colpita, Papini è stato arrestato con l’accusa di partecipazione a banda armata. Un’accusa allucinata, tanto quanto le visioni che colpivano la Blefari stessa.

Nuovebr

Durante il processo Biagi

Forse sta proprio in questo accerchiamento, in questa inesorabile escalation la pulsione finale che l’ha portata a darsi la morte. In una lettera scritta dal 13 al 23 maggio, in cui si susseguono frasi deliranti di ogni tipo, scriveva a Papini: «Se vogliono che mi cucio la bocca, me la cucio. Se vogliono che parlo, dico tutto quello che mi dicono di dire, ma io non posso più stare così. Io non so proprio cosa fare, io chiedo perdono a tutti, ma basta per pietà». Gli inquirenti hanno interpretato queste parole come un messaggio verso l’esterno, rivolto a presunti referenti che avrebbero dovuto dare indicazioni sul suo modo di comportarsi. In realtà la Blefari nel suo fare ondivago e schizofrenico meditava altro. Da diverso tempo non era più in contatto con i suoi coimputati che le avevano rimproverato la scelta processuale di non ricusare l’avvocato e farsi difendere anche in punto di fatto. Gli estratti di un duro scambio di missive, tutte visionate dalla censura carceraria e finite in mano all’antiterrorismo, apparvero sui giornali.
Nell’ultima lettera, finita di scrivere il 25 settembre, comunicava a Papini di aver informato il direttore del carcere di essersi «resa disponibile a parlare con i magistrati». Cosa avesse realmente in serbo, se volesse avviare una collaborazione e semplicemente circostanziare la sue reali responsabilità, o altro ancora, resterà un segreto che si è portato con sé. Di questa intenzione Papini ha saputo solo in carcere perché arrestato prima del suo recapito. Circostanza che smentisce il teorema accusatorio ed evidenzia il cinico gioco al rialzo portato avanti dagli investigatori contro la detenuta. Assolutamente consapevoli delle sue instabili condizioni di salute e del suo stato di prostrazione, gli inquirenti hanno dato l’idea di pensare alla Blefari come ad un “anello debole” che, prima o poi, si sarebbe spezzato conducendola ad atteggiamenti collaborativi con la giustizia. L’uso della malattia come strumento d’indagine. Mentre tutte le autorità carcerarie avevano riconosciuto da tempo la patologia psicotica che abitava la mente della donna, tanto da declassificarla dal regime duro 41 bis e assegnarla in un circuito comune, con frequenti passaggi nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo fiorentino, dove veniva sottoposta a periodici Tso, sul piano giudiziario si è continuato a negare per anni non solo la sua incapacità a “stare nel processo”, ma anche il diritto ad essere curata in una struttura ospedaliera adeguata.

La cieca sete di vendetta che ha animato l’inchiesta condotta dalla procura di Bologna e l’ostinata sordità delle corti d’assise nel recepire le richieste degli avvocati, documentate da numerose perizie psichiatriche che diagnosticavano una «patologia mentale che ne determina un comportamento psicotico in fase attiva», oltre a un «disturbo delirante, in diagnosi differenziale con Schizofrenia di tipo Paranoide», segnalando il «rischio di atti autolesionistici impulsivi che potrebbero essere fatali», sono finalmente pervenute a comminare quella condanna capitale abolita dalla costituzione italiana.

Muore suicida Diana Blefari nel carcere di Rebibbia

1 novembre 2009 1 commento

Ieri sera s’è suicidata in carcere Diana Blefari nel carcere romano di Rebibbia, condannata all’ergastolo per l’omicidio di Marco Biagi, del 2002.
Accusata di aver partecipato al pedinamento, di aver affittato il furgone e di avere la rivendicazione dell’omicidio  nel suo computer, era stata condannata al Fine Pena Mai.blefari_melazzi_diana
Precisamente un mese fa, a distanza di diversi anni e senza alcuna novità sulla sua posizione, era stato arrestato il suo compagno, Massimo Papini, per partecipazione a banda armata. La sola cosa di cui è accusato è l’uso di schede telefoniche ‘dedicate’ alle comunicazioni con la Blefari e il possesso di programmi di criptazione per computer simili a quelli usati da altri appartenenti delle Br-Pcc.
La condizione psichica di Diana Blefari era già pesantemente segnata, come aveva più volte dichiarato il direttore del carcere di Sollicciano dove era detenuta in una sezione A.S.

«Il sistema carcerario italiano ha dato, ancora una volta, l’ennesima dimostrazione di inumanità e inefficienza non riuscendo a cogliere i segnali di allarme di una situazione da tempo gravissima», dice il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando il suicidio della brigatista. Il Garante ha ricordato che due anni fa, nel novembre del 2007, aveva già denunciato pubblicamente il caso della Belfari Melazzi soggetto schizofrenico e inabile psichicamente, figlia di madre con la stessa malattia e morta suicida. «I precedenti familiari della donna – ha spiegato – le sue condizioni psichiche in tutto il periodo di detenzione, il suo comportamento quotidiano, la sua solitudine, il suo rifiuto del cibo, delle medicine e di ogni contatto umano contribuivano a tratteggiare un quadro complessivo che doveva necessariamente far scattare un campanello d’allarme che, evidentemente, non si è attivato in tempo. Evidentemente  il fatto che dopo gli allarmi sia stato declassato il regime dal 41 bis a detenuta comune non ha comunque aiutato questa donna che ha continuato a tenere un atteggiamento di totale chiusura verso tutto e verso tutti. A quanto sembra, nei giorni scorsi era stata fatta tornare da Sollicciano per sentirsi confermare la sentenza. Io credo che, fermo restando le sue responsabilità, questa donna dovesse essere curata e assistita lontano dal carcere».

# Il suicidio nel carcere di Rebibbia di Diana Blefari Melazzi non ci coglie di sorpresa. Lo afferma in un comunicato stampa. Giulio Petrilli, responsabile provinciale Pd dipartimento diritti e garanzie, il quale ricorda:«sollevai il suo caso insieme ad altre persone(deputati, consiglieri regionali, esponenti di partito) in quanto in una visita con dei parlamentari nel carcere de L’Aquila dove era detenuta più di due anni fa, ci rendemmo conto della gravità del suo stato di salute; non mangiava, non parlava con nessuno, non si alzava dal letto, questo per mesi interi. Abbiamo fatto di tutto per farla trasferire, dopo alcuni mesi fu trasferita al centro clinico psichiatrico di Sollicciano, poi a Roma dove oggi si è suicidata. Era palese che avesse una forma gravissima di depressione, non poteva stare in regime di 41 bis o regimi speciali. Fu richiesta una soluzione che allievasse questa situazione, un intervento umanitario. Ma niente. Così purtroppo si muore nelle carceri. La democrazia e il diritto devono vigere anche nelle carceri e valere anche per chi ha commesso gravissimi reati, questa è la forza dello stato di diritto». 

Non toccavo questo blog da più di dieci giorni…torno in Italia e scopro di Stefano Cucchi con immenso ritardo e angoscia… non faccio in tempo a mettermi a scrivere qualcosa per aggiornare queste pagine su di lui che arriva questa notizia.Sono senza parole… 

Confermati gli arresti per i/le compagn@ della 8 marzo

21 settembre 2009 2 commenti

CONFERMATI GLI ARRESTI PER GLI OCCUPANTI DELLA 8 MARZO!

MOBILITIAMOCI SUBITO PER LA LORO LIBERAZIONE !

.

 

Lunedì scorso, 14 settembre, le forze del dis-ordine si sono introdotte con la forza nell’edificio della ex-scuola 8 Marzo occupata di Magliana, con l’evidente intenzione di sgomberare lo stabile che ospita le famiglie di sfrattati, precari, disoccupati.

3491199801_6e19ca5a10Lo sgombero non è riuscito, grazie alla resistenza pacifica ma determinata degli occupanti e delle occupanti, così i carabinieri hanno portato via 5 occupanti che sono stati tratti in arresto.

Contro di loro sono state mosse accuse infamanti, basate solo ed esclusivamente sulle dichiarazioni false di un ex occupante allontanato dall’occupazione un anno fa per aver aggredito la sua compagna.

Queste dichiarazioni sono state riportate ed amplificate nei giorni scorsi anche dalla stampa, con il risultato di aver generato una campagna mediatica intesa a criminalizzare tutto il movimento per il diritto all’abitare, un movimento che evidentemente fa paura a questa classe politica incapace di risolvere problemi come la casa, il lavoro, la precarietà, il reddito, e che teme che queste questioni mobilitino lotte generalizzate.

 

Oggi il Gip ha convalidato gli arresti per i 4 occupanti che, quindi, rimarranno in carcere fino a che sulla loro situazione non si esprimerà il tribunale del riesame, fra non meno di due settimane. Francesca è stata addirittura trasferita da Rebibbia a Civitavecchia, allontanandola di fatto dalla sua famiglia e da tutti/e noi ancora di più.  Il quinto occupante si trova attualmente agli arresti domiciliari, che gli sono stati confermati.

 

È una scelta punitiva, che dà valore alle parole di un unico testimone, un uomo violento attualmente indagato per lesioni aggravate contro la sua ex compagna e che cova rancori verso gli occupanti dell’8 marzo e che è stato usato per montare un falso e infamante teorema politico-giudiziario contro l’Occupazione!

 

Gabriele, Francesca, Simone, Sandro e Sandrone devono essere immediatamente rimessi in libertà, perché l’unica colpa che hanno è quella di essere lavoratori precari e non potersi permettere di acquistare una casa.

In particolare chiediamo con forza la liberazione di Sandrone, attualmente recluso presso il centro clinico di Regina Coeli  che proprio ieri e’ stato medicato d’urgenza. Affetto da un tumore per il quale e’ in attesa di un terzo intervento chirurgico al San Camillo, dovrebbe ricevere a breve notizie sulla data dell’operazione ma il sequestro del suo cellulare ne rende difficile, se non impossibile, la reperibilità.

A questo comunicato ne seguiranno altri per invitare alla mobilitazione generale nei prossimi giorni per chiedere la liberazione della compagna e dei compagni arrestati e per difendere la 8 Marzo e tutte le occupazioni dei Movimenti di lotta per la casa!

 

 

Per adesioni:

occupa@inventati.org

 

 

Comitato d’occupazione Magliana

CSOA Macchia Rossa

Tutt@ sotto le carceri romane, per chiedere la scarcerazione dei nostri compagn@

19 settembre 2009 Lascia un commento

Libertà per la compagna e i compagni arrestati!
Presidio davanti alle carceri di Regina Coeli e Rebibbia

Lunedi 14 settembre 5 compagni di lotta dell’8 Marzo occupata di Magliana sono stati prelevati dai carabinieri in modo coatto alle ore 4.40 di mattina e portati a Regina Coeli e a Rebibbia.
Le forze del dis-ordine si sono introdotti con la forza nell’edificio della ex-scuola che ospita tutti noi: famiglie di sfrattati, precari, disoccupati; ci hanno costretto a rifugiarci sul tetto per difendere il nostro spazio.
Ci hanno detto che era solo una perquisizione, ma il modo di agire era quello di uno sgombero ben organizzato. Non ci sono riusciti e per ritorsione hanno portato via 5 occupanti. Hanno sfondato le porte della varie stanze spaventando anche i bambini che sono stati perfino costretti a saltare il primo giorno di scuola. Proseguono così il gioco e gli interessi dei consiglieri del Pdl come Luca Gramazio, Augusto Santori, Luca Malcotti e dei palazzinari romani, in primis Gaetano Caltagirone e Domenico Bonifici che usano l’arma della diffamazione mezzo stampa, attraverso “Il Messaggero” e “Il Tempo” per colpire al fianco un movimento che fa paura a questa classe politica incapace di risolvere problemi come la casa, il lavoro, la precarietà, il reddito, e che teme che queste questioni mobilitino lotte generalizzate.8marzo_striscione

Non abbiamo nulla da nascondere.
Le diffamazioni diffuse da sedicenti giornalisti, che qui non sono mai venuti a fare un’inchiesta, non ci hanno fatto recedere dalla nostra lotta perché questa nasce dalla necessità di abitare in una casa e dal desiderio di un diverso convivere, di riprenderci la vita e non sopravvivere.
Per questo, in questi due anni di occupazione, abbiamo recuperato uno spazio pubblico abbandonato al degrado da ben 30 anni, riaprendolo a tutto il quartiere. E’ così che ci siamo guadagnati la solidarietà degli abitanti, molti dei quali, oggi sotto sfratto, si sono conquistati, anni fa e con la lotta, la loro casa.
Gabriele, Francesca, Simone, Sandro e Sandrone devono essere immediatamente rimessi in libertà, perché l’unica colpa che hanno è quella di essere lavoratori precari e non potersi permettere di acquistare una casa. In particolare chiediamo con forza la liberazione di Sandrone, attualmente recluso presso il centro clinico di Regina Coeli che proprio ieri e’ stato medicato d’urgenza. Affetto da un tumore per il quale e’ in attesa di un terzo intervento chirurgico al San Camillo, dovrebbe ricevere a breve notizie sulla data dell’operazione ma il sequestro del suo cellulare ne rende difficile, se non impossibile, la reperibilità.
Questi 5 compagni rischiano di dover passare ancora dei giorni privati della loro libertà personale per un’inchiesta costruita senza nessun fondamento concreto, tanto che le accuse più gravi sono già cadute così come cadranno tutte le altre!

SABATO 19 SETTEMBRE ALLE ORE 17
PRESIDIO DAVANTI A REGINA COELI E REBIBBIA SEZIONE FEMMINILE

Per adesioni:
occupa@inventati.org

 Comitato d’occupazione 8 Marzo

 

Estradizioni: il diritto virtuale italiano

16 settembre 2009 5 commenti

di Valentina Perniciaro, L’Altro 16 Settembre 2009

Le uniche volte che il nostro paese è riuscito a prendere alcuni dei militanti della lotta armata riparati all’estero, ciò è avvenuto solo grazie alla frode, ad accordi sottobanco, a manovre che hanno aggirato leggi e trattati internazionali.
Nell’1987-88 tre militanti accusati di partecipazione a banda armata arrivarono dopo una poco chiara triangolazione con Spagna e Francia, dove in quel momento Mitterrand affrontava la sua prima coabitazione e ministro dell’Interno, coautore dell’intera operazione insieme a quello italiano, era Charles Pasqua. Personaggio noto per gli intrighi e i metodi spicci affidati ad operazioni coperte dei servizi. Allora la Francia espulse in Spagna i tre italiani, richiesti dalla nostra magistratura per una processo in corso nell’aula bunker di Rebibbia.

Cesare Battisti

Cesare Battisti

Nel Frattempo la Spagna aveva negoziato lo scambio dei tre con quello di un militante basco accusato di appartenere all’Eta e da mesi detenuto Rebibbia. In questo modo non solo venne aggirata la dottrina Mitterrand ma lo stesso trattato che regolava la materia delle estradizioni tra paesi europei. Ai tre, per fortuna, andò bene perché nel corso dei processi le loro posizioni si alleggerirono. Alla fine scontarono “solo” alcuni anni di detenzione preventiva.
Non è stato così per la prima “estradizione” diretta dalla Francia, quella di Paolo Persichetti nell’agosto 2002. Un polverone mediatico accompagnò l’episodio, volgarmente festeggiato con un brindisi a villa Certosa da Berlusconi e i suoi sodali durante una cena in cui era presente anche mamma Rosa. All’annuncio, dato via telefono dall’allora capo della polizia De Gennaro al ministro degli Interni Beppe Pisanu presente alla festa, si levò un coro di applausi e qualcuno invitò a levare i bicchieri in aria per brindare alla caccia riuscita. Non si trattava di un’estradizione realizzata secondo i crismi dei trattati europei ma di una consegna speciale. Erano gli anni in cui a livello internazionale era entrata in voga la prassi delle extraordinary rendition e da noi Cia e Sismi rapivano Abu Omar, l’Iman di via Quaranta a Milano mentre funzionava a pieno regime l’agenzia di disinformazione di Pio Pompa.

Persichetti il giorno del "rapimento"

Persichetti il giorno del "rapimento"

Il vecchio decreto d’estradizione che pesava sulla testa di Persichetti, firmato nel 1994 dal primo ministro francese Balladur nel corso della seconda coabitazione (destra al governo e il socialista Mitterrand all’Eliseo), non era più valido perché due delle tre condanne inflitte erano prescritte. Per riaverlo l’Italia imbastì un’enorme montatura giudiziaria esportando a Parigi la pista investigativa che avrebbe dovuto condurre a scoprire gli autori dell’attentato mortale contro Marco Biagi, avvenuto pochi mesi prima. Gli investigatori bolognesi crearono di sana pianta la «pista francese», una pesante campagna stampa venne orientata contro gli esuli ritenuti gli animatori del «santuario parigino della lotta armata». Non c’era nulla di vero. Semmai a Parigi c’era la centrale politica dell’amnistia, una spina nel fianco da sempre mal sopportata dalle autorità e dalla magistratura italiana. Arrestato in serata, nel corso della notte Persichetti venne trasferito e consegnato all’alba sotto il tunnel del Monte Bianco. Viste le accuse indicate nelle rogatorie internazionali e l’inchiesta sull’attentato Biagi che l’aspettava in Italia, Persichetti avrebbe avuto il diritto di dimostrare la propria estraneità nel corso di una regolare nuova procedura di estradizione, che mai ci fu.
Nel 2004 fu il turno di Rita Algranati e Maurizio Falessi, riparati da anni in Algeria. Vennero consegnati via il Cairo alla Digos dopo un accordo con i servizi algerini. Nessuna procedura d’estradizione, nessun giudice ha mai valutato se le pretese italiane fossero fondate, le accuse di natura politica o meno, i processi coretti. Nessun timbro o decreto ha mai sancito e reso legale quell’episodio. Fu un atto di pirateria internazionale, un’azione di contrabbando di vite umane. Presi e caricati a forza su un volo diretto in un paese terzo, ad attenderli trovarono le autorità italiane che preventivamente avevano concordato il tutto. Per giunta dopo un anno di carcere le condanne di Falessi risultarono prescritte.

Rita Algranati il giorno del suo di rapimento

Rita Algranati il giorno del suo di rapimento

È arrivata poi la vicenda Battisti. Prima in Francia, dove il grosso della battaglia giudiziaria ruotò attorno alla contumacia. La tesi italiana era che questa non inficiava minimamente il diritto alla difesa, soprattutto perché a detta degli italiani Battisti aveva comunque nominato dalla latitanza un legale di fiducia. In realtà uno dei primi avvocati di Battisti venne arrestato per un certo periodo, mentre la nomina del secondo, si è poi accertato, era frutto di un falso. Tuttavia ancora non bastava. Bisognava convincere i giudici di una chambre d’accusation, che seppur ben disposti erano comunque vincolati da leggi e giurisprudenza. Alla fine l’Italia strappò l’avviso favorevole sulla base di una promessa, il varo di una legge che avrebbe consentito alle persone condannate in contumacia di chiedere la riapertura del processo. Non si era mai visto che qualcuno venisse estradato in virtù di una legge che non ancora c’era. Era l’inizio del diritto virtuale all’italiana, la giustizia creativa che seguiva il solco delle evoluzioni della finanza. In effetti, una modifica derisoria dell’articolo 175 del codice di procedura venne poi introdotta, ma questa non ha mai previsto automatismi. È rimasto sempre un collegio di giudici a vagliarne la pertinenza. Così la Francia concesse l’estradizione sulla base dell’ennesimo raggiro: la promessa della riapertura di un processo che non sarebbe mai venuto, prova ne è il fatto che di fronte al Supremo tribunale brasiliano si discute d’ergastolo. Il Brasile ne chiede la commutazione, l’Italia risponde che non ce n’è bisogno perché si tratterebbe di una «pena virtuale». Ma il Brasile si farà fregare come la Francia?

Arresti G-8 a Roma: video e petizione

11 luglio 2009 Lascia un commento

La coscienza civile si risvegli, la libertà di dissenso va difesa

Segnali allarmanti sullo stato di salute delle garanzie democratiche e dei diritti di libertà in Italia si sono sommati in rapida
G8 rome 09successione in questi giorni. Ne hanno fatto le spese le giovani e i giovani colpiti dai provvedimenti di privazione della libertà personale in un contesto che dovrebbe essere tra i più protetti in uno stato di diritto: quello della manifestazione di dissenso, anche il più radicale. Con sorprendente tempismo, nella settimana del secondo G8 presieduto da Silvio Berlusconi, dopo quello tristemente noto di otto anni fa a Genova, ordini di carcerazione sono stati eseguiti a carico di 21 partecipanti alla contestazione dell’Onda studentesca nei confronti del “G8 dei rettori” di Torino, risalente a due mesi prima. Il giorno seguente, durante le prime contestazioni all’incontro dei capi di Stato e di governo, in occasione del transito a Roma delle delegazioni internazionali verso la sede del summit a Coppito nell’Abruzzo terremotato, gli ordini di carcerazione hanno riguardato 8 dei 36 giovani fermati nel corso di un corteo partito dalla terza Università pubblica della capitale. G8 rome 07Un corteo caricato dalle forze dell’ordine senza ragione alcuna, nel momento in cui i manifestanti stavano per sciogliersi e raggiungere la manifestazione convocata all’Università la Sapienza contro gli arresti del giorno prima. Nulla aveva compiuto il corteo nei confronti di cose e persone, e non risulta, né è stata contestata agli indagati, lesione alcuna all’incolumità di chicchessia. Mentre tra i fermati, chi è stato trattenuto in carcere, in stato d’arresto e perfino in regime di semi-isolamento, è noto essere impegnato in quotidiane e trasparenti attività politiche e sociali. Esattamente come è avvenuto con gli arresti di esponenti dell’Onda e dei movimenti che l’appoggiano, effettuati il giorno prima in tutta Italia.
Non è una democrazia reale quella nella quale l’attività politica organizzata e l’espressione aperta delle proprie opinioni, anche rivolte al cambiamento più profondo dell’ordine costituito, diventano motivo di repressione e restrizione della libertà personale. G8 rome 08Né si possono considerare integre, piene ed effettivamente tutelate le garanzie di agibilità democratica in un Paese, quando in esso l’autorità esercita forme di repressione generalizzata delle contestazioni collettive di dissenso, tanto più in occasioni delicate come un vertice internazionale di governi. La manifestazione del dissenso è infatti parte della normale dialettica di una società democratica.
Se la repressione delle posizioni “radicali” si fa sistematica e continua, se chi le esprime è altrettanto sistematicamente e continuamente sottoposto all’applicazione delle misure più estreme di restrizione della propria libertà, le coscienze di chi ha a cuore la democrazia devono allarmarsi. G8 rome 10Devono allarmarsi per le sorti della democrazia e della libertà di tutti: si comincia dalle posizioni radicali ma non si può prevedere dove ci si fermi.
Se l’autorità si trasforma in attività di repressione politica, ogni coscienza democratica deve prendere voce, poiché la vigilanza civile non può essere a tempo determinato: se chiude gli occhi, si rassegna a perdere una quota di democrazia, un pezzo di libertà. E a pagarne i costi sono tutte e tutti, giacché la democrazia e la libertà sono indivisibili. 

 

Reagiamo con una convinta e intensa mobilitazione politica, sociale e culturale alle lesioni che democrazia e libertà hanno subito con gli episodi repressivi di questi giorni. Non lasciamo sole e soli questi giovani. Denunciamo, in ogni sede, la grave responsabilità assunta da chi questi episodi ha voluto, disposto e realizzato.

Per leggere le firme e lasciare la propria questo è il link http://petizionearrestig8.noblogs.org

Qui invece il video di ricostruzione degli “scontri” dell’altro giorno con il simpatico atteggiamento della Digos

Ballata per una prigioniera

26 Maggio 2009 3 commenti

Era pericolosocarcere_blindato
lasciarle mani franche
senza ferri avvitati intorno ai polsi
quando rivide spazio,alberi,strade,
al cimitero dove
portavano suo padre.
Dieci anni già scontati,
ma contarli non serve,
l’ergastolo non scade ,
più vivi più ci resti.

Era pericoloso
permetterle gli abbracci,
e da regolamento
è escluso ogni contatto.
Era pericoloso2550_67020283277_618018277_2260865_426553_n
il lutto dei parenti,
di fronte al padre morto
potevano tentare
chissà di liberare
la figlia irrigidita,
solo per pareggiare
la morte con la vita.

Spettacolo mancato
la guerriera in singhiozzi,
ma chi è legato ai polsi
non può sciogliere gli occhi.Marina6
Per affacciarsi,lacrime e sorrisi,
debbono avere un pò di intimità
perchè sono selvatici,non sanno
nascere in cattività.

<<Non si è più stati insieme,vero,babbo?
Prima la lotta,gli anni clandestini,
neppure una telefonata per Natale,
poi il carcere speciale, la tua faccia
rivista dietro il vetro divisorio,
intimidita prima, poi spavalda
e con una scrollata delle spalle
dicevi: ”muri, vetri, sbarre, guardie,
non bastano a staccarci,
io sto dalla tua parte
anche senza toccarti,
anzi, guarda che faccio,
metto le mani in tasca”
Porta pazienza babbo, anche stavolta
non posso accarezzarti
tra i miei guardiani e i ferri.
Però grazie: di avermi fatto uscire
stamattina,di un gruzzolo di ore
di pena da scontare all’aria aperta>>.

Ora la puoi incontrareamnistia
la sera quando torna
a via Bartolo Longo,
prigione di Rebibbia
domicilio dei vinti
di una guerra finita,
residenza perpetua
degli sconfitti a vita.
Attravesa la strada,non si gira,
compagna Luna,antica prigioniera
che s’arrende alle sbarre della sera.

Erri De Luca, Ballata per una prigioniera

DEDICATO A TUTTI QUELLI CHE LA SERA, E POI DI NUOVO OGNI MATTINA, ANIMANO IL GRIGIO DI VIA BARTOLO LONGO, FACENDO USCIRE I PROPRI SORRISI AL SOLE DAL BLU DI QUELLA PORTA MALEDETTA.

L’operazione “piombo fuso” avanza. Notizie da Gaza e dintorni.

2 gennaio 2009 Lascia un commento

Il bilancio delle vittime dell’operazione militare israeliana a Gaza è salito a 430 palestinesi morti e 2.200 feriti.
Sono cinque i bambini palestinesi uccisi solamente oggi nei raid israeliani sulla Striscia di Gaza. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa palestinese ‘Maan’, che cita fonti mediche locali, tre bambini sono morti in un raid avvenuto poco fa nel villaggio di al-Qarara, nella parte meridionale della Striscia di Gaza.

Foto di Valentina Perniciaro _Rebibbia_

Foto di Valentina Perniciaro _Rebibbia_

Secondo testimoni oculari, facevano tutti parte della stessa famiglia e stavano giocando davanti alla loro casa quando è caduto un missile che li ha centrati in pieno, uccidendoli sul colpo. Il quarto bimbo ucciso ha 15 anni, si chiama Himad Masbah ed è stato colpito da un missile nel quartiere al-Shujuiya di Gaza. La quinta vittima è invece una bambina di 6 anni, Kristin al-Turk, morta in ospedale in seguito alle ferite riportate. Un altro raid è stato eseguito stamattina nel campo profughi di al-Nasiriyat.
Nel frattempo ieri era stata richiesta da Hamas la Giornata della collera nei territori occupati e secondo quanto riferisce la tv araba ‘al-Jazeera’, la manifestazione più imponente si sta svolgendo a Ramallah dove, alla fine della preghiera islamica del venerdì, migliaia di persone si sono riunite nella zona denominata di al-Manara.Come riferito da fonti dell’esercito israeliano, la protesta è degenerata in violenze quando sostenitori di Hamas sono arrivati allo scontro fisico con sostenitori di Fatah, accusati dagli integralisti di collaborare con lo Stato ebraico. Per porre fine alla rissa e disperdere i manifestanti la polizia palestinese ha sparato diversi colpi in aria.
In altre località si sono invece registrati scontri tra i manifestanti e i militari israeliani di guardia ai punti di transito. In qualche caso i soldati avrebbero sparato ferendo alcuni palestinesi.

Anche in Israele oggi è scoppiata la rabbia di decine di attivisti israeliani, com’è riportato dal Ynet, sito del quotidiano Yediot Ahronot hackerato oggi per un po’ dal gruppo islamico detto “la Squadra del crimine, terrortisti cibernetici e Squadra del diavolo”. La manifestazione si è svolta ad Haifa per chiedere la cessazione dei raid contro la popolazione palestinese, una manifestazione pacifica che si riconvocherà domani per le strade di Tel Aviv.

Nel resto del mondo arabo invece:

Foto di Valentina Perniciaro _Campi profughi palestinesi_

Foto di Valentina Perniciaro _Campi profughi palestinesi_

 

Egitto:  Violente proteste sono state attuate oggi da egiziani a sostegno dei palestinesi di Gaza all’altezza del valico di confine tra Egitto e Israele di Karim abu Salem (Kerem Shalom in ebraico), poco lontano da quello di Rafah, dove da giorni è stato schierato un gran numero di forze di sicurezza. Dopo aver bruciato pneumatici sulla strada ed aver dato fuoco ad alcune case del villaggio egiziano di El Mahmd, decine di persone hanno assalito un veicolo della polizia che avrebbe investito «volutamente» un esponente del partito di opposizione Tagammu, Medhat el Kachef, che era tra i dimostranti. Leggermente ferito l’uomo è stato trasportato all’ ospedale di Al Arish. È cominciato un fitto lancio di pietre contro il blindato della polizia ed i poliziotti hanno risposto a colpi di manganello contro gli aggressori. Nello scontro sono rimasti feriti una decina di manifestanti e tre poliziotti.

Giordania: Lievi scontri tra forze dell’ordine e dimostranti anti-israeliani si sono verificati oggi ad Amman, nei pressi della sede della locale ambasciata d’Israele. Al grido di «Via l’ambasciata israeliana da Amman!» e «Via Hosni Mubarak» in riferimento al presidente egiziano accusato di esser complice della politica dello Stato ebraico, migliaia di manifestanti hanno scagliato pietre in direzione del compound fortificato della sede diplomatica, protetta da barriere di filo spinato e da un doppio cordone di forze dell’ordine giordane in tenuta anti-sommossa. Gli agenti hanno risposto sparando razzi fumogeni e si sono registrati alcuni lievi tra manifestanti e polizia. Al momento non si registrano feriti. Dall’inizio dell’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, numerose manifestazioni di protesta si sono svolte ad Amman. Il 60 % della popolazione giordana è di origine palestinese. Il regno hascemita e l’Egitto sono gli unici due Paesi arabi ad aver firmato un trattato di pace con Israele.

Iraq:  La capitale irachena, Baghdad, è stata protagonista oggi di una serie di manifestazioni di solidarietà con la popolazione di Gaza. Secondo la tv iraniana ‘al-Alam’, quella più imponente si è tenuta fuori alla moschea Umm al-Qura, quando l’Imam Muhammad al-Jiburi, durante il sermone del venerdì islamico, ha chiamato i fedeli a marciare dopo la preghiera comunitaria e a raccogliere i fondi per la popolazione palestinese di Gaza. «Quello che sta avvenendo lì è un vero e proprio genocidio – ha tuonato dal pulpito -. Si vuole distruggere un popolo perché i bombardamenti non distinguono tra obiettivi civili e politici». Una seconda manifestazione si è tenuta davanti all’università cittadina alla quale hanno partecipato circa cinquemila studenti. Infine un’altra manifestazione si è svolta nel sobborgo sciita di Baghdad noto col nome di Sadr City. Qui è stato letto un comunicato diffuso dall’Imam Moqtada al-Sadr il quale chiede «alle organizzazioni umanitarie di intervenire come possono per aiutare la popolazione di Gaza con degli aiuti. Chiediamo all’Onu di far cessare gli attacchi e di sostenere gli abitanti della striscia». Altre piccole manifestazione spontanee si sono tenute nei pressi di diverse moschee di Baghdad dove sono state anche più volte incendiate bandiere israeliane e americane

Libano: Centinaia di manifestanti libanesi e palestinesi si sono radunati oggi nei pressi della sede dell’ambasciata egiziana a Beirut, in solidarietà della popolazione della Striscia di Gaza, da una settimana sottoposta ai raid aerei israeliani. Al grido di «Col nostro sangue, con la nostra anima, ci sacrifichiamo per te, Palestina!», i manifestanti hanno raggiunto le barriere di filo spinato, erette dalle forze di sicurezza libanesi, portando a spalla una decina di finte bare nere con su scritto: «Palestina» e «Siamo tutti gente di Gaza». I dimostranti chiedono al governo del Cairo di aprire il valico di Rafah, al confine meridionale con la Striscia, mentre altri manifestanti hanno innalzato striscioni neri su cui sono stati riportati i celebri versi del defunto poeta palestinese Mahmud Darwish: «Siamo qui, rimarremo sempre qui, perchè il nostro unico obiettivo è essere».

Marocco: Uno studente marocchino ferito nei giorni scorsi in scontri con la polizia durante una manifestazione di sostegno ai palestinesi di Gaza è morto ieri a Marrakech, nel Marocco meridionale. Lo rende noto oggi la stampa marocchina. Secondo i giornali, il giovane, Abderrazak El Gadiri, è stato ferito alla testa domenica scorsa nei pressi della città universitaria di Marrakech. Circa 300 studenti si sono radunati stamani davanti all’obitorio dell’ospedale Ibn Tofail di Marrakech per protestare contro la morte del loro compagno, che militava in un sindacato studentesco.

Seguiranno aggiornamenti e magari immagini.
DOMANI A ROMA MANIFESTAZIONE ORE 16,30 DA PIAZZA DELLA REPUBBLICA A PIAZZA BARBERINI

Dall’ A.S. di Rebibbia Femminile

26 novembre 2008 Lascia un commento

IL CARCERE NON PUO’ ESSERE LA DISCARICA ABUSIVA DI ESSERI UMANI “INDESIDERATI”

In questi ultimi tempi è solo un susseguirsi di politiche e leggi che rendono il ricorso al carcere come il “rimedio miracolo” per togliere di mezzo dalla società i problemi sociali ai quali non si riesce a dare una risposta. Per ogni problema la risposta è: carcere.logo_scarc
La politica che sembra sempre riscuotere il maggior consenso, soprattutto elettorale, è quella del “buttare la chiave”! (Questa è la traduzione letterale da fare quando dicono “certezza della pena”). Questo quando la Costituzione, in diversi suoi articoli, sancisce invece che la pena (notare bene, scrive “pena” e non “reclusione” visto che la pena può avere varie forme!) deve avere uno scopo rieducativo e non può andare contro il senso di umanità. Noi che abbiamo la sventura di esserci finite in carcere, sia in qualità di condannate che di detenute in attesa di giudizio, ci rendiamo conto ogni giorno di quanto e quante volte quei principi vengono violati.

Noi tutte della sez. A.S. di Rebibbia vogliamo allargare la protesta del 1 dicembre 2008 CONTRO TUTTE QUELLE VIOLAZIONI. Intendiamo partecipare all’iniziativa con un giorno di protesta pacifica con sciopero del sopravvitto, del lavoro, “battitura” ecc… da riprendere il mese di marzo aderendo alla calendarizzazione dei promotori della campagna contro l’ergastolo.

PER L’ABOLIZIONE DELL’ERGASTOLO, il “fine pena mai” che è la violazione evidente del principio della possibilità della “rieducazione”. Senza farsi ingannare dal falso argomento per cui, in Italia, dopo 26 anni è possibile ottenere la libertà condizionale. Innanzitutto questa non è mai concessa automaticamente ed è di fatto esclusa preventivamente, come gli altri “benefici”, per coloro che sono sottoposti all’articolo 4bis nella sua forma più restrittiva.
CONTRO IL 41bis, forma detentiva disumana che si può paragonare a un vero e proprio strumento di tortura.
CONTRO IL DISEGNO DI LEGGE BERSELLI che vorrebbe modificare la Riforma Penitenziaria del 1975 e il Codice di Procedura Penale in materia di permessi premio e di misure alternative alla detenzione, per altro già lasciata alla discrezionalità dei giudici e poco e male applicata. Lo scopo è quello di rendere la detenzione ancora piu oppressiva, facendo credere, erroneamente, che un carcere ancora più afflittivo serva a dissuadere dal commettere e reiterare i reati. Il disegno di legge punta a ridurre i benefici nel suoscarcecomplesso, incluso i giorni di liberazione anticipata e a togliere la possibilità di andare in semilibertà a tutti gli ergastolani, così come oggi succede per quelli sottoposti alla misura ultrapunitiva del 41bis.  La possibilità di ottenere permessi verrebbe ulteriormente allontanata, così come quella di usufruire di altri benefici. Per altro già la legge cosidetta Cirielli ha, di fatto, escluso da questa possibilità tutti i recidivi.
Tutto questo, per altro, quando l’isolamento affettivo viene applicato duramente per tutta la detenzione, in modo particolare tra familiari detenuti, per i quali il diritto al colloquio, previsto dalla O.P. non viene quasi mai rispettato.
CONTRO LA PRESENZA DI BAMBINI IN CARCERE. C’è qualche forma detentiva più disumana di rinchiudere in un carcere con le loro madri –per quanto si possa tentare di “abbellirlo- dei bimbi in età da 0 a 3 anni? In seguito, quando vengono obbligatoriamente separati dalla madre,

Foto di Valerio Bispuri _carcere femminile sudamericano_

Foto di Valerio Bispuri http://valeriobispuri.com

 acquistando la “libertà” vengono ad aggiungersi a tutti gli altri bambini che separati dai loro genitori vedono, per lungo tempo, ridotti il vitale rapporto affettivo familiare a qualche visita mensile di 1 ora in squallidi parlatori.
La Costituzione dice che bisogna rispettare il senso di umanità: che colpa hanno i bambini delle azioni eventualmente commesse dai loro genitori?
Infine i bimbi a cui è capitato di essere figli di persone in regime 41bis, solo un’ora mensile, attraverso un vetro divisorio, visto che compiendo 12 anni si perde il “diritto” ai 10 minuti mensili concessi senza vetro!

CHI DEVE RISPETTARE LE LEGGI E IN PRIMO LUOGO LA COSTITUZIONE?

           Le detenute della sez. A.S. di Rebibbia

 

 

E’ USCITA SCARCERANDA PROPRIO OGGI, L’AGENDA CONTRO IL CARCERE. E IL LIBRO!!!logo_scarc

…PASSATE IN VIA DEI VOLSCI 56, A RADIO ONDA ROSSA.

PER OGNI COPIA VENDUTA NE VERRA’ SPEDITA UNA IN CARCERE GRATUITAMENTE 

L’ennesimo morto tra le sbarre

17 novembre 2008 1 commento

PER ORA SOLO UN COPIA-INCOLLA DELL’AGENZIA BATTUTA POCO FA.
L’ENNESIMO MORTO IN CARCERE…  

«Ancora un morto nelle carceri del Lazio. Ancora un decesso senza motivi apparenti. user_17_mammagiallapQuella di venerdì scorso all’interno del carcere di Viterbo è la vittima numero 17 nelle carceri della nostra regione dall’inizio dell’anno. Una vera e propria strage che si consuma nel silenzio di quanti, piuttosto, preferiscono puntare l’attenzione su inasprimento delle condizioni di detenzione e certezza della pena». È quanto dichiara, in una nota, il Garante Regionale dei diritti dei Detenuti Angiolo Marroni commentando la notizia della morte, avvenuta venerdì scorso, di un detenuto di 35 anni nel carcere «Mammagialla» di Viterbo. Sulle cause del decesso di Emiliano L., questo il nome del detenuto, la Procura avrebbe aperto un fascicolo contro ignoti. «Secondo l’Ufficio del Garante dei detenuti – si legge ancora nella nota – Emiliano è il diciassettesimo morto accertato (16 detenuti e un agente di polizia penitenziaria) nelle carceri del Lazio dall’inizio del 2008 contro gli 11 del 2007 e i dieci del 2006. Quelli deceduti quest’anno sono tutti uomini: sei sono stati i suicidi (compreso l’agente di polizia penitenziaria), quattro i decessi per malattia, sette quelli da accertare o non accertati. I decessi sono avvenuti a Regina Coeli (cinque), Rebibbia (cinque), Viterbo (quattro), Velletri e Frosinone». «In due mesi, dal 13 settembre ad oggi, abbiamo registrato sei decessi, cinque dei quali per cause da accertare – ha aggiunto il Garante dei detenuti – La drammatica conferma che la sicurezza dei cittadini è solo uno dei lati della medaglia: dall’altra parte ci sono, infatti, le precarie condizioni di vita nelle carceri e il

Foto di Valerio Bispuri

Foto di Valerio Bispuri

sovraffollamento, che impediscono in recupero sociale dei detenuti. Non possiamo più nasconderci: non basta più parlare di nuove strutture o inventare leggi che creano più carcere, come la recente norma che prevede la detenzione per chi abbandona i rifiuti. Serve invece coraggio per immaginare un nuovo sistema che preveda, per i reati meno gravi, il ricorso a pene alternative e forse più dissuasive»

Sabina Rossa ottima e coraggiosa!

16 ottobre 2008 1 commento

Sabina Rossa: «Scarcerate l’uomo che ha sparato a mio padre»
Giorgio Ferri, Liberazione del 16 ottobre 2008 

Sabina Rossa, la figlia di Guido Rossa, l’operaio dell’Italsider di Cornigliano, sindacalista della Cgil e militante del Pci ucciso nel corso di un’azione realizzata dalla colonna genovese delle Brigate rosse, ha chiesto alla magistratura di sorveglianza di riconsiderare la decisione che ha portato al rifiuto di concedere la libertà condizionale a Vincenzo Guagliardo, 31 anni di carcere sulle spalle, anche lui ex operaio della Fiat e membro del gruppo di fuoco che la mattina del 24 gennaio 1979 colpì suo padre.
«Ho incontrato Vincenzo Guagliardo quando era in regime di semilibertà e credo di poter testimoniare a favore del suo ravvedimento», ha dichiarato la deputata del Pd, aggiungendo di voler «parlare con il giudice perché possa riconsiderare la sua decisione».
Guido Rossa venne colpito dopo aver denunciato e fatto arrestare dai carabinieri un altro operaio, Francesco Berardi, suo compagno di lavoro, sospettato di diffondere volantini delle Br in fabbrica e poi morto suicida nel carcere speciale di Cuneo. 
L’episodio fu uno dei momenti più drammatici e laceranti della storia di quegli anni. Mise a nudo la profondità di un conflitto che arrivava fin nel cuore più rosso e combattivo della classe operaia e segnò uno dei punti di crisi maggiore nella strategia brigatista.
La scelta di colpire Rossa fu molto dibattuta all’interno delle Br, consapevoli dei rischi politici che quell’azione comportava per la loro organizzazione. Dopo aver scartato per ragioni operative l’ipotesi del rapimento incruento, i brigatisti optarono per il ferimento ma qualcosa andò male quella mattina. L’inchiesta giudiziaria accertò che Guagliardo aprì il fuoco solo per ferire il sindacalista. Dietro di lui Riccardo Dura intervenne nuovamente colpendo Rossa, questa volta mortalmente forse perché questi nel tentativo di sottrarsi aveva spostato il baricentro del suo corpo. In un comunicato dell’esecutivo i brigatisti parlarono di errore. La morte di Rossa suscitò viva emozione nel paese e i funerali furono l’occasione per un grande cordoglio di massa. La colonna genovese non si riprese più dopo quell’episodio.
Sabina Rossa era una bambina in quegli anni e in un libro pubblicato nel 2006, Guido Rossa, mio padre (Rizzoli Bur), rievoca il doloroso percorso della memoria, la riscoperta del padre attraverso chi l’aveva conosciuto e con lui aveva vissuto la fabbrica, la lotta politica, il clima di “guerra civile contro il terrorismo”, la grande passione per l’alpinismo. Un libro molto sincero, che non nasconde nulla e svela anche aspetti rimasti sconosciuti. Un percorso del lutto che la porta a voler incontrare anche le persone condannate dalla giustizia per la morte del padre. Una passaggio difficile ma a cui Sabina Rossa, mostrando grande forza e coraggio, non si sottrae. Il libro si apre con la telefonata a Guagliardo, che interpella subito con un «tu», quasi fosse una figura familiare. Finalmente dava una voce, una consistenza materiale a una figura che per decenni aveva accompagnato i suoi pensieri, le sue angosce, la sua rabbia, i suoi incubi, la voglia di sapere.
Il libro riporta i passaggi registrati della telefonata, l’imbarazzo ma anche la cordialità umana del detenuto. «Tu hai debito con me, non puoi rifiutarti di incontrarmi» e Guagliardo accetta. 
Nell’ordinanza che il 23 settembre scorso il tribunale di sorveglianza di Roma ha emesso per motivare il rigetto della domanda di semilibertà non c’è però alcuna traccia di questo episodio. A Guagliardo, sia pur riconoscendo la positività del «percorso trattamentale» realizzato, si contesta paradossalmente «la scelta consapevole di non prendere contatti con i familiari delle vittime. 
Qui si tocca un nodo di fondo, lo stesso affrontato in una lettera scritta nel luglio scorso da Marina Petrella, ma resa nota solo ieri e pubblicata da Le Monde , «il dolore delle vittime mi ha sempre accompagnato. Il pudore nel manifestarlo e il rifiuto di ricavarne un qualunque guadagno personale sono state sempre le uniche ragioni che hanno fatto ostacolo alla sua espressione».

W la resistenza

1 giugno 2008 1 commento

GGGGIOIA!!

31 Maggio 2008 1 commento